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Notiziario Marketpress di Martedì 19 Settembre 2006
 
   
  NOMISMA: II RAPPORTO 2006 OSSERVATORIO SUL MERCATO IMMOBILIARE LA CONGIUNTURA IMMOBILIARE IN ITALIA

 
   
   Milano, 19 settembre 2006 - La crescita delle quotazioni degli immobili, nel corso dell’ultimo semestre, è misurata nel +3-3,5%, mentre in sede annua gli incrementi sono stati del 6-7% Si tratta della più contenuta crescita in termini nominali dal 2000 ad oggi, con un trend di graduale rallentamento che si era ravvisato da circa un biennio. Da notare comunque che, sebbene in una tendenza pluriennale di rallentamento, il dato recentemente rilevato indica che comunque il mercato non si è affatto fermato evidenziando, anzi, elementi di buona tenuta strutturale. I segnali di debolezza precedentemente avvistati, contrariamente alle attese, so no rimasti circoscritti ad alcuni ambiti locali, senza dar luogo a quel fenomeno di propagazione territoriale che, sul finire dello scorso anno, sembrava ormai aver preso avvio. Alla fine dello scorso anno infatti si era profilato all’orizzonte un quadro prospettico piuttosto preoccupante per alcune realtà urbane (ad esempio Milano, Venezia, Firenze), che poi, alla luce dei dati a consuntivo, è stato in parte disatteso. Quella sorta di atterraggio morbido e assestamento che, nell’opinione degli operatori, doveva caratterizzare le “avanguardie” del mercato immobiliare non ha, dunque, trovato riscontro negli andamenti reali. Alla base di tale reiterato vigore deve essere posto il modesto effetto che il contenuto incremento dei tassi d’interesse (ora al 2,75%) da una parte e la contrazione della redditività dall’altra, hanno avuto sulla domanda. Come ampiamente sottolineato nelle analisi precedenti, la gradualità degli adeguamenti rappresentava, infatti, il fattore decisivo, almeno nel breve periodo, per evitare drastiche ricadute sul mercato. E così è stato. La dinamica recente parrebbe, dunque, fornire indicazioni incoraggianti circa le prospettive immediate del settore, che tuttavia vengono pesantemente ridimensionate dal sempre più frequente dilagare di previsioni allarmistiche per il mercato immobiliare italiano e per parte di quello continentale. Gli ultimi warning in ordine di tempo sono stati lanciati dalla Banca Centrale Europea e dalla Banca Internazionale dei Regolamenti che, pressoché all’unisono, hanno evidenziato la recente accelerazione nella crescita, a loro dire, preoccupante dei prezzi delle abitazioni italiane. Pur non ravvisando, quantomeno con riferimento all’Italia, la tendenziale accelerazione del mercato, così come evocato dagli organismi di controllo a livello europeo (e dunque i rischi ad essa connaturati), non si può non riconoscere come sul settore immobiliare si stiano pericolosamente palesando incognite , il cui impatto sarà tanto più dirompente quanto più la loro azione risulterà concomitante. Senza voler individuare gerarchie di pericolosità, gli ambiti d’attenzione possono essere così sommariamente sintetizzati, tenendo presente che essi sono fra loro profondamente interconnessi: sostenibilità dei prezzi; offerta residenziale in tendenziale aumento; tassi di interesse; fiscalità. Per quanto riguarda il primo aspetto citato, il rapporto fra prezzi e canoni, indice della sostenibilità dei primi in relazione alla redditività potenziale ottenibile dagli investimenti immobiliari, si nota il raggiungimento dei livelli storici massimi. Infatti la recente differenza nelle velocità di crescita di prezzi (più rapidi) e canoni (pressoché stabili) è all’origine dell’incremento del rapporto fra le due grandezze e potrebbe lasciare presagire entro breve una loro riarmonizzazione così da riportare il loro rapporto su livelli più vicini alla media storica. L’ipotesi più probabile (ed auspicabile) è quella di un movimento di tendenziale crescita dei canoni di locazione spinti dalla ventilata ripresa dell’economia, dopo anni in sofferenza, che si potrà associare ad un contestuale raffreddamento progressivo delle dinamiche espansive dei valori di compravendita: un soft landing che non dovrebbe comportare sensibili traumi nel mercato. Con riferimento, poi, al lato dell’offerta, si è assistito, negli ultimi 6/7 anni ad un incremento ininterrotto degli investimenti per la costruzione di nuove abitazioni (circa 20% la variazione incrementale di periodo, con una crescita media annua intorno ai 3,5 punti percentuali) che hanno arricchito progressivamente l’offerta preesistente, dando sì un miglioramento sul fronte quali-quantitativo, ma contribuendo altresì a delineare, specie localmente, un accumulo eccedente le esigenze della domanda, ora più debole rispetto all’inizio del ciclo espansivo. L’incremento dello stock sul mercato non dovrebbe determinare un problema di assorbimento data la ripresa della dinamica demografica a livello nazionale (+0,5% tra il 2004 ed il 2005) e, soprattutto, dato l’incremento ancora più sostenuto del numero dei nuclei familiari (+1,2%) che sospingono un domanda vieppiù parcellizzata. La domanda di abitazioni sarà inoltre sicuramente influenzata dall’andamento futuro dei tassi di interesse e quindi dal costo dell’indebitamento per l’acquisto di case. A tale proposito, si sta assistendo da circa un anno a questa parte ad un progressivo innalzamento del costo del denaro da parte della Banca Centrale Europea, passati dal 2% di fine 2005 all’attuale 2,75%. Nella seconda parte dell’anno ci si attende un loro ulteriore innalzamento: è previsto un primo aumento al 3% ad inizio agosto, sino a raggiungere il 3,25% a fine anno, il che comporterebbe, con il maggior costo per i mutui in essere, una potenziale contrazione della domanda di accensione di nuovi contratti. La riduzione contestuale dello spread fra i tassi a lungo termine (che interpretano le aspettative del mercato relativamente a quelli a breve) e quelli a breve termine potrebbe fare però presupporre che il mercato reputa che i recenti interventi rialzisti sui tassi a breve termine non determinino un significativo innalzamento dei livelli di riferimento di lungo termine; si tratterebbe perciò solamente di manovre congiunturali a controllo della crescita dell’inflazione europea. I riflessi sul mercato dei mutui ipotecari che possiamo al momento registrare si individuano nel graduale spostamento delle erogazioni verso contratti a tasso fisso o con modalità “cap” a scapito dei mutui accessi a tasso variabile. Stante l’ipotesi sopra descritta, tali tendenze potrebbero comunque essere interpretate come un fenomeno più di natura emotiva che di tutela per un effettivo rischio. La tematica della fiscalità sugli immobili, recentemente introdotta dal decreto legge del 30 giugno 2006 (n. 223/2006), è quella che sta facendo più discutere la real estate community. Infatti con il citato decreto legge, oltre che intervenire su competitività e liberalizzazioni, il Governo ha inteso modificare radicalmente l’imposizione fiscale sulle attività immobiliari eliminando il regime dell’Iva detraibile per sostituirlo con la tassa di registro al 10%. L’implicazione di tale rivoluzione per quanto riguarda l’Iva a credito alla data di entrata in vigore del Dl è che essa deve essere restituita. A parte le molte considerazioni che possono essere fatte sul nuovo regime fiscale, da una prima verifica dell’impatto della “necessaria” restituzione dell’Iva, emerge un carico economico-finanziario sulle imprese dell’industria immobiliare come le società quotate e non, i fondi immobiliari, le società di leasing, di dimensione insostenibile, essendo nell’ordine dei 30 miliardi di €, metà dei quali dovrebbero provenire dalle società di leasing e l’altra metà dal sistema dei fondi immobiliari, delle società immobiliari quotate e non quotate, delle società di gestione, di trading e di costruzione. Per contro la relazione tecnica di accompagnamento del Dl sottostima ampiamente l’impatto della rettifica fissandolo in soli 480 milioni di €. Due ulteriori effetti negativi dell’attuale formulazione del Decreto, oltre alla rettifica dell’Iva di cui sopra, sono rappresentati: (i) dall’indetraibilità a regime dell’Iva assolta sugli acquisti di beni e servizi che determina un incremento di pari importo dei costi di manutenzione e di gestione degli immobili; (ii) dall’effetto depressivo sui prezzi di vendita degli immobili riveniente dall’applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale (totale 10%). L’impatto totale determina una perdita di valore patrimoniale superiore al 10% del valore complessivo del patrimonio immobiliare (e cioè su uno stock complessivo terziario di 900 miliardi di € una perdita patrimoniale di almeno 90 miliardi di €) ed una corrispondente riduzione della redditività per risparmiatori ed investitori, differenziata in funzione del ricorso alla leva finanziaria. Sulla base dell’attuale formulazione del Decreto, quindi, l’onere che verrebbe a gravare complessivamente sul mercato immobiliare sarebbe di entità talmente rilevante da pregiudicare la sopravvivenza stessa delle società, dei fondi immobiliari e della società di leasing e di congelare di fatto il mercato delle compravendite e degli investimenti immobiliari. Occorre inoltre sottolineare anche gli inevitabili effetti negativi che si produrrebbero a cascata sul sistema bancario, sia per gli effetti deleteri che si verrebbero a determinare sulla capacità delle società/fondi di servire il debito, sia per gli effetti più specifici sui finanziamenti dell’Iva. Si evidenzia infine che, negli ultimi anni, vi sono stati rilevanti afflussi di capitale nazionale ed internazionale (complessivamente 4,1 miliardi di Euro nel 2005 - con una crescita dell’8% su base annua -, il cui 75% costituito da investimenti cross border) e che a seguito degli impatti negativi della nuova misura sarebbero indotti a riconsiderare le proprie destinazioni di investimento su altri Paesi, con gravi danni per la credibilità del sistema e a discapito delle attività economiche generali del paese, nonché delle iniziative di privatizzazione ivi incluse quelle di privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. 2. La congiuntura immobiliare nelle 13 grandi aree urbane I dati emersi in questo semestre dalla consueta indagine Nomisma sui 13 maggiori mercati immobiliari italiani, smentiscono quanti avevano gridato al pericolo di una imminente bolla immobiliare. Le tendenze che emergono sono quelle di un mercato che cerca un nuovo equilibrio dopo anni di crescita e che sembra prendersi il tempo necessario per riflettere su se stesso. Ne sono testimonianza la ripresa della domanda abitativa (più cauta che in passato rispetto alle scelte d’acquisto e di investimento, ma comunque presente e attenta), il sostanziale mantenimento delle tempistiche di vendita in tutti i comparti analizzati e la diffusa crescita delle quotazioni di compravendita, che hanno messo a segno variazioni in alcuni casi superiori a quelle evidenziate lo scorso semestre. Con la sola eccezione delle abitazioni, è buona la tenuta degli sconti, che, in generale assorbimento, testimoniano una migliore aderenza delle quotazioni iniziali alle effettive condizioni del mercato. Discorso diverso per il segmento locativo, penalizzato da un calo d’interesse da parte della domanda che si associa a incrementi nelle quantità immesse sul mercato che iniziano a far impensierire per l’eventualità di un mancato assorbimento. A ciò si aggiunge una performance dei canoni inferiore a quella dei prezzi che ha comportato un’ulteriore contrazione della redditività lorda da locazione, scesa pressoché ovunque sui valori antecedenti la fase espansiva del ciclo. La minore dinamicità rilevata sul fronte delle locazioni si avverte anche osservando il graduale e ininterrotto allungamento dei tempi necessari per locare gli immobili, ora pressoché assimilabili alle tempistiche di vendita. Le previsioni per il prossimo semestre inducono al mantenimento di una certa cautela, seppur emerga un qualche cattivo presagio per quel che riguarda il segmento locativo. Nonostante le premesse negative che si erano venute a creare lo scorso semestre, il mercato abitativo delle principali realtà urbane italiane sembra aver ritrovato qualche slancio positivo, testimoniato innanzitutto da variazioni nei valori di compravendita superiori a quelle registrate sei mesi fa e tutto sommato in linea con quelle della prima parte del 2005. Segnali incoraggianti sono pervenuti anche dalle indicazioni degli operatori a proposito delle quantità domandate e offerte per l’acquisto, entrambe in ripresa. Ciò non ha tuttavia portato a significative variazioni nel volume di contratti stipulati, anche alla luce della maggior attenzione che la domanda ripone nei confronti delle proprie scelte insediative (non a caso si rileva un diffuso incremento delle tempistiche medie di vendita, in media pari a 4,2 mesi). La motivazione più frequente che porta all’acquisto di un’abitazione risulta essere il bisogno di prima casa (52%), seguita dalla necessità di sostituire l’attuale residenza con una più conforme alle proprie esigenze (25,5%) e dalla volontà di investire nel mattone (12%). Circa il 10% delle compravendite riguardano invece l’acquisto di una seconda casa. L’ulteriore crescita dei prezzi è probabilmente alla base dell’incremento medio degli sconti concessi sul prezzo inizialmente richiesto, pari al 10,7% (valore in linea con la media degli ultimi 2 anni). Come già anticipato, i prezzi hanno messo a segno variazioni positive nell’ordine dei 3,7 punti percentuali su base semestrale (7 su base annua), a fronte di una sostanziale stabilità dei canoni (è il secondo semestre consecutivo in cui la crescita rilevata non raggiunge il mezzo punto). All’interno di questo quadro generale, sono poi da evidenziare alcune realtà in cui la performance dei valori non è stata così positiva: a Milano e Torino sono iniziati a comparire i primi segni “meno” in corrispondenza dei prezzi di abitazioni nuove, e sono ancor più diffusi i segnali negativi che provengono dal mercato delle locazioni (le variazioni al ribasso riguardano addirittura la metà delle città monitorate). In effetti, il quadro che emerge a proposito del segmento locativo appare meno roseo, considerato che ad un incremento di offerta si è associata una perdita d’interesse della domanda (la percentuale di pessimisti si è via via ingrossata arrivando a superare il terzo degli intervistati). A far impensierire ulteriormente è il progressivo allungamento dei tempi medi di locazione (da poco più di un mese e mezzo del 2002 si è giunti ai quasi 3 mesi odierni) associato alla contrazione dei rendimenti lordi da locazione (ora pari al 5,1%, contro il 5,9% raggiunto all’inizio della fase espansiva). Riguardo al futuro, gli operatori mostrano sempre una certa cautela, orientandosi prevalentemente verso il mantenimento delle attuali tendenze; risulta comunque in crescita la percentuale di coloro che ritiene probabile una flessione sul versante locativo. Domanda indebolita e fiacca, offerta che continua a crescere (soprattutto sul mercato delle locazioni) e attività contrattuale che non decolla: questi, in sintesi, gli elementi chiave del mercato direzionale dei maggiori centri urbani nel I semestre del 2006. Quello degli uffici, in effetti, è un mercato che sembra raffreddarsi, per quanto non si riscontrino significative variazioni riguardo a tempi medi di vendita o locazione e prezzi e canoni continuino a salire (le variazioni messe a segno dai valori di compravendita -+3,1% - risultano persino lievemente superiori a quelle registrate sei mesi fa - +2,7% -). Le maggiori difficoltà riscontrate dal segmento locativo risultano evidenziate dalla minore performance dei canoni, cresciuti, nel semestre, dell’1,4% (in realtà come Venezia, Torino e Firenze, non mancano tuttavia i segni meno). Come negli altri comparti, ciò ha determinato una riduzione dei rendimenti lordi da locazione, scesi al 5,5%, un punto percentuale in meno rispetto alla fase iniziale del ciclo espansivo. Un’ultima considerazione va fatta riguardo gli sconti medi praticati sul prezzo inizialmente richiesto, scesi attorno all’11% (12 mesi fa avevano raggiunto i 12 punti percentuali); sebbene non si tratti di una variazione eclatante (soprattutto analizzando i dati in un’ottica temporale più lunga), l’analisi incrociata con altri indicatori, denota un maggior allineamento dei prezzi attuali al valore effettivo degli immobili presenti sul mercato. Le previsioni per i prossimi mesi appaiono prevalentemente improntate al mantenimento delle tendenze odierne, anche se è presente una percentuale consistente di operatori che denota un certo pessimismo in relazione all’andamento di entrambi i segmenti di mercato (il timore è soprattutto quello che si venga a creare un eccesso di offerta difficilmente assorbibile in conoide razione della maggiore cautela della domanda in un contesto di debole crescita economica che induce ad una razionalizzazione dei costi). Questa prima parte dell’anno si è rivelata senza gioie né dolori per il mercato degli immobili commerciali, connotato da una diffusa stazionarietà di domanda, offerta e attività contrattuale. E’ comunque da sottolineare un ispessimento della schiera di operatori che ha intravisto un calo delle quantità domandate, associato, nel solo segmento locativo, ad un incremento dell’offerta immessa sul mercato. Rimangono invariati rispetto a sei mesi fa, tempi medi di vendita e di locazione (rispettivamente pari a 5 e 4 mesi) e i divari tra prezzo richiesto e prezzo effettivo di vendita (11%). I prezzi, cresciuti del 3,2%, hanno registrato variazioni poco superiori a quelle dei canoni (2%), e la redditività da locazione non ha subito cambiamenti di rilievo (7,9%), unico segmento fra quelli considerati. Riguardo al futuro, gli operatori ritengono non vi siano condizioni sufficienti affinché si manifestino tendenze diverse da quelle sinora esposte. Il mercato dei posti auto si è connotato per livelli di domanda superiori a quelli evidenziati sei mesi fa a cui, però, non ha fatto riscontro un’analoga performance sul versante dell’offerta. Stabili, di conseguenza, i volumi contrattuali sia di acquisto che di locazione, anche se risulta in aumento la quota di chi ha percepito un incremento degli atti di compravendita. Il quadro generale che emerge è comunque quello di un mercato “rilassato”, dove la domanda prende sempre più tempo per concludere i propri affari (aumentano i tempi di permanenza degli immobili per compravendite e locazioni) e dove l’offerta tenta di trarre il maggior profitto possibile da questa fase di stabilizzazione del ciclo. A tal proposito si consideri che gli sconti mediamente praticati sul prezzo iniziale richiesto sono calati di oltre mezzo punto nell’ultimo semestre, attestandosi su 6,5%, a fronte di prezzi di compravendita che continuano a salire a ritmi tutt’altro che attenuati (le variazioni registrate nel 2006 sono di poco inferiori a quelle rilevate un anno fa e nell’ordine dei 6 punti percentuali). La minor crescita dei canoni (le variazioni non raggiungono il 4%) ha portato ad una riduzione della redditività lorda da locazione, che va dal 6,2% dei box, all’8% dei posti auto all’aperto. Le ipotesi previsive formulate dagli operatori sono orientate verso una stabilizzazione dei valori e dei volumi contrattuali. 3. Il mercato immobiliare turistico Il mercato delle seconde case per vacanza, anche in questi ultimi dodici mesi, ha evidenziato tendenze di crescita, ma con rallentamenti nelle dinamiche dei prezzi, seguendo così il trend di generale raffreddamento che si sta percependo anche nei mercati immobiliari principali. L’offerta viene segnalata in crescita, ma incapace di soddisfare in modo esauriente la domanda, anch’essa in piena evoluzione e sempre più spesso proveniente dall’estero, in particolare Germania, Inghilterra e Svizzera. Stabili, poi, i contratti di compravendita stipulati, giudicati dagli operatori invariati rispetto all’anno precedente, ad evidenziare una problematica fondamentale per questo settore, ossia la qualità di quanto presente sul mercato, non sempre in grado di assecondare i desiderata della domanda. Oltre alla qualità intrinseca dell’immobile ricercato, sia esso di nuova costruzione che già realizzato, la domanda sembra valutare sempre più altri fattori quali i servizi presenti nella località turistica, l’infrastrutturazione del territorio (viabilità, parcheggi, …), la cura degli elementi di carattere ambientale e le attrazioni in grado di rispondere alle esigenze di fasce di età differenti (adulti, bambini, anziani, …). Molta attenzione alle caratteristiche intrinseche ed estrinseche della seconda casa per vacanza viene esercitata anche quando si tratta di immobili in locazione, mercato questo dove sembrano riscontrarsi i problemi maggiori, con lievi flessioni della domanda e del numero di locazioni a fronte di un’offerta percepita in leggero rafforzamento. In generale, comunque, l’immobile “tipo” per vacanza dovrebbe avere le seguenti caratteristiche: essere un bilocale dotato di cucina o angolo cottura, bagno, camera da letto, terrazzo, posto auto, camino (solo per le località montane) e giardino. Molto apprezzata poi l’ubicazione in zone facilmente raggiungibili con mezzi pubblici o privati e prossime a spiagge (per le località marine) o impianti sciistici (in montagna). Per quanto riguarda i prezzi di compravendita, il 2006 si caratterizza per un significativo ridimensionamento della crescita sia nelle località marine che in quelle montane, le variazioni percentuali osservate nello stesso periodo dell’anno precedente fornivano incrementi rispettivamente pari a 6,7 e 6,8 punti percentuali, mentre attualmente si collocano al 5,3% e 4,2%. Dopo un biennio in cui l’accelerazione nei prezzi era più evidente in corrispondenza delle località di montagna, oggi tale relazione si inverte a vantaggio delle città di mare. Le previsioni formulate dagli operatori del mercato per i prossimi dodici mesi nel comparto immobiliare turistico evidenziano una sostanziale stabilità del mercato locativo, così come invariati dovrebbero apparire i volumi di compravendita, mentre si potrebbe verificare un lieve incremento dei prezzi. Il progressivo cambiamento di assetto del settore dei fondi immobiliari non sembra conoscere soste. Tra la fine del 2005 e la prima parte di quest’anno sono, infatti, stati varati almeno 20 nuovi prodotti, che si sono andati ad aggiungere ai 37 preesistenti. Rispetto agli esordi il comparto è, tuttavia, radicalmente cambiato, sulla scorta delle continue evoluzioni della normativa di riferimento, che non pare, ancora oggi, al riparo da ulteriori interventi di riforma. I primi fondi ordinari destinati ad investitori retail, sono stati dapprima affiancati, poi pressoché soppiantati, da prodotti ad apporto pubblico e privato, rivolti prevalentemente ad operatori qualificati. Si tratta di iniziative, perlopiù di modeste dimensioni, su cui le poche informazioni disponibili (le società di gestione non sono tenute alla pubblicità prevista per i fondi rivolti al mercato), non consentono di formulare un giudizio definitivo. L’evoluzione avuta dal settore nell’ultimo biennio risulta evidentemente schematizzata nei grafici riportati di seguito. I fondi riservati che fino a due anni fa rappresentavano, sia in termini quantitativi che di patrimonio, poco meno del 25% dell’offerta complessiva, paiono oggi la componete di gran lunga più vitale del sistema. Allo stesso modo, le iniziative ad apporto, che fino al 2001 erano prerogativa esclusiva dei soggetti pubblici, sono oggi arrivate a superare quelle ordinarie, palesando una crescita invero sorprendente (sono 12 le iniziative approdate sul mercato solo nel secondo semestre 2005). Il boom dei fondi immobiliari, arrivati nella prima parte dell’anno a superare i 12 miliardi di Euro di patrimonio netto ed i 16 di investimenti immobiliari, è … stato dunque accompagnato (e in parte reso possibile) da una profonda trasformazione del settore. Resta ora da verificare se il mercato sarà in grado di fare fronte, nei prossimi anni, alle esigenze di smobilizzo delle società di gestione con prodotti a termine, anche in ragione delle difficoltà congiunturali che sembrano profilarsi. Gli interventi del legislatore, nonché l’attenzione degli operatori, si può dire sia stata maggiormente orientata all’ampliamento e al rilancio del settore (in 18 mesi gli investimenti immobiliari sono effettivamente passati da 5,7 a 15,5 miliardi di Euro), piuttosto che alla creazione di un sistema in grado di garantire un mercato “secondario” per le iniziative che si avviano a scadenza. Il rischi di un eccesso di offerta non sono, tuttavia, gli unici a gravare sul settore, ritornato prepotentemente all’attenzione del legislatore. I recenti inasprimenti fiscali varati dal Governo (decreto legge 223/06), rappresentano non solo un duro colpo per molte delle iniziative in atto (inserendo di fatto un elemento distorsivo tra fondi ordinari e ad apporto), ma anche una penalizzazione per le prospettive future. Ad incidere negativamente, soprattutto presso gli investitori stranieri, non è solo l’aggravio fiscale (imposte di registro e ipotecaria e catastale, in luogo dell’Iva detraibile), quanto l’incapacità di mettere a riparo il sistema da continui stravolgimenti. Da questo punto di vista, il danno che si viene a determinare per l’industria italiana dei fondi immobiliari va ben al di là della mera quantificazione del gettito previsto, senza considerare gli inevitabili risvolti che l’inasprimento fiscale avrà sulla congiuntura immobiliare. Sulla base di una nostra stima, gli importi dovuti all´erario a seguito delle disposizione di cui all´art. 35, comma 9 del decreto legge n. 223 del 2006, che prevede la rettifica della detrazione dell´Iva operata sugli acquisti di immobili effettuati negli ultimi dieci anni e non ancora ceduti limitatamente a tanti decimi dell´imposta quanti sono gli anni mancanti al compimento di dieci anni dalla data di acquisto, possono essere stimati in 450,4 milioni di Euro per il mondo dei fondi immobiliari. A tale ammontare occorre aggiungere i circa 38,3 milioni di Euro riconducibili alla sopraggiunta indetraibilità dell’Iva sui costi sostenuti per interventi manutentivi e servizi di gestione e vendita. Si tratta di un duro colpo (seppur contenuto se paragonato all’effetto della manovra sull’intero sistema), inferto ad uno strumento tra i più trasparenti che, negli ultimi anni, ha contribuito in maniera fondamentale allo sviluppo immobiliare ed economico del Paese. Le considerazioni sin qui esposte finiscono per porre in secondo piano le buone performance che la maggior parte dei fondi ha fatto segnare nel corso del 2005. La maggior parte dei prodotti operativi da almeno qualche anno ha, in fatti, confermato la tendenza al superamento degli obiettivi di redditività dichiarati in sede di collocamento, evidenziando inoltre una certa generosità nella distribuzione dei dividendi e nel rimborso anticipato delle quote. Ai positivi risultati ha generalmente contribuito la capacità di produrre flussi di cassa, piuttosto che la rivalutazione dei rassicuranti valori di stima degli immobili. Si tratta di un aspetto rassicurante, che dovrebbe contribuire a ridurre le perplessità degli investitori, circa la capacità di realizzazione di plusvalenze, per ora, latenti. Dall’esame della liquidità non ancora investita e della leva finanziaria non utilizzata emerge, tuttavia, l’immagine di prudenza che caratterizza il settore, penalizzato dagli elevati valori di mercato e da prospettive congiunturali meno rosee rispetto al passato. L’asset allocation dei fondi conferma tale quadro, evidenziando la prevalente esposizione verso il settore teoricamente a più basso profilo di rischio, vale a dire quello direzionale (la cui quota si attesta tuttora al di sopra del 60%). Sul versante borsistico non si segnalano differenze significative rispetto alle tendenze storiche. Nei primi mesi dell’anno si è, infatti, addirittura accentuato il divario che separa le quotazioni dai valori di bilancio, arrivando a sfiorare, in media, i 30 punti percentuali. Si tratta di un divario talmente ampio, da risultare non interamente riconducibile alla modestia del mercato secondario (e dunque alla scarsa liquidità del sistema) o all’orizzonte temporale di lungo periodo dell’investimento. Col passare degli anni, prende sempre più consistenza l’ipotesi che almeno parte dello sconto rappresenti una scelta consapevole degli investitori, in attesa di verificare la risposta del mercato a dismissioni più massicce e, più in generale, l’evoluzione della congiuntura immobiliare. Alla luce di tali considerazioni paiono, dunque, destinate a non essere colte, almeno nel breve periodo, le occasioni di acquisto scaturite dalla sottovalutazione delle quote. L’eccezionale andamento delle (poche) società immobiliari quotate dell’ultimo biennio ha subito, negli ultimi mesi, una battuta d’arresto. La flessione recente, scaturita dall’inasprimento della fiscalità voluto dal Governo era, infatti, stata preceduta dal ben più pesante arretramento (-20%) registrato tra maggio e giugno di quest’anno. Nonostante i dati, generalmente, confortanti della prima trimestrale e gli obiettivi di ulteriore crescita, il settore aveva visto bruscamente penalizzate le proprie quotazioni, apparse, in alcuni casi, sovradimensionate. L’esigenza di diversificazione territoriale e di business, imposta dalla prospettive di saturazione del mercato domestico, hanno indotto alcuni analisti a rivedere al ribasso il target price dei principali titoli del comparto. La modesta capitalizzazione complessiva ha contribuito, come sempre accade per l’immobiliare quotato, ad amplificare gli effetti di un peggioramento solo prospettico. In un quadro, dunque, già fisiologicamente riflessivo, si è deciso di inserire un elemento di forte penalizzazione per le società immobiliari (specie, nell’immediato, per le property companies), che se non verrà, entro breve, significativamente attenuato, rischierà di avere effetti dirompenti sull’intero settore (secondo le stime Assoimmobiliare il gettito proveniente da società e fondi dovrebbe attestarsi sui 15 miliardi di Euro). Dal punto di vista degli andamenti di Borsa, è interessante notare l’analogia tra l’indice immobiliare e quello delle costruzioni. Se per il primo le ragioni della flessione sono da individuare tra quelle sopracitate, per il secondo si è trattato di una presa di beneficio degli investitori a seguito dell’eccessiva esuberanza dei primi mesi dell’anno, avviata dalla prospettiva di un ridimensionamento delle opere pubbliche. Il parziale recupero dell’ultima settimana sembra confermare il peso dell’emotività nella radicalizzazione delle tendenze in atto. Il saldo delle aspettative sui prezzi ed il numero di compravendite per il secondo semestre del 2006 formulate dagli operatori che compongono il nostro panel d’opinione, mostra un sostanziale equilibrio tra i giudizi di crescita e quelli di diminuzione, avvalorando la tesi di un mercato ormai giunto in una fase di assestamento e segnando un’interruzione del deterioramento dei sentiment iniziato nel 2002 (in entrambe le voci analizzate i giudizi di stabilità superano il 60%). Per il prossimo semestre dunque gli operatori prevedono una stabilità complessiva sia sul fronte dei prezzi che del volume compravenduto con realtà quali Firenze, Palermo e Mestre ove è più evidente un certo pessimismo circa l’evoluzione dei valori. Segnali incoraggianti provengono poi dai dati del centro studi Isae sulle intenzioni di acquisto o di manutenzione dell’abitazione, che confermano le tendenze crescenti osservate a partire dal 2004, supportando così l’ipotesi di una domanda capace di sostenere gli attuali prezzi di compravendita sebbene si posizioni su valori ben lontani da quelli rilevati all’inizio del ciclo espansivo del mercato. Peggiori le ipotesi previsionali per quanto riguarda il mercato della locazione che, in effetti, ha vissuto una fase meno dinamica rispetto a quello delle compravendite con riflessi negativi in termini di redditività. Anche in questo caso, comunque, sebbene con diversa intensità, si evidenzia un arresto del trend di peggioramento dei giudizi del panel. Per quanto riguarda gli immobili d’impresa si evidenzia un debole ridimensionamento dei giudizi pessimistici; nonostante ciò, le quote di coloro che pensano che il mercato subirà un calo risultano sensibilmente superiori, non spostando più di tanto la tendenza di fondo che emerge dall’analisi dei sentiment formulati dagli operatori del mercato. Dunque sembrano poter essere confermate le maggiori difficoltà di tale settore, in particolar modo di quello direzionale ove i giudizi appaiono più marcati, anche se in questi ultimi sei mesi il gap sembra essersi assottigliato. Le previsioni sui prezzi di compravendita delle tredici principali città rilevate, che emergono dall’utilizzo del modello Arima (capace di formulare proiezioni sfruttando unicamente la “storia” della variabile oggetto di studio), mostrano variazioni percentuali in costante rallentamento in tutte le tipologie analizzate, pur evidenziando ulteriori incrementi di prezzo. Il comparto commerciale sembra poter fornire le variazioni più elevate, mentre in maggiori difficoltà appare il mercato degli uffici. I modelli econometrici individuati per la media dei prezzi delle tredici città mostrano una tendenza decrescente negli aumenti dei valori, sintomo di un mercato che sembra ormai aver raggiunto il proprio punto di equilibrio, e confermando gli andamenti ottenuti con i modelli Arima per il 2007, mentre se ne discosta per gli anni successivi. Si vuole sottolineare che tali previsioni sono state formulate senza tenere conto dell’eventuale adozione del Decreto Bersani-visco 223/06, nel qual caso si avrebbe un impatto negativo, ancora difficile da quantificare, in prima battuta sui mercati direzionali e, poi, in modo indiretto, anche sul settore abitativo. E’ infatti prematuro formulare oggi ipotesi previsive quantitative non sapendo ancora le modalità con cui tale norma fiscale potrà essere effettivamente adottata. .  
   
 

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