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Notiziario Marketpress di Lunedì 28 Maggio 2007
 
   
  DAL 29 AL 31 MAGGIO NELLA SEDE TEMPORANEA DI VIA CADOLINI, 19 IL TEATRINO DELLE MERAVIGLIE DI MIGUEL DE CERVANTES

 
   
   Milano, 28 maggio 2007 - Siamo in un epoca di macchinosi processi sulla purezza della razza cristiana e di spietate persecuzioni razziali contro ebrei o ebrei convertiti, detti “Marrani”. Due astuti commedianti girovaghi portano in un paesino di provincia il loro “Il teatrino delle meraviglie”, avvertendo però il pubblico che le meraviglie del loro show potranno essere viste solo da chi non abbia una sola goccia di sangue ebreo tra i suoi ascendenti. Giunta la sera della rappresentazione si accendono le luci sul palco e i due gigioni incominciano ad evocare una serie di strabilianti visioni inesistenti. Davanti al sipario aperto sul nulla accade l’impensabile: tutti i presenti, a partire dalle autorità, nel timore di compromettere la propria reputazione, asseriscono di vedere ciò che non esiste, facendo a gara per convincere anche i più scettici. Nel rapido variare delle finte figure, con abile orchestrazione psicologica, i comici trascinano presto l’intera comunità in una delirante grottesca esperienza di allucinazione di massa, portata alle sue estreme conseguenze. Nel suo “Teatrino delle Meraviglie” Cervantes mette a nudo la tragica realtà del pregiudizio e della rimozione, che consiste nella scelta consapevole di vedere quello che non c’è e non vedere quello che c’è. Appunti Di Regia . L’intreccio del “Teatrino” è semplice: due astuti commedianti portano in un borgo rurale il loro “Il teatrino delle meraviglie”, avvertendo che tali meraviglie potranno essere ammirate solo da chi non abbia una goccia di sangue ebreo. A causa dei propri pregiudizi, l’intero borgo vivrà una delirante allucinazione di massa. Ma non è l’intreccio la sola cosa che mi ha colpito. Vidi per la prima volta il “Teatrino delle Meraviglie” rappresentato nel 1982, all’interno del cortile del Collegio Romano. L’autunno seguente entrai all’Accademia d’Arte Drammatica. Non esito quindi ad affermare che il “Teatrino” ha per me un valore affettivo, e perciò non riesco ad attribuirgli meriti sproporzionati. Per convivere con El retablo de las maravillas ho imparato ad accettarne la leggerezza e ad apprezzare la griglia creativa che l’autore stesso si è imposto: l’entremés (Intermezzo). L’etimologia di entremés, genere praticato da Lope de Ruega a Quinones de Benavente, dal Xii° al Xix° rivela una curiosa instabilità etimologica: pasos, sainete, genere chico. Genere chico, dunque, qualcosa che si assapora, intercalato fra il primo e il secondo atto di una commedia, come una ghiottoneria tra un piatto e l’altro. Ma un termine altrettanto convincente per me potrebbe essere bonsai: piccolo, delizioso, completo di tutto seppur in proporzioni minime. La brevità del “Teatrino” non è solo strutturale, ma qualitativa. Perciò non ho cercato di “allungare” con trovate sceniche lo spettacolo. Allungare il testo è come sottrarre all’autore l’arte di sapersi esprimere efficacemente investendo in minima misura il suo genio. La dilatazione Cervantes l’ha riserbata al “Don Chisciotte”. Ma anche la leggerezza del “Teatrino” è più geniale che formale, direi congeniale alla natura dell’autore: è Calvino a osservare che l’immagine di leggerezza di Don Chisciotte che viene trasportato in aria da una pala del mulino a vento, resta uno dei luoghi più famosi della letteratura di tutti i tempi. Ebbene il siparietto del “Teatrino” è fatto della stessa tela che riveste le pale dei mulini a vento, ma dietro quello straccio, quali meraviglie si celano!? Nessuna. Dietro quella vacuità c’è la consistenza di tutte le nostre illusioni, le nostre chimere. Nel teatrino delle meraviglie infatti gli spettatori possono vedere ciò che non esiste. Con questa leggerezza Cervantes conduce i suoi personaggi davanti al meccanismo illusorio di un baraccone, dove ciascuno è libero di credere alla menzogna, o di negare la verità. La loro stessa coscienza è responsabile della propria cecità. Ecco il vero motivo d’interesse. Vale la pena citare Edgar Allan Poe: “Non tutte le cose complicate sono necessariamente profonde”. Andrea Dalla Zanna 2007 info@teatrofrancoparenti. Com A Milano dal 5 al 9 giugno Da un progetto di Accademia Danza diretta da Susanna Feltrami “Purosangue” Rassegna Internazionale di Nuove Drammaturgie Coreografiche. Pura come l’energia del movimento. Sanguigna come la linfa vitale che scorre nelle vene. Purosangue come il cavallo di razza pronto a correre e segnare il traguardo. Da queste impellenti necessità nasce la prima edizione della Rassegna Internazionale di Nuove Drammaturgie Coreografiche Purosangue. Dalla volontà di portare alla ribalta nuovi talenti ancora sconosciuti ma che scalpitano per tagliare il nastro di partenza. Scovati nei più importanti centri di formazione coreografica europea, adottati da una nuova “scuderia”, Accademia Danza, che ha da poco avviato le sue corse, i giovani artisti invitati alla rassegna mordono il freno per presentare in anteprima le loro nuove creazioni. E lo fanno a Milano, con il sostegno del Teatro Franco Parenti – Associazione Pier Lombardo e con il patrocinio e il contributo del Comune di Milano, Assessorato al Tempo Libero, da sempre sensibile alle esigenze delle nuove generazioni nel campo artistico, attribuendo così alla città il ruolo di crocevia delle esperienze di ricerca finalizzata alla drammaturgia coreografica. Gli artisti e le compagnie ospiti confermano di saper costruire, con il solo movimento, con l’ausilio del video o delle arti visive, con la parola o con elementi scenici, quell’architettura coreografica che attribuisce allo spettacolo un contesto emotivo/razionale, vero unicum artistico. E come per altri appuntamenti importanti, anche questa volta Artemide, da sempre compagna di viaggio delle più emozionanti avventure del Teatro Franco Parenti, illumina il percorso dei giovani artisti Purosangue. Gli spettacoli. L’irruenza androgina della belga Lisbeth Gruwez, diplomatasi alla Parts di Bruxelles e fondatrice della compagnia Voetvolk, prorompe in un assolo dai connotati fortemente performativi che si snoda in una catena di quadri coreografici la cui linea drammaturgica è dettata dall’ “arte della caduta” in bilico tra un casco da centauro e un paio di scarpe con i tacchi. Nel solco del tanz-teather alla tedesca, la coreografa Kathrin Heide, proveniente dalla Tanz-haus Nrw di Dusseldorf, in un duetto “chapliniano” ribalta ripetutamente i piani d’azione di una coppia alle prese con una ripetuta promessa di matrimonio, che tra l’ironia del destino e la volontà capricciosa degli innamorati non giungerà mai a conclusione. La fusione tra cibo e danza si compie attorno ad una tavola imbandita di un ristorante di una città cosmopolita, in cui il fil rouge drammaturgico è servito dalla coreografa taiwanese Tsui-shuang Lai nelle portate gastronomiche di varie nazionalità. Dalle sponde del Danubio e da una delle scuole più prestigiose dell’Austria (Sead), la giovane coreografa e danzatrice slovena Jelka Milic sviluppa un turbinio di azioni teatral-coreografiche attraverso un corpo in rotta di collisione con le coordinate spazio temporali della danza accademica, segno di un emergente new deal della ricerca coreografica austriaca. A ciascuno di questi lavori di coreografi stranieri si associa ogni sera un lavoro di un gruppo italiano emergente proveniente dai centri di formazione e ricerca coreografica nazionali. Eleonora Bonvini, proveniente dall’Atelier di Teatro-danza della Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi, coordinato da Marinella Guatterini, presenta una pièce in cui le storie dei personaggi sono intimamente connesse alle suonerie dei cellulari e pervase dall’invadenza tecnologica dei mass-media. La giovane compagnia Phe_to, ospite presso “Scenario Pub. Bli. Co”, sede stabile della Compagnia Zappalà Danza, si impone sulla scena nazionale per la sua carica di energia metropolitana, in cui la costruzione coreografica ruota attorno agli impulsi dell’hip hop coniugati con i nuovi linguaggi contemporanei. Le ironie ponderate della giovane autrice Giorgia Maretta, esponente della compagnia Astratti Contatti di Milano, trovano spazio in una nuova creazione intitolata “Studio per tre (dove il terzo non c’è)”. Infine i lavori di due insegnanti - coreografi ospiti di Accademia Danza, Daniele Ziglioli e Sabrina Camera. Nella prima coreografia, la necessità drammaturgica scaturisce dalla fisicità scarna del danzatore, dall’essenziale noncuranza di un corpo che si offre come puntello per lo slancio dinamico del partner/complice. Nel secondo lavoro, la riflessione coreografica si materializza tra i versi del poema intenso del musicista Alfredo Zitarrosa, perseguitato dalla dittatura in Uruguay del 1977, e si incarna nelle movenze di una donna che ha le sembianze di una chitarra. I Workshop. Per passare dall’azione scenica all’esperienza fisica, Purosangue si chiude con i workshop di due artisti, un italiano e una tedesca, due metodologie a confronto, due modi diversi di lavorare con il corpo e la drammaturgia: Andrea Cagnetti della Compagnia Arsmovendi e Dawna Dryhorub, danzatrice/ coreografa free-lance della Tanz-haus Nrw di Dusseldorf . Salon des Refusès. Nella fascia pre-serale Purosangue offre anche una chance di visibilità a chi per motivi di spazio e tempo non ha potuto partecipare in carne, ossa e muscoli: un Salon des Refusés, dove vengono proiettati i video dei purosangue che, durante la rassegna, stanno correndo su circuiti ad altre latitudini. Nella stessa fascia pre-serale sono previste incursioni a sorpresa degli allievi di Accademia Danza! accademiadanza@teatrofrancoparenti. Com www. Accademiadanzamilano. It . .  
   
 

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