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Notiziario Marketpress di Lunedì 20 Luglio 2015
 
   
  UE: CONGEDO PARENTALE PER PADRI, SE LA MOGLIE NON LAVORA: IL RIFIUTO È CONTRARIO AL DIRITTO UE IMPEDENDO AI DIPENDENTI PUBBLICI DI SESSO MASCHILE, LA CUI MOGLIE NON LAVORI, DI AVVALERSI DEL CONGEDO PARENTALE, LA NORMATIVA ELLENICA È CONTRARIA AL DIRITTO DELL’UNIONE

 
   
   Lussemburgo, 20 luglio 2015 - Il diritto ellenico prevede che un dipendente pubblico di sesso maschile non abbia diritto al congedo parentale retribuito se la moglie non lavora o non esercita alcuna professione, a meno che la stessa, a causa di grave malattia o disabilità, venga considerata non in grado di accudire prole. Alla fine del 2010, il sig. Konstantinos Maïstrellis, magistrato in Grecia, chiedeva un congedo parentale retribuito di nove mesi per prendersi cura del figlio nato il 24 ottobre 2010. La sua domanda è stata respinta dall’Ypourgos Dikaiosynis, Diafaneias kai Anthropinon Dikaiomaton (Ministro ellenico della Giustizia, della Trasparenza e dei Diritti dell’Uomo) con la motivazione che la moglie del sig. Maïstrellis all’epoca non lavorava. Investito della controversia, il Symvoulio tis Epikrateias (Consiglio di Stato ellenico) domanda alla Corte di giustizia se negare il beneficio del congedo parentale ai dipendenti pubblici di sesso maschile la cui moglie non lavori sia conforme alla direttiva sul congedo parentale e alla direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione . Con la sentenza odierna la Corte risponde che una normativa nazionale non può privare un dipendente pubblico di sesso maschile del diritto al congedo parentale per la ragione che la moglie non lavora o non esercita alcuna professione. La Corte ricorda, infatti, che, ai sensi della direttiva sul congedo parentale, ciascun genitore è titolare individualmente del diritto al congedo parentale. Si tratta di una prescrizione minima alla quale gli Stati membri non possono derogare con le loro leggi o convenzioni collettive. Ne deriva che un genitore non può essere privato del diritto al congedo parentale e che, pertanto, la situazione professionale del coniuge non può ostare all’esercizio di tale diritto. Una soluzione del genere è, del resto, conforme non soltanto all’obiettivo della direttiva di agevolare la conciliazione delle responsabilità professionali e familiari dei genitori che lavorano, ma altresì alla qualità di diritto sociale fondamentale che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea riconosce al diritto al congedo parentale. La Corte rileva peraltro che, in Grecia, le madri che hanno lo status di dipendente pubblico possono sempre beneficiare del congedo parentale, mentre i padri che hanno il medesimo status possono beneficiarne soltanto se la madre del loro bambino lavora o esercita una professione. In tal modo, la mera qualità di genitore, se è sufficiente a consentire alle donne dipendenti pubblici di avvalersi di tale congedo, non lo è per gli uomini aventi il medesimo status. Lungi dall’assicurare nella pratica la piena parità tra gli uomini e le donne nella vita lavorativa, la normativa ellenica è dunque tale da perpetuare una distribuzione tradizionale dei ruoli tra gli uomini e le donne mantenendo gli uomini in un ruolo sussidiario rispetto a quello delle donne per quanto riguarda l’esercizio della funzione genitoriale. Ne deriva che il codice ellenico del pubblico impiego istituisce, nei confronti dei padri dipendenti pubblici che intendano avvalersi del congedo parentale, una discriminazione diretta fondata sul sesso contraria alla direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione.  
   
 

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