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Notiziario Marketpress di Lunedì 08 Settembre 2008
 
   
  EURISPES: QUALE RISPARMIO PER LE FAMIGLIE CON L´INTRODUZIONE DEL QUOZIENTE FAMILIARE?

 
   
   Roma, 8 settembre 2008 - L’introduzione del quoziente familiare, secondo il modello francese, comporterebbe un risparmio medio annuo d’imposta di circa 800 euro a famiglia (valori che aumentano in misura direttamente proporzionale alla disponibilità reddituale della famiglia ed al numero di soggetti a carico). Un risparmio medio che, a livello aggregato, rappresenterebbe grandezze non trascurabili (sotto il profilo macroeconomico) anche, e soprattutto, in termini di capacità di spesa della famiglia e conseguente incremento dei consumi. È quanto emerge dallo studio sull’ipotesi di applicazione del quoziente familiare in Italia, realizzato nell’ambito dell’Osservatorio tributario permanente dell’Eurispes, giunto al secondo dei sette appuntamenti previsti entro la fine di questo anno. «Il meccanismo impositivo del quoziente familiare − afferma il Presidente dell’Eurispes, prof. Gian Maria Fara − sembra, dunque, determinare una riduzione dell’imposizione diretta in capo alle famiglie che presentino talune caratteristiche (in termini di reddito imponibile lordo e di numero di componenti), con innegabili ripercussioni positive sulla loro capacità di spesa e, conseguentemente, sulla qualità della vita». Al trend di crescita evidenziato dal reddito primario netto (+22,3% tra il 2000 ed il 2006) non ha fatto seguito un corrispondente incremento del reddito disponibile per le famiglie italiane (l’incidenza del saldo dei trasferimenti sul reddito primario netto – saldo da redistribuzione – nel 2006 pari al 11,3%). La causa principale è imputabile all’aumento dei trasferimenti da redistribuzione ed in particolare all’aumento delle imposte correnti gravanti sulle famiglie (+18,7% negli ultimi sette anni) cui non ha corrisposto un incremento del saldo relativo a contributi e prestazioni sociali erogate (12 miliardi di euro a fronte di un aumento di 27,5 miliardi di euro). Tali premesse, tenuto conto del fatto che l’aumento della spesa per l’acquisto di beni e servizi (+22,7% tra il 2000 ed il 2006) da parte delle famiglie italiane è stata quasi interamente coperta dal reddito netto disponibile (la spesa per consumi ha rappresentato, tra il 2003 e il 2006, il 92,3% del reddito netto disponibile, dopo una fase recessiva verificatasi durante il triennio precedente), portano a valutare con favore l’eventuale introduzione nell’ambito dell’ordinamento tributario nazionale di un meccanismo, quale il quoziente familiare, teso a ridurre l’imposizione complessiva in capo alle famiglie aumentando di fatto la relativa disponibilità di reddito netto da destinare ai consumi. Con riguardo alla necessità di intraprendere azioni volte ad incrementare la capacità di spesa delle famiglie occorre, peraltro, rilevare che il recente incremento avutosi nei volumi di concessione del credito al consumo (+6,3% tra i dati del primo semestre 2007 e quelli del primo semestre 2006) appare un dato significativo e una prova della costante diminuzione della capacità di spesa delle famiglie, le quali con sempre maggior frequenza devono ricorre a tali strumenti di finanziamento per far fronte alle proprie esigenze. Attualmente, le famiglie non sono più in grado di assicurarsi il tenore di vita precedente acquisito esclusivamente attingendo ai propri mezzi reddituali, motivo per cui sempre più spesso, negli ultimi anni, si è fatto ricorso al settore dei finanziamenti. Nel primo semestre 2007, il sistema creditizio ha erogato finanziamenti per un importo complessivo pari a circa 93. 910 milioni di euro, mentre il 44,2% dei soggetti intervistati in occasione di una indagine sul tema realizzata dall’Eurispes ha dichiarato di aver recentemente fatto ricorso al credito al consumo (anche se gli ultimi dati disponibili segnalano un sensibile calo della richiesta di credito che, a parere dell’Eurispes, rappresenta un ulteriore sintomo della crescente difficoltà delle famiglie). Il che non può che confermare che buona parte dell’aumento di reddito netto disponibile per le famiglie originato dall’introduzione del quoziente familiare sicuramente sarebbe da queste utilizzato per incrementare i propri consumi (con evidenti riflessi in termini di ripresa economica e gettito tributario). Al riguardo è stato già acclarato (da studi di macro e micro-economia) che sono le famiglie con figli minori a carico i soggetti con la maggiore propensione al consumo. Ma questa tipologia di nuclei familiari risulta essere proprio quella interessata e avvantaggiata dal meccanismo del quoziente familiare. Ovviamente, l’implementazione di un siffatto (innovativo) criterio impositivo, pur rifacendosi all’esperienza transalpina, dovrebbe tener conto delle specificità del sistema impositivo e del tessuto sociale nazionale. Due possibili meccanismi sono: l’introduzione di una clausola di salvaguardia, che assicurerebbe, alle famiglie per le quali il meccanismo del quoziente familiare dovesse risultare svantaggioso, il mantenimento del pre-esistente sistema di detrazioni per carichi di famiglia; l’individuazione, così come avviene in Francia, di un tetto massimo al vantaggio fiscale derivato dal quoziente familiare. Considerando il vantaggio fiscale medio per classi di reddito familiare lordo e il numero di nuclei familiari che appartengono a ciascuna di esse, è possibile stimare il minor gettito fiscale riferibile all’imposta diretta in circa 3 miliardi di euro l’anno (-1,8% rispetto ai 168 miliardi di euro di imposte correnti versate dalle famiglie italiane nel 2006). Contestualmente a tale riduzione di gettito fiscale, diminuirebbe l’incidenza dei trasferimenti di redistribuzione sul reddito primario netto delle famiglie italiane, favorendo un incremento del reddito netto disponibile (+0,32% rispetto ai 948 miliardi di euro del 2006). Dal punto di vista degli impieghi, le famiglie italiane privilegerebbero sicuramente le proprie esigenze di acquisto di beni e servizi rispetto a quelle di investimento (come dimostra l’elevata propensione media al consumo, attestatasi negli ultimi anni oltre la soglia dell’80%). Il maggior reddito netto disponibile, si tradurrebbe, quindi, in un incremento della spesa per consumi di beni e servizi stimabile in circa 2,4 miliardi di euro, con un duplice effetto: dal punto di vista del bilancio familiare, le maggiori disponibilità finanziarie consentirebbero di ridurre il ricorso al credito al consumo per l’acquisto di beni e servizi; dal punto di vista fiscale, aumenterebbe il gettito derivante dall’imposizione indiretta che colpisce i consumi. Data l’Imposta sul Valore Aggiunto al 20%, l’extra-gettito potrebbe raggiungere i 500 milioni di euro l’anno, che compenserebbero, per il 16% circa, la riduzione del gettito fiscale da imposta diretta. Spesa delle famiglie per consumi ed investimenti e saldo finale. La principale voce di impiego del reddito netto disponibile delle famiglie italiane è la spesa sostenuta per esigenze di consumo di beni e di servizi. Tra il 2000 ed il 2006, la spesa per consumi finali delle famiglie italiane è aumentata del 22,7% (circa 162 miliardi di euro), superando gli 800 miliardi di euro già dal 2004 ed aumentando ulteriormente, nei successivi due anni, fino a raggiungere gli 875 miliardi di euro. Per sostenere i consumi finali, le famiglie italiane hanno, quindi, destinato all’acquisto di beni e servizi, una percentuale molto elevata del reddito netto disponibile, scesa dal 92,5% all’89,6% tra il 2000 ed il 2003 ed aumentata nuovamente, fino al 92,3%, nei tre anni successivi. La seconda voce di impiego del reddito netto disponibile, gli investimenti fissi lordi, sono aumentati, nello stesso arco temporale, da 77 a 102 miliardi di euro (+32,5%), mentre il loro peso sul reddito netto disponibile è rimasto pressoché costante, tra il 9,7% del 2001 ed il 10,7% del 2006. Incrociando i dati relativi agli investimenti fissi lordi, con quelli relativi agli ammortamenti, passati da 51,6 a 69,3 miliardi di euro nello stesso arco temporale considerato, otteniamo il valore netto degli investimenti fissi. Questi ultimi sono passati da 25,7 a 32,9 miliardi di euro tra il 2000 ed il 2006, facendo registrare un incremento del 21,8% ed un tasso di crescita medio annuo del 3,6%. Dal reddito netto disponibile al saldo finale delle famiglie italiane Anni 2000-2006 Valori assoluti
Anni Reddito netto disponibile Spesa per consumi finali Investimenti fissi lordi Ammort. Altre voci Saldo finale
2000 771,5 -713,7 -77,3 51,6 9,6 41,7
2001 815,6 -737,7 -79,1 54,0 10,1 62,9
2002 848,7 -760,3 -85,8 56,9 9,6 69,1
2003 872,7 -789,0 -85,3 59,4 -1,0 56,9
2004 901,3 -815,2 -90,1 62,7 4,9 63,6
2005 922,6 -839,7 -94,2 66,2 11,2 66,1
2006 948,5 -875,0 -102,2 69,3 17,1 57,7
Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Istat. Sommando la spesa per consumi finali ed investimenti fissi netti e tenendo conto delle altre componenti che incidono sul reddito netto disponibile, otteniamo il saldo finale del conto economico delle famiglie italiane. Quest’ultimo ha avuto, nel corso degli ultimi anni, un andamento disomogeneo, facendo registrare valori anche profondamente diversi tra loro. Tra il 2000 ed il 2002, il saldo finale del conto economico delle famiglie italiane è aumentato sensibilmente, passando da 41,7 a 69,1 miliardi di euro (+65,7%). Una prima inversione di tendenza, si è verificata nell’anno immediatamente successivo, quando il saldo finale, a causa soprattutto dell’aumento sostenuto della spesa per consumi (+3,8%), è diminuito di circa 12 miliardi di euro, facendo registrare un valore superiore ai 56,9. Nei due anni successivi, il saldo finale è tornato nuovamente ad aumentare, raggiungendo nel 2004 e nel 2005, rispettivamente, i 63,6 (+11,8% rispetto al 2003) ed i 66,1 miliardi di euro (+16,2% rispetto al 2003). Nel 2006, l’aumento del reddito netto disponibile a 948 miliardi di euro (+2,8% rispetto al 2005), non è stato sufficiente a coprire l’incremento della spesa per consumi di beni e servizi (+4,2% rispetto al 2005) e per investimenti fissi netti (+17,5% rispetto al 2005). Il risultato è stato un decremento piuttosto marcato del saldo finale delle famiglie italiane, che è passato da 66,1 del 2005 a 57,7 miliardi di euro del 2006. .
 
   
 

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