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Notiziario Marketpress di Mercoledì 21 Novembre 2007
 
   
  PER IL BENESSERE SOCIALE NON BASTA LA CRESCITA DEL PIL

 
   
   Firenze, 21 novembre 2007 - Non è vero che ‘si stava meglio quando si stava peggio’, ma non è vero neppure che alla crescita del Pil sia collegata un’equivalente crescita di benessere. In realtà, hanno spiegato nei loro interventi agli Stati generali della sostenibilità Alessandro Vercelli e Stefano Bartolini, docenti di politica economica ed economia politica dell’Università di Siena, ci sono studi che comparano il benessere sociale e la crescita del Pil, in particolare negli Usa, e mostrano come il reddito influisca nella felicità degli individui, ma non in percentuale molto rilevante. «Gli aumenti di reddito fanno aumentare la percezione di benessere – ha spiegato Bartolini - ma ci sono altri fattori che la fanno aumentare di più. Negli Usa, dove dal dopoguerra ad oggi si è avuta una impressionate crescita del Pil, la felicità non è aumentata, ma al contrario è diminuita drasticamente. Questo perché l’aumento del benessere economico è stato più che compensato da altri fattori negativi, in particolare dal calo dei rapporti affettivi, dal peggioramento delle relazioni umane, dalla sfiducia nelle istituzioni. In pratica il Paese più prospero del mondo è popolato da individui infelici, una condizione che in Europa, dove pure la felicità è in calo ma non con trend minori, torna con proporzioni analoghe solo in Gran Bretagna. Perché?». La risposta per Bartolini sta in una caratteristica comune a Stati Uniti e Regno Unito: la cultura della competizione e del possesso. «Una società orientata verso la competizione non funziona socialmente, così come non funziona una società dove ogni competizione è annullata. Serve un giusto mix tra competizione e cooperazione, e servono politiche volte a favorire le relazioni. Molto può essere fatto nelle scelte urbanistiche, nella gestione dei trasporti pubblici, ma anche a livello scolastico, facendo sì che le scuole formino individui con capacità relazionali migliori, e non individui sempre meno capaci di essere felici». Altri settori chiave sarebbero il mondo dei media e della comunicazione, la sanità, il lavoro. «Se vogliamo costruire un’economia migliore – ha aggiunto Vercelli – dobbiamo liberarci dalla schiavitù del Pil, perché è un indice fuorviante, non necessariamente legato al benessere. Esistono indici migliori e dovremmo prendere quelli come punto di riferimento se vogliamo garantire la felicità della generazione presente e di quelle future». Su aspetti più prettamente economici e fiscali si sono, invece, orientati gli interventi di Giorgia Giovannetti ed Alessandro Petretto, ordinari di economia politica ed economia pubblica all’Università di Firenze. «Le nuove tecnologie - ha spiegato la Giovannetti - fanno sì che oggi anche i lavoratori specializzati si sentano minacciati dal mercato globale del lavoro. In Italia ed in Toscana è forte il meccanismo della delocalizzazione delle imprese, specialmente nei settori ‘tradizionali’ come il tessile o le calzature. Questo fenomeno porterà cambiamenti nel mondo del lavoro e serve una buona governance per diminuire le incertezze dei lavoratori sul loro futuro e consentire di fruire degli aspetti positivi dell’internazionalizzazione limitandone quelli negativi. Fondamentale è imparare ad imparare, in un processo di formazione continua».  
   
 

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