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Notiziario Marketpress di Lunedì 08 Giugno 2015
 
   
  IN QUALE MODO È POSSIBILE DEFINIRE IL MERITO? COME È POSSIBILE MISURARLO?

 
   
  Trento, 8 giugno 2015 - Gremita la Sala del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento, dove i temi principali della conferenza hanno riguardato la definizione di merito, di mobilità, di uguaglianza delle opportunità. Daniele Checchi, professore di Economia Politica presso l’Università di Milano, oltre a cercare di definire il concetto di meritocrazia, ha messo in rilievo con il grande interesse di un pubblico sorprendentemente attivo, quali studi permetterebbero di misurare il merito e conseguentemente di capire se possa esistere una "meritocrazia giusta”. Il professore, introducendo l’argomento da un punto di vista prettamente economico, definisce prima di tutto come in una società moderna la carenza di merito si colleghi inevitabilmente all’idea di un sistema poco efficiente, poiché non consente una distribuzione ottimale di risorse, ovvero di far giungere nel posto giusto chi effettivamente può svolgere al meglio quel ruolo; ciò si ripercuote sulla mobilità sociale, così come sulla trasmissione delle disuguaglianze tra genitori e figli, allontanandosi, spiega Checchi, da quella che è l’idea principale che sta alla base del concetto di meritocrazia: il raggiungimento delle posizioni di vantaggio deve poter essere esteso a tutti e regolato sulla base di una gara competitiva, dove l’unico criterio per la vittoria o la sconfitta è il merito individuale a prescindere da qualsiasi riferimento a razza, nazionalità, genere, famiglia di provenienza. Il riconoscimento del merito dunque, continua il professore, implica che “la probabilità di conseguire le posizioni apicali dipenda esclusivamente da caratteristiche individuali, riconducibili alla qualità personale e/o all’impegno dell’individuo”. Ma a questo punto, è lecito chiedersi: è possibile definire il merito? Il professore a tal proposito cita la definizione del sociologo inglese Michael Young, secondo il quale il merito è definibile dalla formula matematica M = A + S dove “A" definisce qualsiasi dotazione naturale (Iq test, ma anche creatività, talento fisico), mentre “S" definisce l’impegno, lo “sforzo” della persona. Nell’utilizzo di questa formula la complessità che i parametri “A” e “S” rivestono, in realtà, continua Checchi, complica notevolmente il quesito posto: proprio all’interno dei due parametri infatti vi possono essere delle forti ambiguità nella definizione e nella misurazione che possono rendere poco attendibile il risultato. Innanzitutto perché alcune teorie sostengono che il parametro A, anche se legato ad un fattore genetico, si possa evolvere assieme alla cultura e dunque essere “influenzato”; il parametro “A” è dunque socialmente determinato e di conseguenza può essere trasmesso in modo intergenerazionale. Vi sono poi altre ambiguità nel definire i vari parametri che compongono la formula del merito: spesso “A” è infatti usato come sinonimo di istruzione, che combina ambiente ed impegno individuale e perciò incorpora “S” (il fattore impegno) che il più delle volte è legato, ad esempio considerando la formazione scolastica, alle risorse familiari e dunque al benessere delle famiglie. Anche il parametro “S”, tipicamente misurato attraverso le ore lavorate, è una misura piuttosto imperfetta del grado di coinvolgimento e dei costi fisico-psicologici dell’impegno, poiché dipende da circostanze sociali e istituzionali in cui viene erogato. Le evidenti difficoltà nel definire il merito, proseguono quando si vuole tentare di misurarlo. Spesso, nel mondo di tutti i giorni, continua il professore, i risultati scolastici sono spesso utilizzati come esempio di criterio meritocratico, ma il più delle volte non sono completamente rappresentativi, in quanto possono anche in questo caso, variare sulla base dell’ambiente familiare, sulla base del titolo conseguito. Il professore ha concluso sostenendo che la meritocrazia è in definitiva un’utopia, di fatto irrealizzabile, in quanto il merito è difficilmente osservabile e spesso non è unidimensionale. La meritocrazia basata sui criteri scolastici può in ogni caso essere intesa come parametro di selezione delle carriere interne, in alternativa ad altri criteri come l’anzianità di servizio o la fedeltà politica. Quello che è certo, conclude è che nella misura in cui i risultati scolastici siano indipendenti dalle origini sociali, la meritocrazia può rivelarsi un fattore positivo di “fluidità sociale”, nella misura in cui la scuola contribuisca alla stratificazione sociale, “la meritocrazia diventa un’ideologia di legittimazione delle disuguaglianze sociali”.  
   
 

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