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Notiziario Marketpress di Giovedì 05 Giugno 2008
 
   
  LA RICETTA DEI DEMOGLOBAL PRESENTATO IL VOLUME DI ANDREA FRACASSO E FERDINANDO TARGETTI LA GLOBALIZZAZIONE ECONOMICA? MERITA UN “CAUTO OTTIMISMO CONDIZIONATO”. IN QUESTA FASE AUMENTANO LE DISUGUAGLIANZE ALL’INTERNO DEI PAESI RICCHI. SERVE LA “BUONA POLITICA”

 
   
  Trento, 5 giugno 2008 - Il termine con il quale si autodefiniscono – “demoglobal” – aiuta a comprendere entro quali orizzonti si muovano Andrea Fracasso (ricercatore presso la facoltà di economia di Trento) e Ferdinando Targetti (economista, ex deputato dell’Ulivo, saggista), gli autori de “Le sfide della globalizzazione”, il ponderoso volume edito da Brioschi presentato alla Biblioteca comunale di Trento, terzo appuntamento degli incontri del Festival dell’economia. Ad interrogare e pungolare, Roberto Ippolito (direttore relazioni esterne della Luiss) e Paolo Guerrieri, vicepresidente dell’Istituto Affari internazionali. Ponderoso volume, quello di Fracasso e Targetti, capace di essere tanto manuale, quanto saggio storico, quanto ricco contenitore di idee. Per tracciare, è stato detto, “un quadro di successi e difetti, per non demonizzare la globalizzazione ma anche con la consapevolezza che se oggi è possibile esprimere un giudizio, non può che essere di cauto ottimismo condizionato”. A partire da una constatazione: nei paesi ricchi cresce l’insicurezza economica. E dove alberga oggi il protezionismo? Nei paesi ricchi. “Guardate – hanno detto gli autori – come è mutato rapidamente il quadro, come l’ondata della terza globalizzazione, quella che stiamo vivendo , ha ridisegnato i confini, tanto appunto da spingerci a coniare il termine demoglobal. Pochi anni fa pensare alla globalizzazione voleva dire pensare a Porto Alegre, alle preoccupazioni di chi gridava al divario tra Nord e Sud del mondo. Oggi globalizzazione vuol dire, nei paesi ricchi, preoccuparsi della concorrenza dei paesi in via di sviluppo”. Eppure, avverte Guerrieri, forse abbiamo visto ancora poco, se si considera che siamo nel pieno di un radicale cambiamento degli equilibri, quello dello spostamento dell’asse degli investimenti. Epocale: quello che per un secolo e mezzo è stato dell’Europa, degli Usa e del Giappone, oggi tocca alle aree finora ai margini dello sviluppo capitalistico. Cosa succederà nell’incertezza dei mutamenti? Difficile prevedere quel che toccherà non solo ai perdenti, ma anche agli stessi vincitori. Allora, non resta che fissare - così come fa il libro, ricchissimo di dati, analisi e sorta di trattato esaustivo su un fenomeno che permea la nostra stessa vita quotidiana – alcuni punti, ora domande, ora dati di fatto, ora indicazioni per una linea di condotta responsabile. Già. Che politiche per accompagnare questi mutamenti? Come valutare che mai come in questi ultimi trent’anni tanto i paesi ricchi che quelli poveri hanno vissuto (e vivono) crisi bancarie e valutarie? Come correggere la rotta della pubblicizzazione delle perdite e della privatizzazione dei profitti? C’è la consapevolezza della grande novità: ora si spostano gli stessi impianti produttivi, l’impresa è davvero globale? Il numero dei poveri è in lento calo (come quota percentuale, ma la crescita demografica in termini assoluti fa parlare altrimenti) ma aumenta il divario sociale all’interno dei paesi ricchi. Sì, si è acuita la disuguaglianza dentro i paesi ricchi, nella terza globalizzazione. Senza contare che dei 350 milioni di individui strappati alla soglia della povertà (un dollaro al giorno. ) cento milioni rischiano di tornarci, subito, per la crescita dei prezzi dei prodotti agricoli. Ed allora? Netta, una indicazione: è decisivo che i problemi economici vengano accompagnati da buone politiche. Le sfide sono sì internazionali (con Cina, India e Russia, per cominciare) ma riguardano anche le scelte politiche. Che finora non si sono viste. Insomma, se servono le aperture in chiave internazionale, sul fronte interno serve anche – per dirne una – il rilancio di una politica decisa di welfare. .  
   
 

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