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Notiziario Marketpress di Venerdì 14 Settembre 2007
 
   
  CAMBIAMENTI CLIMATICI E TURISMO, UNA RELAZIONE A DOPPIO SENSO

 
   
  Ghiacciai che si sciolgono, deserti che avanzano. Litorali che arretrano davanti alla lima costante dell’erosione. Fiumi che evaporano, montagne su cui sciare è solo un ricordo del tempo che fu. Onde abnormi e cicloni, troppa pioggia o troppo poca, caldo, caldissimo e poi, subito, il gelo. E’ cambiato il clima e ce ne accorgiamo sulla nostra pelle, nell’esperienza quotidiana, anche senza guardare il “termometro” della CO2 che pure, nell’atmosfera, negli ultimi 750 mila anni non è mai stata presente in percentuali così alte. In concomitanza della prossima Conferenza Nazionale sui Cambiamenti Climatici, sono alla ribalta della cronaca gli effetti del global climate change e le valutazioni sui possibili responsabili del preoccupante fenomeno. Sott’accusa l’attività industriale cui è legata la produzione delle più consistenti quantità di gas serra. Fra i settori produttivi maggiormente coinvolti dalle alterazioni climatiche figura senz’altro quello del turismo benché la stretta correlazione fra dinamiche turistiche e climatiche non trovi grande rilievo nell’acceso dibattito piuttosto che nella ricerca scientifica e nell’agenda dei decisori politici. Eppure parliamo della seconda industria del Pianeta e di quel 1,56 miliardi di arrivi internazionali che l’OMT, l’Organizzazione Mondiale per il Turismo, prevede per il 2020: 720 milioni solo in Europa, con un tasso di crescita del 4,4%. Una specie di spontanea migrazione planetaria composta da viaggiatori che si spostano verso ogni dove alla ricerca del riposo, del divertimento e di mille altri desiderata. Se in Europa ed in America del Nord i veicoli privati costituiscono il mezzo preferito per lo spostamento dei turisti, nel resto del Mondo si predilige l’aereo: aereo che risulta fino a quattro volte più inquinante, ai fini dell’effetto serra, del trasporto automobilistico. E’, d’altra parte, proprio quello relativo ai trasporti il maggiore contributo del turismo al climate change: esso rappresenta mediamente il 70% sul totale delle emissioni mentre il resto è più o meno equamente spartito fra alberghi, ristoranti ed altre attività “di filiera”. Chi avverte tutta la responsabilità dell’industria turistica nelle dinamiche del cambiamento climatico è Francesco Frangialli, Segretario Generale dell’ OMT che ha recentemente dichiarato, in proposito: “Dobbiamo prendere tempestivamente delle misure di attenuazione. E dobbiamo essere in testa al movimento, non semplicemente reagire”. La simbiosi fra turismo e clima, del resto, è già stata ufficialmente sancita dalla Dichiarazione di Djerba del 2003, con la quale si invitavano i governi, gli operatori ed i portatori di interessi diffusi ad adottare tempestivamente misure concrete per abbattere il contributo del turismo, in senso lato, alla produzione dei gas serra. Ma nella questione clima, in una sorta di paradossale processo kafkiano, il turismo viene ad essere, ad un tempo, colpevole e vittima, aggressore ed aggredito: perché se è vero che voluttuari spostamenti di massa possono concorrere all’avverarsi di deteriori scenari climatici, d’altro canto, non v’è dubbio che il climate change procuri effetti diretti (variazioni della temperatura di aria e acqua, ad esempio) e indiretti (modificazioni su biodiversità e paesaggio, in primis) sulle risorse ambientali vitali per l’attività turistica che rischia di veder gradualmente compromesse, in termini di appeal, le proprie destinazioni d’eccellenza e, via via, tutte le altre. Da un punto di vista squisitamente economico, le statiche dell’OMT hanno appurato che nell’anno 2000 ogni arrivo in Europa ha generato, esclusi i trasporti, 580 euro, per un totale di 70 miliardi che, approssimando un credibile tasso di crescita al 3%, arriveranno nel 2050 a 300 miliardi; è facile però prevedere che, qualora le variazioni del clima diminuiranno, come sembra probabile, bellezza e confort delle mete, il tasso di crescita del turismo conoscerà una battuta d’arresto: basterà così la diminuzione di un solo punto percentuale per dire addio a 198 milioni di presenze ed a circa 110 miliardi di euro. Un cane che si morde la coda, verrebbe da dire, un nodo gordiano che, per essere utilmente spianato, necessita di un impegno forte e congiunto di differenti soggetti. Il problema è però più complesso di quanto non possa apparire: quello dei cambiamenti climatici è un fenomeno di lungo termine in cui, oltretutto, gli effetti non possono essere predetti con precisione nel dettaglio; e allora: cosa fare per impegnare gli attori, pubblici e privati, locali e nazionali alla ricerca di soluzioni in un contesto così incerto ed in un avvenire così lontano? I tempi del turismo sono assai differenti per i singoli attori: il week end o le prossime vacanze per il turista, qualche anno per il decisore politico, 20/30 anni per gli investitori, 50/100 anni e forse più per gli scienziati: eppure bisogna trovare il modo di fare comunicare questi soggetti fra loro onde adottare strategie condivise e praticabili di risposta ai cambiamenti climatici; interventi grandi o minimali per cambiare il turismo assieme al clima così da scongiurare reciproci cambiamenti insostenibili. Quello che si profila è un work in progress senza soluzioni di continuità nel quale sono messi al bando, d’ufficio, rigidità, fanatismo, fatalismo e rassegnazione; un continuo aggiustare il tiro, al fine di individuare, ogni volta, il miglior adattamento. “L’adattamento – afferma Stefano Di Marco, Vicepresidente Nazionale di CTS – deve discendere certamente dallo studio rigoroso degli impatti effettivi del cambiamento climatico sulle e a causa delle dinamiche turistiche, tuttavia l’assenza di informazioni precise non impedisce di preoccuparsi ed agire concretamente. Per preservare l’ambiente – continua Di Marco – è necessario già oggi valutare i fattori di vulnerabilità e la capacità di resistenza delle destinazioni rispetto ad una crisi climatica potenziale secondo un approccio multidisciplinare e di vasta scala”. L’opzione caldeggiata dal CTS per il mondo del turismo è dunque quella di agire in maniera preventiva rispetto al climate change. “E’ importante – conclude Di Marco - fare leva sulla flessibilità e sull’adattabilità del settore turistico in relazione alle eventuali modifiche dei suoi ambienti. Vincere d’anticipo insomma, approfittando della grande inerzia del tempo di risposta del clima alle perturbazioni di origine umana”. Se il clima di oggi è il risultato di emissioni passate, quello di domani, giocoforza, dipenderà dalle nostre: è questo il richiamo ad una responsabilità intergenerazionale prima che planetaria, con implicazioni politiche, economiche e profondamente educative per tutti. Ma qual´è il punto di vista degli operatori del turismo? "Un esercito di turisti in movimento che non può essere fermato ma che, in prospettiva, deve rappresentare una grande opportunità. In attesa che gli scienziati stabiliscano e quantifichino rapporti di causa-effetto, sta a noi, operatori del Turismo, coinvolgere i nostri clienti in iniziative e progetti che accrescano la coscienza ed il bisogno di vacanza sostenibile, al servizio di un diffuso monitoraggio della biodiversità e dell´eventuale grado di contaminazione dell´ambiente, anche in senso socioculturale" - dichiara Alberto Corti, Direttore Generale ASTOI. .  
   
 

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