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Notiziario Marketpress di Martedì 08 Maggio 2007
 
   
  SIENA: LA SUA FORZA NEL MEDIOEVO L’USO DELLA CULTURA MEDIEVALE COME STRUMENTO PER RAFFORZARE LO SPIRITO DI IDENTITÀ HA ATTRAVERSATO NEI SECOLI LA STORIA DELLA CITTÀ

 
   
  Roma, 8 maggio 2007 - Cosa rimane oggi del giudizio espresso dalla critica inaugurata dal Vasari nel ‘500 relativo al primato di Firenze su Siena? Fu la cultura senese del Xv secolo progressiva o regressiva rispetto a quella fiorentina fertile di speculazioni filosofiche e sperimentazioni prospettiche? Si può parlare di ‘misticismo senese’ o si tratta di un luogo comune? Sono alcuni interrogativi intorno ai quali si è incentrato il Convegno internazionale di studi “Presenza del passato. Political ideas e modelli culturali nella storia e nell’arte senese”, organizzato nella città dal Consiglio nazionale delle ricerche, in collaborazione con l’Università di Siena, il Courtauld Insitute of Art e il Warburg Insitute di Londra, l’Institut Européen de Recherches Etudes et Formation, con il contributo della Banca e della Fondazione Monte dei Paschi. Dalle relazioni emerge che la visione medievalistica, ‘arcaica’ e spirituale della città, affermatasi fino ai tempi moderni, non fu solo pregiudizio ma, in molti casi, scelta politica programmatica per ribadire l’identità, l’individualismo e l’egemonia culturale senese rispetto a quella fiorentina. In tal senso appare significativa la testimonianza portata da Gianni Mazzoni dell’Università di Siena relativa al riuso della cultura medievale in diverse epoche storiche, dal Xv al Xix secolo e oltre. “Nel 1935 il Podestà Fabio Bargagli Petrucci propose a Benito Mussolini, incontrato a Palazzo Venezia, il rialzamento delle torri medievali della città”, spiega lo studioso. “Il Comune avrebbe provveduto alla ricostruzione di una ventina di torri, un’altra ventina o più sarebbero state finanziate dallo Stato. Le oltre quaranta torri ritrovate avrebbero conferito al profilo di Siena una suggestiva fisionomia, tale da rendere la città ancor più ricercata e visitata da italiani e stranieri per il suo aspetto senza riscontro nel mondo intero. Il progetto di ricostruzione, già approntato dal poliedrico artista Arturo Viligiardi, fu giudicato favorevolmente dal Duce, ma non ebbe seguito, sia a causa delle difficoltà economiche create, in quegli stessi mesi, dall’impresa colonial-imperiale italiana in Etiopia, sia per la precoce scomparsa di Viligiardi (1936), sia per la repentina uscita dalla scena politica, di lì a pochi mesi, del medesimo podestà”. Sulla stessa scia si colloca la formulazione del cosiddetto ‘misticismo senese’ servito, secondo Mauro Musolin della New York University, anche in epoca recente a rafforzare l’identità e il senso della tradizione locale. Infatti, “la definizione di ‘misticismo senese’ si deve al titolo di una fortunata strenna della banca Monte dei Paschi di Siena del 1965 curata da Aldo Lusini, a sua volta riedizione di un precedente volume di Piero Misciattelli intitolato ‘Mistici senesi’ pubblicato per la prima volta nel 1911”, afferma lo studioso. “La rievocazione letteraria permetteva di accomunare figure religiose di senesi del passato assai diverse, riuscendo, nello stesso tempo, a proiettare sul tessuto sociale, artistico, culturale un concetto di sacro ben in linea con il revival di quei temi medievali utili all’elaborazione di una rinnovata identità civica, che andava sempre più riconoscendosi nella tradizione del Palio. Questo elemento di ricostruzione nostalgica del vissuto religioso dei senesi d’inizio secolo ebbe una delle voci più autorevoli, ancorché provinciali, in Piero Misciattelli e nella produzione editoriale di due importanti riviste culturali locali La Diana e Rassegna d´arte senese”. Del Medioevo ‘rivissuto’ si sono occupati anche Maria Monica Donato della Scuola Normale Superiore di Pisa, con un’analisi della ‘fortuna’ e ‘sfortuna’ della storia figurata della sconfitta dei senesi nella battaglia contro i fiorentini avvenuta a Montaperti, e Machtelt Israëls, storico dell’arte di Amsterdam. Il legame tra passione civica e sentimento religioso è stato indagato da Andrea Giorgi e Stefano Moscadelli, attraverso uno studio delle processioni nei secoli Xii-xiv, e da Paolo Nardi dell’Università di Siena. Ma è soprattutto l’arte a rappresentare il forte spirito individualistico e identitario della città, soprattutto la pittura della prima metà del Quattrocento che non aderì mai completamente alle innovazioni del Rinascimento fiorentino, accogliendone solo quegli aspetti che risultavano più affini alle poetiche degli illustri modelli della tradizione locale, da Duccio di Buoninsegna a Simone Martini. La non completa adesione dei quattrocentisti senesi alle innovazioni fiorentine è stata a lungo spiegata con la tendenza al conservatorismo, alla chiusura intellettuale della classe politica locale. Tale scelta secondo Luke Syson della National Gallery di Londra, va invece spiegata con la volontà deliberata di mantenere un’alternativa al linguaggio artistico fiorentino. “Su questa base si può ravvisare una sorta di protezionismo stilistico, che non deve essere confuso con l’isolazionismo”, spiega Syson. Lo stile senese diventa parte integrante di un’ideologia civica che si esprime anche nell’arte della copiatura. “Nei contratti di committenza di un’opera veniva espressamente richiesta agli artisti la copiatura della produzione esistente”, continua Syson. “Tale prassi, comune in Italia, a Siena non riguardava solo la struttura generale o la composizione, ma talvolta anche lo stile dei pittori medievali”. “Per comprendere quest’arte”, secondo Roberto de Mattei, vice Presidente del Cnr, “bisogna chiedersi se esiste un paradigma senese così come esiste quello fiorentino. Il punto più interessante in questo confronto non è la divergenza tra Duccio e Giotto che operarono all’interno della medesima visione del mondo, ma quello che accadde nel Quattrocento, secolo nel quale si consumò una frattura tra la cultura umanistica fiorentina e la tendenza senese al recupero della tradizione. In conclusione, nella misura in cui si può parlare di paradigma senese, che in quanto tale conserva la sua validità nel tempo, è lecito parlare di Siena non come città prigioniera del passato, ma piena di rinnovamento. Essa trae la sua forza proprio nel fatto che pur essendo fedele al proprio passato, non rimane legata ad esso”. Del rapporto tra la città e la religione si sono inoltre occupati la storica Petra Pertici, Monika Butezek del Kunsthistorisches Institut di Firenze, Joanna Cannon del Courtauld Institute di Londra, Costanza Barbieri, della Università Europea di Roma e Massimo Viglione del Cnr. Un filone originale degli studi - rappresentato da Gerhard Wolf del Kunsthistorisches Institut, Florence Vuilleumier Laurens dell’Università di Brest, Jean Campbel, della Emory University - Usa, e dalla storica Marcella Marongiu - mira invece a ricostruire la fortuna dell’allegoria del ‘Buono e Cattivo Governo’, dipinti nel Palazzo Pubblico. Il mito della fondazione di Siena e i legami della città con la classicità sono stati indagati da Roberto Guerrini, Marilena Carciogna e Fabrizio Nevola dell’Università locale. “Il mito fondativo di Senio ed Aschio, innescato sulla vicenda di Romolo e Remo”, sottolinea Nevola, “serviva proprio a rendere visibile un legame ideale fra Siena e Roma anche attraverso la diffusione nel tessuto urbano di colonne decorate con la lupa capitolina”. .  
   
 

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