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Notiziario Marketpress di Martedì 11 Dicembre 2007
 
   
  BENZINA MENO GREGGIO UGUALE TASSE POCHI LO SANNO, MA CI SONO TANTI TIPI DI PETROLIO (CON DIFFERENZE DI PREZZO CHE ARRIVANO ANCHE AL 40%). E IL SUO VALORE, IN ALCUNI CASI, INFLUISCE POCO SUL PREZZO FINALE DEL CARBURANTE. ITALIA DOCET

 
   
  Milano, 11 dicembre 2007 - In principio c’è il barile. Pochi sanno cosa sia, ma quando i tg titolano “Prezzo record del petrolio, raggiunti i 100 dollari al barile”, noi sappiamo di doverci preoccupare. D’ora in avanti, infatti, muoverci in auto e riscaldare le nostre case costerà un po’ di più. Il barile, in realtà, è una unità di misura e corrisponde a 159 litri di petrolio, che d’ora in avanti chiameremo “greggio”, la cifra che giornali e tv “sparano” a caratteri cubitali è quella del greggio di riferimento, il Brent del Mare del Nord per quanto riguarda l’Europa e il cui costo è determinato dagli scambi alla borsa di Londra, e il Wti, il greggio texano, quotato alla borsa di New York. “Esistono però molti tipi diversi di greggio”, dice Luigi De Paoli, professore ordinario alla Bocconi ed esperto in economia delle fonti di energia, “ognuno con le sue caratteristiche e con differenze di prezzo che possono superare anche il 40%. Ovviamente anche i prezzi degli altri greggi sono legati all’andamento degli scambi di borsa, in particolare del Wti”. Il greggio si estrae nel Nord Europa, negli Usa, nei paesi arabi, in Centro e Sud America, in Asia, in Africa e persino in Australia e, come dicevamo prima, non tutti i greggi sono uguali. “La caratteristica principale del greggio”, continua De Paoli, “è la leggerezza. Più sarà leggero e più sarà la quantità di benzina e gasolio ottenuti dopo la raffinazione; al contrario, da un greggio pesante si otterrà un maggiore quantitativo di olii combustibili, commercialmente meno pregiati”. A questo punto, per quanto riguarda la benzina, che possiamo definire come il prodotto “nobile” del greggio originario, ricostruiamo brevemente la filiera: il greggio viene estratto, poi trasportato (per quanto riguarda l’Italia soprattutto su petroliera e proveniente da Medio Oriente, Nord Africa e Russia) e portato in raffineria. Una volta raffinato, la benzina ottenuta deve essere stoccata in deposito e poi distribuita sul territorio nazionale con diversi sistemi di trasporto per arrivare finalmente alla pompa. “Su un prezzo medio alla pompa fissato in questo momento a 1,35/1,36 euro al litro”, continua il professore della Bocconi, “tutta la filiera descritta prima e che definiamo come ‘prezzo industriale’, incide per il 40% circa. Un altro 40% è costituito dall’accisa, un tributo indiretto che grava su determinati prodotti come appunto i prodotti petroliferi e i tabacchi, il restante 20% dall’Iva. Se volessimo poi scomporre ulteriormente, potremmo aggiungere che il 40-42% che abbiamo definito come prezzo industriale è in realtà un 30% di costo del greggio più il trasporto, un 6% di raffinazione e il 5-6% di distribuzione più guadagno del benzinaio. Quando si verificano aumenti o diminuzioni del prezzo del greggio, quindi, si devono intendere variazioni che incidono solo sul 30% circa di quello che sarà poi il prezzo finale della benzina”. Su 1 euro e 36 centesimi di quello che paghiamo la benzina al litro oggi (dicembre 2007), quasi 80 centesimi se ne vanno dunque in tasse. Tanto, sicuramente, ma non si tratta di un’anomalia italiana. In Europa, se si considerano i paesi con un’economia sviluppata e stabile, la tassazione sulla benzina è in genere elevata e il prezzo finale al pubblico abbastanza omogeneo. Le cose cambiano se si parla degli Stati Uniti. “Fatte salve le differenze tra i singoli stati, che comunque sono di scarso rilievo, il prezzo della benzina per esempio in California è di 55 centesimi di euro al litro. Ma, è questo l’aspetto più interessante”, spiega infatti De Paoli, “solo il 20% della cifra è determinato dalla tassazione. Il resto è tutto costo industriale”. Dietro l’apparente scarsa voracità del fisco americano vi è una concezione del “bene benzina” diametralmente opposta rispetto a quella europea. “Negli Usa da sempre la benzina è considerata un bene di prima necessità”, dice De Paoli, “in Europa invece un bene di lusso. Ecco quindi le ragioni della scarsa tassazione. Tuttavia le cose stanno lentamente cambiando, e anche negli Usa c’è chi si interroga se sia giusto proseguire su questa strada. Due sono infatti le criticità: da un lato, la sempre maggiore dipendenza dalle importazioni; dall’altro, proprio gli Stati Uniti assieme alla Cina sono i maggiori responsabili della produzione di gas serra. Un prezzo della benzina più alto aiuterebbe a ridurre le importazioni di petrolio e le emissioni di Co2”. Tuttavia non bisogna farsi illusioni, visto che in Europa, dove la benzina è cara, l’auto rimane un mezzo molto usato. “La domanda di benzina non è molto elastica al prezzo”, dice ancora l’economista bocconiano, “per usare una terminologia economica. In altri termini il consumo di benzina scende molto meno di quanto non salga il prezzo. C’è però anche un’altra strada per risparmiare benzina: usare mezzi di trasporto meno voraci. Questo può avvenire sia migliorando l’efficienza dei motori sia diminuendo le dimensioni e il peso delle automobili. Ed è ben noto che gli americani amano i suv ed hanno auto di cilindrata decisamente superiore a quelle europee”. Meno suv e più utilitarie è lo slogan che può salvare il pianeta o forse solo il primo passo nella giusta direzione. .  
   
 

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