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Notiziario Marketpress di Lunedì 14 Luglio 2008
 
   
  MEETING DI SAN ROSSORE “CONTRO OGNI RAZZISMO”: GRAVE IL SILENZIO DELL’UNAR SULLE IMPRONTE AI ROM

 
   
  San Rossore (Pi), 14 luglio 2008 - «L´ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) è rimasto in silenzio di fronte a una misura discriminatoria nei confronti dei rom come quella delle impronte digitali. Invece doveva alzare la voce e favorire un ampio dibattito nel paese a tutti i livelli. Un silenzio che mi ha convinto, finora avevo un parere diverso, che un ufficio di questo tipo deve avere uno status indipendente dai governi, di qualunque colore essi siano». Lo ha affermato a San Rossore Silvia della Monica, il magistrato momentaneamente prestato al Parlamento, e a capo del Dipartimento diritti e pari opportunità. L’unar, costituito dal governo nell’ambito del Dipartimento, ha per statuto la missione, a cui secondo Della Monica ha contravvenuto, di garantire che sia attuato il principio di parità di trattamento tra le per! sone e di contribuire a rimuovere le discriminazioni fondate s! ulla raz za. Alla domanda “Cos’è il razzismo: come nasce, perché non muore”, titolo della prima sessione mattutina, ha dato una risposta l’antropologo dell’Università di Genova Marco Aime, analizzando i termini più abusati che concorrono a creare nelle società le cesure con i diversi o gli stranieri, le divisioni tra i buoni e i cattivi. «Una delle parole più abusate è cultura – ha detto Aime – che viene utilizzata in maniera analoga al termine razza. L’accezione di cultura diventa quella di una gabbia dentro cui gli individui sono rinchiusi, a cui non si sfugge, negando la dinamicità del processo culturale. Anche l’identità viene vista come unica e assoluta, in un certo senso tribale, cancellando l’evidenza che gli esseri umani sono portatori di identità plurime, di genere, politiche, religiose, anche calcistiche e non possono essere inchiodati! a una sola come è successo con gli ebrei negli anni bui”. La riflessione proposta da Aime si è estesa ad altre parole come radici o tradizioni, viste come fisse, congelate, quasi genetiche. “Non dimentichiamo – ha proseguito - che invece non sono altro che le nostre invenzioni sul presente proiettate nel passato. Allo stesso modo la cittadinanza non è naturale, ma è un prodotto culturale”. “L’importante – ha concluso l’antropologo - è lasciare aperta, nel recinto in cui viviamo, la porta con l’altro, con il diverso, che è sempre uno stimolo e una ricchezza. E non indulgere troppo alle classificazioni che portano in ultima analisi all’apartheid. Tra i diritti umani dovrebbe essere inserito quello all’opacità che a differenza dei confini netti del bianco e del nero lascia sempre filtrare un po’ di luce”. .  
   
 

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