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Notiziario Marketpress di Mercoledì 06 Giugno 2007
 
   
  DENSITA’ OGNI GIORNO 200.000 PERSONE VANNO A VIVERE IN UN’AREA URBANA

 
   
  Milano, 6 giugno 2007 In apertura nel numero di giugno di domus il direttore Flavio Albanese anticipa il tema centrale della sezione Intersections, che all’interno della rivista rappresenta la ‘cerniera’ tra la concretezza del progetto e la proiezione verso il contesto: “In questo numero – afferma Albanese - ci interroghiamo ancora una volta sugli spazi del pianeta terra, concentrandoci sull’enorme densità di presenza umana nelle periferie delle nostre megalopoli contemporanee, raccontate dal punto di vista della loro capacità di creare legami, intelligenza, economia: di essere infine, nel bene e nel male, il veritable laboratorio sperimentale della nostra società a venire”. “Quasi la metà della popolazione del nostro pianeta – scrive Albanese - spende la propria vita in quegli immensi agglomerati di esistenze che sono le metropoli contemporanee. Si tratta di una tendenza strutturale del nostro tempo, in cui il termine ‘densità’ si impone come parola chiave di questo fenomeno endemico che si sta consumando sotto i nostri occhi” Cittadini abusivi Con i contributi di Jockin Arputham, Alfredo Brillembourg, Mustansir Dalvi, Orhan Esen, Oguz Isik, Hubert Klumper, Robert Neuwirth, Malih Pinarcioglu e Eirik Jarl Trondsen Ogni giorno, le città del mondo crescono di quasi 200. 000 persone. Ovvero 130 persone al minuto, 2 al secondo. I protagonisti di questa crescita sono in larga misura persone che si spostano ogni giorno dalle zone rurali in città in cerca di lavoro. Non c’è costruttore che si occupi di loro, non c’è governo che investa in case che questi emigranti si possano permettere. Le loro case nascono lungo strade primitive di fango e pozzanghere. In Brasile si chiamano favelas. In India johpadpatti. In Turchia gecekonduler. In Kenya, slums. Ma le aree in cui sorgono sono le parti più dinamiche delle città a più rapida crescita nel mondo: autocostruite, autoprogettate, automotivate. Nel mondo, oggi, ci sono un miliardo di abusivi. Nel nostro pianeta, lo è quasi una persona su sei. Se la tendenza continua, saranno due miliardi nel 2030 e tre miliardi (oltre una persona su tre) a metà di questo secolo. Se le città del mondo vogliono stare al passo con questo afflusso, devono costruire 35 milioni di case all’anno. Vale a dire 95. 890 case al giorno, 66 al minuto, 1 al secondo. Mentre la globalizzazione ha spinto le città del mondo in una frenetica competitività e ha obbligato ancora più persone a emigrare verso i grandi centri urbani, gli abusivi devono far riconoscere la loro esistenza a società che fanno di tutto per negare la loro legittimità e, nei casi più estremi, negano loro totalmente il diritto di esistere. Per capire il ruolo degli abusivi nella società globale è necessario sfatare alcuni miti comuni. Il primo mito è quello secondo cui le baraccopoli sono l’emblema della miseria umana. Non è vero, come dimostra il caso di Jose Gerardo Moreira. Moreira è arrivato a Rocinha, la più grande favela di Rio de Janeiro, senza niente. Oggi, dopo trent’anni, abita in una casa di tre piani in città, costruita con cemento rinforzato e mattoni, dotata di acqua corrente, elettricità e vista sull’oceano. Il secondo mito racconta che tutti i membri delle comunità degli abusivi sono poveri e affamati. A sfatarlo è la storia di Christine Nduku. Christine è titolare di un’importante agenzia di collocamento del centro, ma vive in una stanza con le pareti di fango a Kibera. Vivono tutti nelle capanne a causa della brutale economia del mercato immobiliare nella capitale keniana. Terzo mito: gli abusivi sono i nemici della società civile. Molte delle storie raccolte da domus mostrano come in realtà, gli abusivi lavorano pazientemente all’interno del sistema, cogliendo ogni opportunità per coinvolgere il governo nelle loro vite. Per uscire da questi luoghi comuni gli abusivi hanno innanzitutto bisogno di due cose: una garanzia contro lo sfratto arbitrario, e la possibilità di accedere alla politica. Il passo in avanti per i milioni di abitanti del pianeta che vivono da abusivi non ha a che fare con architetture carine o sofisticate pianificazioni. È semplicemente una questione legata alla nostra decisione di trattare gli abusivi come cittadini, con tutti i diritti e le responsabilità che questo implica. Tra gli altri argomenti del numero di giugno: Michael Cadwell analizza per domus l’ampliamento del Nelson-atkins Museum of Art di Kansas City realizzato da Steven Holl; Il padiglione per l’America’s Cup realizzato a Valencia da David Chipperfield nell’analisi di Deyan Sudjic; Il Cairo: Francesco Siravo architetto dell’Aga Khan Foundation racconta a domus il programma di riabilitazione urbana realizzato nel cuore della capitale egiziana; In anteprima sulle pagine di domus di giugno la sorprendente installazione di Thomas Demand per la Fondazione Prada a Venezia. In allegato: “Luce e architettura” (Angela Bulloch, Jeppe Heine, Patrick Tuttofuoco, Piero Gandini, 3Xn, Antonio Jiménez Torrecillas, Bernard Tschumi, Yann Kersalé, Mario Nanni, Chiara Dynys, ecc. ) .  
   
 

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