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Notiziario Marketpress di Martedì 09 Giugno 2015
 
   
  LA RISCOPERTA DELLE RADICI CONTADINE È L’ANTIDOTO ALL’ALIENAZIONE TECNOLOGICA

 
   
  Trento, 9 giugno 2015 - Marco Paolini ha letteralmente stregato il pubblico del Festiva dell’Economia che ha gremito per lui il Teatro Sociale ieri nel tardo pomeriggio. Uno spettacolo in cui l’attore veneto ha messo in luce le contraddizioni del nostro presente sempre più frenetico e alienante, offrendo come antidoto gli elementi legati alla manualità contadina da contrapporre, perché no, anche a una tecnologia sempre più pervasiva. Segare l’erba diventa così un modo per riscoprire le radici del passato e provare a immaginare un presente e un futuro più a misura d’uomo. Il monologo di Marco Paolini ha preso le mosse proprio dal mondo contadino che ha ispirato il suo progetto “Fén” (fieno), proposto alla Biennale di Venezia. “Nella vita due cose vorrei saper fare bene: falciare l’erba e remare in pié. Remo e falce oggi sono considerate cose inutili, quasi folk direi. Ho messo un annuncio sul web, ma a pensarci i veri falciatori su internet non ci vanno proprio. Mi sono accorto che molti non sanno neppure cosa sia una falce e cosa sono le mede, i mucchi di fieno. Ma oggi la ragione economica di segare l’erba non c’è, nessuno va a prenderla neanche se te la regalano perché l’industria si foraggia in altro modo. Anche fare una meda è un’arte ed è un’arte che si sta perdendo, fagocitata com´è da abitudini che ci portano lontano dal “fén” da tagliare e così ho proposto diciotto serate di questo progetto, barattando le mie parole col fieno". Nelle parole del mattatore bellunese c’è poi spazio per le pagine partigiane de “I piccoli maestri” di Luigi Meneghello con i ragazzi sulle montagne, per le parole sul dopoguerra e sulle generazioni fortunate che non hanno vissuto i tempi dei conflitti. “Il dopoguerra – dice Paolini – è un generatore di speranze e di illusioni, di energie sovraumane e di ethos bellissimi. Difficile restare soli in quel momento, almeno che non si fosse stati “masa fascisti”, troppo, perché in fondo un pochino lo erano stati tutti, ma masa xè masa!”. Poi quel periodo finisce, incomincia la pace e si crea una certa entropia che resta addosso a tutti, alla società, allo Stato e alla democrazia, come una sensazione che le cose non fossero andate come volevamo". Tanti gli spunti offerti da Paolini che, con le sue doti affabulatori, parla di quella tecnologia che nel risolvere vecchi problemi finisce inevitabilmente per crearne di nuovi. La definizione del progresso che piace di più a Paolini diventa allora “un rimedio al danno provocato dal progresso, regresso”. Con una certa dose di coraggio Marco Paolini cita anche Ted Kaczynski, noto come Unabomber, e le sue teorie su come ormai siamo tutti schiavi della tecnologia che sta distruggendo anche la natura riportate in un saggio di Kevin Kelly. C’è poi ancora spazio per le divagazioni sul tamagochi, il terribile pulcino da polso nipponico che andava accudito virtualmente, per la transustanziazione di Steve Jobs presente in ogni smarthpone o iPad a colpi di aggiornamenti per stare a passo con la tecnologia. Nel finale ecco la rivelazione delle mazurke clandestine, sorta di società segrete del ballo che si trovano nelle piazze del nostro Paese senza autorizzazioni di sorta tramite un tam tam su Facebook. Il saluto di Marco Paolini è anche un messaggio diretto: “Bisogna costruirsi delle occasioni. Non si può combattere il degrado della democrazia semplicemente restando nel gioco delle sottomissione a cui ci stiamo adeguando tutti. Bisogna costruirsi delle alternative in proprio per vivere: segare il fieno, ballare la mazurka, aggiustare qualcosa, cose che hanno un valore aggiunto per la nostra vita e per quella degli altri senza avere un valore di mercato”.  
   
 

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