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Notiziario Marketpress di Giovedì 08 Maggio 2008
 
   
  LA DISOCCUPAZIONE IN TRENTINO GIOVANI E LAVORO: SOTTO LA MEDIA NAZIONALE

 
   
  Trento, 8 maggio 2008 -  Per trovare un lavoro non impiegano, mediamente, più di un mese, ma soffrono l’assillo della scadenza dei contratti a termine (in crescita in Trentino, dove sono molto più diffusi che nel resto d’Italia) e il doversi spostare da casa, condizioni che spingono oltre la metà di loro a rifiutare le proposte di impiego offerte. Hanno difficoltà a trovare un’occupazione coerente con il proprio titolo di studio, le capacità personali e le competenze maturate. Molti di loro (40 per cento), in particolare chi è laureato, lamentano di essere usciti dal percorso formativo e di studio con carenze e lacune nella conoscenza delle lingue straniere, nell’uso del computer, nella capacità di lavorare in gruppo, nelle abilità comunicative e relazionali. Sono i giovani disoccupati trentini, ragazzi tra i 18 e i 30 anni, “fotografati” da una serie di indagini svolte in collaborazione tra l’Opes (Osservatorio permanente per l’economia, il lavoro e per la valutazione della domanda soiale) e il Servizio Statistica della Provincia, i cui risultati (vedi la sintesi in allegato) sono stati illustrati oggi nel corso di un seminario alla Sala Rosa della Regione. Perché questa ricerca? Lo ha spiegato, aprendo il seminario, l’assessore alle politiche sociali e al lavoro Marta Dalmaso, ricordando i motivi di preoccupazione emersi un paio d’anni orsono in seguito alla divulgazione da parte dell’Istat dei dati relativi alla disoccupazione giovanile in Trentino, che indicavano il fenomeno nella misura del 12 per cento. “Dati che ci avevano sorpreso – ha affermato Dalmaso – e che abbiamo voluto verificare, volendo però acquisire un quadro più approfondito di elementi, tali che ci permettessero di andare oltre e dietro un fenomeno al quale il governo provinciale ha sempre riservato grande attenzione. I giovani, infatti, sono una grande ricchezza, oltre che per se stessi, per tutta la società. E’ però importante guardare in faccia la realtà, non solo per quanto riguarda le reali dimensioni del fenomeno ma anche la percezione che se ne ha. Vi sono domande, dei giovani e delle loro famiglie, ad esempio in relazione al ritorno derivante dall’investimento che viene fatto sulla formazione dei giovani, che rimandano a difficoltà alle quali va data risposta”. E se il tema principale, evidenziato anche dalla ricerca presentata oggi, è quello legato alla precarizzazione del lavoro, che porta con sé altri ambiti d’incertezza che investono l’intera sfera della vita, ecco dunque che “occorre creare condizioni di contesto che aiutino i giovani ad affrontare la flessibilità”. Il Rapporto (in realtà si tratta di quattro distinte ricerche) offre un primo dato – evidenziato dal professor Antonio Schizzerotto, il curatore della ricerca - che marca una significativa diversità tra la realtà locale e quella nazionale: la disoccupazione giovanile in provincia di Trento, pari al 6,2 per cento (8,3 per cento le donne, 4,5 per cento gli uomini), possiede un carattere ampiamente frizionale, non derivante dalla difficoltà di trovare un impiego bensì dalla conclusione di contratti di lavoro di carattere temporaneo. La Disoccupazione Giovanile In Trentino: Sintesi Delle Ricerche Il volume presentato oggi da Opes e Servizio Statistica raccoglie i risultati emersi da quattro indagini volte ad esaminare i lineamenti principali della disoccupazione giovanile in Trentino e i fattori oggettivi e soggettivi che la sottendono. La prima, costituita da un’analisi secondaria dei dati raccolti dall’Istat nel 2006 (attraverso la Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro), ha posto in luce due elementi: il tasso medio di disoccupazione dei soggetti in età compresa tra 18 e 30 anni si è attestato sul 6,2% - un valore relativamente contenuto rispetto alle medie nazionali e, ciò che più conta, sostanzialmente stabile nel tempo – e la proporzione dei soggetti alla ricerca del primo impiego è pari al 30,9% contro una media nazionale del 51,2%. Il numero dei contratti di lavoro temporaneo si è notevolmente espanso negli ultimi tempi. Infatti, tra i giovani trentini di 18-30 anni gli assunti a tempo determinato sono giunti, nel 2006, a rappresentare il 32,4% dei dipendenti mentre erano il 26,5% nel 2004. Inoltre, queste forme contrattuali risultano oggi molto più diffuse in Trentino che nel resto d’Italia. A livello nazionale, infatti, circa un quinto (il 21,6%) dei dipendenti di 15-34 anni ha un contratto a tempo determinato, mentre nella nostra Provincia ne sono coinvolti oltre un quarto (26,0%) dei giovani assunti. In Trentino, più che in Italia, la disoccupazione giovanile riguarda principalmente le giovani donne (nel 2006, esse scontano un tasso di disoccupazione dell’8,3%, gli uomini solo del 4,5%). L’incidenza della disoccupazione è maggiore nei laureati rispetto ai giovani con credenziali educative inferiori. Il tasso di disoccupazione dei primi si attesta, infatti, al 7,7%, quello dei diplomati al 6,7%, quello dei licenziati dalla scuola media inferiore al 6,1%, infine, quello dei qualificati dai Centri di formazione professionale al 4,3%. Un risultato, avvertono però i curatori della ricerca, che va però preso con cautela: non è detto, infatti, che un tasso di disoccupazione, diciamo così istantaneo, di valore elevato indichi reali e persistenti difficoltà di inserimento occupazionale. Lo studio presentato si compone di altre tre indagini costituite da rilevazioni empiriche. La prima di esse ha riguardato un campione di giovani residenti in Trentino di età compresa tra i 18 e i 30 anni. Sono stati intervistati 132 soggetti in cerca di occupazione e 687 occupati. Tale indagine conferma che la configurazione della disoccupazione giovanile in Trentino è assai diversa da quella nazionale. Infatti, la componente di giovani alla ricerca del primo impiego appare assolutamente minoritaria e ancora più contenuta (15,4%) di quanto non emerga dai dati Istat precedentemente ricordati. La maggioranza dei giovani disoccupati trentini è, dunque, formata da soggetti privi di impiego perché il loro contratto è giunto a scadenza (43,8%). A essi vanno aggiunti tutti coloro – circa un quarto (25,8%) dei giovani disoccupati complessivi – che, sebbene si siano dimessi o (molto di rado) siano stati licenziati, lavoravano a tempo determinato o con contratti a scarsa tutela giuridica ed economica. La durata media della ricerca del primo impiego e quella di eventuali successivi episodi di disoccupazione risulta assai breve (inferiore al mese), con una sostanziale omogeneità di comportamenti e di atteggiamenti tra i giovani disoccupati e quelli occupati. Il tempo occorso ai disoccupati per trovare l’ultimo lavoro svolto è pressoché identico a quello occorso agli occupati per trovare l’impiego attuale. Anche per quel che concerne l’impiego ideale, ossia come i giovani vorrebbero che fosse il proprio lavoro, disoccupati e occupati tendono ad avere le medesime aspettative. Essi si attendono, prima di tutto, che li interessi, che si tratti di un impiego stabile e che consenta loro di manifestare ed utilizzare le proprie capacità. Si dichiarano, invece, poco interessati alla possibilità di fare carriera e al carico di incombenze richiesto. Altre somiglianze significative tra disoccupati e occupati emergono dalle motivazioni addotte per il rifiuto di proposte di impiego che, in entrambe le categorie di soggetti, ha riguardato oltre la metà di essi. Le ragioni più frequentemente richiamate riguardano la mancanza di garanzie di continuità del rapporto di impiego e la lontananza del posto di lavoro dalla propria abitazione. Quest’ultima motivazione di rifiuto, che desta con una certa preoccupazione in presenza di un’economia sempre più globale, trova riscontro anche nelle dichiarazioni dei responsabili delle agenzie di offerta di manodopera che operano sul territorio provinciale. Gli unici elementi di differenziazione manifestatisi tra i due gruppi di individui sono riconducibili alla diversa estensione della storia lavorativa e, dunque, al diverso grado di sviluppo delle carriere personali. I disoccupati si trovano da meno tempo nel mercato del lavoro e, perciò, in una fase della vita professionale ancora caratterizzata da molti elementi di incertezza. Mentre oltre la metà degli occupati ha già raggiunto la stabilità, solo poco più di un decimo dei disoccupati aveva, in relazione all’ultimo lavoro, un contratto di impiego a tempo indeterminato. Inoltre, tra i disoccupati, la quota di chi ritiene di aver fatto un lavoro privo di connessioni con la propria preparazione scolastica (il 45,1%) è quasi doppia di quella degli occupati (il 27,4%). Il rapporto tra la formazione scolastica e il lavoro. Due gli elementi da mettere in luce. Il primo è rappresentato dalle lacune conoscitive rilevate dai giovani trentini: circa i due quinti dei disoccupati e un’analoga quota degli occupati ne lamentano almeno tre (conoscenza delle lingue straniere, capacità di usare i calcolatori e competenze tecnico-professionali specifiche, capacità di lavorare in gruppo e nelle abilità comunicative e relazionali). Sorprendentemente, tra i disoccupati sono i laureati a lamentare più spesso queste carenze. Il secondo elemento di rilievo in materia di rapporti tra formazione scolastica e lavoro, emerso dall’indagine, è costituito dal fatto che la sovrarapprentazione dei laureati tra i disoccupati non indica reali e persistenti difficoltà di inserimento occupazionale. Considerando, infatti, la storia lavorativa degli intervistati con diverso livello di istruzione dal momento della conclusione degli studi, si può rilevare che i rischi di disoccupazione tra i laureati declinano molto più rapidamente di quanto non accada tra i diplomati di scuola media superiore, i possessori di qualifica professionale o di licenza media. In altre parole, o questi ultimi trovano immediatamente lavoro, non appena ultimato il processo formativo, oppure, se la ricerca del primo impiego non ha successo immediato, essi si trovano esposti a un rischio di disoccupazione superiore a quello dei laureati. La seconda delle indagini empiriche che compongono lo studio ha riguardato le assunzioni di giovani in età inferiore ai 31 anni, effettuate da un campione di imprese locali con almeno 3 dipendenti nel periodo giugno 2004 – maggio 2006. Da questa indagine emerge che il 9,1% dei contratti stipulati negli ultimi due anni ha riguardato impieghi ad elevato contenuto professionale, per un ammontare di oltre 1800 contratti stipulati ogni anno. Si tratta di una quota solo di poco inferiore al numero di giovani che, in media, ogni anno si laureano nell’ateneo trentino. La rilevazione mostra poi che i datori di lavoro selezionano il personale mostrando attenzione più alle precedenti esperienze professionali che al titolo di studio. Altro elemento degno di nota emerso dall’indagine sulle imprese trentine è rappresentato dal fatto che esse esprimono una domanda di lavoro piuttosto dinamica nei confronti dei giovani. In due anni sono stati stipulati oltre 40. 000 contratti di lavoro con giovani e meno di 35. 000 con individui di età superiore a 30 anni. L’ultima delle rilevazioni empiriche che compaiono nel rapporto è costituita da interviste ai responsabili di sei agenzie di lavoro interinale ubicate nella città di Trento. Da esse emerge che la maggior parte delle richieste di lavoro provenienti dalle imprese trentine (di qualsiasi dimensione) riguarda mansioni a medio-basso contenuto professionale. Traspare, poi, che i datori di lavoro sono poco propensi ad iniziare nuove collaborazioni per mezzo di assunzioni a tempo indeterminato. E si configura, infine, il fatto che i giovani residenti in provincia desiderano, innanzitutto, trovare un lavoro stabile e vicino alla propria abitazione. I responsabili delle agenzie di offerta di manodopera affermano che l’avversione dei giovani trentini verso la mobilità, anche intra-provinciale, è tanto diffusa da aver indotto alcune filiali ad aprire nuove sedi, sparse sul territorio provinciale. Gli intervistati in questione, in aggiunta a tutte le conclusioni che precedono, hanno espresso l’opinione che le discrasie tra domanda e offerta di impiego vadano imputate al fatto che il lavoro richiesto dalle imprese non corrisponde alle aspettative dei giovani (sia dal punto di vista contrattuale sia sotto il profilo della mansione richiesta) e non alla scarsa dinamicità del mercato occupazionale trentino. .  
   
 

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