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Notiziario Marketpress di Martedì 25 Marzo 2008
 
   
  ALL’ELFO L’IGNORANTE E IL FOLLE DI THOMAS BERNHARD

 
   
  Milano, 25 marzo 2008 - Rappresentato per la prima volta al Festival di Salisburgo nel 1972, L´ignorante e il folle, secondo testo teatrale di Thomas Bernhard (dopo Una festa per Boris) venne diretto, come il precedente, da Claus Peymann, regista a cui il drammaturgo austriaco affidò gran parte dei suoi lavori. Il debutto fu segnato da forti polemiche, come lo furono poi tanti altri spettacoli di questo grande scrittore che non smise mai di criticare con amore, odio e humour il suo paese, la società in cui viveva e la nostra epoca. Dalle prime battute il testo, in due atti, si presenta come una parodia dai risvolti macabri, nella quale personaggi inebetiti o lucidamente folli si compiacciono in discorsi senza scopo, alternando disquisizioni sul senso dell’arte alla minuziosa descrizione di autopsia. All’elfo gli spettatori prenderanno posto in una platea disposta a semicerchio intorno alla scena che svela l’intimità di un camerino drappeggiato di tende rosse e invaso da rose, anch’esse rosse: il colore del teatro. Siamo all’Opera, dove sta per andare in scena Il flauto magico, tuttavia la sovrabbondanza di fiori carica l’aria un sentore funereo, quasi da una camera mortuaria. Il padre della soprano che interpreta la Regina della Notte e un amico Dottore aspettano impazienti l’arrivo della donna e ingannano il vuoto dell’attesa, (un vuoto che assume connotati esistenziali) l’uno stordendosi con l’alcol e l’altro con una sadica descrizione dei suoi interventi sui cadaveri: il corpo umano è una macchina, estremamente fragile, come delicato è strumento della voce sublime della cantante, un dono di natura affinato da un implacabile sforzo tecnico che riduce l’artista a puro meccanismo. Così, sostiene il Dottore, anziché essere esaltazione e salvezza per l’individuo, l’arte si rivela per quello che è: artificio, espediente. Bernhard disorienta lo spettatore con scarti drastici da un argomento all’altro, improvvise espressioni sentenziose e associazioni di senso che sembrano nascere proprio in quell’attimo nella mente dei personaggi e il cui significato emerge lentamente: «alla smania di perfezione dell’artista – sottolinea Eugenio Bernardi nella sua introduzione al testo – lo scienziato oppone la smania di analisi, ai gorgheggi i risonanti vocaboli latini, alla schizofrenia l’autopsia». Nelle parole del dottore, come di altri personaggi bernhardiani, è incessante il tentativo di «riflettere sulla situazione, trasformare il presente in una condizione filosofica» nel disperato tentativo di dare un ordine e un senso alla realtà. Il primo atto si conclude in un crescendo parossistico: l’arrivo della cantante e la sua entrata in scena sono scanditi dal ripetersi di gesti banali, carichi delle ossessioni e degli incubi di ogni artista prima della prima. L’orchestra sta già suonando e la donna si abbandona al panico: il suo costume è destinato a strapparsi, la corona le cadrà dalla testa, sarà costretta a dare forfait. Forse è questo che desidera, ma alla fine, come ogni sera, andrà in scena. Non c’è scampo per i personaggi di Bernhard, quanto più cercano di sradicarsi dal ruolo in cui si ritrovano, tanto più hanno la sensazione di ripetere atteggiamenti già vissuti sperimentati in passato. Nel secondo atto ritroviamo i tre personaggi riuniti al ristorante dopo lo spettacolo, soli e circondati da vasche popolate di aragoste che si muovono mute in attesa della morte. Potrebbero festeggiare un successo, invece, assecondati da un cameriere, proseguono i discorsi precedenti, intenti a sezionare la vita in punta di forchetta. Sembrano sull’orlo di un baratro che non sanno vedere: ciechi, alcolizzati, folli (o forse solo umani) sono destinati a precipitare nelle tenebre della mente e dell’oscurità che interrompe lo spettacolo. Ferdinando Bruni e Francesco Frongia sono di nuovo insieme alla regia, dopo gli esiti felici di Sdisorè e della Tempesta, ma il clima e gli interpreti di questo nuovo spettacolo rimandano più che altro a titoli di un decina di anni fa, quando lo stesso Bruni e Ida Marinelli si “sfidavano” sulla scena a colpi di parole in Quartett di Heiner Müller o in Decadenze di Steven Berkoff. A lui spetterà infatti dare voce e corpo all’inarrestabile e maniacale ragionare del Dottore (ruolo che al debutto fu di Bruno Ganz), mentre la Marinelli avrà il fascino e la svagatezza della Regina della Notte; Luca Toracca sarà un Padre instabile e confuso e Corinna Agustoni interpreterà le figure silenziose ed enigmatiche della signora Vargo e del cameriere Winter. .  
   
 

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