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Notiziario Marketpress di Lunedì 07 Maggio 2007
 
   
  SI APRE CON IL NUMERO DI DOMUS DI MAGGIO LA DIREZIONE DI FLAVIO ALBANESE

 
   
   Milano, 7 maggio 2007 - La storica rivista si rinnova ancora una volta nella direzione, nella forma e nel contenuto, secondo una prassi voluta dall’editore Giovanna Mazzocchi, iniziata alla fine dell’era Gio Ponti e proseguita con successo negli ultimi anni. Obiettivo principale della formula editoriale sviluppata dal nuovo direttore Flavio Albanese con il nuovo vicedirettore Stefano Casciani e la Redazione, è continuare a documentare la complessità delle tematiche che coinvolgono oggi le diverse forme espressive, rendendone al tempo stesso più chiara la lettura e incisiva la rappresentazione: senza rinunciare alla funzione di critica e d’interpretazione attraverso lo “sguardo italiano” che per il pubblico internazionale rappresenta una tra le maggiori attrattive di Domus. La nuova grafica ideata dall’art director Giuseppe Basile ribadisce la vocazione di “carta stampata” della rivista e identifica precisamente, in altrettante sezioni, progetti e temi d’architettura, interni, design e arte, come sottolinea il “pay-off” Contemporary Architecture Interiors Design Art, inserito nel nuovo logo Domus. Altra novità introdotta da Flavio Albanese è la sezione Intersections: strategicamente collegata nella parte centrale della rivista - come una “cerniera” tra la concretezza del progetto e la proiezione verso il contesto - con una diversa grafica (curata in questo numero dal gruppo A12) approfondisce temi di carattere più generale, dalle trasformazioni negli equilibri ecologici planetari alle forme alternative dell’abitare, dal concetto di diluizione territoriale a quello di densità urbana. La sezione Arte, affidata al critico e curatore Francesco Bonami, riprende identità e vigore con un maggior numero di pagine e una maggiore attenzione all’interazione delle arti contemporanee con il pubblico ma anche con il mercato, l’economia, la città. Nell’editoriale del primo numero il direttore si rivolge dunque direttamente al lettore chiarendo quello che la rivista si propone per gli anni a venire: ‘Domus - afferma Flavio Albanese - cercherà di raccontare i modi di abitare il pianeta Terra, interrogandosi sulla qualità di questo abitare e sulle sue necessità. Tutta la redazione con me, e molti altri con noi, dalle pagine di questo giornale si rivolgerà a te, lettore, per aiutarti ad affrontare il complesso sistema di relazioni tra architettura, design e arte, con uno strumento di conoscenza che frantumi i confini tra queste discipline. Rispettando le leggi della semplicità – continua Albanese - ci interrogheremo sulla possibilità di rendere migliore il nostro vivere e di riflettere sui suoi modi. Documenteremo il reale, evidenziandone i dubbi, proponendo idee perchè tu possa costruire il tuo personale pensiero sul mondo dell´uomo, sia nella prassi del progetto che nell´espressione di utopie. (. ) Il direttore anticipa poi i temi di questo primo numero: ‘Questo primo numero della nuova Domus tratta il tema della "diluizione": dell´abitare in grandi spazi fino all´Artide e all´Antartide, estremi frantumi del mondo dove si stanno consumando le ultime tensioni economico-politiche e dove ci si confronta con nuove forme di antropizzazione. Gettiamo uno sguardo sugli interni, sulle contaminazioni che ad essi arrivano dall´arte, scompaginandone i confini. Riflettiamo sulla scala universale del disegno del prodotto, delle sue discrasie e contraddizioni, sulla sua necessità di onestà e dignità. Per ultimo, ragioniamo sul mondo dell´arte contemporanea, con-fondendo autori ed interpreti. ’ Stefano Casciani, vice direttore di domus, analizza sul numero di maggio della rivista il monastero cistercense Tautra Maria, sull’isola di Tautra in Norvegia. In un mondo dove la Design Economy si va facendo strada come una delle ultime spiagge per la sopravvivenza dell´Occidente – afferma Casciani - (. ) anche il caso del convento Tautra Maria non sfugge alle regole del mercato mediatico: vince il concorso Forum Aid Award; subito dopo riceve l’International Award Architecture in Stone 2007 e lancia così i suoi autori in quel circuito mediatico perverso, da cui chi rimane fuori è destinato, se gli va bene, ad essere scoperto tra qualche decina d’anni. Basta però approfondire leggermente la conoscenza degli architetti per scoprire che Jensen & Skodvin non sono dei neofiti nell´esperienza di progettare per la divinità. (. ) C’è però una bella differenza tra disegnare un oggetto autonomo come dopo tutto è sempre una chiesa e concepire un’intera piccola comunità come un convento di clausura. (. ) Jensen e Skodvin devono aver fatto di tante necessità virtù, riuscendo ad ottenere qualche concessione sul valore materico di strutture e superfici. (. ) Ed è nelle strutture e sul guscio protettivo del convento (tanto le suore in preghiera non lo vedono) che i progettisti riescono a dare il meglio. Le pareti esterne dell’edificio mostrano una delle superfici più insolitamente affascinanti viste nell’architettura degli ultimi anni: un collage di sottili lastre in pietra, differentemente colorate ma tutte sui toni del paesaggio nordico, con una dominante giallo/cenere che inevitabilmente richiama il colore della terra primigenia: “polvere sei e polvere ritornerai”. E non serve molta fantasia per leggere nell´intricata struttura di travi in legno che forma la copertura della chiesa, una moltiplicazione infinita dei bracci della croce su cui è stato inchiodato il Messia. Un´immensa crocifissione senza figure, dove chiunque potrà immaginare sè stesso, sospeso tra terra e cielo ad aspettare da Dio una salvezza non possibile, almeno fino alla fine del mondo. Intersections Il dilemma dei poli nel contributo di Paolo Scaroni, amministratore delegato di Eni domus raccoglie su questo numero le riflessioni di Paolo Scaroni, Giuseppe Orobelli, Roberto Sabatini, Patrizia Vigni, Tullio Scovazzi e Antonio Cucinotta, sul ruolo del Poli per la sopravvivenza futura della Terra. Di seguito le riflessioni sul tema di Paolo Scaroni, amministratore delegato di Eni ‘Nell’immaginario di ciascuno di noi - premette Scaroni - quando si parla di continente artico la mente corre subito alle inviolate distese di ghiaccio dei romanzi di Jack London (…). Ma i geografi ci dicono cose più circostanziate su questi luoghi. Per esempio, che sono oltre 4 milioni gli abitanti dell’Artico, e solo un terzo sono quelle popolazioni autoctone di cui spesso sentiamo parlare in documentari. ’ ‘Un altro mito da sfatare: l’Artico non è la classica distesa di ghiacci circondata dal mare e dagli iceberg, ma un territorio polimorfo, con montagne, foreste, laghi e fiumi, che si estende anche sulla terraferma, abbracciando ben otto Paesi e numerose etnie. (…)’ Ma soprattutto – sottolinea Scaroni - ciò che caratterizza queste terre è il fatto che ‘Circa un quarto delle risorse petrolifere non ancora esplorate si trova proprio nel continente artico. In tempi come quelli attuali, in cui non è facile trovare nuovi giacimenti di petrolio e gas, è naturale che anche le grandi compagnie energetiche, ed Eni tra queste, guardino con interesse all’esplorazione delle aree artiche per allungare il ciclo di vita degli idrocarburi. ’ (…) ‘La posta in gioco è molto alta, e non solo per quanto riguarda gli interessi specifici delle major petrolifere. Entro alcuni decenni quest’area del Pianeta sarà per buona parte navigabile, con ripercussioni significative, oltre che per il traffico marittimo, anche per la politica energetica mondiale. (…) In conclusione la domanda è: ‘A quale prezzo possiamo permetterci di sfruttare queste risorse in attesa di trovare energie alternative per i nostri fabbisogni? Credo – afferma l’amminustratore dell’Eni - che l’applicazione dei più rigorosi standard di salvaguardia ambientale e il rispetto delle comunità locali possano ridurre il rischio di vedere l’Artico sciogliersi davanti ai nostri occhi e al tempo stesso possano permettere di utilizzare le sue grandi ricchezze energetiche in modo sostenibile ed ecocompatibile. ’ Design Le mani e la pelle: cinque casi raccontano la sofisticata sopravvivenza degli artigiani e dell’industria fondata sulle loro capacità Sumampa, Hermès, Edra, Vinaccia, Bottega Veneta: cinque casi che raccontano storie di mani al lavoro. Mani che fanno gesti familiari, utilizzano strumenti simili, lavorano su materie simili, ma differiscono per status socio-economico e appartenenza geografica. Mani inserite in contesti e organizzazioni economiche differenti, che determinano in modo drammaticamente contrastante il valore del loro lavoro: una borsa può infatti costare 50 oppure 50. 000 euro. Di fronte alla (apparente) identità di lavoro e alla (evidente) disparità di valore, viene naturale chiedersi quali siano le ragioni che la sottendono, se esista un artigianato di serie A e di serie B, quanta parte giochino le strategie di mercato e di comunicazione, quale ruolo abbiano il design e l´ingegnerizzazione del prodotto. Punto fermo è il riconoscimento del valore della perizia artigiana e la volontà di mantenerla in vita. Anzi, di proteggerla: aiutando le popolazioni a trascrivere e sistematizzare i segni e le tecniche della tradizione per creare una produzione autoctona, ma commercializzabile. (…) La conoscenza di questi mestieri s´impara solo con le mani e nella sua trasmissione diretta sta l´unica possibilità di sopravvivenza degli artigiani, ma anche dell´industria, piccola o grande, che vive del loro lavoro. Arte Francesco Bonami ha incontrato per domus François Pinault, il silenzioso principe francese del collezionismo Francesco Bonami racconta sul numero di domus di maggio l’incontro con François Pinault il principe del collezionismo francese che ha appena vinto la partita per l’edificio veneziano di Punta della Dogana contro la Fondazione Guggenheim. Bonami scopre che Pinault ha iniziato a collezionare opere d’arte per caso, circa trent’anni fa. Ammette lealmente all’intervistatore che la società gli ha dato molto, e che per questa ragione pensa che sia il momento di restituire qualcosa alla società. L’arte per lui è il maggiore fattore di arricchimento spirituale che si possa condividere con gli altri al di là delle barriere culturali. L’artista che gli manca nella sua collezione è sempre il prossimo che conoscerà. Rifiuta di mettere i numeri accanto all’arte. Le opere d’arte per Pinault non sono azioni. Non si fa un investimento in opere d’arte, ma si investe per rendere l’arte accessibile a un pubblico più vasto. Male, è per lui, non è prendere parte al gioco del mercato d’arte: ma ammassare collezioni senza farne partecipi gli altri. Anche di fronte alle resistenze italiane mounsieur Pinault ha un atteggiamento positivo; ci sono tante occasioni per l’arte contemporanea, qui, una curiosità crescente che è molto importante nutrire offendo al pubblico progetti d’alta qualità. Solo alla fine di questo incontro Bonami riesce a cavare un nome da una domanda. Qual è l’artista che monsieur Pinault avrebbe voluto conoscere ma è arrivato troppo tardi? Mondrian? Dichamp? Pascali? Boetti? Nessuno di questi, ovviamente: ma Giotto, per la sua capacità di esser all’avanguardia nella sua epoca e di rimanerlo ancora oggi. .  
   
 

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