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Notiziario Marketpress di Lunedì 19 Giugno 2006
 
   
  NÉ CITTÀ NÉ REGIONE, MA CITY-REGION IL CONVEGNO SULLA GOVERNANCE URBANA DI VERONA LANCIA IL MODELLO TERRITORIALE DISEGNATO DAI FLUSSI ECONOMICO-SOCIALI REALI. IL SOCIOLOGO PERULLI: SIAMO AMMINISTRATI COME NELL’800, SERVE CAMBIARE

 
   
  Verona, 19 giugno 2006 - “Ecco tre esempi pratici di figure che non appartengono più allo schema territoriale classico, bensì alla city-region”, dice Paolo Perulli, docente di Sociologia Economica all’Università del Piemonte Orientale, “Primo: per trasportare i prodotti le imprese hanno bisogno di reti logistiche, di vettori su ferro, gomma o altro. Secondo: studenti che vivono a Piacenza e vanno all’università a Milano o Bologna. Terzo: il lavoratore del nord est che si muove non più solo tra casa e fabbrica, ma in un sistema produttivo articolato. E’ questo l’amalgama socio-territoriale che sta cambiando la geografia italiana e che ha bisogno di essere riconosciuto come tale e come tale governato”. City-region, ovvero città-regione. E’ uno dei temi forti del convegno sulla Governance Urbana in corso a Verona. City-region sono le macro unità territoriali disegnate dai flussi economico-sociali reali, che hanno ormai scardinato i tradizionali confini amministrativi, comuni, province, regioni. A Verona Perulli coordina appunto una specifica sessione di lavoro, con l’aiuto del guru dell’argomento Allen Scott (University of California Los Angeles) e con un obiettivo: analizzare le risorse (europee, nazionali, regionali, fiscali, project financing, rendite fondiarie, partnership e quant’altro) che pubblico e privato possono mobilitare sui progetti urbani. “Il fatto è”, sostiene il professore, “che in Italia le amministrazioni locali continuano nel solito tran tran di sempre. Al massimo dichiarano di voler fare sistema, ma la verità è che non sono assolutamente in grado di governare un sistema regione. Ecco perché continuano a comportarsi come se il Paese combaciasse ancora con i confini ottocenteschi, mentre la gente vive e opera da tempo in un’altra dimensione territoriale. Ragionare dunque in termini diversi mette in crisi in particolare la politica dei ministeri e quella delle regioni, istituzioni che lavorano per politiche settoriali e non hanno occhi per vedere il territorio”. Che cosa si dovrebbe fare, dunque, per rispondere alle esigenze dell’Italia reale? “Per prima cosa”, spiega Perulli, “si dovrebbe fare un’accurata analisi dei flussi, capire a fondo il territorio. E su questa base costruire poi i piani strategici. I quali sono anche forme di allargamento territoriale, proprio perché riferiti ad aree più complesse, che possono includere altre città e, quando occorre, altre regioni. Per ognuno dei tre casi citati all’inizio, l’impresa, gli studenti, l’operaio, il piano strategico diventa occasione per allargare la sfera territoriale senza bisogno di alcuna legge specifica. E si avvicina così a quella forma chiamata città-regione, che sta a cavallo tra le due, e che è anche una soluzione pragmatica alla difficoltà di trovare forme di rappresentanza istituzionale di questa nuova realtà”. Poiché segue i flussi reali dell’economia e della società, avverte il professore, le città-regione hanno confini mobili, variabili anche a seconda del fenomeno analizzato e delle politiche da mettere in atto. La città-regione dell’economia, dunque, può non corrispondere a quella dei servizi sociali o a quella dell’educazione. “Se il governo Prodi e la stessa Commissione Europea vogliono davvero elaborare quadri strategici a livello nazionale e continentale”, conclude Perulli, “sempre di più dovranno misurarsi con queste forme, incentivarle e premiarle. Del resto, come può un governo continuate a riferirsi singolarmente a 8000 mila comuni, 100 province, 20 regioni senza capire che la società e l’economia reale si organizzano altrimenti? In realtà, una politica territoriale coordinata oggi manca anche a livello europeo e per questo motivo sono nate varie associazioni di città, con lo scopo di fare lobbying a Bruxelles. E’ un processo agli inizi, ma è in corso. E credo che anche il nostro governo debba rendersi conto della necessità di cominciare a confrontarsi con la vera Italia del 2000”. .  
   
 

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