Pubblicità | ARCHIVIO | FRASI IMPORTANTI | PICCOLO VOCABOLARIO
 













MARKETPRESS
  Notiziario
  Archivio
  Archivio Storico
  Visite a Marketpress
  Frasi importanti
  Piccolo vocabolario
  Programmi sul web








  LOGIN


Username
 
Password
 
     
   


 
Notiziario Marketpress di Martedì 02 Ottobre 2007
 
   
  “MILANO PER GIORGIO GABER” UN MESE DI RAPPRESENTAZIONI, INCONTRI, DIBATTITI, LETTURE, PROIEZIONI E SPETTACOLI DEDICATI ALLA FIGURA E AL PENSIERO DEL “SIGNOR G”. MILANO: 29 OTTOBRE – 19 NOVEMBRE 2007

 
   
  Milano, 2 ottobre 2007 - Nulla di Giorgio Gaber era facile. Non era facile guardarlo, con quella calligrafia espressiva quasi impossibile da decifrare e che nemmeno lui, forse, era riuscito a sondare fino in fondo con le innumerevoli possibilità offerte dal vocabolario della sua mimica. Non era facile ascoltarlo, né capirlo. Non perché facesse ricorso ad un linguaggio inaccessibile, tutt’altro. Confrontarsi con le sue verità imponeva e impone il difficile esercizio dell’onestà intellettuale; la scelta di preferirsi persona, piuttosto che “maschera”. Non era facile accettarlo, come non è mai facile quando qualcuno ci mette di fronte al vizio delle nostre finzioni e si trasforma, per noi, in quella particolare qualità di specchio in grado di mostrarci esattamente chi e come siamo dentro. E oggi, come allora, non è facile nemmeno parlarne. Né probabilmente lui avrebbe gradito che lo fosse. Non amava le etichette e forse proprio per questo nel corso della sua esistenza, ha fatto di tutto per evitarle. Risulta infatti impossibile confinarlo nella camicia di forza di una parola, di una formula o di una definizione. Forse perché Gaber andrebbe ascoltato, meditato e lasciato decantare dentro di noi, ma non raccontato. Se non altro perché non esiste un unico Gaber: da quello di “Ciao ti dirò” (1958), scritta insieme a Tenco e pensando ad Elvis, a quello di “Io non mi sento italiano” (2003), il suo ultimo album, uscito postumo, a poco meno di un mese di distanza dalla sua morte. Così come esiste un Gaber diverso per ogni persona da lui raggiunta, conquistata o persa, perché è assai improbabile che il rapporto con lui concedesse vie di mezzo. Gaber e Milano - Quella di Gaber è un’esperienza personale e artistica costellata di incontri importanti. Incontri vissuti sempre con l’intensità unica di una passione e di una dedizione totali, che non ammettevano distrazioni, né digressioni. Ma l’incontro più importante di tutti è senz’altro quello con Milano. Senza Milano non si potrebbe immaginare Gaber. Si mischiavano e si fondevano l’uno nell’altra: impossibile capire dove finisse l’uno e dove cominciasse l’altra. Milano era il suo universo quotidiano nel quale svolgere il tema sul quale non avrebbe mai smesso di interrogarsi e di interrogare: il senso del rapporto tra l’uomo e l’altro da sé; le piccole e grandi cose della quotidianità e il tempo dell’esistere. Milano era soprattutto paradigma universale della forma che la vita andava assumendo nello scorcio più difficile della fine del millennio. Un tempo nel quale l’uomo appariva più che mai divaricato e sospeso, tra il mondo che aveva imparato a conoscere e che ormai non esisteva più, e un mondo che non esisteva ancora e che lui si sentiva incapace di definire e comprendere. Un mondo nuovo, per la costruzione del quale quella Milano, unica metropoli europea in terra d’Italia, crocevia tra Nord e Sud, povertà e ricchezza, civiltà contadina e società industriale, la Milano dell’incanto e del disincanto, del boom e del terrore, dell’ esasperato ed esasperante conflitto tra individuo e massa, era senz’altro il più grande cantiere a cielo aperto del Paese. E di questa Milano di frontiera, con i piedi nel vecchio e la testa nel tempo nuovo, Gaber non ha mai smesso di sondare ogni umore, ogni vibrazione, ogni palpito. Per scoprire e rivelare le ragioni profonde, le contraddizioni insanabili, le tensioni di forze, i meccanismi e gli ingranaggi della vita stessa che nella sua città, ideale e universale palcoscenico, veniva rappresentata con ogni registro: dalla commedia alla tragedia, dal grottesco alla farsa. In questa Milano che amava, profondamente ricambiato, e per la quale aveva scelto di essere “cittadino” ripetendo spesso ironicamente di detestare la campagna. In questa Milano dove aveva trovato la cifra ideale della propria dimensione artistica, anche grazie a Paolo Grassi e al Piccolo Teatro che avevano creduto in lui nel decisivo momento di passaggio dalla televisione al teatro. In questa Milano dove aveva incontrato il pittore Sandro Luporini, compagno di pensiero e parole e co-autore di tutti i lavori teatrali; dove aveva ricevuto le più grandi soddisfazioni professionali come gli innumerevoli esauriti al Teatro Lirico con la gente in coda nella notte per acquistare i biglietti, o gli indimenticabili Capodanno al Palazzetto dello Sport. In questa Milano dove si era sposato con Ombretta Colli nel 1965 nell’Abbazia di Chiaravalle, la stessa nella quale nel 2003 avrebbe ricevuto l’estremo saluto da parte di una folla immensa in coda e dove è ora sepolto, al Famedio del Monumentale, accanto ai figli più illustri della città. Solo in questa Milano Gaber sapeva di poter coltivare l’urgenza delle domande e quello straordinario rigore delle risposte che lo hanno reso e lo rendono una delle voci più alte della cultura italiana. Le ragioni del progetto Gaber è soprattutto impareggiabile navigatore del sé, del senso che hanno o che prendono le cose quando sono in rapporto diretto con l´uomo. Coscienza inquieta perennemente animata dalla febbre e dall’urgenza di interrogarsi e di interrogare nella consapevolezza che, più delle risposte, contano le domande. Voce isolata che dice le cose che gli altri non dicono o si rifiutano di dire; che si oppone alle “finte aggregazioni” e alla “falsa coscienza”; che lotta per cercare una ragione, per inseguire la chiarezza; che rifiuta e combatte la volgarità dilagante; che vuole smascherare le false convinzioni, personali e sociali, che diffida dei finti comportamenti e rifiuta gli slogan propagandistici, a favore della verità e di una ricerca davvero autentica. Voce che denuncia il mutamento quasi antropologico di uomini che gli appaiono al “minimo storico di coscienza", che sanno tutto e non sanno nulla e che, incapaci di reagire di fronte alla dittatura del mercato e di resistere alla seduzione dei consumi, vivono nella pressoché totale mancanza di consapevolezza delle cose importanti ed essenziali della vita. E nella speranza incrollabile che, al di là delle frequenti disillusioni, se cambiasse la testa delle persone, allora anche le cose cambierebbero. In perfetto spirito “milanese”, Gaber amava il suo lavoro. La passione con la quale lo seguiva, glielo faceva considerare una festa, non un sacrificio. Lavorare era, per lui, un privilegio. La scrittura con Luporini nasceva dall’urgenza di intervenire e il teatro era l’unico mezzo possibile dove esprimersi in assoluta libertà e con un’assoluta assunzione di responsabilità. Alla fine di un’intera stagione di teatri sempre esauriti il numero complessivo degli spettatori era pur sempre esiguo se rapportato alle enormi potenzialità del mezzo televisivo. Ma, fedele a se stesso, a Gaber interessava solo l’autenticità di rapporto diretto ed intenso con ciascun spettatore che solo il teatro era in grado di garantire. Ed è proprio in questa direzione che la Fondazione che porta il suo nome vuole proseguire; perché l’opera di Gaber e Luporini, oggi più che mai attuale, possa insinuare nelle nuove generazioni la curiosità per le cose della vita e il tarlo di una riflessione senza compromessi, accomodamenti e finzioni, regalando loro un’occasione unica di confronto, di crescita e di arricchimento. Il dono, prezioso, del dubbio e dell’esercizio del pensiero. .  
   
 

<<BACK