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Notiziario Marketpress di Mercoledì 09 Maggio 2007
 
   
  FORUM INTERNAZIONALE “ECONOMIA E SOCIETÀ APERTA”: JOSÉ MANUEL DURãO BARROSO PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA EUROPA: UNA SOCIETÀ APERTA IN UN MONDO GLOBALE

 
   
  Milano, 9 maggio 2007 – Di seguito il discorso del presidente della Commissione europea pronunciato nel corso del Forum Internazionale di Milano. “ Signor Presidente del Consiglio, Signor Presidente (dell’università Bocconi, Prof. Monti), Signor Presidente (del Corriere della Sera – Prof. Marchetti), Signora Sindaco di Milano (Letizia Moratti), Signori Presidenti della Regione Lombardia (Roberto Formigoni) e della Provincia di Milano (Luigi Penati) Signore e Signori, È un grande onore trovarmi tra voi per aprire quest’ampio dibattito organizzato dall’università Bocconi e dal Corriere della Sera, due vere e proprie istituzioni della vita italiana che ci accolgono quest’oggi, con la partecipazione della città di Milano e del suo sindaco. Mi preme dire che sono felice di essere tra voi in Italia. Alcuni giorni fa, in un’intervista alla stampa belga, ho affermato che l’Europa possiede una straordinaria ricchezza in termini di cultura e civiltà e che per me, sotto questo profilo, l’Italia ne è la massima espressione. Visto che non ho ricevuto alcuna lamentela dagli altri Stati membri, ho buone ragioni di credere che sia vero! Milano ha un particolare “valore sentimentale” per l’Europa avendo ospitato, nel giugno mille novecento ottanta cinque (1985), lo storico Consiglio europeo che ha posto le basi del completamento di uno spazio europeo senza frontiere e della firma dell’Atto unico europeo, la prima grande riforma dei trattati di Roma dei quali ricorre quest’anno il cinquantesimo anniversario. Desidero pertanto rivolgere un caloroso ringraziamento ai co-organizzatori dell’incontro, i professori Mario Monti e Piergaetano Marchetti, che mi hanno invitato. Ringrazio l’università Bocconi, sede di grande prestigio internazionale, che da sempre contribuisce con successo a formare la classe dirigente italiana e europea. Ringrazio altresì il Corriere della Sera, quotidiano che svolge un ruolo fondamentale nel mondo dell’informazione e nel dibattito politico aperto, pluralista e democratico in Italia. Mi proponete oggi di parlare di economia e società aperta – o come conciliare gli attuali mutamenti economici e quella società europea fiduciosa alla cui costruzione tutti vogliamo contribuire. Vorrei dire innanzitutto che per l’Europa l’apertura è una “caratteristica genetica”. Se mi permettete l’espressione, l’Europa respira l’apertura come l’aria. L’apertura è radicata nei nostri valori sin dall’origine. Mezzo secolo fa, il trattato di Roma prevedeva un mercato aperto e uno spazio di libertà che si sono notevolmente estese con gli anni. Oggi, le quattro libertà di circolazione del mercato unico sono profondamente radicate nella vita del nostro continente e dei nostri cittadini. La società aperta è anche un concetto filosofico, “inventato” dall’Europa. La società aperta di Henri Bergson era la società delle libertà politiche e dei diritti umani, del rapporto di fiducia tra potere politico e cittadini, del governo tollerante e trasparente. La società aperta di Karl Popper è quella della democrazia, una società pluralistica e multiculturale. L’europa è veramente il crogiolo per antonomasia di una società democratica, libera, pluralistica e multiculturale. I cittadini sono profondamente attaccati a questi pilastri della loro vita in comune. Ma in questo inizio di ventunesimo (21°) secolo mondializzato, fondamentalmente aspirano a beneficiare in maggior misura di pari opportunità, in una società di benessere economico e sociale che resti fedele ai propri valori di apertura, solidarietà e rispetto della diversità. I cittadini vogliono un modello di sviluppo che garantisca un modo di vita “all’europea”. Credo che la politica debba cercare di rispondere a queste aspirazioni per riuscire a ripristinare una fiducia più serena nei cittadini. Per l’Europa, l’apertura è quindi una questione fondamentale, una questione di valori, un presupposto della nostra prosperità collettiva, ma anche un fattore di realizzazione della persona. Come concretare quindi questa apertura, quando la globalizzazione è una realtà e l’Europa è inquieta? Apertura e inquietudine mal si conciliano. Occorre quindi cominciare a ridare fiducia ai cittadini e a placare le loro ansie, che li spingono a ripiegare su sé stessi. Il miglior antidoto a queste paure consiste nel dare agli europei gli strumenti per vincere la sfida della globalizzazione. Naturalmente, la globalizzazione porta con sé una serie di sfide o minacce – passaggio dall’occupazione industriale all’occupazione terziaria, bisogno di qualifiche sempre maggiori, difficoltà di orientamento professionale per le persone poco qualificate, disparità di redditi e disparità regionali, necessità di riuscire a integrare gli immigranti legali che accogliamo. L’europa e i suoi Stati membri devono vincere la battaglia della globalizzazione. La nostra prima carta vincente per riuscirci è il nostro mercato interno. Sancito dal trattato di Roma, il mercato interno è una “storia di successo” che ci ha regalato prosperità, occupazione e ricchezza. È uno straordinario strumento di efficienza economica. La Commissione europea ne è garante e assume tutte le sue responsabilità. Essa ha il compito di difendere il mercato interno, le regole della concorrenza, il rispetto del diritto comunitario e di contrastare le pratiche che falsano il libero funzionamento del mercato. Il presidente Prodi, mio predecessore, e il professor Mario Monti, che per due mandati ha ricoperto la carica di commissario responsabile del mercato interno e della concorrenza, lo sanno bene: nell’applicazione delle norme specifiche del mercato interno e della politica della concorrenza, la Commissione europea subisce forti pressioni affinché la sua linea sia meno “rigida”. Voglio dirlo chiaramente: non lasciamoci ingannare, perché rimettere in discussione questo mercato interno, presupposto dell’economia aperta, significa rimettere in discussione anche il progetto stesso di integrazione europea. Significa rimettere in discussione un fondamento essenziale del nostro progetto europeo comune, nonché le competenze della Commissione. Non si può difendere l’Europa politica senza rispettare le competenze delle istituzioni europee. Se si lasciasse agli Stati membri la responsabilità di decidere su questioni riguardanti il mercato interno, credo che rischieremmo di decretarne rapidamente la fine! È per questo che il metodo comunitario deve prevalere sul nazionalismo economico, che la globalizzazione rende di per sé sorpassato. Bisogna invece potenziare questo metodo, consentirgli di svolgere appieno il suo ruolo: è il miglior mezzo di cui disponiamo per sostenere gli sforzi degli Stati membri. Perché, per fronteggiare la globalizzazione, gli Stati membri, da parte loro, hanno una responsabilità peculiare, quella di porre in essere i meccanismi di adeguamento necessari. In altre parole, essi hanno carta bianca per realizzare le riforme strutturali e le politiche sociali indispensabili, all’interno di un mercato europeo funzionante. Nessuno vuole istituire sistemi di previdenza sociale a livello europeo, ad esempio! È giusto ritenere che le competenze debbano essere chiaramente suddivise. Ciò non toglie che, per avere successo, il partenariato tra le istituzioni europee e gli Stati membri è assolutamente indispensabile. È aprendo insieme le nostre economie alla globalizzazione che in Europa contribuiremo a ridare a una società dinamica i mezzi per ritrovare fiducia in sé e nel futuro. Questi due aspetti sono intimamente connessi. L’apertura dei mercati e quella della società vanno di pari passo e si rafforzano a vicenda. Allo stesso modo occorre conciliare competitività ed equità. L’europa, d’altronde, è presente anche in questo campo, al posto che le spetta. Mi limiterò a citare l’esempio dei fondi di adeguamento alla globalizzazione che abbiamo appena istituito. Come fare sul piano esterno? Anche in questo caso, occorre potenziare il mercato interno, perché la globalizzazione è una questione di dimensione. Di fronte alla potenza demografica della Cina o dell´India, è una cosa evidente. Di fronte alla potenza economica e finanziaria degli Stati Uniti, è evidente. Di fronte all’estensione geografica della Russia, è altrettanto evidente. Per gli Stati membri, il buon livello d´azione è quello dell’Europa. Per avere le massime prospettive di successo dobbiamo appoggiarci sulla forza d’urto dell’Unione, sulla cooperazione intracomunitaria e sulla rete di protezione delle solidarietà europee. Sarà la crescita economica che permetterà all’Europa di offrire ai suoi cittadini la prima forma di giustizia sociale, vale a dire l’occupazione. Sarà attraverso l’istruzione e la formazione – ovvero con un investimento ingente nel capitale umano – che favoriremo pari opportunità per tutti e offriremo a ognuno reali prospettive. Riusciremo a occupare una posizione di spicco nell’economia del ventunesimo (21°) secolo, che è fondata sulla conoscenza, attraverso una politica risoluta di ricerca e di innovazione. Sapremo correggere le disparità di sviluppo fra le regioni attraverso la coesione economica e sociale. Garantiremo la nostra sicurezza, miglioreremo i nostri consumi e prepareremo il nostro futuro avviando la necessaria transizione verso una economia a bassa emissione di carbone attraverso una politica energetica concertata. Risponderemo alla volontà degli europei – cittadini del mondo – di lasciare ai loro figli un ambiente salvaguardato e vivibile, lottando risolutamente insieme contro il cambiamento climatico. Adottando la strategia di Lisbona, l’Europa svolge il suo ruolo di sostegno agli Stati membri. Questa strategia intende modernizzare e aprire i nostri modelli economici e sociali, senza ledere la loro diversità. Essa vuole riconciliare l’economia del futuro – quella delle alte tecnologie, della ricerca e dell’economia di rete –, con le esigenze fondamentali della società europea: ingresso dei giovani sul mercato del lavoro, mantenimento dei lavoratori più anziani sul mercato, sanità, mobilità, migliore equilibrio fra le generazioni, maggiore compatibilità fra vita privata e vita professionale, capacità di anticipare l’invecchiamento demografico. È operando in un partenariato fiducioso con l’Europa, in cui ciascuno assuma le proprie responsabilità, nell’ambito delle proprie competenze, che gli Stati membri proteggeranno i loro cittadini dagli effetti negativi della globalizzazione, e non chiudendo le frontiere. È salvaguardando le conquiste europee che gli Stati membri proteggeranno i cittadini, non smantellandole. È approfondendo le riforme strutturali e le politiche sociali aperte che gli Stati membri proteggeranno i cittadini, non accusando l’Europa di tutti i mali. È, in poche parole, rafforzando i mezzi per proteggere i nostri cittadini senza però essere protezionista, che l’Europa uscirà vittoriosa dalla globalizzazione! Signore e Signori, per cogliere tutte le sfide che ho illustrato, l’Europa ha bisogno di mezzi d’intervento che siano, nel contempo, più adeguati alle sue dimensioni attuali, con ventisette (27) membri, e più conformi alle aspirazioni dei cittadini della nostra società aperta, che vogliono più democrazia e trasparenza nelle decisioni europee. Occorre altresì che l’Europa svolga il ruolo che le compete in materia di politica estera. Il prossimo Consiglio europeo di giugno, sotto la presidenza tedesca, dovrebbe stabilire un tracciato che ci guidi fino al due mila nove (2009), alle elezioni del Parlamento europeo. Bisognerà che entro tale termine ultimo abbiamo trovato una soluzione istituzionale che migliori il nostro funzionamento e le nostre procedure decisionali. Questa riforma istituzionale è indispensabile. Vorrei rammentare a tale proposito una citazione di Jean Monnet: “Nulla si crea senza gli uomini. Nulla dura senza le istituzioni”. Ci servono istituzioni forti affinché l’Europa di questo inizio di ventunesimo (21º) secolo disponga dei mezzi per prendere in mano il proprio destino. Perché la globalizzazione si deve fare con noi, e perché il mondo ha bisogno di un’Europa che difenda e faccia splendere i suoi valori. Sono fiducioso. Sono convinto che troveremo una soluzione che ci darà la capacità di agire all’altezza delle sfide da cogliere. E sono anche fiducioso che il contributo dell´Italia alla realizzazione di un´Europa aperta, politicamente forte e fiduciosa nei suoi valori, sarà ancora una volta all´altezza della sua tradizione e della sua storia. Vi ringrazio per la vostra attenzione. .  
   
 

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