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Notiziario Marketpress di Mercoledì 15 Ottobre 2008
 
   
  CONSULTA DELLE IMPRESE DEL LAZIO: CONSEGNATO DOCUMENTO STRATEGICO SUL GOVERNO DELLA REGIONE A MARRAZZO

 
   
   Roma, 15 ottobre 2008 - La Consulta delle Imprese del Lazio è stata costituita il 29 gennaio 2008 da Abi Lazio, Ania, Confcommercio Roma e Lazio, Confindustria Lazio e Federlazio, in quanto associazioni maggiormente rappresentative dei rispettivi Settori di riferimento dell’economia. Obiettivo della Consulta, che si propone come un ponte tra il mondo imprenditoriale e quello istituzionale, è individuare strategie d’azione comuni sui temi più rilevanti per lo sviluppo del Sistema economico regionale. Attualmente sono membri della Consulta, che rappresenta circa 53. 000 aziende per 490. 000 addetti: Abi Lazio: Dott. Mario Fiumara, Presidente della Commissione Regionale del Lazio; Ance Lazio: Stefano Petrucci, Presidente; Ania: Dott. Fabio Buscarini, Amministratore Delegato e Direttore Generale Ina Assitalia; Confcommercio Roma e Lazio: Dott. Cesare Pambianchi, Presidente; Confindustra Lazio: Dott. Maurizio Stirpe, Presidente; Federlazio: Dott. Massimo Tabacchiera, Presidente. Il Presidente della Federlazio è stato nominato Coordinatore e Portavoce della Consulta delle Imprese del Lazio per il primo anno di attività. Premessa Questa nota contiene una serie di priorità cui, nel prossimo futuro, secondo la Consulta delle Imprese del Lazio, dovrà essere improntata l’azione della Giunta Regionale del Lazio, per avviare una nuova stagione di sviluppo e di crescita del sistema economico-produttivo regionale. Il presente documento si pone, dunque, come il punto terminale di un ampio processo di consultazione che le singole Associazioni - Abi, Ance, Ania, Confindustria Lazio, Confcommercio Roma e Lazio, Federlazio - hanno avviato con le rispettive basi associative sul territorio regionale. 1. Sanità In primo luogo, è sempre più forte la preoccupazione circa l’evoluzione del Piano di rientro sanitario, dato che, in termini di risparmi sui costi, il 2007 sta evidenziando un risultato finale ben al di sotto dell’obiettivo programmatico, inteso come riduzione “strutturale” dei costi. E’ nostra ferma opinione che, in realtà, la situazione sia addirittura peggiore, perché non viene adeguatamente sottolineata la natura non strutturale di una componente del suddetto risparmio. Un fatto, questo, che implica necessariamente l’innalzamento dell’obiettivo programmatico di risparmio da raggiungere nel 2008, rispetto a quello indicato dalla Giunta, al fine di rispettare il profilo del Piano di rientro. Nel frattempo prendiamo atto con soddisfazione della decisione del Governo di sbloccare i primi 2 miliardi dei 5 dovuti alla Regione, anche se consapevoli che al momento neanche la prima tranche è stata ancora erogata). Un provvedimento, questo, in assenza del quale si sarebbe avuto il collasso della sanità regionale con effetti a cascata sul resto dell’economia. Restiamo in attesa che le prossime verifiche del Piano di rientro da parte del Governo consentano il definitivo sblocco anche dei restanti 3 miliardi. Ci auguriamo in ogni caso che il processo di risanamento e riqualificazione del Ssr non richieda al mondo della produzione un ulteriore contributo, che sarebbe inaccettabile non solo perché scaricherebbe sulle imprese costi ascrivibili, viceversa, a precise responsabilità altrui nella gestione delle aziende sanitarie pubbliche, ma anche perché l’eventuale aggravio fiscale sulle imprese si troverebbe a coesistere con sacche di inefficienza dell’apparato pubblico regionale in tutte le sue articolazioni. In secondo luogo, a nostro avviso, nell’attuazione del Piano di rientro la Regione non ha ancora acquisito - attraverso una rigorosa analisi in tal senso - le vere determinanti che generano il deficit strutturale sanitario. Nelle strutture pubbliche, ad esempio, la logica di una corretta imputazione dei flussi di spesa per centri di costo fatica ad affermarsi come regola gestionale ordinaria. In tale quadro, riteniamo vada attuata la parificazione fra pubblico e privato, rimuovendo definitivamente le discriminazioni, immotivate, a danno del secondo. Ma, più in generale, riguardo il complessivo sistema sanitario, vanno una volta per tutte superate le logiche di riserva in favore del settore pubblico, con il privato in posizione subordinata. Peraltro, la difficoltà di sostenere nel futuro gli inevitabili incrementi della spesa sanitaria porrà la necessità di una partnership pubblico/privato, come avviene già in altri Paesi, facendo ricorso alla spesa privata in modo strutturale e organizzato, anche con il concorso di fondi integrativi, mutue e compagnie di assicurazione. Il terzo punto è il patologico, rilevante ritardo nei pagamenti dei fornitori del Servizio sanitario regionale. A tale fine ricordiamo che alcuni imprenditori, fornitori di beni e servizi alle Aziende sanitarie, sono stati costretti a cedere l’attività a grandi gruppi, così profilandosi il rischio di una sostituzione delle imprese laziali (pensiamo soprattutto a quelle del settore biomedicale) con imprenditori privati del settore, ma provenienti da fuori, che potrebbero diventare, nei confronti della Regione, dei “price maker”. Le imprese che riescono a non chiudere sono costrette a svolgere la loro attività con margini estremamente ridotti e, non potendo attendere i tempi troppo lunghi dei pagamenti da parte della Regione, si trovano, oltretutto, a dover cedere i loro crediti decurtando fra il 5% e l’8% per cento l’importo della fattura. Altrettanto penalizzante è la situazione delle imprese di costruzione che operano nell’edilizia sanitaria, per le quali i ritardi dei pagamenti determinano anche forti limitazioni alle loro attività sul mercato delle costruzioni. In sostanza, i deteriorati conti della sanità laziale si stanno progressivamente configurando come un serio ostacolo allo sviluppo della Regione, dato che le loro criticità drenano crescenti risorse, anche e soprattutto dalle politiche per lo sviluppo. Solo per fare un esempio, va evidenziata la penalizzazione che un numero rilevante di imprese sta subendo in relazione alla legge 598 a causa del forte ritardo nel “recupero” dei contributi regionali previsti dal provvedimento in parola, ma anticipati da tali imprese. Questo fatto genera effetti negativi in termini di ridefinizione in pejus dei bilanci aziendali, in quanto tali contributi non vengono per il momento riconosciuti alle imprese perché, verosimilmente, “stornati” sulla sanità regionale per pressanti esigenze di cassa. 2. Produttività della macchina regionale ed efficienza della spesa pubblica L’efficienza della spesa pubblica costituisce un altro punto nodale sul quale l’azione della Regione dovrà misurarsi, specie in considerazione dell’esistenza di ampi margini per innalzare, a risorse date, la qualità della spesa. A tal fine, è opportuno che la Giunta imposti la gestione dei suoi flussi finanziari informandola ai criteri della spending review, che ha dato buona prova nelle esperienze di altri paesi, e su cui si sta orientando l’azione anche a livello nazionale. E’ inoltre necessario accentuare e stringere i legami e le connessioni fra il ciclo della pianificazione strategica ed il ciclo della pianificazione finanziaria che, nell’attuale assetto, hanno punti di contatto ma restano separate nel momento essenziale: la decisione strategica sull’allocazione delle risorse. Oggi, difatti, l’attività di pianificazione strategica si pone a valle di decisioni sul bilancio, mentre restano in secondo piano le priorità politiche e le strategie sottostanti l’azione amministrativa. E’ essenziale, invece, riconfigurare il ciclo della pianificazione-controllo per far sì che le priorità politiche guidino effettivamente le scelte in ordine all’allocazione delle risorse e siano, quindi, già condivise ed articolate prima della definizione del Dpefr, in modo che esse trovino poi traduzione in leggi di bilancio e finanziaria regionali. In tal modo, la corretta esplicitazione degli obiettivi consentirà, in un secondo momento, di avviare la cruciale azione di monitoraggio e controllo strategico per una valutazione più circostanziata dell’attuazione e dell’impatto dei provvedimenti normativi e dell’azione amministrativa. Tale attività dovrà essere supportata da un’attenta analisi dei costi, anche attraverso lo strumento della contabilità analitica. Un’analisi, quest’ultima, indispensabile per verificare ex post eventuali scostamenti rispetto agli obiettivi programmatici fissati ex ante. E’ evidente che questo approccio determinerebbe una rivoluzione nell’azione amministrativa regionale e dunque esigerebbe, al contempo, anche una forte valorizzazione ed accrescimento delle professionalità delle risorse umane della Regione. 3. Credito Per quanto concerne la politica del Credito, noi riteniamo che la Regione dovrà rivolgere la sua attenzione verso azioni che favoriscano processi di patrimonializzazione delle imprese. Un aspetto di particolare importanza, questo, che costituisce un fattore fondamentale in quella complessiva strategia di riposizionamento su standard competitivi che costituisce una criticità per una elevata quota di imprese laziali. Ne consegue, dunque, l’esigenza di riservare adeguate risorse regionali in tale direzione, utilizzando e/o affinando strumenti finanziari già disponibili, nell’ottica di massimizzare l’effetto leva delle risorse regionali nei confronti di quelle private finalizzate ai processi di patrimonializzazione. La crucialità di questo aspetto vale soprattutto per le piccole imprese con buone performance in quanto, per queste ultime, il problema odierno non è tanto l’accesso al credito bensì il patrimonio, considerato che a quelle che funzionano vengono concessi senza difficoltà prestiti da parte del sistema creditizio. In termini dimensionali si può dire che, con Basilea 2, a fronte di un certo numero di imprese che si trovano nella zona “grigia”, c’è la stragrande maggioranza di imprese che stanno nella zona “chiara”. Imprese che, sebbene piccole, hanno la possibilità di ottenere dalla banca condizioni e quantità adeguate di credito ovviamente, però, nei limiti del patrimonio disponibile. Quindi, l’unico modo per far crescere queste imprese non è tanto quello di agire “a valle” ma di inserirsi “a monte”, elevando il loro grado di patrimonializzazione, che rafforza automaticamente anche la loro capacità di credito. Per tutti gli altri aspetti gestionali dell’attività di impresa, la politica del credito deve favorire il consolidamento dei debiti a breve termine, non solo quelli dell’istituto bancario erogatore, ma anche quelli del sistema. In ogni caso, appare di forte rilievo l’esigenza di fondare lo sviluppo delle politiche del credito sulla capacità di interfacciarsi con le imprese e con il territorio attraverso la rete dei Confidi di riferimento delle Associazioni di rappresentanza, nel quadro delle attività di sostegno al credito previste dalla Regione Lazio. 4. Energia e Ambiente Il sistema energetico regionale è molto vulnerabile perché fortemente dipendente da un’unica tipologia di fonte energetica: i prodotti petroliferi. Ciò costituisce una condizione che richiede un’azione politica indirizzata verso una diversificazione spinta delle fonti di energia primaria. Una azione che realizzi le condizioni per uno sviluppo economico equilibrato e sostenibile, in armonia con il fondamentale principio della conservazione delle risorse, nel senso più generale, mediante un ampio ricorso alle migliori tecnologie disponibili per la conversione dell’energia e per la protezione dell’ambiente. Più in particolare, i punti qualificanti della politica energetica dovranno prevedere: a) Ruolo primario della Regione, che deve assumere il compito di coordinamento e di promozione del piano energetico, al fine di orientare il mercato attraverso il governo della domanda e l’orientamento della produzione, verso una maggiore sostenibilità economica ed ambientale; b) Patto Regionale per l’Energia e l’Ambiente, quale strumento prioritario di indirizzi ed obiettivi concertati tra Regione, gli Enti locali, le rappresentanze delle forze economiche e sociali, dell’associazionismo ambientalista e dei consumatori, che rimanda la parte attuativa a successivi accordi volontari territoriali e di settore; c) Utilizzo di meccanismi di mercato per l’ottimale riorganizzazione della domanda energetica, privilegiando le fonti rinnovabili e contrattando con i fornitori del mercato l’acquisto dei vettori energetici a costo ridotto, e adozione di strumenti quali il Third Party Financing (Tpf) - per il miglioramento dell’efficienza degli impianti da cui deriva il risparmio d’energia e la riduzione delle emissioni inquinanti – per il tramite delle Energy Service Company (Esco). In particolare il Tpf è uno strumento finanziario sotto forma di “accordo contrattuale che comprende un terzo - oltre al fornitore di energia e al beneficiario della misura di miglioramento dell’efficienza energetica – che fornisce i capitali per tale misura e addebita al beneficiario un canone pari a una parte del risparmio energetico conseguito avvalendosi della misura stessa. Il terzo può essere o no una Esco” (Direttiva 2006/32/Ce). In questo processo, la Esco effettua l’intervento, grazie alle risorse anticipate dal sistema bancario, che svolge – pertanto – un ruolo fondamentale insieme al supporto centrale dell’Autorità di Governo. In merito, pur sottolineando la massima disponibilità del sistema bancario nel definire soluzioni che possano incentivare lo sviluppo dello strumento, si evidenzia che esistono oggettivi rischi per i soggetti finanziatori delle Esco quali: la difficoltà di prevedere in anticipo quali e quanti risparmi si otterranno; l’incertezza sul mantenimento dell’impianto per tutti gli anni calcolati; il controllo sul processo energetico da parte della società di servizi energetici. Difatti, nei Paesi in cui il “Finanziamento tramite Terzi” ha raggiunto buoni risultati è presente una garanzia da parte dell’utente che, nella fattispecie, potrebbe essere rappresentata dalla Regione Lazio. Si propone, quindi, l’incentivazione dello strumento, attraverso la costituzione di uno specifico fondo di garanzia (o la modifica di uno esistente che consenta il rilascio di garanzie in favore delle Esco); d) Utilizzo di meccanismi finanziari, promuovendo anche progetti che presentino grado di rischio elevato, attraverso meccanismi indiretti o tecniche di Project Financing; e) Assegnazione mirata di risorse comunitarie, nazionali e regionali, orientando così il mercato della produzione verso le linee di indirizzo del Piano; f) Agevolazione nell’accesso al credito più che intervento diretto, per implementare lo sviluppo di un “mercato energia” orientato alla sostenibilità ambientale ed economica (fondo di rotazione, fondo di garanzia, mutui energia, assicurazione energia), al fine di operare in regime d’efficienza e di libera concorrenza; g) Sottoscrizione di accordi volontari, avviando tavoli di concertazione finalizzati a: 1. Realizzare interventi di riduzione e/o di produzione d’energia che si andranno ad attivare sul territorio laziale al fine di garantire sostenibilità ambientale ed economica; 2. Agevolare il trasferimento tecnologico e gestionale dai centri di ricerca alle imprese al fine di aumentare l’efficienza energetica, l’innovazione e la competitività; 3. Indirizzare e stimolare i soggetti (con particolare riferimento alle compartecipate pubbliche) che a diverso titolo entrano nel mercato dell’energia al fine di promuovere le Esco (Energy Service Companies). 5. Assetto infrastrutturale e riequilibrio territoriale Nella dotazione di infrastrutture nel nostro Paese, il Lazio, secondo recenti dati elaborati dall’Istituto Tagliacarne si attesta ben al disopra della media nazionale. Si rileva, invece, un forte squilibrio tra le diverse realtà territoriali, con una infrastrutturazione molto più elevata a Roma piuttosto che nelle altre province del Lazio. Appare evidente una duplice necessità: a) controbilanciare il peso dell’area metropolitana romana con politiche di sviluppo ed integrazione degli altri ambiti territoriali del Lazio, anche attraverso il decentramento di funzioni di pregio che possano fare da catalizzatore per innescare strategie di sviluppo territoriale; b) collegare in maniera più efficace, con sistemi trasversali, i principali centri urbani della regione, nonché i sistemi produttivi locali al fine di consentire alle imprese il perseguimento di obiettivi comuni. Ciò anche in considerazione del fatto che opere grandi ed importanti sono previste non solo a Roma, ma in tutto il Lazio, e per queste è essenziale individuare forme di coinvolgimento dell’imprenditoria regionale, individuando interventi da realizzare che siano anche alla portata di imprese di media e piccola dimensione, ossia la maggioranza delle imprese del Lazio, anche incentivando e promuovendo forme di aggregazione imprenditoriale (Consorzi, associazioni temporanee, ecc). Si tratta di una caratteristica che non deve essere intesa in senso limitativo, ma testimonia la realtà di un’imprenditoria da anni radicata e diffusa sul territorio, attenta anche alle istanze sociali che ne derivano. Infine, per un effettivo rilancio economico e produttivo del Lazio, riteniamo importante il coinvolgimento dell’iniziativa privata, anche attraverso strumenti innovativi, tra i quali la finanza di progetto. Proponiamo, infine, di rivedere la legge del piano di coordinamento dei porti del 1998, per sostenere meglio lo sviluppo di un settore importante come quello della nautica e della cantieristica da diporto. 6. Formazione Riteniamo che, per quanto concerne la formazione dei lavoratori, sia fondamentale valorizzare il ruolo che le Associazioni di categoria possono esercitare, condividendo le relative impostazioni e metodologie con le Organizzazioni Sindacali nelle ipotesi di formazione concertata, al fine di razionalizzare l’intero sistema formativo anche a livello territoriale e locale. E’ sempre più evidente che il sistema formativo nel suo complesso debba divenire, da un lato, maggiormente rispondente alle esigenze dei lavoratori e, dall’altro, più efficace se guardato dal punto di vista del bilancio delle competenze e quindi dell’utilità per le imprese. Una tale impostazione consentirebbe, tra l’altro, di ottimizzare l’utilizzo delle risorse attualmente disponibili in materia formativa (vedi a titolo esemplificativo, Fse, legge 53/2000, fondi interprofessionali, ecc. ) nonché nella verifica dei loro contenuti e nel successivo controllo. In tal modo, difatti, si può garantire non solo una maggiore trasparenza sul sistema formativo in generale, ma anche una più incisiva corrispondenza tra il fabbisogno formativo rilevato dall’impresa e la “messa a disposizione”, tempestiva, del lavoratore formato presso di essa. Una formazione che dovrebbe tenere conto delle esigenze anche delle piccole e medie imprese nelle modalità organizzative per la sua erogazione. Ciò significa che, nel definire le modalità di fruizione della formazione, occorrerebbe applicare schemi formativi che possano essere utilizzabili sia dalle grandi imprese che dalle piccole e medie. In estrema sintesi, bisogna evitare che tale formazione sia organizzata dall’alto, senza alcun collegamento con i fabbisogni formativi reali delle imprese. Analogo approccio (con gli eventuali necessari correttivi organizzativi) proponiamo per quei settori nei quali l’accesso alla funzione imprenditoriale sia collegata dalle leggi, a tutela dell’utenza, a obblighi formativi propedeutici all’esercizio dell’attività. Auspichiamo dunque che siano presto gettate le basi per una formazione condivisa e che tenga anche conto del lato economico, ossia del cofinanziamento da parte delle imprese destinatarie, onde evitare la sua autoreferenzialità, attuando una concertazione che crei un costante e continuo collegamento funzionale tra il mondo imprenditoriale e quello formativo con la finalità primaria di garantire un’offerta formativa adeguata sia nella fase preliminare che in quella successiva all’ingresso dei soggetti nel mercato del lavoro. Riteniamo che il dialogo tra le Parti Sociali interessate sia fondamentale per creare un sistema integrato di formazione e che il coinvolgimento delle imprese sia necessario ed utile non solo in un’ottica di formazione continua lungo tutto l’arco della vita lavorativa ma anche nel più ampio ambito dell’apprendimento permanente. Infine, ribadiamo che la formazione non è una incombenza che deve ricadere solo sulle imprese, ma è un tema che deve coinvolgere tutti e sul quale la Regione Lazio deve impegnarsi ed investire. Auspichiamo, inoltre, che la Regione Lazio metta in campo sistemi conoscitivi sempre più in grado di intercettare e recepire le esigenze formative delle imprese. 7. Turismo Il turismo è segmento produttivo fondamentale per l’economia nazionale: l’incidenza sul Pil del Paese è pari, infatti, al 12%, dato di per sé più che ragguardevole. Ancor più, nella nostra Regione, esso è sicuramente uno dei volani dell’economia avendo un impatto nell’ordine del 15% del Pil, ad opera di 25. 000 imprese e 90. 000 addetti circa, non tenendo conto dei lavoratori stagionali e dell’indotto. Una più incisiva attenzione dell’istituzione regionale al settore, sicuramente misurabile anche con gli interventi in termini di dotazioni infrastrutturali (ivi comprese quelle portuali finalizzate al diporto), dovrebbe trovare ulteriori concreti riscontri nella rapida attribuzione alla neonata Agenzia per il Turismo della Regione Lazio di funzioni, competenze, risorse umane ed economiche che consentano di incidere in modo significativo sui mercati internazionali, nonché con la conclusione del percorso di riavvio e ammodernamento di strutture turistiche specificamente dedicate alla formazione (ad es. Enalc Hotel). Un intervento, quest’ultimo, indispensabile per assicurare, in tempi relativamente brevi, prestazioni professionali adeguate alle attese dei visitatori in termini di qualità del prodotto italiano di accoglienza ed ospitalità. 8. Emergenza casa, aree industriali, pianificazione urbanistica e commerciale Nuove sfide attendono le città: dalla globalizzazione alla ristrutturazione economica, dall’integrazione sociale alla sostenibilità, anche perché a livello mondiale il 50% del prodotto lordo è realizzato nelle città. Le città si spopolano, aumenta il pendolarismo, si sviluppano nuove funzioni urbane, emerge l´esigenza di migliorare e modernizzare le reti di collegamento. Al contempo, la città si deve anche aprire all’esterno, in particolare deve sapersi integrare con i territori limitrofi e con tutta la regione, attraverso scelte condivise di sviluppo territoriale ed infrastrutturale di area vasta. In tale quadro, le politiche della casa non sono residuali, ma parte integrante delle politiche urbane e dei processi di trasformazione e, a tal fine, riteniamo occorra incentivare il recupero di quartieri, con interventi di demolizione e ricostruzione, in significativi programmi di ricostruzione. A tal proposito, si rimarca il problema sia della scarsa disponibilità, sia del costo delle aree, che incide fortemente sul costo finale degli edifici in misura ormai largamente maggiore rispetto al costo di costruzione. Anche perché è ormai assolutamente realistico il fabbisogno, stimato per il Lazio dalla Regione, di almeno 50 mila alloggi per l´edilizia sociale. Il problema della casa, infatti, sta assumendo nel Lazio – non solo a Roma, ma anche nelle altre province – una dimensione considerevole con connotazioni diverse rispetto al passato. Anche per questo, sull’argomento il sistema imprenditoriale, di recente, ha fatto alle amministrazioni diverse proposte innovative dal punto di vista tipologico, tecnologico e finanziario. Alla luce di tali considerazioni è evidente che lo sviluppo corretto del territorio debba avvenire attraverso una pianificazione urbanistica che tenga conto di tutte le funzioni necessarie a garantire la crescita dei centri urbani: dalla residenzialità alle reti infrastrutturali, alle aree industriali. Ma, a fronte di una pianificazione urbanistica, occorre che vi sia anche una programmazione degli insediamenti commerciali coerente con l’espansione delle città e tarata sulle nuove abitudini d’acquisto e sulla necessità di garantire l’equilibrio tra piccola, media e grande distribuzione, oltre al giusto mix merceologico nei nuovi insediamenti. Infine, l’attenzione della Regione Lazio verso i distretti industriali va mantenuta ed intensificata ma occorre una rilettura della problematica e della natura degli stessi distretti, nonché, crediamo, anche un aggiornamento della loro concezione che, ad oggi, sembra un po’ datata. Inoltre, riteniamo essenziale inserire correttivi quali, ad esempio, un coinvolgimento nei bandi di finanziamento anche di tutto l’indotto specializzato, che rappresenta gran parte della produzione. 9. Ricerca, Innovazione Tecnologica e Sviluppo Gli ultimi Consigli dell’Unione Europea hanno evidenziato una condivisione generale sulla necessità che il finanziamento e la diffusione della Ricerca e dell’Innovazione possano divenire il valore aggiunto per fare dell’Europa l’area più competitiva. E’ fondamentale che gli enti pubblici investano maggiormente nella ricerca, nella formazione e nel sostegno all’innovazione tecnologica a partire però dalle singole vocazioni di ogni territorio. Dobbiamo purtroppo registrare, in merito a questo, una scarsa efficacia e produttività delle politiche dei distretti tecnologici, a causa anche di una lentezza legislativa da parte della Regione Lazio che non aiuta le Pmi. Da sottolineare anche una insoddisfacente determinazione da parte dell’Ente nell’approfondimento e nella conoscenza delle esigenze e delle caratteristiche delle Pmi in merito alla ricerca e all’innovazione tecnologica. Altrettanto importante, per assicurare il futuro dell’occupazione in un’economia sempre più globalizzata, inoltre, è la formazione alla gestione dell’innovazione, unico strumento nel lungo termine per assicurare la continuità imprenditoriale e locale delle imprese. Le politiche dell’Unione Europea offrono, infatti, un consistente numero di opportunità di finanziamento e possono essere definite il motore della crescita e dello sviluppo degli Stati Membri. Ciò nonostante, l’ostacolo maggiore nel raggiungimento degli obiettivi della Strategia di Lisbona sembrerebbe essere l’assenza di meccanismi semplificati per accedere e conoscere i sistemi di finanziamento della Ricerca e dell’Innovazione all’interno dell’Unione Europea da parte delle Piccole e Medie Imprese. Nel nostro Paese, tutto ciò appare ancora più evidente: l´Italia contribuisce al budget dell’Unione Europea per il 13,73% ma riceve, attraverso i programmi di finanziamento, solo il 9,2%. Come noto, infatti, in Italia gli investimenti in Ricerca e Sviluppo rappresentano, l´1,1% del Pil, contro la media dell´1,81% dell´Europa a 25, il 2,7% degli Usa e il 3,15 % del Giappone. Al fine di far partecipare più attivamente il sistema bancario con l’apporto di capitale proprio nell’investimento in R&s e agevolare il perseguimento degli obiettivi imposti da Lisbona, si propone la creazione di strumenti di incentivazione che abbiano i seguenti obiettivi: • attenuare l’impatto sulla finanza pubblica, attraverso un maggior utilizzo di risorse private e riduzione dell’intensità complessiva degli aiuti; • impegnare maggiormente le imprese, attraverso il passaggio graduale dal contributo pubblico a un sistema misto di finanziamento, in parte pubblico ed in parte bancario; • coinvolgere il sistema bancario nel finanziamento diretto degli investimenti delle imprese. Infine, non è affatto da sottovalutare l’aspetto legato al ritardo nelle erogazioni dei contributi alle imprese che ne hanno diritto, avendo predisposto progetti di innovazione, perché tale rallentamento rende per esse difficile l’anticipo, spesso per molto tempo, di risorse che solo poi vengono recuperate. 10. Concorrenza e liberalizzazioni La concorrenza è un elemento fondamentale del mercato. In tale ambito, la liberalizzazione dei servizi rappresenta un’assoluta priorità. Abbiamo una elevata aspettativa nei confronti della filiera istituzionale del Lazio (in primis la Regione che può intervenire direttamente e indirettamente) affinché venga realizzata una ampia liberalizzazione dei servizi pubblici locali. L’assenza di concorrenza sta “scaricandosi” infatti sulle imprese laziali che sono penalizzate sia per una sempre più insopportabile lievitazione dei costi sostenuti che per l’inefficienza nell’erogazione del servizio (derivante, ad esempio, dalla mancanza di investimenti e innovazione). Al fine di dar vita a reali processi di liberalizzazione, annettiamo grande importanza all’affidamento diretto con gara pubblica della gestione del servizio. Procedura che deve rappresentare la regola, superando l’affidamento in house. Insistiamo su questo punto perché la gara è il solo strumento attraverso il quale è possibile assegnare la gestione del servizio all’operatore più efficiente e, così, in grado di assicurare elevati livelli di qualità del servizio. Obiettivi che confliggono laddove si proceda, senza gara, con l’affidamento diretto a società a capitale pubblico, modalità che non consente di risolvere i conflitti d’interesse impliciti nell’Ente locale. Un altro versante in cui si deve dar vita ad una sorta di “liberalizzazione” in termini di ottimizzazione di utilizzo di risorse pubbliche è quello infrastrutturale. Come Consulta riteniamo che il soggetto pubblico serva in linea di massima a fare gli start-up e non la gestione di una infrastruttura. Approccio che consente una “rotazione” del capitale pubblico decisamente più efficiente rispetto alla soluzione in cui l’operatore pubblico cumuli la realizzazione e la gestione dell’infrastruttura. Rotazione che si traduce in un aumento di offerta infrastrutturale addizionale nettamente superiore rispetto all’altra soluzione. In tale quadro l’Agenzia delle Infrastrutture - in cui sono azionisti assieme alla Camera di Commercio di Roma anche il Comune di Roma e la Regione – costituisce una utile iniziativa che va valorizzata in questa ottica. .  
   
 

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