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Notiziario Marketpress di Giovedì 06 Luglio 2006
 
   
  AFFARI... PUBBLICI LO STUDIO DELL´ECONOMIA NON RIGUARDA SOLO LA SFERA DEL PRIVATO. SEMPRE PIÙ RILEVANZA HANNO GLI STUDI SULL´AMMINISTRAZIONE PUBBLICA. PERCHÉ, COME SPIEGA ELIO BORGONOVI, SONO ALLA BASE DEL BUON GOVERNO

 
   
  Milano, 6 luglio 2006 - Si infiamma subito il professor Elio Borgonovi quando si parla di Economia delle amministrazioni pubbliche, la materia che insegna alla Bocconi e alla quale si dedica da trent’anni. Un intervallo di tempo durante il quale ha rafforzato la convinzione che la sua sia “una delle materie più importanti da studiare in un percorso di laurea in economia. Innanzitutto per sconfiggere il pregiudizio che nel settore pubblico tutto vada male, ma poi perché la Pa è un problema in quasi tutti i paesi del mondo”. Anche nel nostro, a giudicare dagli ultimi conti del neoministro Padoa - Schioppa. I problemi non riguardano solo quel settore. La verità è che i guai dell’amministrazione pubblica fanno più notizia. Forse perché dallo stato si pretende l’infallibilità. Basterebbe un servizio adeguato ai contributi versati… Ma in parte è già così. Un’indagine dell’Organizzazione mondiale della sanità ha dimostrato, per esempio, che il nostro servizio sanitario nazionale, in termini di rapporto tra qualità e costi è il secondo migliore al mondo. Eppure le pagine dei giornali continuano a essere piene dei casi di malasanità, che, per giunta, molto spesso sono da attribuire a errori umani, oppure fatalità che rientrano nelle statistiche normali quando si hanno dieci milioni di ricoverati, per un totale di 90 milioni di giorni di degenza e centinaia di migliaia di interventi all’anno. Quali sono, invece, i problemi della sanità italiana sui quali si lavora a lezione? A detta di tutti gli esperti, la sanità è l’organizzazione che occupa il primo posto nella scala della complessità perché ci sono variabili di comportamento strutturali, che incidono nell’organizzazione, nei costi, nell’efficacia del servizio, ma che non si possono regolamentare del tutto. C’è, insomma, un grande capitolo legato all’autonomia del medico, al quale non posso dire, come al ragazzo che fa i panini da Mcdonalds, quanto deve far cuocere l’hamburger, quanta senape deve mettere e dopo quanti minuti deve buttare via il panino avanzato. Il medico deve poter agire in autonomia per il bene del paziente. Allora, se poi questo medico sbaglia, si può davvero farne una colpa strutturale? I problemi della Pa sono dunque innanzitutto difetti di immagine? No. Io dico però che in Italia il 45% della ricchezza passa attraverso il settore pubblico, cioè serve per dare servizi ai cittadini che spaziano dai trasporti al gas, dal vigile urbano alla scuola, dal letto in ospedale al giudice, dalla difesa militare all’acqua del rubinetto. Il tutto per 365 giorni all’anno, in tutta Italia, a un numero esorbitante di clienti. Di fronte a queste cifre, il primo errore che si fa, allora, è non considerare la Pa come un’azienda, che deve fornire dei servizi, avere un management capace, una politica precisa di gestione delle risorse umane, un proprio marketing, un adeguamento alle nuove tecnologie che la renda competitiva… Tutti concetti che oppongo da tre decenni al pregiudizio diffuso. È per questo che, al momento di cominciare il percorso di laurea, molti studenti si immaginano un futuro in azienda, pochi nelle Pa? Penso di sì. Credo sia un problema di ignoranza, perché molti sanno come funziona un negozio, che cosa c’è dietro, ma pochi conoscono i meccanismi di un ospedale, di un comune o di una scuola. Quando scoprono questo mondo si convertono, in parte attirati da un tipo di preparazione molto professionalizzante ma meno tecnica rispetto ad altri indirizzi di laurea, ma soprattutto convinti dai possibili sbocchi professionali. Ancora l’idea del posto fisso e assicurato per tutta la vita? No, quello non esiste quasi più. Un po’ perché anche il settore pubblico ha introdotto contratti a termine, a progetto, stage, e poi perché gli sbocchi dei laureati si aprono anche in tutte quelle imprese, private, che hanno l’amministrazione pubblica come proprio interlocutore principale. I miei laureati più recenti, per esempio, sono stati assunti alla Cattolica assicurazioni per sviluppare una polizza in campo sanitario e nella Banca Intesa infrastrutture e sviluppo. No, quello che attira gli studenti è la possibilità di ricoprire posizioni molto interessanti e responsabilizzanti. Anche più che nel privato. E con stipendi, ormai, non inferiori. Nel pubblico occorre più responsabilità personale che nel privato? Credo di sì. Voglio ricordare che la Pa è il più grosso comparto dell’economia del nostro paese e pesa per il 45% sul prodotto interno lordo. Se non applichiamo una gestione efficiente e rigorosa, di tipo manageriale, saremo sempre in difficoltà. Inoltre io sollecito sempre i ragazzi a pensare che, quando occuperanno un posto nella Pa, non saranno lì per applicare una legge o una procedura standard, ma per ragionare come offrire il prodotto migliore al proprio cliente, che potrebbe essere la loro mamma, la loro nonna, il loro fratello. E’ un modo per abituarli a pensare, come accade in altri paesi, che se un bene è pubblico è di tutti e non, come si crede in Italia, di nessuno. Le sono bastati trent’anni per riuscirci con qualcuno? L’unico modo per insegnare questo modo di pensare è dimostrarlo con la propria esperienza. Questo credo di averlo fatto. Ogni tanto mi capita di sentire che qualcuno presente alle mie lezioni commenta “quello ci crede davvero a quello che dice”. Forse pensa di compatirmi, in realtà, per me, è il complimento più bello. .  
   
 

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