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Notiziario Marketpress di
Martedì 03 Giugno 2008 |
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FESTIVAL ECONOMIA, GESTIONE BENI CULTURALI: LA SOLUZIONE VINCENTE ARRIVA DALLA FRANCIA
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Trento, 3 giugno 2008 - Piaccia o non piaccia, i beni culturali del nostro Paese sono ancora appannaggio, o quasi, della pubblica amministrazione e un ruolo fondamentale è ancora svolto dall’apparato centrale, cioè dal Ministero e dal suo complesso apparato periferico di soprintendenza. Le sorti del patrimonio culturale italiano non possono dunque essere disgiunte né a livello normativo, né a livello operativo e nemmeno a livello di analisi da quelle del sistema pubblico nel suo complesso, e dal potente fenomeno di “managerializzazione” che lo ha recentemente investito. Parte da queste considerazioni “Management, beni culturali e pubblica amministrazione” (Franco Angeli Editore), volume firmato da Sara Bonini Baraldi. “Ripercorrendo i principali interventi di riforma che hanno connotato il settore dei beni culturali in Italia – dichiara la ricercatrice di scienze aziendali all’Università di Bologna – ho analizzato in un’ottica di studioso di management il complesso funzionamento delle soprintendenze ed alcuni recenti cambiamenti che le hanno riguardate. Primo tra tutti la costituzione dei poli museali dotati di autonomia e l’introduzione di un intricato sistema di gestione”. Quello che emerge – è stato sottolineato durante l’incontro – è un quadro attualmente contraddittorio in cui il linguaggio giuridico e manageriale dialogano con estrema difficoltà compromettendo le capacità delle amministrazioni di tutelare e gestire bene il patrimonio culturale del Paese. Sotto accusa la legge Ronchey e le riforme da essa scaturite. Riforme definite dall’autrice del tutto inefficaci. “Quello che si è ottenuto – ha affermato Sara Bonini Baraldi – è stata una carente autonomia periferica e la conferma del forte ruolo centrale del ministero”. Sedici anni persi chiede il moderatore del dibattito Roberto Ippolito, Direttore delle relazioni esterne all’Università Luiss? “Non proprio – risponde la ricercatrice – c’è stato uno sforzo di introdurre strumenti manageriali per rendere più efficace la gestione del patrimonio. L’intenzione, quindi, era buona. Gli effetti, al contrario, si sono rivelati critici”. “L’intento dei governi in campo dei beni culturali – ha proseguito Roberto Balzani, docente di storia contemporanea all’Università di Bologna, - è stato quello di decentrare i costi per riorganizzare il settore. Si è dato vita a poli regionali che hanno portato alla paralisi. In secondo luogo le privatizzazioni e le esternalizzazioni non hanno trovato funzionamento perché i musei non producono soldi. Risultato: i privati sono rimasti alla finestra”. Quello che emerge è che c’è una retorica nel management dal punto di vista teorico mentre dal punto di vista pratico c’è la burocrazia che blocca tutto. “Un altro problema – ha sottolineato Francesco De Biase, responsabile degli eventi culturali del comune di Torino – è come introdurre il cambiamento. La legge fotografa il cambiamento, in alcuni casi vuole produrlo e questo si scontra con il fatto che spesso quel cambiamento non è pronto”. Ma come può una pubblica amministrazione, che per decenni ha gestito ogni aspetto, lasciare il posto alla managerializzazione? “E’ necessario – ha proseguito De Biase – coinvolgere il personale in fase di elaborazione del testo normativo, formare i dipendenti, aggiornarli”. Un modello da prendere come esempio è quello francese. Le soluzioni trovate suggeriscono l’importanza di un processo di cambiamento maggiormente partecipativo ed attento non solo alla definizione di nuovi obiettivi ma anche alla determinazione delle risorse necessarie al loro raggiungimento. “Ma l’Italia – fa notare Roberto Balzani – ha un patrimonio più frammentato rispetto alla Francia. Ci sono alla base tradizioni che rendono complicata la creazione di una gestione comune del patrimonio. Quello che ci vorrebbe, forse, sarebbe una formazione unitaria per i conservatori. Una formazione al passo con i tempi, che si basi anche sull’utilizzo delle nuove tecnologie. Oggi non siamo più in grado di tutelare il patrimonio. E’ assolutamente necessario la messa in essere di forme gestionali diverse per territori ma unificati da un soggetto centrale”. Concorde su quest’ultimo punto anche De Biase che aggiunge: “bisogna lavorare anche sulla fruizione culturale”. Nel 2007 i beni culturali sono stati ammirati da 27 milioni di persone. 17 milioni di queste hanno concentrato la loro attenzione in cinque musei. Questo significa che ci sono oltre 300 musei con pubblico quasi assente. Il 50% dei visitatori, all’uscita di una mostra, non si ricordano che cosa hanno appena visto. Forse perché il tempo in media dedicato alla visione di un quadro oscilla tra 1 e 3 secondi. Cifre, commentano i relatori, che non possono e non devono essere ignorati. . . |
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