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Notiziario Marketpress di Lunedì 12 Gennaio 2009
 
   
  GIUSTIZIA EUROPEA: TRASFERIMENTO DI SEDE SOCIALE

 
   
  La sentenza del 16 dicembre 2008 della Corte di giustizia nella causa C-210/06 - Cartesio Oktató és Szolgáltató bt. – afferma che uno stato membro può impedire il trasferimento della sede di una società, costituita ai sensi della sua legislazione, in un altro Stato dell´Unione. Per contro, la libertà di stabilimento consente a una società di trasferirsi in un altro Stato membro ove si converta in una forma di società soggetta al diritto di quest´ultimo Stato, senza che ai fini della trasformazione siano necessari il suo scioglimento e la sua liquidazione, qualora lo Stato membro ospitante lo permetta. La Cartesio è una società di diritto ungherese avente sede a Baja (Ungheria). Essa opera, in particolare, nel settore delle risorse umane, della segreteria, della traduzione, dell’insegnamento e della formazione. L’11 novembre 2005 la Cartesio ha presentato una domanda presso il Bács-kiskun Megyei Bíróság (Tribunale regionale di Bács-kiskun), in funzione di Cégbíróság (Tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese), al fine di formalizzare il trasferimento della sua sede a Gallarate (Italia) e pertanto di modificare l’iscrizione relativa alla sua sede, nel registro delle imprese. Tale domanda è stata respinta in quanto la legge ungherese in vigore non consentiva a una società costituita in Ungheria di trasferire la sede all’estero continuando al contempo a essere soggetta alla normativa ungherese quale legge regolatrice. Secondo il Cégbíróság, un siffatto trasferimento richiederebbe la previa cessazione della società e la sua ricostituzione in conformità alla legislazione dello Stato nel cui territorio essa intende stabilire la nuova sede. La Cartesio ha quindi proposto appello contro tale decisione dinanzi allo Szegedi Ítélőtábla (Corte d’appello regionale di Seghedino), il quale ha chiesto alla Corte di giustizia se la disposizione della legge ungherese che impedisce a una società ungherese di trasferire la sua sede in un altro Stato membro, pur conservando il suo status di società di diritto ungherese, sia compatibile con il diritto comunitario. La Corte rileva che, in assenza di una normativa comunitaria uniforme, uno Stato membro dispone della facoltà di definire sia il criterio di collegamento richiesto a una società affinché essa possa ritenersi costituita ai sensi del suo diritto nazionale e, a tale titolo, possa beneficiare del diritto di stabilimento, sia quello necessario per continuare a mantenere detto status. Tale facoltà include la possibilità, per lo Stato membro, di non consentire a una società soggetta al suo diritto nazionale di conservare tale status qualora intenda riorganizzarsi in un altro Stato membro trasferendovi la sede, sopprimendo in questo modo il collegamento previsto dal diritto nazionale dello Stato membro di costituzione. La Corte dichiara quindi che, allo stato attuale del diritto comunitario, la libertà di stabilimento non osta a che uno Stato membro possa impedire a una società, costituita in forza della legislazione di tale Stato, di trasferire la propria sede in un altro Stato membro conservando al contempo il suo status di società soggetta al diritto del primo Stato. Tuttavia, siffatta ipotesi di trasferimento della sede deve essere distinta da quella relativa al trasferimento di una società appartenente a uno Stato membro verso un altro Stato membro con cambiamento del diritto nazionale applicabile, ove la società si converte in una forma societaria soggetta al diritto nazionale dello Stato membro in cui si trasferisce. Infatti, la libertà di stabilimento consente a una società di trasformarsi in tal modo senza che siano necessari il suo scioglimento e la sua liquidazione nel primo Stato membro, purché lo Stato membro ospitante lo permetta, e a meno che una restrizione a tale libertà non sia giustificata da ragioni imperative di interesse pubblico. Pronunciandosi in merito a questioni connesse al procedimento pregiudiziale, la Corte rileva inoltre che il provvedimento di rinvio pregiudiziale alla Corte da parte di un giudice nazionale può essere soggetto negli Stati membri ai normali mezzi d’impugnazione predisposti dal diritto interno. Nel caso di specie, le norme di diritto nazionale relative al diritto di appello avverso una decisione che disponga un rinvio pregiudiziale sono caratterizzate dal fatto che l’intera causa principale resta pendente dinanzi al giudice del rinvio, mentre soltanto la decisione di rinvio è oggetto di un appello limitato. In presenza di siffatte norme di diritto nazionale, incombe al giudice del rinvio trarre le conseguenze di una sentenza pronunciata in secondo grado contro l’ordinanza di rinvio. Ne discende che la Corte, per garantire la chiarezza e la certezza del diritto, deve attenersi al provvedimento di rinvio pregiudiziale finché questo non sarà stato revocato o modificato dal giudice che lo ha emanato, perché solo quest’ultimo può decidere in merito a una siffatta revoca o modifica. Pertanto, la facoltà, per qualsiasi giudice nazionale, di adire la Corte in via pregiudiziale non può essere rimessa in discussione dall’applicazione di norme di diritto nazionale relative al diritto di appello avverso una decisione di rinvio pregiudiziale, che consentono al giudice d´appello di obbligare la giurisdizione inferiore a revocare una domanda di pronuncia pregiudiziale e a proseguire il procedimento nazionale sospeso .  
   
 

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