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Notiziario Marketpress di Lunedì 14 Luglio 2008
 
   
  GIUSTIZIA EUROPEA: DICHIARAZIONE DI NON ASSUMERE DIPENDENTI DI UNA DETERMINATA ORIGINE ETNICA

 
   
  La sentenza del 10 luglio 2008 della Corte di giustizia, pronunciata nella causa C-54/07 (Centrum voor Gelijkheid van Kansen en voor Racismebestrijding/ Firma Feryn N. V. ), ha affermato che le dichiarazioni pubbliche di un datore di lavoro di non assumere dipendenti di una determinata origine etnica configurano una discriminazione diretta e che l´assenza di un denunciante identificabile non consente di escludere qualsivoglia discriminazione diretta. La direttiva 2000/43/Ce mira a stabilire un quadro per la lotta alle discriminazioni fondate sulla razza o l´origine etnica, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento. Il legislatore belga ha attribuito al Centro per le pari opportunità e per la lotta contro il razzismo (Centrum voor Gelijkheid van Kansen en voor Racismebestrijding, organismo deputato a promuovere la parità di trattamento in Belgio), la legittimazione ad agire allorché sussiste o potrà sussistere una discriminazione, anche in assenza di un denunciante identificabile. La società Feryn è specializzata nell´installazione di porte da garage. Il Centro ha chiesto ai giudici del lavoro belgi di dichiarare che la Feryn applicava una politica di assunzione discriminatoria. Esso è basato sulle dichiarazioni pubbliche rese dal direttore di tale impresa secondo cui, sostanzialmente, la sua impresa desiderava reclutare operai installatori, ma non poteva assumere lavoratori dipendenti di una determina origine etnica («alloctoni») a motivo delle reticenze della clientela a farli accedere alla propria abitazione privata durante i lavori. In sostanza, si chiede alla Corte di chiarire se siffatte dichiarazioni rese da un datore di lavoro nell´ambito di una procedura di assunzione configurino una discriminazione, in mancanza di un denunciante identificabile che affermi di essere stato vittima di tale discriminazione. La Corte, rammentando la finalità della direttiva, dichiara che l´assenza di un denunciante identificabile non permette di concludere per la mancanza di qualsivoglia discriminazione diretta ai sensi della direttiva. Infatti, l’obiettivo di promuovere le condizioni per una partecipazione più attiva sul mercato del lavoro sarebbe difficilmente raggiungibile se essa fosse circoscritta alle sole ipotesi in cui un candidato scartato per un posto di lavoro abbia avviato una procedura giudiziaria nei confronti del datore di lavoro in base ad una discriminazione. Inoltre, siffatte dichiarazioni sono idonee a dissuadere fortemente determinati candidati dal proporre le loro candidature. Esse pertanto configurano una discriminazione diretta nell´assunzione ai sensi della direttiva. La Corte quindi si pronuncia sulla questione relativa all´inversione dell´onere della prova in una situazione in cui viene denunciata l´esistenza di una politica di assunzione discriminatoria sulla base di affermazioni rese pubblicamente da un datore di lavoro con riferimento alla sua politica di assunzione. Essa constata che, in effetti, incombe al datore di lavoro fornire la prova di non aver violato il principio della parità di trattamento. Spetterà quindi al giudice del rinvio verificare se i fatti che si addebitano siano accertati e valutare se siano sufficienti gli elementi che il detto datore di lavoro adduce, negando di aver violato il principio della parità di trattamento. La Corte prosegue affermando che le dichiarazioni pubbliche con le quali un datore di lavoro rende noto che, nell´ambito della sua politica di assunzione, non assumerà lavoratori dipendenti aventi una determinata origine etnica o razziale sono sufficienti a far presumere l´esistenza di una politica di assunzione direttamente discriminatoria ai sensi della direttiva. Infine, la Corte si pronuncia sulla questione relativa alle sanzioni che possano ritenersi adeguate a una discriminazione nell´assunzione come quella in parola. La direttiva impone agli Stati membri di prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, anche in assenza di una vittima identificabile. La Corte afferma quindi che esse possono consistere, in particolare, nella constatazione della discriminazione da parte del giudice competente accompagnata da un adeguato rilievo pubblicitario, ovvero nell´ingiunzione rivolta al datore di lavoro di porre fine alla pratica discriminatoria, o ancora nella concessione di un risarcimento dei danni in favore dell´organismo che ha avviato il procedimento.  
   
 

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