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Notiziario Marketpress di Mercoledì 30 Aprile 2008
 
   
  TRENTO: VIA ALL’ABBATTIMENTO DELLA FUNIVIA FAI-DOSSO LARICI DEMOLITI NEGLI ULTIMI VENT’ANNI 105 VECCHI IMPIANTI A FUNE TRA POCHE SETTIMANE L’INIZIO DEI LAVORI, POI TOCCHERÀ AD ALTRI 5 IMPIANTI

 
   
  Dopo essere stati assicurati, verranno segati alla base con taglio al diamante e fatti cadere. Come fanno i boscaioli con gli abeti. Spogliati delle parti in legno e acciaio (20 tonnellate tra cancelli, scale, profilati, bulloni…), verranno quindi ridotti in blocchi tali da poter essere trasportati fino al cantiere principale, dove verranno ulteriormente fatti a pezzi, ripuliti di tutte le armature metalliche sporgenti, quindi ormai ridotti a macerie portati in discarica. Questo il destino che attende nei prossimi mesi – il cantiere sarà aperto a breve dalla ditta che eseguirà i lavori appaltati dalla Provincia - i cinque sostegni di linea, dal numero 2 al numero 6, della tratta “Fai-dosso Larici” della ex funivia della Paganella. Alla rimozione dei vecchi “piloni” in calcestruzzo armato (550 metri cubi di cemento complessivamente), a forma di tronco di piramide, con interno cavo e alti dai 9 ai 25 metri, che sostenevano il secondo tratto della funivia, seguirà la bonifica delle aree di cantiere, la chiusura delle tracce aperte per raggiungere i sostegni e il ripristino di tutte le superfici occupate durante i lavori. Dopo la demolizione della seggiovia Riva-bastione, cadrà così entro la fine dell’estate un altro, il più importante, tra i “piccoli ecomostri” di cemento dei vecchi impianti a fune dismessi ma ancora presenti sul territorio. Un’opera demolitoria, quella voluta dalla Provincia e prevista dalla legge 7/1987, iniziata dieci anni fa e che non si fermerà qui: dopo la Fai-dosso Larici toccherà alla seggiovia Carbonare-cornetto, a due sciovie di Folgaria e alla sciovia ai Zendri di Vallarsa. “Se consideriamo i dati generali, confrontati con altre zone turistiche vicino a noi – sottolinea l’assessore provinciale al turismo Tiziano Mellarini - non possiamo non notare come in Trentino siano stati eliminati circa 100 impianti di risalita a conferma dell’attenzione per il territorio e per il continuo investimento in innovazione delle strutture”. L’intervento di rimozione dei sostegni della Funivia della Paganella (opera progettata dall’ingegner Wisniska di Bressanone il cui primo tratto Zambana-fai venne inaugurato nel 1925, seguito cinque anni dopo dalla Fai-dosso Larici), è l’ultimo in ordine di tempo – certo la “vittima” più illustre della legge 7 – di decine di interventi. “Un’opera di recupero e pulizia – spiega l’assessore al turismo Tiziano Mellarini – che testimonia l’attenzione che la nostra provincia mostra verso l’aspetto, ritenuto in altre regioni secondario, del ripristino e della demolizione delle vecchie strutture impiantistiche inutilizzate, un’azione difficile ma indispensabile, che dimostra come l’ambiente non possa essere sottovalutato ma anche che gli impianti di risalita sono delle strutture reversibili, che spariscono del tutto una volta smantellati le parti in cemento e in metallo”. In questi ultimi anni le opere demolite ed i terreni recuperati sono decine (33 i siti interessati da impianti a fune finora oggetto di ripristino ambientale), così come decine sono le piccole stazioni sciistiche che affollavano il Trentino e che sono letteralmente sparite nel nulla. Con l’apertura del cantiere sulle pendici della Paganella si chiude momentaneamente un capitolo di storia, che ha portato il numero degli impianti di risalita trentini alla riduzione di un terzo, con il recupero di intere zone all’ambiente iniziale. La precedente legge regionale di settore, del 1971, già prevedeva la possibilità da parte delle Province autonome di Trento e di Bolzano di imporre il ripristino ai concessionari, ma non c’era un obbligo effettivo, come ha poi previsto la legge 7 del 21 aprile 1987 (art. 22). In qualche caso i concessionari hanno provveduto, più spesso gli impianti sono stati solo parzialmente demoliti, lasciando abbandonati sul terreno “resti” minimali quali, ad esempio, la stele in cemento che un tempo sorreggeva la puleggia di rinvio ovvero il motore di trazione, oppure qualche plinto di fondamenta. Piccoli “ecomostri”, se vogliamo chiamarli così, censiti e “caratterizzati” in questi anni dal Servizio Impianti a fune della Provincia autonoma, e che in alcune situazioni appare persino opportuno non demolire per non creare un danno ambientale ulteriore. Alcuni non sono nemmeno più visibili, ormai mimetizzati nella vegetazione del bosco che li ha ricoperti. In altri casi, come per le costruzioni annesse agli impianti funiviari e che ospitavano le stazioni di partenza e di arrivo, è cambiata, lasciando che siano i Comuni a decidere, la destinazione d’uso dei manufatti. Ciò accadrà, ad esempio, anche per il primo dei 6 sostegni e per la stazione intermedia della funivia Fai-dosso Larici, che verranno riutilizzati dal Comune di Fai. Mentre ancora da valutare, sempre per quanto riguarda la funivia della Paganella, la compatibilità di un intervento (che appare molto complesso) di demolizione delle strutture sopravvissute del primo tronco. Lo sviluppo impiantistico in Trentino La storia degli impianti a fune in Trentino – che è un po’ anche la storia del turismo invernale in questa terra - ha una data d’inizio precisa, il 1891, quando il nobile Leopoldo de Pilati chiese al Capitanato Industriale di Trento il permesso amministrativo per la costruzione di un impianto a fune, destinato al trasporto a valle del legname tagliato sul Monte del comune di Mezzotedesco, come si chiamava un tempo l’attuale Mezzocorona. La “barcèla” – così veniva chiamata dai locali – qualche volta faceva pure trasporti “eccezionali”, portando giù anche uomini, donne ed emozionati bambini: si stava seduti dentro una scatola di legno, stringendo le mani al telaio in ferro rivestito da un telo che il vento faceva sbattere contro il corpo. I primi impianti destinati a portare in quota gli sciatori li costruì, negli anni Trenta sul Monte Bondone, per poi passare già prima del secondo conflitto mondiale a Campiglio con il primo skilift al Passo Campo Carlo Magno, la storica azienda Graffer. Al 1925 risale l’inaugurazione del primo tratto della funivia della Paganella (2130 metri di lunghezza, 760 metri di dislivello, due cabine con velocità di 2,5 metri al secondo e una portata di 14 persone per tratta), gran parte del quale venne spazzato via trent’anni più tardi dalla frana che interessò l’abitato di Zambana, ma che non bloccò la volontà dei trentini di raggiungere in breve tempo la loro cima preferita. Nel 1957 entrò così in servizio la Direttissima della Paganella: era “l’ascensore delle Dolomiti”, ardita funivia progetta dal professor Ugo Carlevaro, mentre i rilievi geologici vennero eseguiti da Ardito Desio, che da Lavis portava alla vetta in un unico tronco, compiendo un tragitto di 3383 metri e superando un dislivello di 1860 metri, con due classiche cabine da 40 persone che viaggiavano ad una velocità di 8 metri al secondo. Dai primi anni Cinquanta inizia dunque lo sviluppo vero e proprio degli impianti a fune in Trentino. Nel 1953 c’erano 38 impianti (22 seggiovie, 13 skilift e 2 funivie), che diventano 156 a metà degli anni Sessanta segnati dal boom degli skilift, e 341 (il massimo storico) nel 1980 con 101 seggiovie, 220 sciovie e 18 funivie. Da allora si assiste ad un costante calo, determinato dall’avvento degli impianti ad ammorsamento automatico, che moltiplicano le portate orarie e mandano in pensione le vecchie seggiovie ma anche impianti funiviari bifune. Negli ultimi vent’anni gli impianti sono diminuiti di 105 unità (le sciovie sono passate da 220 a 58), molte piccole stazioni sono sparite (l’ultima in Val Calamento). A fine 2006 erano in esercizio in Trentino 236 impianti: 72 funivie monofune, 11 funivie bifune, 92 seggiovie, 61 sciovie, per una lunghezza totale di circa 233 chilometri ed una portata oraria complessiva di 318. 993 persone. Dieci impianti si sono aggiunti nel corso del 2007, portando a poco meno di 40 il numero di impianti per chilometro quadrato di territorio provinciale. Una densità inferiore a quella di Alto Adige (50,7), Tirolo (94,6), Vorarlberg (124,5). .  
   
 

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