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Notiziario Marketpress di Lunedì 01 Dicembre 2008
 
   
  SORU: DIMETTERMI? UNA STRADA OBBLIGATA"

 
   
  Cagliari, 1 dicembre 2008 - Il giorno dopo le dimissioni,il 27 Novembre, Soru è sereno come coloro che sanno di aver fatto l’unica cosa possibile: «La macchina merita una registrata per verificare se si può fare la finanziaria e terminare la legislatura o votare tre mesi prima». Rompe il silenzio con un’intervista in cui attacca «vecchi poteri» e sfata la diceria secondo la quale «è un uomo solo al comando». - Non eravamo abituati a un presidente che dà le dimissioni senza esserne realmente costretto. «Ma io, invece, credo di essere stato costretto alle dimissioni. Potevo scegliere se governare a tutti i costi, magari rinunciando alla coerenza, o ribadire la necessità di rinnovare la politica». - Cos’è oggi la politica? «È un impegno sulla parola data, su un progetto che si presenta e da questo non ci si può allontanare, altrimenti tutto diventa privo di senso. Ho cercato di dirlo in aula l’altra sera: alcuni impegni li ho presi cinque anni fa e sono gli impegni alla semplificazione della pubblica amministrazione, la riduzione di enti e società; il rigore finanziario data la necessità di risanare i conti. Ma c’è un punto altrettanto fondamentale, forse quello che maggiormente mi aveva spinto ad impegnarmi in politica. La necessità di un impegno forte nella tutela ambientale e nel governo del territorio. C’era la consapevolezza che il territorio della Sardegna stava andando verso un consumo rapido. E non solo sulle coste: città che crescevano senza piani urbanistici, consumando i loro territori in un’enorme periferia. La tutela ambientale è stato forse il motivo scatenante per il mio impegno in politica. Da questo non si può assolutamente derogare». - Ma allora perché dimettersi? La legge era complessivamente considerata buona se non fosse stato per quel piccolo punto. «Purtroppo quel «piccolo punto» era falsamente piccolo, in realtà era enorme. Era dirimente perché diceva questo: la giunta regionale è legittimata o no a portare a termine il Piano paesaggistico di tutta la regione e quindi anche delle zone interne? Il consiglio regionale ha cercato di delegittimare la giunta, di revocare la delega che l’esecutivo aveva avuto negli anni passati e che recentemente gli era stata confermata dal referendum sulla legge». - Il referendum, se fosse passato, avrebbe avuto l’effetto di sottrarre alla giunta la possibilità di portare a termine il piano paesaggistico delle zone interne. «Ecco quello che non è riuscito al Referendum, bocciato dai sardi, lo voleva fare la mia stessa maggioranza. Ecco perché sono stato costretto a dimettermi: per rispetto della giunta e per il risultato del referendum. - Considerato che l’opposizione non ha avuto un gran ruolo in questa partita sull’urbanistica si tratta allora di una congiura di palazzo? «L’opposizione ha avuto il ruolo di rinsaldare e motivare una parte della maggioranza. Cosa vuol dire revocare il mandato di una giunta? Significa toglierle la fiducia e, di fatto, ieri mi si stava dicendo questo. E poi c’è la questione di merito: chi ha votato contro non era d’accordo su quello che la giunta aveva impostato». - Ma questo perché? «La mia impressione è che c’era una parte che aveva mal digerito il piano paesaggistico per le zone costiere e usato la legge urbanistica per far compiere alla Sardegna un passo indietro. E infatti i temi in discussione erano questi ma subito dopo si doveva ridiscutere la possibilità di costruire nell’agro, magari facendo lottizzazioni turistiche». - Dunque c’erano insieme la questione di merito e la sfida sul ruolo politico. «Era un punto fondamentale della legge. La politica è un progetto collettivo la volontà comune di proseguire un progetto ma martedì quel patto è stato rotto più volte e anche in maniera quasi plateale quando a distanza di pochi minuti i consiglieri che avevano annunciato il voto favorevole all’emendamento di sintesi che chiariva il rispetto dei ruoli, hanno votato in maniera contraria». - Ora che fare? C’è una legge finanziaria aperta e dietro l’angolo le elezioni. «Ieri non mi sono dimesso istitivamente. Ho preso il tempo necessario per riflettere e confrontare le mie idee. Poi mi sono preso la responsabilità di dimettermi. Sì ho pensato alla crisi e alla Finanziaria: in Sardegna dobbiamo fare la nostra parte a sostegno di famiglie e imprese e delle fasce più toccate dalla crisi. Abbiamo consegnato da poco al Consiglio la proposta per la Finanziaria, una legge capace di dare molte risposte in positivo però credo che, nonostante tutto questo, le dimissioni erano necessarie perché, con la maggioraza che aveva rotto il patto che la legava, non era pensabile affrontare l’altra discussione. Si correva il rischio di rimanere in aula troppo a lungo e su un terreno di scontro tra pezzi della maggioranza. Avremmo finito per non offrire un buon servizio ai sardi. Se saremo capaci di ritrovare chiarezza, allora potremo affrontare la Finanziaria e terminare la legislatura, altrimenti sarà più utile riportare la questione agli elettori». - È evidente dal voto palese che la crisi nasce all’interno del Pd. Lei è deciso a ricandidarsi? «Nel caso si andasse ad elezioni io sarò sicuramente candidato. La crisi, però, non nasce solo all’interno del Pd ma nel Centrosinistra. Ci sono state vicende poco edificanti in questi quattro anni e mezzo: abbiamo visto persone elette con me che sono passate al Centrodestra in poche settimane. Hanno fatto evidentemente molto in fretta a comprendere l’insostenibilità di certi ideali. Abbiamo visto l’esperienza del governo Prodi, naufragata a causa di risse nel Centrosinistra: un governo che stava facendo bene e che avrebbe potuto fare bene ma che si è messo in pericolo e consumato sulla base delle necessità di una costante visibilità. Questo ha portato ad avere, ad esempio, un Udeur che non c’è più e quello che è rimasto fa parte di un altro schieramento politico». - Una polverizzazione che si ripercuote sul Consiglio regionale. «Lo dico per la prima volta: ci sono delle donne che io ho avuto il piacere di proporre nel listino che accompagna il presidente e che in qualche modo dovrebbe costituire un sostegno all’attività della giunta. Tra queste ce ne sono alcune che non mi hanno sostenuto neanche una volta. Si è rotto anche quel Patto perché non bisogna dimenticare che il premio di maggioranza viene dato per dare più stabilità. Capisco che le donne elette nel listino devono esercitare la loro libera scelta, però quando si trovano costantemente in disaccordo col presidente anche per loro dovrebbe esistere l’istituto delle dimissioni». - Poi l’eterna questione dei socialisti. «Sì, c’è il conflitto all’interno dello Sdi e anche tra Sdi e Pd. E, su tutto, a questo si aggiunge la grande complicazione del Pd. Però, se faccio un bilancio, abbiamo percorso tanta strada». - Elezioni anticipate: possono essere un vantaggio per lei visto che il Centrodestra non ha ancora un candidato? «Non credo che sia così, il punto è un altro: il Consiglio di oggi è diventato molto diverso da quello che gli elettori avevano votato e, quando ci si allontana troppo, è un vantaggio per la democrazia tornare a votare». - L’accusano di essere un uomo solo al comando. Ma la solitudine se la possono permettere in pochi, non di certo un politico. «Ne abbiamo parlato anche nell’incontro informale tra assessori, (si è tenuto ieri pomeriggio, Ndr). Io so che la politica è un’esperienza collettiva e so anche che è una speranza di molti distinguere tra partiti e istituzioni, tra il momento del dibattito e la responsabilità istituzionale. Si confonde il fatto che oggi le decisioni sono state riportate al loro luogo istuzionale e non sono, come in passato, il frutto di una negoziazione collettiva. Quella non è solitudine è assunzione di responsabilità». - Ma prima occorre il consenso. «Prima di ogni decisione io ho mille momenti di confronto, approfondimento, discussione. Oggi a decidere sulla nomina di un direttore generale di un’agenzia non c’è più mezzo mondo: vedete, io mi sarei preso la responsabilità di nominare il nuovo direttore generale del Brotzu o della Asl di Sanluri. E mi son preso la responsablità in passato ma le chiedo: oggi si può parlare di un uomo solo al comando ma, in realtà, comandano le persone nominate, guidate solo dal progetto regionale, dalle leggi, dalle regole dei piani sanitari o forestale». - E che rapporti ha con i dirigenti di quegli enti? «Nessuno di loro può dire che io ho telefonato per segnalare una persona da assumere o da trasferire, per promuovere un’azienda da cui comprare qualcosa o un progettista da premiare. Non c’è un solo uomo al comando ma un’amministrazione regionale che è gestita dalla pluralità di persone dove ognuno gioca la sua parte e il sistema dei partiti non fa parte dell’amministrazione». .  
   
 

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