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Notiziario Marketpress di
Mercoledì 04 Giugno 2008 |
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FESTIVAL ECONOMIA: PIÙ CONTROLLO SULLE ATTIVITÀ PRIVATE DI CHI DECIDE DI DEDICARSI ALLA VITA PUBBLICA LA TEORIA DELLA DIVULGAZIONE PER FAR FRONTE ALLA CORRUZIONE DEI POLITICI LA DISPONIBILITÀ DI INFORMAZIONI SULLA CATTIVA CONDOTTA GENERA UN’ASSUNZIONE DI RESPONSABILITÀ DA PARTE DI CHI GUIDA GLI STATI
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Trento, 1 giugno 2008 - L’elenco degli scandali che hanno investito capi di governo e primi ministri di tutto il mondo sembra non avere fine: solo per citarne alcuni, a livello internazionale, si possono ricordare il “Toilet-gate” argentino, quando il ministro dell’economia Felisa Miceli non riuscì a giustificare gli 80. 000 dollari ritrovati nel suo bagno, senza che lei li avesse nemmeno dichiarati, oppure il caso ucraino per cui Viktor Yushennko fu attaccato pubblicamente per non aver dichiarato il possesso di automobile quando il figlio guidava invece auto di lusso, o ancora i ministri Britannici che non hanno dichiarato i loro interessi esterni fornendo invece informazioni sbagliate e si potrebbe continuare. Sono principalmente tre i livelli sui quali si basa il controllo dell’attività della vita e dell’attività politica degli Stati: innanzitutto il sistema di check and balances tra i poteri (legislativo, politico ed esecutivo), l’attuazione della legge ed infine la possibilità del popolo di decidere tramite elezioni. Andando oltre il pensiero tradizionale, Andrei Shleifer, docente di Economia all’Università di Harvard, il terzo economista più citato secondo la graduatoria stilata dall’Università del Connecticut e candidato come premio Nobel per l’economia, ha elaborato una teoria della divulgazione dei redditi e dei collegamenti commerciali dei politici. Per valutare quale correlazione possa esistere tra una divulgazione finanziaria (in certi Stati obbligatoria in altri invece no) e il livello di corruzione (sia a livello interno al parlamento, che tra parlamentari e altri gruppi di interesse), Shleifer ha preso in considerazione 126 Paesi: in 89 di questi la divulgazione è prevista per legge, a non per tutti gli Stati valgono le stesse regole. Degli 89, 33 prevedono la disponibilità dei documenti solo per uso del parlamento, altri 56 invece sono consultabili pubblicamente, 3 sono disponibili solo alla stampa e 7 prevedono una disponibilità condizionate (ad esempio per quanto riguarda la possibilità di fotocopiare e riprodurre). L’eccezione riguarda i Paesi scandinavi dove pur non essendo previsto alcun obbligo per legge, politici rendono pubblici i loro affari. In totale, quindi le informazioni sono disponibili in 46 Stati su 126. Per quanto riguarda l’aspetto pratico, mentre il modulo di dichiarazione in Canada è molto lungo (20 pagine) e contiene richieste dettagliate in altri Stati (tra cui l’Italia) la richiesta di informazioni è sommaria e si risolve addirittura in poche righe. Nel secondo caso dove accanto alla dichiarazione del reddito non sono specificate ulteriori attività, è difficile scoprire le condotte riprovevoli. Il risultato della ricerca offre, quindi, una panoramica sul rapporto tra divulgazione dei dati e livello della corruzione: quest’ultima è decisamente minore quando la dichiarazione dei dati personali opera di fatto e non solo nel diritto (quindi quando la legge viene realmente applicata e non per la sua mera esistenza); inoltre l’attività citata deve essere anche qualificata e ricondotta ad una determinata tipologia, solo così sarà possibile individuare le condotte riprovevoli. Infine, nei Paesi a regime democratico e dove i politici denunciano le loro attività il livello di corruzione è più basso. Un ruolo particolare occupa il rapporto tra norme che impongono la pubblicità degli affari dei politici e la tutela della privacy. A questo proposito l’idea di Shleifer è chiara: la distinzione che necessariamente bisogna fare è tra chi decide di partecipare alla vita pubblica e chi no: i primi, infatti, decidono deliberatamente di porsi sul banco di prova davanti ad un elettorato, mentre i non politici non hanno intenzione di farsi valutare dai cittadini. I primi, quindi, non dovrebbero avere nessun problema a rendere noti i loro affari, spesso se invocano il diritto alla privacy è perché vorrebbero eludere la legge. . . |
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