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Notiziario Marketpress di Lunedì 04 Giugno 2007
 
   
  IL CAPITALE SOCIALE FACILITA LO SVILUPPO FINANZIARIO L’ANALISI DEL PROFESSOR LUIGI GUISO: LA CAUSA DEL DIVARIO DI CAPITALE CIVICO TRA IL NORD E IL SUD DELL’ITALIA È DA RICONDURRE A FATTORI STORICI

 
   
  Trento, 4 giugno 2007 - Dove l’esperienza dei Comuni indipendenti, all’uscita dal Medio Evo, è stata più forte (quindi nel nord Italia), oggi il capitale sociale è indubbiamente alto e ben radicato. Il regno dei Normanni, nel sud Italia, ha eliminato le relazioni orizzontali all’interno della comunità, rafforzando quelle verticali, a scapito del senso civico e della responsabilità collettiva. Questa è la congettura dello studioso Putnam, avvallata dal professor Luigi Guisa docente di Economia all’Istituto Universitario Europeo di Firenze, tenutasi nella sala conferenze della Facoltà di economia durante il Festival dell’economia. Il capitale sociale, sempre secondo Putnam, è costituito da quegli “aspetti della vita sociale – relazioni, norme, fiducia – che consentono ai partecipanti di agire insieme per conseguire obiettivi comuni”. Così Luigi Guiso, ha introdotto il dibattito dedicato alla “parola chiave” della giornata. Lo studio del concetto di capitale sociale nasce in ambito sociologico, a metà dell’Ottocento, per poi suscitare rinnovato interesse verso la fine dello scorso secolo. Ad oggi, non ne esiste ancora una definizione chiara ed univoca, ci si chiede quali siano i misuratori adatti di tale fenomeno, quale la relazione con l’economia e lo sviluppo, quali le determinazioni e le conseguenze. Guiso, prende come punto di riferimento la definizione di uno scienziato politico come Puntam, traendone un’analisi dettagliata. Il capitale sociale si basa sulla fiducia: la fiducia è legata direttamente alla probabilità che qualcuno la tradisca. Più la fiducia è forte e diffusa in un contesto, più sono alte le relazioni sociali in quella comunità. Da ciò derivano tre tipi di capitale sociale: a livello individuale, familiare e di piccoli gruppi si parla di “capitale relazionale”, a livello aziendale si fa riferimento al “capitale organizzativo”, mentre a livello di comunità e nazioni si il termine di riferimento è il “capitale civico”. I tre concetti sono in stretta relazione tra loro ed accade, talvolta, che all’aumentare dell’uno ne diminuisca un altro: con il rafforzarsi dei rapporti familiari e quindi del capitale relazionale si contrappone un netto indebolimento del capitale civico e della fiducia nella comunità. Il capitale sociale non è osservabile e non è univoco: servono misure convincenti per studiarlo: è possibile analizzarne gli output, ovvero le conseguenze. Alcuni parametri possono essere identificate nel livello di sviluppo del sistema cooperativo di una comunità (a meno che questo non sia falsato da contributi o incentivi economici esterni), oppure nelle associazioni di volontariato o ancora nel grado di evasione fiscale o di generalizzato senso civico della collettività. Per una analisi della situazione italiana, i parametri scelti dal professor Luigi Guiso sono due: le donazioni di sangue (facilmente misurabili, non godono di sussidi di alcun genere e si svolgo su base completamente volontaria) e la partecipazione ai referendum (il voto non comporta un obbligo se non morale e non gode di incentivi). Il risultato: esiste un forte e radicato capitale di relazioni e capitale civico nel nord Italia, indicato da alti tassi di donazioni di sangue ripetute e continuative ed una forte e generale partecipazione ai referendum. Spicca in questo senso la zona della pianura Padana. Al sud invece le donazioni di sangue sono alla bisogna e meno diffuse, come la partecipazioni agli appuntamenti referendari. Il passo successivo dello studio analizza la relazione tra il capitale sociale e l’economia: in ogni comunità esistono soggetti con buone idee per lo sviluppo economico sociale ma che non hanno a disposizione i mezzi finanziari per realizzare, allo stesso modo esistono persone in possesso di grandi capitali con poca iniziativa. Perché buone idee e capitali finanziari possano fondersi è necessario che le persone intessano relazioni, abbiano fiducia, scambiando denaro con promesse che siano mantenute. A garanzia di questo, i contratti risultano talvolta incompleti ed anche la giustizia non è perfetta: se il grado di fiducia è alto, se il capitale sociale è ben radicato, questo processo incide positivamente sullo sviluppo finanziario del Paese. Lo dimostrano alcuni dati: in Svezia il grado di fiducia “nell’altro” è del 56. 2%, in Perù del 4,9, in Italia del 30,6. Ma qual è il fattore che determina il capitale sociale? Come si accumula? Dalle ricerche di Luigi Guisa, Luigi Spaventa e Luigi Zingales emerge che le convinzioni individuali siano alla base della fiducia, delle relazioni e del capitale civico. Per quanto riguarda la religione, ad esempio, i credenti praticanti risulta più intolleranti verso gli altri, ma più ligi ai doveri collettivi, come quello di pagare le tasse o il biglietto sui mezzi pubblici. Questa diffidenza nel prossimo non facilita però lo sviluppo economico. Analizzando la persistenza dei livelli di capitale sociale, Guiso dà ragione a Putnam: le città che sono state dopo il Medio Evo Comuni indipendenti vantano oggi un alto numero di organizzazioni no profit ed associazioni di volontariato, a dimostrazione che, salvo lievi variazioni, il livello di capitale sociale tende ad essere constante nel tempo, fortemente radicato e persistente. In conclusione, nonostante, attualmente gli studi sull’argomento siano ancora scarsi e talvolta non univoci, è dimostrato che capitale sociale e finanza hanno uno stretto ed importante legame. Per approfondire l’argomento, il dipartimento di Economia dell’Università di Trento, Econometica ed il Centro universitario per l’etica economica e la responsabilità sociale d’impresa, organizzano un workshsp internazionale ed una summer school per dottorandi da tutto il mondo, con l’adesione di 21 atenei italiani. Il workshop si terrà al Centro congressi Panorama di Sardagna (Trento) dal 24 al 29 luglio. .  
   
 

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