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Notiziario Marketpress di Mercoledì 05 Dicembre 2007
 
   
  CONTRO IL RISCHIO IDROGEOLOGICO SERVE ANCHE L’AUTORESPONSABILITÀ DI TUTTI I CITTADINI COSÌ I RESIDENTI DI BOCENAGO, ROMAGNANO, ROVERÈ DELLA LUNA E VERMIGLIO HANNO VISSUTO I DRAMMATICI GIORNI DEGLI EVENTI ALLUVIONALI NEI QUALI SONO STATI COINVOLTI

 
   
  Trento, 5 dicembre 2007 – “Val di Sole isolata, famiglie sfollate a Vermiglio”, “L’incubo di Romagnano - Frana sul paese, 500 evacuati”, “Frane: altri 600 evacuati – Sgomberati ieri Roverè della Luna e Lases”, “Il Trentino nel fango – Diluvio e smottamenti: un centinaio di sfollati”: sono i titoli delle prime pagine dei quotidiani locali dell’autunno 2000 e 2002, quando alcuni centri abitati come Bocenago, Romagnano, Roverè della Luna e Vermiglio furono colpiti da eventi alluvionali, frane e smottamenti, che misero in pericolo persone, abitazioni, attività economiche. Come reagirono a quegli eventi le comunità locali? Quale fu, prima e dopo quei “disastri”, la percezione e la consapevolezza del rischio da parte dei residenti? Quale la capacità di allertamento e di preparazione dei gruppi e degli individui, le misure di mitigazione, pubbliche e private, attivate? E’ quanto ha cercato di scoprire l’Istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia (Isig) sviluppando una specifica indagine nell’ambito del progetto Floodsite – Analisi e metodi integrati del rischio alluvionale, finanziato dalla Commissione Europea, che ha coinvolto 13 partner di altrettanti Paesi, ed i cui risultati sono stati illustrati oggi pomeriggio nel corso di un incontro pubblico, rivolto in particolare ai soggetti che gestiscono situazioni di emergenza ma anche a coloro che operano per prevenire i danni causati da eventi alluvionali. “Più i servizi preposti sono efficienti – questa la conclusione a cui sembra portare il lavoro dei ricercatori – meno le persone tendono ad adottare comportamenti orientati all’auto-protezione e meno si sentono direttamente responsabili per la propria sicurezza”. Tra i partner italiani del progetto, anche il Dipartimento Territorio e Sistemi Agroforestali (Tesaf) dell’Università di Padova. I temi approfonditi (mediante questionari “faccia a faccia” somministrati a 400 cittadini delle comunità interessate) sono la consapevolezza del pericolo, la preparazione dei singoli e delle comunità ad affrontare un’emergenza, le opinioni delle persone. Dall’analisi emerge soprattutto un dato: l’importanza della corretta informazione e della partecipazione attiva dei cittadini; aspetti, questi, considerati anche nella nuova legislazione comunitaria in corso d’approvazione e che tiene conto anche dei risultati di vari progetti di ricerca, fra cui appunto Floodsite. Introdotto dall’ingegner Claudio Bortolotti, capo della Protezione civile trentina, l’incontro si è sviluppato in tre momenti: una breve illustrazione degli obiettivi della ricerca (Marco Borga, docente di Idraulica e idrologia all’Università di Padova), gli eventi alluvionali a Bocenago, Romagnano, Roverè della Luna e Vermiglio (Roberto Coali del Servizio Bacini montani della Provincia autonoma di Trento), i risultati dell’indagine (Bruna De Marchi e Anna Scolobig dell’Isig). I risultati hanno suscitato molto interesse, in particolare quelli che indicano come i residenti considerino le attività di riduzione e prevenzione del rischio compito esclusivo (o quasi) dei servizi preposti, piuttosto che di tutti i cittadini. Ciò – è stato affermato - è indice di una diminuzione della capacità di auto-protezione che tradizionalmente derivava da un bagaglio di competenze acquisite attraverso la conoscenza del territorio e la trasmissione di molte informazioni e norme di comportamento da generazione a generazione. Si è osservato che, paradossalmente, è proprio l’efficienza dei servizi a favorire la delega, ossia un atteggiamento di minor responsabilità da parte dei cittadini, che tendono a non farsi carico in prima persona della propria sicurezza. L’indagine con questionario conferma il ruolo di primo piano giocato sia dai corpi dei vigili del fuoco, sia dalle strutture della protezione civile provinciale (Servizio Prevenzione Rischi, Servizio Geologico, Servizio Bacini montani, Servizio Foreste) che hanno fornito ai residenti le istruzioni per l’evacuazione e le informazioni più utili per decidere che cosa fare durante l’emergenza. I vigili del fuoco volontari risultano secondi solo alla famiglia e ai parenti come fonti di aiuto durante le alluvioni e le colate detritiche che hanno colpito le località trentine. Seguono il Comune di residenza e le strutture di protezione civile. Nella valutazione dei cambiamenti avvenuti dopo l’evento nella comunità nel suo insieme, i giudizi positivi si concentrano in prima istanza proprio sull’aumento della fiducia nei vigili del fuoco volontari. Altri miglioramenti individuati riguardano la consapevolezza del rischio, il livello di preparazione per eventi futuri ed anche, in misura meno accentuata, la fiducia nella protezione civile. Vigili del fuoco volontari e le strutture di protezione civile rappresentano dunque il principale “catalizzatore” di sicurezza per gli intervistati, ovvero l’elemento che li fa sentire più protetti. La sensazione di sicurezza suscitata è superiore a quella generata dalle opere di protezione strutturali, i sistemi di allerta e la stessa abitazione che, tradizionalmente, tende ad essere concepita come rifugio sicuro. L’indagine (che ha per altro interessato anche altre comunità colpite, quella di Vipiteno in Alto Adige e quelle di Malborghetto e Ugovizza in Friuli-venezia Giulia) ha però messo in luce un elemento di criticità più volte sottolineato dai ricercatori dell’Isig: la delega di responsabilità per la sicurezza, personale e collettiva, ai servizi da parte dei residenti: non solo le attività di gestione delle emergenze, ma anche quelle di prevenzione e mitigazione del rischio, vengono considerate compito esclusivo delle autorità competenti. Tanto è vero che, sia prima sia dopo gli eventi del 2000/2002, quasi nessun residente ha investito personalmente in misure di prevenzione del rischio idrogeologico (ad esempio ripristino delle canalette di scolo, pulizia dei tombini, predisposizione di sacchi di sabbia, manufatti di protezione). La maggioranza degli intervistati non ha adottato misure di protezione perché crede di vivere in una zona sicura e protetta, ma un’alta percentuale dichiara che le adotterebbe se la zona in cui vive venisse ufficialmente dichiarata a rischio. Le mappe del rischio idrogeologico (che distinguono tra zone a rischio basso, medio e alto) previste dalla nuova legislazione comunitaria in materia e dal Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche (Pguap) della Provincia di Trento, possono pertanto costituire un importante strumento di informazione, indirizzato non solo ad incentivare una maggiore consapevolezza del rischio da parte dei residenti, ma anche ad una sensibilizzazione nei confronti dell’adozione di misure di protezione per il proprio nucleo abitativo. Un altro, interessante, capitolo della ricerca riguarda i costi della prevenzione, tema affrontato sia nei focus group sia nelle interviste che nell’indagine con questionario che ha coinvolto i cittadini. Dai primi è emerso come nel dibattito a livello nazionale e locale sulla gestione dei disastri naturali stanno guadagnando rilevanza le questioni relative alla creazione di fondi finanziati dai privati e destinati a risarcire i danni causati dalle alluvioni, ai criteri di distribuzione dei risarcimenti pubblici dopo un evento, nonché al contributo che soggetti pubblici e privati dovrebbero dare per partecipare alla copertura dei costi delle misure di protezione dai rischi idrogeologici. Il problema centrale è la ridefinizione del ruolo che il pubblico e i privati assumono in relazione al rischio. L’orientamento verso la “privatizzazione” del rischio tende a promuovere un trasferimento dei costi della prevenzione dal settore pubblico a quello privato (ad esempio adozione di misure di protezione da parte della famiglia, stipulazione di assicurazioni, eccetera). I risultati dei questionari indicano che la maggior parte degli intervistati sarebbe disposta a contribuire ad un fondo provinciale/regionale per risarcire i danni di un disastro naturale mentre, per quanto riguarda i costi delle misure di protezione, ritiene che debbano essere principalmente gli enti pubblici a farsene carico. Per la verità, gli stessi ricercatori dell’Isig hanno voluto per altro sottolineare come queste conclusioni corrispondano forse solo in parte alla realtà trentina, dove da sempre c’è un’abitudine a “sorvegliare” il territorio, un’attitudine storicamente consolidatasi che è propria delle comunità che vivono, in particolare, in montagna, dove il rischio idrogeologico è connaturato al vivere quotidiano e stagionale Il sistema trentino, oltretutto, si appoggia non solo alle strutture permanenti della Protezione civile ma anche sull’attività e sulla passione di circa 8. 000 volontari, una persona su cinque, che prestano la propria opera rimanendo in media 10 anni nelle varie organizzazioni e strutture del sistema. In questo senso si può dunque affermare come siano proprio le comunità che, attraverso appunto la capillare presenza dei cittadini e di molti giovani in particolare nel volontariato, delegano a se stessi questo compito. Certamente le conoscenze sono enormemente progredite dal punto di vista tecnico e tecnologico e queste vanno oltre la memoria storica e la consuetudine a difendere il proprio territorio che è propria del Trentino. Si tratta dunque – come è emerso dal dibattito conclusivo dell’incontro di oggi - di saldare più organicamente l’una all’altra, soprattutto nelle realtà e nelle aree urbane di fondovalle. In questo la ricerca dell’Isig ha offerto spunti di riflessione utili a recuperare, là dove si sono affievoliti - anche per effetto di fenomeni di mobilità delle persone che hanno cambiato il profilo comunitario dei nostri paesi e delle nostre valli – quei valori che fanno riferimento all’autoresponsabilità dei cittadini. Da questo punto di vista occorre dunque attrezzarci anche sul piano culturale, affinchè diventi patrimonio comune ed elemento, anch’esso, di cittadinanza attiva, la consapevolezza di vivere in un territorio che, a fronte di determinati eventi, può presentare problematicità e rischi. Un lavoro che dovrebbe essere esteso anche alle giovani generazioni, fin dai primi anni di scuola, per continuare ad assicurare al nostro territorio quell’elevato grado di sicurezza sul quale già oggi tutti i cittadini trentini sanno di poter contare. .  
   
 

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