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Notiziario Marketpress di Lunedì 26 Gennaio 2009
 
   
  IL “TALLONE D’ACHILLE” DEL MIELOMA MULTIPLO UNA SCOPERTA DEI RICERCATORI DEL SAN RAFFAELE POTRÀ RENDERE PIÙ EFFICACE LA TERAPIA CONTRO IL MIELOMA MULTIPLO

 
   
  Milano, 26 gennaio 2009 – I ricercatori del San Raffaele di Milano hanno scoperto un meccanismo che potrà essere sfruttato contro il mieloma multiplo, un grave tumore del midollo osseo. Tutte le cellule presenti nel nostro corpo hanno un meccanismo naturale che consente loro di eliminare le proteine di scarto prodotte dall’attività cellulare. Se sovraccaricato, questo meccanismo genera stress. Gli studiosi hanno scoperto che questo stress può essere sfruttato nelle cellule tumorali del mieloma multiplo per renderle più sensibili al bortezomib, un nuovo farmaco di recente introduzione, e per disegnare nuove terapie mirate. Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Blood, è stato realizzato dai ricercatori dell’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele e dell’Università Vita-salute San Raffaele di Milano, con la collaborazione di ricercatori delle Università di Torino, Pavia e Parma e della Harvard Medical School di Boston, Usa. Il mieloma multiplo è un tumore del midollo osseo molto frequente ed ancora incurabile, responsabile del 2% di tutte le morti per cancro. Ha origine dalla trasformazione tumorale delle plasmacellule, le cellule del nostro sistema immunitario deputate a produrre gli anticorpi, le difese del nostro organismo. Recentemente il nuovo farmaco bortezomib, della categoria degli inibitori del proteasoma, si è rivelato in grado di aumentare l’aspettativa di vita. La scarsa conoscenza del meccanismo di azione di questo farmaco, però, ha impedito finora di definire quali pazienti hanno maggiori probabilità di rispondere positivamente ai trattamenti e di individuare terapie più personalizzate ed efficaci. In uno studio pubblicato nel 2006 sull’Embo Journal, la rivista della prestigiosa Organizzazione Europea di Biologia Molecolare, i ricercatori del San Raffaele avevano scoperto che le plasmacellule producono enormi quantità di proteine di scarto: per questo hanno particolarmente bisogno dei proteasomi, dispositivi presenti in tutte le cellule del nostro corpo, il cui compito è eliminare le proteine danneggiate o che non servono più. In questo nuovo studio i ricercatori, utilizzando linee tumorali già disponibili in laboratorio e cellule tumorali selezionate da campioni di midollo osseo di pazienti, mediante sofisticate tecniche bio-molecolari, hanno misurato l’attività dei proteasomi e la quantità di “scorie” accumulate dalle cellule tumorali. Hanno così scoperto che, paradossalmente, i tumori che presentano meno proteasomi, a causa di un’intensa attività metabolica, ne hanno più bisogno: di conseguenza sono carichi di scorie e quindi più “stressati”. Non solo: questi stessi tumori sono anche i più sensibili al bortezomib che, bloccando il lavoro del proteasoma, aumenta lo stress della cellula fino a farla morire come “soffocata” dalle scorie. Infine, manipolando la quantità dei proteasomi o sovraccaricandoli di lavoro i ricercatori sono riusciti a modificare la vulnerabilità del tumore al farmaco. Afferma Simone Cenci, medico ricercatore presso l’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele e coordinatore dello studio: “Lo sbilanciamento presente nelle cellule tumorali tra la scarsa capacità di degradare le proteine ed il carico di lavoro sui proteasomi genera un particolare tipo di stress che può essere sfruttato per distruggere selettivamente le cellule del mieloma multiplo, rappresentando un vero tallone d’Achille del tumore. Ecco un caso in cui lo stress può far bene”. Aggiunge il Prof. Roberto Sitia, direttore della Divisione di genetica e biologia cellulare dell’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele: “Questo tipo di stress non è solo un promettente alleato contro questo tumore: essendo coinvolto in gravi malattie neuro-degenerative, quali il Parkinson o l´Alzheimer, conoscerne i meccanismi potrà servire anche contro le malattie dell’invecchiamento. ” La scoperta apre la strada a studi clinici per cercare di individuare in anticipo i pazienti che risponderanno meglio a questo nuovo farmaco. Inoltre lo studio potrà servire ad individuare nuovi bersagli per colpire in maniera più efficace le cellule tumorali. .  
   
 

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