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Notiziario Marketpress di Giovedì 11 Giugno 2015
 
   
  INDICE DI FIDUCIA SUGLI INVESTIMENTI IN INNOVAZIONE TECNOLOGICA LA MISURA DELLA PROPENSIONE AGLI INVESTIMENTI IN INNOVAZIONE TECNOLOGICA. I M R IFIIT MONTHLY REPORT INDICE IFIIT DEL MESE GIUGNO 2015

 
   
  Milano 11 giugno 2015 - 1) I Dati Quadro di sintesi dei dati rilevati nel mese · Resta sostanzialmente stabile la fiducia degli imprenditori sugli investimenti in innovazione tecnologica. Le rilevazioni dell’ultimo mese segnano una debole contrazione. L’indice Ifiit scende dai 34,60 punti di maggio agli attuali 34,30, lo stesso livello che si era registrato nello scorso mese di aprile, a testimonianza di una tenuta di fondo. · Secondo le rilevazioni effettuate il trend della crescita economica non si è ancora consolidato a tal punto da allargare la fiducia ad investire nella base degli imprenditori. · I settori che manifestano il maggiore grado di propensione ad investire in progetti e soluzioni in grado di migliorare la competitività della loro offerta sono il meccanico, i trasporti, l’energetico e le comunicazioni. · La persistente debolezza dei consumi interni in presenza di un elevato grado delle sofferenze bancarie (a 190 miliardi di euro nell’ultimo mese) tengono frenati i settori del commercio e dell’edilizia, che manifestano livelli di propensione ancora inferiori alla media dell’indicatore di fiducia. · Sempre molto vivace il settore della digital-economy, il segmento che punta sulla digitalizzazione dei servizi e sull’e-commerce. In questo comparto la propensione ad investire si mantiene piuttosto elevata. · Per quanto riguarda le tipologie, artigiani e piccole imprese restano ancora al palo, mentre medie e grandi imprese, soprattutto se internazionalizzate, manifestano alti livelli di fiducia nella politica di investimento tecnologico. · Il 75% degli intervistati sostiene che il nostro Paese mantiene ancora troppo alto il gap di competitività digitale con gli altri Paesi europei più industrializzati. · 2) Dal Mondo Della Ricerca · Studio di Prometeia – Intesasanpaolo - Rapporto Analisi dei Settori Industriali – Maggio 2015 - La crescita dell’industria manifatturiera si rafforza nel corso del 2015 (fatturato +1,8% in termini reali, con un guadagno di oltre 13 miliardi di euro) e manterrà ritmi di sviluppo attorno al 2% nel periodo 2016-’19. Più qualità e attenzione ai rischi caratterizzeranno il futuro del manifatturiero italiano, che conserverà la più ampia gamma di offerta nel panorama europeo. La ripresa dell’industria italiana prenderà slancio nei prossimi mesi, traducendo in risultati concreti il forte recupero degli indicatori di fiducia di consumatori e imprese emerso negli scorsi mesi: +1.8% il fatturato a prezzi costanti nella media del 2015. Alla crescita dei volumi produttivi contribuiranno l’accelerazione delle esportazioni, sostenute anche dalla debolezza della valuta europea, il consolidamento del recupero della domanda interna per beni durevoli, con processi di sostituzione non più rinviabili, l’apporto dei consumi effettuati dai turisti stranieri e il rimbalzo degli investimenti in mezzi di trasporto. Ancora nullo invece il contributo degli altri investimenti, con una debole crescita di quelli in macchinari, annullata dall’ulteriore calo di quelli in costruzioni. L’assenza di tensioni sul versante dei costi, l’accelerazione della domanda mondiale e la maggior libertà nella fissazione dei listini grazie alla debolezza dell’euro sosterranno anche un marcato recupero dei margini di profitto, attesi a fine 2015 tornare sopra l’8% e sostenere il recupero della redditività (Roi al 5,6% dal 4,6% stimato per il 2014). Il consolidamento della domanda mondiale e la progressiva piena ripresa della domanda interna in tutte le sue componenti garantiranno al manifatturiero italiano una crescita costante del fatturato attorno al 2%, in termini reali, negli anni fino al 2019. Il recupero di ulteriori 65 miliardi di euro, dopo i circa 15 guadagnati del biennio 2014-’15, lascerà comunque “sul campo”, rispetto al picco pre-crisi del 2007, ancora 100 miliardi di fatturato (-11%), con un gap particolarmente pesante per i settori più legati alle costruzioni (prodotti e materiali per le costruzioni e una parte dei prodotti in metallo) e alle spese per l’abitazione (mobili ed elettrodomestici) e per l’elettronica, ormai marginale in termini produttivi. Per il manifatturiero italiano un fly to quality - I dati medi celano, tuttavia, profondi processi di trasformazione e adattamento del nostro tessuto produttivo: la crisi ha indotto le nostre imprese a ricercare, sempre di più, elevata qualità e bassi rischi, in un processo di “fly to quality”. L’analisi delle esportazioni degli ultimi anni rivela segnali importanti di questo cambiamento: il manifatturiero italiano ha imparato a selezionare destinazioni commerciali e gamma di offerta, abbandonando la rincorsa dei volumi a tutti i costi e perseguendo piuttosto aspetti di sostenibilità e redditività aziendali. Ne sono testimonianza l’ottima evoluzione delle quote di mercato italiane sui 2 mercati europei e del Nafta, approdi sicuri e collaudati, così come la continua crescita dell’alta qualità nelle esportazioni italiane dei beni di consumo più tradizionali. Alla fine del periodo di previsione, nonostante un fatturato inferiore 100 miliardi, la redditività media avrà recuperato oltre 3 punti dal minimo del 2012 (al 6,8% dal 3,7%), il livello di indebitamento sarà mantenuto sotto controllo e il grado di patrimonializzazione sarà superiore al 37%, a riprova delsuccesso di queste strategie. A questo risultato potranno contribuire le “imprese in rosa”, data l’elevata predisposizione dell’imprenditoria manifatturiera femminile verso quelle leve strategiche divenute irrinunciabili nell’attuale contesto competitivo: internazionalizzazione, innovazione e marketing. Come emerge da un’analisi specifica contenuta in questo numero del rapporto, le imprese femminili mostrano una maggiore tendenza a servire i mercati internazionali (51% di soggetti esportatori contro il 45% del resto del campione) e, limitatamente alle imprese più grandi, a brevettare (44% vs. 37%) e a registrare marchi internazionali (52% vs 46%). La trasformazione in atto riporterà redditività e struttura finanziaria delle imprese italiane più in linea con i benchmark europei, che a fine crisi evidenziavano le forti penalizzazioni subite dalla nostra industria dal contesto-paese (costo del credito, relazioni commerciali problematiche, ecc.) sia rispetto ai tradizionali concorrenti dell’Europa occidentale che a quelli “nuovi” dell’Est e alla Turchia. I settori - Il risultato complessivo dell’industria manifatturiera beneficerà della ritrovata vivacità internazionale di alcune filiere globali in cui l’Italia gioca un ruolo di primo piano: farmaceutica, largo consumo, elettrotecnica e soprattutto automotive. Si rafforzerà la leadership tecnologica e competitiva della meccanica e del suo indotto tra i prodotti in metallo, chiamati a guidare la seconda manifattura d’Europa nell’epoca della trasformazione digitale di modelli produttivi e di approccio al mercato. Un apporto in termini di volumi potrà venire anche dai produttori di beni intermedi, che dovrebbero rafforzare le dinamiche recenti di riqualificazione dell’offerta in ottica green (impatto ambientale di processi e prodotti, riciclo) e di sinergie commerciali per cogliere le opportunità sui mercati internazionali. Il minor apporto complessivo alla crescita derivante dai beni tradizionali del Made in Italy sarà compensato dal loro contributo al miglioramento della redditività, con in particolare alimentare e bevande e sistema moda attesi a fine periodo mostrare un Roi superiore al valore massimo raggiunto nel 2007. I risultati attesi per i settori manifatturieri nel prossimo quinquennio confermano, dunque, l’elevato livello di diversificazione dell’industria italiana, grazie al mantenimento (al contrario di quanto avvenuto in altri paesi) di intere catene produttive e settori tradizionali. Il manifatturiero italiano conserverà, pertanto, la più ampia gamma d’offerta del panorama europeo. · Studio di Contactlab e Exane Bnp Paribas - Il lusso nel 2020: raddoppia l’extra spending generato dal digitale - Nelle proiezioni di Contactlab ed Exane Bnp Paribas i clienti con una identità digitale saranno in grado di influenzare sino alla metà delle vendite globali di un brand. La contrapposizione tra boutique e online store non ha già oggi più motivo di esistere, e il successo di un brand si legherà sempre di più alla sua capacità di integrare i profili digitali dei clienti con le azioni che compiono in ciascun canale di vendita L’intera industria del lusso subirà un processo di trasformazione verso qualcosa di completamente nuovo: la contattabilità digitale, che già nel 2014 ha sostenuto 1/4 del fatturato del settore, sarà il fattore chiave della crescita del comparto, influenzandone i ricavi del 50% entro il 2020, favorito anche da una crescita dell’e-commerce che potrà valere sino a tre volte i livelli odierni. I brand del lusso nei prossimi cinque anni conosceranno virtualmente ogni loro cliente per nome: i clienti con una digital identity rappresenteranno infatti almeno il 90% della base utenti tra registrati (45%) e clienti contattabili tramite email o push notification (41%), e saranno in grado di influenzare con i loro comportamenti la metà delle vendite globali di un brand. La capacità di sviluppo degli asset digitali insieme all’adozione di un approccio di digital customer engagement evoluto sarà quindi cruciale per determinare il successo o la perdita di competitività dei marchi di moda. Non per questo i negozi smetteranno di essere uno snodo indispensabile per il successo di un marchio, ma la contrapposizione tra la presenza fisica e le vendite online non avrà più senso. La contattabilità digitale è e sempre di più sarà il fattore che unirà in un rapporto di scambio reciproco e indissolubile il fisico con il digitale. Per quanto riguarda l’e-commerce, oggi le vendite valgono circa il 6% del fatturato globale dei brand, e di per sé costituiscono un dato significativo dal momento che rispetto al 2013 sono aumentate del 50%. Da qui al 2020, secondo diversi metodi di simulazione, è previsto un raddoppio, se non addirittura un triplicamento dei volumi attuali per cui a breve la fetta delle revenues generate dall’ecommerce sul totale potrà salire sino al 18%. Ma l’e-commerce è solo la punta dell’iceberg, poiché a trainare lo sviluppo del mercato sono i clienti cross canale che di anno in anno aumentano il proprio impatto sui volumi della spesa. “In questo contesto è necessario che i brand del lusso si aprano alla collaborazione con veri e propri partner che non siano semplicemente dei fornitori di servizi, ma che abbiano una forte esperienza nel settore, unita a competenze evolute nell’utilizzo degli strumenti di contatto digitale con cui sviluppare strategie di ingaggio e di fidelizzazione del consumatore – spiega Massimo Fubini, Founder & Ceo di Contactlab. Va da sé che questi partner devono avere una infrastruttura tecnologica digitale avanzata in grado di integrare in tempo reale i profili digitali dei clienti con le azioni che compiono in negozio, per favorire i meccanismi di fidelizzazione e di storytelling sul cliente”. Lo stato dell’arte ci racconta di un quadro in rapido cambiamento, dove il numero di clienti registrati e digitalmente contattabili è già in continuo aumento, ha un profilo alto spendente sia in negozio (+16% rispetto ai non registrati) sia cross canale (+60% rispetto a chi acquista solo in negozio) e continua ad aumentare la propria spesa media di anno in anno sui beni di lusso (dal 30% nel 2011 al 37% in 2014). Emerge quindi un profilo di utente che si muove tra il fisico e il digitale completamente a suo agio, mettendo i due canali sullo stesso identico piano, dove la differenza viene fatta dalla capacità del brand di soddisfare i suoi bisogni, facilitargli la vita e personalizzare sempre di più la relazione. L’importanza dei punti vendita si lega sempre più all’integrazione dei profili digitali dei clienti con le azioni che compiono in negozio, provata oggi anche dalla diffusione, attuale e futura, del cosiddetto fenomeno del Ropo (Research Online, Purchase Offline), già praticato dal 60% dei consumatori, destinato ad aumentare sino all’80% nelle previsioni di Exane e Contactlab. Questo fenomeno deve essere considerato come un segnale forte per quei brand che ancora non hanno completato l’insediamento e la loro penetrazione nel mondo del digitale, pena l’esclusione da questa arena fortemente competitiva. L’analisi di Contactlab ed Exane, che considera il mercato e i suoi introiti da una prospettiva multichannel e integrata, ha ipotizzato anche un raddoppio previsionale della porzione di ricavi generata dagli utenti di cui i brand posseggono una identità digitale. In particolare l’extra spending direttamente attribuibile ai clienti digitali peserà nel 2020 circa il 15% del fatturato delle aziende del lusso, suddiviso tra il 5% dei clienti in-store, il 6% dei clienti online e il 3% del cliente cross channel. “Vista la dirompente evoluzione dell’impatto del digitale per le aziende del lusso – spiega Marco Pozzi, Senior Advisor di Contactlab - la strategia digitale deve sempre di più essere guidata dall’alta direzione con implicazioni anche sull’organizzazione e sulle logiche di attribuzione dei ricavi e dei profitti per canale”. Per realizzare queste proiezioni sono state utilizzate tre diverse metodologie, due basate su regressioni lineare (singola e multipla), la terza sulle curve di Gauss: da qualsiasi punto di vista si analizzi il mercato, la penetrazione dell’e-commerce e l’impatto del digitale sono in aumento. “Dire che una sempre maggiore fetta di crescita proverrà dal lusso è un’affermazione piuttosto nota – conclude Luca Solca, Managing Director, Equities Sector Head - Luxury Goods di Exane Bnp Paribas. Lo è meno, ed è più corretto, dire che l’intera industria del lusso sta cambiando radicalmente pelle – così come in passato è successo ai comparti del travel o dei servizi finanziari. I punti vendita fisici rimarranno asset fondamentali e non discutibili; tuttavia, lo sviluppo e l’adozione delle competenze digitali sarà una condizione necessaria alla sopravvivenza dei brand”. È quanto Contactlab ed Exane continuano a fare con la Digital Competitive Map, un tool proprietario che misura attraverso 66 diversi parametri quantitativi le capacità di engagement di un brand con il proprio pubblico, mettendole a confronto con quelle degli altri player del suo settore.  
   
 

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