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Notiziario Marketpress di Martedì 27 Maggio 2008
 
   
  PALAZZO REALE MILANO, ALIGI SASSU: DAL MITO ALLA REALTÀ. DIPINTI DEGLI ANNI TRENTA 17 GIUGNO – 7 SETTEMBRE 2008

 
   
  Milano, 27 maggio 2008 - L’assessorato alla Cultura del Comune di Milano, dal 17 giugno al 7 settembre 2008, presenta a Palazzo Reale la mostra Aligi Sassu: dal mito alla realtà. Dipinti degli Anni Trenta. Realizzata in collaborazione con la Fondazione Aligi Sassu e Helenita Olivares di Lugano e lo Studio-archivio Sassu di Milano. Gli Anni Trenta rappresentano, nella lunga ricerca artistica di Sassu (Milano, 1912 – Pollensa, Maiorca 2000) la stagione più ricca, sia dal punto di vista della sperimentazione linguistica, sia dal punto di vista della messa a fuoco dei soggetti, ai quali l’artista tornerà ciclicamente per tutta la vita. Come scrive Spies, “durante gli anni trenta il mito rappresenta l’espressione simbolica delle illusioni e delle paure di un’intera generazione di giovani, che si affacciava alla vita nel difficile periodo tra due guerre mondiali”. La mostra, secondo Sgarbi, “offre un osservatorio privilegiato per cogliere il viraggio dal mito alla realtà, dall’esigenza di ridurre la realtà a forma all’esigenza di dare una forma alla realtà”. Un viraggio che, come acutamente aveva colto Renato Guttuso, è anche una ripetuta oscillazione: conosce entusiastiche scoperte e meditati ritorni. “La questione essenziale per Sassu giovane era decidere la sua oscillazione tra mito e realtà, era vestire quei suoi uomini nudi”, aveva scritto infatti Guttuso nel 1959 (nella presentazione della personale di Sassu, alla Galleria delle Ore, a Milano). “Tutto il periodo è dominato in Sassu da quella oscillazione, tra la spinta verso una generalizzazione atemporale e la necessità di parlare chiaro sulla vita e sulla realtà”. Questa è la ragione per cui gli Uomini rossi poi “vestono i panni dei ciclisti, calzano le scarpette dei pugili, oziano vestiti in giacchetta e cravatta nei caffè milanesi o parigini”. Per poi tornare, però, ad abbandonare gli abiti del tempo storico e affrontare, di nuovo nudi, battaglie fuori del tempo. Che non sono altro che il racconto della nostra quotidiana battaglia contro il nulla. Il nostro tentativo di scalfire l’eternità con la nostra presenza breve. Sassu è stato un artista estremamente precoce. Scoperto da Marinetti, espone a soli sedici anni alla Biennale di Venezia, nella sala riservata ai Futuristi. Il dipinto I costruttori, del 1929, che apre la mostra, risente ancora della lettura futurista della realtà, per la sintesi rigorosa delle forme e la geometrizzazione spaziale che propone. Attraverso la splendida e composita saga degli “Uomini rossi” – rappresentata in mostra da un’accurata selezione di Argonauti, Suonatori, Cavalieri, Giocatori di dadi – che esibiscono nella loro gioiosa nudità il rifiuto del tempo storico, l’artista approda, verso la fine degli anni trenta, alla messa a punto di quel linguaggio realista che segnerà la sua adesione al movimento di Corrente: del quale è uno degli ispiratori e protagonisti. Esito ideale di questa ricerca è Il Grande Caffè, iniziato nel 1936, ma portato a termine solo nel 1939, dopo la lunga interruzione dovuta all’arresto di Sassu, accusato di cospirazione. Il grande dipinto (141 x 200 cm) è emblematico dell’approdo di Sassu a una scrittura del reale che rifiuta ormai sovrapposizioni formali. “Quanto a me, ambirei di essere chiamato realista”: aveva scritto l’artista nel 1936, rispondendo a un referendum curato da Lamberto Vitali per la rivista “Domus”. Anche se il realismo di Sassu non si riduce mai a cronaca del vero e tenta spesso le strade del “racconto di una possibilità esemplare”. Come accade nella splendida Sortita dei cavalieri veneti a Famagosta, del 1940, il grande dipinto che chiude la mostra, dove un episodio del 1571 (la battaglia davanti alla città cipriota di Famagosta, dominio di Venezia, stretta d’assedio dai turchi) diventa pretesto per una battaglia che l’artista vorrebbe contro i tiranni del suo tempo. “Nell’attuale situazione postmoderna, accanto a Fetting, Paladino, Salomé e Cucchi, i dipinti di Sassu, proprio come quelli dei suoi amici di Corrente, costituiscono un modello inconfessato”. Così Spies, sottolineando appassionatamente l’attualità della ricerca di Sassu, conclude il suo testo. La scelta di circoscrivere l’esposizione alla pittura – Sassu fu anche un validissimo scultore, autore di numerose opere monumentali, come fu ceramista, illustratore, scenografo – risponde alla volontà di esplorare proprio l’evoluzione del linguaggio dell’artista, dalle forme del mito a quelle della realtà. Evoluzione che trova nella pittura le sue pagine più indicative. In mostra sono ordinati un’ottantina di dipinti, provenienti da collezioni private, italiane e straniere, musei italiani e svizzeri. Il nucleo più consistente, quasi quaranta dipinti, proviene dalla Fondazione Aligi Sassu e Helenita Olivares, di Lugano, che conserva un corpus di oltre trecentocinquanta opere di Sassu. La mostra è curata da Giuseppe Bonini e Vittorio Sgarbi. Gli apparati scientifici sono a cura di Giuseppe Bonini e Barbara Oteri. .  
   
 

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