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Notiziario Marketpress di Lunedì 04 Giugno 2007
 
   
  GLI OPERATORI SOCIOSANITARI DI FRONTE ALL’INFIBULAZIONE E ALLE VIOLENZE NELLE FAMIGLIE DI IMMIGRATI UN PARTECIPATO CORSO DI FORMAZIONE PER AFFRONTARE UN TEMA COMPLESSO

 
   
  Trento, 4 giugno 2007 – “Nel 2003 i miei genitori decisero di farmi circoncidere. Nel profondo del cuore io non volevo ma avevo troppa paura a dirglielo perché mi avrebbero picchiata. Mia madre non poteva far nulla, mia nonna invece voleva che fossi operata perché era giunto il momento di sposarmi e non avrei potuto se non fossi stata prima circoncisa. Quando nel villaggio si venne a sapere che ero contro la mia circoncisione tutti smisero di parlarmi, se avevo un problema non mi ascoltavano. Decisi di fuggire e da allora non ho più rivisto la mia famiglia. Fortunatamente ho trovato chi mi ha aiutata. Ora vedo il mio futuro positivamente, amo le scienze sociali e da grande vorrei fare l’avvocato: voglio aiutare le mie vicine e tutte le ragazze che vivono questo tipo di esperienza”. Quella di Jvonne Kakenva, una ragazza Masai di 17 anni nata in un villaggio chiamato Transmara, è una delle testimonianze raccolte in Kenya da Giorgia Decarli, antropologa del diritto, con la quale si è aperto stamane all’auditorium del Centro Servizi Sanitari di Viale Verona il secondo di tre incontri formativi sul tema “Salute e donne immigrate”. Dopo aver affrontato, lo scorso 12 aprile, il tema della maternità, il 13 maggio si è parlato di due argomenti difficili e di scottante attualità: le mutilazioni genitali femminili (l’infibulazione) praticate in molte comunità tradizionali africane, ma non solo (le donne circoncise nel mondo sono più di 130 milioni, molte delle quali risiedono negli Stati Uniti e in Europa) e la violenza intrafamiliare nei nuclei di immigrati. Il 27 settembre si parlerà invece, al terzo e ultimo incontro, di prevenzione in campo sanitario e di mediazione culturale nelle strutture sanitarie e sociali. Il corso di formazione, rivolto agli operatori sociosanitari (un centinaio i partecipanti), è organizzato dalla Società italiana di medicina delle migrazione (Gr. I. S. Trentino) in collaborazione con gli assessorati provinciali alle politiche per la salute e alle politiche sociali, l’assessorato alle politiche sociali del Comune di Trento, l’Ordine dei medici e il dipartimento di Sociologia dell’Università di Trento. Tema difficile e complesso quello dell’incontro di oggi, affrontato dal legislatore nazionale con la legge 9 gennaio 2006 n. 7 (Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile) e che chiama in causa anche i servizi sociali e sanitari della nostra provincia, dove numerose sono le famiglie di immigrati, che quotidianamente affrontano i problemi posti dalle donne straniere. “C’è poca esperienza su queste tematiche tra gli operatori sociosanitari – ha premesso Giulia Bigot del dipartimento di Sociologia dell’Università di Trento e rappresentante del Gr. I. S. – e spesso non si sa bene come intervenire. Il nostro obiettivo è di arrivare alla stesura di un “manuale” con indicazioni operative”. Non è facile, infatti, comprendere e trovare il modo migliore di affrontare queste problematiche, ma molti – come ha sottolineato l’assessore alle politiche sociali Marta Dalmaso, che ha aperto oggi il corso – sono gli operatori che intendono affrontarli con serietà e sensibilità. “Solo a partire da una conoscenza precisa di questi fenomeni – ha detto Dalmaso – si possono mettere in campo strumenti di prevenzione efficaci. È facile e pericoloso affrontare questi temi partendo da luoghi comuni e pregiudizi, mentre serve invece un approccio integrato e congiunto fra i vari servizi, fatto di professionalità e delicatezza, sensibilità e attenzione”. Dalmaso ha anche annunciato che il prossimo ottobre saranno presentati i risultati di una ricerca svolta dal Cinformi su donne e famiglie transnazionali. Il presupposto di partenza per poter prevenire le mutilazioni genitali e le violenze contro le donne in famiglia – è stato detto – è che più le famiglie si sentono bene accolte e integrate in terra di immigrazione, tanto meno sentono la necessità di ricorrere a riti tradizionali per riaffermare una propria identità. Una cultura diffusa dell’accoglienza è quindi il primo presupposto. Le famiglie di immigrati vanno aiutate a capire che essere genitori in terra di immigrazione comporta, per certi aspetti, l’assunzione di atteggiamenti e costumi diversi da quelli cui loro sono abituati nel paese d’origine, ma che non significa per questo essere “meno genitori”. Rispetto all’infibulazione, poi, occorre rendere le famiglie consapevoli che tale mutilazione aggiunge al danno fisico e psicologico anche uno stigma, che può essere motivo di ulteriore emarginazione rispetto alle bambine di pari età, loro compagne di scuola o di giochi. Proprio come è accaduto, al contrario, nella propria comunità d’origine a Jvonne Kakenva ed a tante altre bambine che hanno detto “no”. .  
   
 

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