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Notiziario Marketpress di Mercoledì 28 Novembre 2007
 
   
  “E´ VIETATO DIGIUNARE IN SPIAGGIA” LA PIÈCE DEDICATA ALLA CARISMATICA FIGURA DI DANILO DOLCI VEDRÀ LA PARTECIPAZIONE STRAORDINARIA DI GIOVANNI DE LUCA, PROCURATORE REGIONALE DELLA CORTE DEI CONTI

 
   
   Gorizia, 28 novembre 2007 – Appuntamento imperdibile lunedì 3 dicembre alle 21 al Kulturni Dom di Gorizia: il “Teatro della Cooperativa” di Milano, in collaborazione con l´Assessorato alle Politiche di Pace e Legalità della Provincia di Trieste, presenta lo spettacolo “E´ vietato digiunare in spiaggia” Ritratto di Danilo Dolci, un testo di Renato Sarti e Franco Però con la regia di Franco Però che ha debuttato in prima nazionale il 16 ottobre al Teatro Valle di Roma (ingresso libero). L’iniziativa è inserita all’interno della rassegna “Un Mese di Pace”, promossa dalla Provincia di Gorizia, assessorato alla Pace, con la collaborazione del Crelp, dell’Associazione Alce, del Cvcs, dell’Associazione Arti Visive e di vari sodalizi locali. Anche se nella sua vita Dolci è stato architetto, sociologo, pedagogo, poeta, narratore, animatore delle lotte per i diritti civili e pacifista e si è occupato dei problemi della fame, dell’acqua, e della mafia in Sicilia e della comunicazione di massa, “È vietato digiunare in spiaggia” tratta soprattutto del famoso processo che Dolci subì per aver organizzato lo sciopero alla rovescia il 2 febbraio 1956, quando con un gruppo di disoccupati ripristinò gratuitamente una strada pubblica di campagna per dimostrare la volontà di lavorare dei “banditi” (così venivano chiamati i disperati che rubavano per fame), al grido di “Nessuno potrà impedirci di lavorare, insieme, disciplinati”. Per protestare contro la disoccupazione e la miseria, invece di incrociare le braccia o assaltare sedi padronali o istituzionali, era intenzione dei manifestanti protestare in modo assolutamente pacifico, sistemando una vecchia strada impraticabile. L’azione non violenta non fu portata a termine per l’intervento delle forze dell’ordine. Dolci fu incarcerato e processato e, nonostante la presenza nel collegio di difesa di uno dei padri della nostra Costituzione Repubblicana, Piero Calamandrei, la cui arringa appassionata si amplificò ben oltre le mura del tribunale palermitano, egli fu condannato assieme ai suoi compagni. Un paradosso, che si fa teatro, capace di evocare l’Italia lacerata di quei tempi. La ricostruzione del processo e della realtà in cui si svolsero i fatti scorre alternando poesie di Dolci, filastrocche dei cantastorie, arringhe degli avvocati e requisitorie del Pubblico Ministero (raffinati esempi dell’arte oratoria), pregnanti testimonianze dei contadini di Partinico, siparietti brechtiani che ricordano la tecnica recitativa straniata dei Pupi siciliani. Sul palco, da una parte cinque attori che di volta in volta danno voce ai poveri, agli avvocati, al pubblico ministero, agli onorevoli che, dopo l’arresto di Dolci, infiammarono la Camera e il Senato con vibranti interpellanze parlamentari, dall’altra un attore, Paolo Triestino, nella figura di Dolci, che ascolta, comprende, traduce in lotta non violenta e amplifica a livello nazionale le tragedie della Sicilia affamata e violenta degli Anni Cinquanta. Lo spettacolo raggiunge il climax nel processo istruito per lo sciopero del ’56. L’intensa arringa, pronunciata da Pietro Calamandrei qualche mese prima di morire si compone di dodici minuti tesi e suggestivi, con riferimento all’articolo 4 della Costituzione e all’Antigone. Al centro della scena c’è il Danilo Dolci poeta e idealista, il combattente con le armi della parola, quella forte, vicina a quella di un altro siciliano, che pure viene ricordato in scena, Elio Vittorini, lo scrittore rivoluzionario che “riesce a porre attraverso la sua opera esigenze rivoluzionarie diverse da quelle che la politica pone; esigenze interne, segrete, recondite dell’uomo che egli soltanto sa scorgere nell’uomo”. Danilo Dolci è stata una personalità riconosciuta a livello internazionale, più volte proposta al premio Nobel per la Pace – e vincitrice di quello che era suo omologo nei paesi dell’Est: il premio Lenin - . Una persona quasi del tutto cancellata dalla memoria collettiva, ma che “sarebbe più noto di quello che è – come affermò il sociologo tedesco Erich Fromm – se la maggioranza degli individui non fosse così cieca davanti alla vera grandezza”. .  
   
 

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