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Notiziario Marketpress di Mercoledì 18 Aprile 2007
 
   
  GLI ITALIANI E IL PANE ARTIGIANALE SINTESI DELLA RICERCA 2007 SVOLTA DA ASTRA RICERCHE PER IL SIAB

 
   
   È in atto un boom del consumo del pane fresco artigianale: è questo il principale risultato dell’indagine demoscopica commissionata ad Astra Ricerche dal Siab, il Salone Internazionale dell’Arte Bianca di Verona, e realizzata nella seconda metà di gennaio 2007 tramite 1. 488 interviste telefoniche, somministrate con il metodo Cati (Computer Aided Telephone Interviewing) ad un campione rappresentativo della popolazione italiana 14-79enne (esclusi i non residenti e i membri delle convivenze: ospedali, ospizi, convitti, carceri, caserme, conventi, ecc. ), pari ad un universo di circa 50 milioni di adulti. Gli italiani che dichiarano che in famiglia si acquista pane fresco artigianale sono il 96% della popolazione: come a dire 47. 9 milioni su un totale di quasi 50 milioni. Il consumo è sostanzialmente trasversale, anche se un modesto ‘picco’ (98%) si osserva nel Lazio (Roma è davvero la capitale d’Italia, almeno per quello che riguarda il pane fresco artigianale). I due concorrenti diretti del prodotto artigianale sono il pane industriale, che non supera il 28% (14. 1 milioni: soprammedia nel Triveneto e nel nord-ovest dove maggiore è il peso della moderna distribuzione alimentare) e il pane surgelato/congelato che non arriva al 7% (3. 3 milioni: in particolare in Veneto). Ma anche le fette biscottate col loro 66% di penetrazione nelle famiglie italiane (32. 9 milioni: specie nel centro-sud), i cracker col 63% (31. 5 milioni: specie nel Triveneto), i grissini col 46% (23. 2 milioni: specie al nord e in particolare in Piemonte) e i granetti col 17% (8. 5 milioni di persone: con lieve accentuazione in Emilia-romagna) si tengono a grande distanza dal pane fresco artigianale, assoluto leader nel Paese. Di più: mentre fino alla fine degli anni ’90 il prodotto artigianale appariva in lieve calo a favore di quello industriale o surgelato/congelato e specialmente dei cosiddetti prodotti sostitutivi, con l’aprirsi del nuovo decennio/secolo/millennio la diffusione del pane fresco artigianale è tornata a crescere: più del pane industriale (anche congelato/surgelato) e specialmente più dei prodotti sostitutivi, di cui si registra un calo generalizzato. In sintesi, il pane fresco artigianale cresce di 1. 8 milioni dal 2000 ad oggi e quello industriale di 1. 4 milioni mentre – nel loro insieme – i prodotti sostitutivi perdono ben 2. 6 milioni (per il calo anzitutto delle fette biscottate di tipo tradizionale e dei cracker di ogni tipo). Sono stati chiesti ai 2. 1 milioni di italiani la cui famiglia non è acquirente di pane fresco artigianale, i motivi di questa scelta: si è scoperto che in quattro casi su dieci le ragioni sono legate o a questioni di salute/intolleranza alimentare o all’impossibilità/sco-modità di approvvigionarsi di pane fresco, mentre solo in un caso su tre si parla di preferenza per il pane industriale. Questi ultimi soggetti (0. 7 milioni di adulti) sono quasi raggiunti dall’oltre mezzo milione di nostri connazionali che in casa consuma pane auto-prodotto in casa sia in forni tradizionali sia in forni moderni: costoro non sono affatto vecchi contadini o montanari ma - all’opposto - giovani men che 35enni, più residenti nei comuni minori, distribuiti dal sud al Triveneto, specie studenti e appartenenti al ceto medio impiegatizio e autonomo, con 0-14enni in famiglia. Qualcuno potrebbe essere spinto sostenere che la quota dei consumatori di pane fresco artigianale è cresciuta a seguito della crisi economico-sociale della prima metà di questo decennio, ma l’ipotesi è smentita dal rinnovato ‘boom’ presso gli imprenditori, i dirigenti, i professionisti, gli impiegati, i quadri, i tecnici, gli insegnanti e gli studenti delle scuole medie superiori e universitari: un target medio e medio-alto/alto che torna o per la prima volta accede al pane fresco artigianale non più come all’alimento basico dell’Italia povera ma come a una delle esperienze modernizzanti più connesse con i nuovi stili alimentari. D’altra parte è impressionante la frequenza d’acquisto del pane fresco artigianale: più di due italiani su tre lo comprano tutti i giorni o quasi (in particolare i 14-34enni, i residenti al sud, le famiglie con figli, i salariati e i lavoratori autonomi così come gli appartenenti ai ceti superiori); più di un quinto si approvvigiona da due a quattro volte alla settimana (specie al nord e nelle città maggiori); solo un dodicesimo ha una frequenza d’acquisto minore ma mai bassissima. E tali dati vanno letti sapendo che il 31% compra meno di un chilo alla settimana, quasi la metà da 1 a 4 chili (in media 2. 3 chilogrammi), un sesto 4 o più chili (con il dato medio che cresce man mano che si va verso sud e che – ovviamente – cresce il numero medio dei componenti del nucleo familiare). Quanto alle occasioni di consumo, prevalgono i due pasti principali: la cena (83% degli italiani) e il pranzo (81%), con minor peso della prima colazione (13%) e della merenda (a metà pomeriggio 12% e a metà mattina 9%). Ma contano assai pure il consumo al ristorante/pizzeria (45%), a casa di familiari/amici (41%), durante viaggi/picnic (35%). Certo, la moderna distribuzione alimentare è un canale di peso crescente nel mercato del pane, servendo quattro italiani su dieci (naturalmente con forte accentuazione per il pane industriale e quello congelato/surgelato). Ma il dato-chiave è un altro e consiste nella straordinaria leadership del dettaglio tradizionale, che serve circa otto acquirenti su dieci, con particolare forza delle panetterie dotate di forno proprio, le quali da sole servono il 70% degli acquirenti di pane di ogni tipo e oltre il 90% degli acquirenti di pane fresco artigianale. Con un’aggiunta: i forni autonomi contano più della media al nord, tra i 25-44enni, per il ceto medio autonomo e impiegatizio, ossia nella nuova Italia dei consumi (con totale smentita dell’identificazione tra dettaglio/artigianato tradizionale e vecchia Italia senile, povera, arcaica). Viene da chiedersi: quali sono le ragioni di questo rinnovato ‘boom’ del pane fresco artigianale? L’indagine condotta da Astra Ricerche per Siab ne indica dieci: 1) Il pane fresco artigianale non è considerato un alimento vecchio e superato (lo pensa meno del 4%) e neppure un prodotto consumato prevalentemente dai poveri (una tesi propria solo di un ottavo del campione): al contrario, esso è ridiventato un alimento che corrisponde pienamente ai più moderni stili alimentari e di vita, pur provenendo da una straordinaria tradizione plurimillenaria. 2) In effetti, per la grande maggioranza dei nostri connazionali, il pane fresco artigianale non è più un alimento basico, da alimentazione povera e dei poveri, pur se resta per il 36% uno degli alimenti che costano meno e per il 39% un prodotto con un eccellente rapporto qualità/prezzo. No, esso è diventato un cibo contemporaneamente antico e innovativo: da un lato esso è considerato uno dei piloni portanti del ‘made in Italy’ (il 69% ne parla come di “una delle migliori espressioni della tradizione alimentare italiana”), mentre un quasi identico 70% dice che “è espressione di tante tradizioni regionali o locali assai diverse”, consentendo a quasi tutti un pluralismo un tempo inaccessibile (quando, per secoli, ogni provincia poteva mangiare uno o al massimo due tipi di pani diversi); dall’altro lato, esso esprime valori avanzati (per il 70% è democratico, non discriminando tra età, sessi, condizioni sociali e culture) mentre per il 68% “è uno degli alimenti più sicuri, senza rischi di truffe o sofisticazioni”, per il 62% è adatto anche ai giovani ed è da essi amato, per il 60% “fa bene alla salute”. 3) Secondo la gran parte della popolazione, non solo il pane non fa male alla salute (lo ritiene meno del 5% del campione) e “non è di per sé ingrassante” (lo sostiene il 62%) ma “va bene anche nelle diete dimagranti purché naturalmente non se ne mangi troppo” (55%) ed entra benissimo nei moderni stili alimentari (75%): anzitutto perché si accompagna benissimo ad altri prodotti e apporta preziose sostanze nutritive (69%), col vantaggio ulteriore di essere un ‘taglia-fame’ (68%) e di dare sazietà non costringendo a riempirsi continuamente (secondo la gente solo il latte ha un effetto maggiore su questo terreno). 4) Le sue qualità intrinseche ne fanno un cibo non solo nutriente (69%) ma anche essenziale per la buona crescita dei bambini e dei ragazzi (64%), che d’altra parte pressoché mai lo rifiutano o lo mangiano con difficoltà (solo nell’1% dei casi). 5) Va da sé che tale salutarietà è legata sia all’immagine di prodotto semplice e genuino (70%), non manipolato, nettamente superiore ai pani industriali/surgelati/congelati (55%), sia al suo netto miglioramento recente, discendente dall’accresciuta attenzione alla qualità da parte dei fornai (30%). 6) Vincente su tutto è l’edonismo alimentare: il 75% ha un rapporto quasi erotico col pane fresco artigianale “quando è caldo, appena uscito dal forno, dotato com’è di un sapore e di un profumo straordinari”; ma anche quando non è appena sfornato resta, a detta del 69%, un prodotto alimentare eccezionale anzitutto per il suo buon profumo (69%) e subito dopo per il suo gusto/sapore (68%) oltre che per la sua consistenza (da molto morbida a croccante a seconda dei desideri: 66%). 7) D’altra parte una delle motivazioni principali del rinnovato ‘boom’ del pane artigianale è il suo successo: il 65% afferma che esso piace molto ai suoi familiari/conoscenti, il 62% - come abbiamo visto - parla dell’eccezionale goodwill giovanile per esso, un identico 62% sostiene di adorarlo (“mi piace moltissimo, specie in alcuni tipi o specialità”: soprammedia i 14-34enni, i residenti nel Triveneto, gli studenti, il ceto medio impiegatizio e autonomo, i salariati, coloro che convivono con 0-14enni), mentre quasi un italiano su due (il 49% e cioè 24. 2 milioni di nostri connazionali) sostiene che non potrebbe farne a meno, non riuscirebbe a vivere senza pane: qui con leadership del solito Triveneto, dei 45-54enni, degli abbienti e dei laureati non meno che dei soggetti con reddito e consumi medio-bassi (a partire dai salariati), di coloro che hanno bambini o pre-adolescenti in famiglia e degli internauti. 8) Non si notano quasi differenze di genere sessuale nell’amore per il pane, un tempo prevalentemente maschile e ora sostanzialmente bisex. 9) La sua modernità non cancella i suoi antichi valori sia di consumo sia etico-sociali: il 67% lo ama ancora nel caffelatte la mattina, magari un po’ vecchio e il 55% ne coglie e ne esalta il profondo legame con la tradizione cristiana (con accentuazioni che riguardano sia i 55-64enni sia i giovani 14-24enni), con evidente riferimento al significato del pane nel Sacramento dell’Eucaristia, al miracolo del Cristo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, all’atto esemplificativo della carità cristiana consistente nella condivisione del pane con gli ‘ultimi’. 10) Non esiste alcun altro alimento e probabilmente alcun prodotto che sia giudicato contemporaneamente esempio di tradizionalità positiva (dal 77% degli adulti) e di modernità (89%), di trasversalità democratica (84%) e di prestigio sociale (71%). Insomma, orgoglio nazionale, locale, religioso e laico si sommano in un mix inedito e potente di favore collettivo per questo alimento che viene da lontano e che – oggi moltiplicato quanto a forme, tipi, gusti, consistenze, ecc. – torna ad affermarsi prepotentemente quale sintesi avanzata di vecchio e di nuovo, di radici e di genuinità salutistica, di ‘verità’ e di travolgente piacere orale, olfattivo, tattile, visivo, persino uditivo (se croccante), materiale e simbolico. .  
   
 

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