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Notiziario Marketpress di Lunedì 16 Febbraio 2009
 
   
  STRATFORD CALDECOTT IL FUOCO SEGRETO LA RICERCA SPIRITUALE DI J.R.R. TOLKIEN

 
   
   Torino, 16 febbraio 2009 - A partire dalla seconda guerra mondiale, o comunque certamente dagli anni ’60, la moda diffusa fra la nostra intellighenzia è stata quella di esibire (o addirittura esagerare) l’aspetto umano, a volte fin troppo, dei grandi e dei famosi: aristocratici, politici, artisti, esploratori e scienziati. Tuttavia il desiderio del vero eroismo non muore mai. Il Signore degli Anelli è un’imponente eroica saga e appartiene a un’antica tradizione di romanzi di magia e leggende. Nella sua recensione, Clive Staple Lewis rese questo tributo all’opera: Il libro è come un fulmine a ciel sereno, così nettamente diverso, così imprevedibile nella nostra epoca, come lo furono i Canti dell’innocenza [e dell’esperienza, di William Blake, N. D. T. ] nella loro. Dire che in esso il romanzo eroico, eloquente e spudorato, ha improvvisamente fatto ritorno in un tempo quasi patologico nel suo antiromanticismo, è inadeguato. […] Non segna un ritorno, ma un avanzamento o una rivoluzione: la conquista di un nuovo territorio. Niente di simile era mai stato creato prima. 1 Il Signore degli Anelli rappresentava un progresso perché non era meramente eroico né romantico. Benché permeato da un certo alone di nostalgia, era un’opera assolutamente moderna. Tom Shippey la paragona alle creazioni di William Golding, George Orwell e Terence Hanbury White, tutti autori che si rivolsero alla scrittura per affrontare e combattere il male che si era palesato nelle grandi guerre del Xx secolo. Le loro opere erano «moderne» perché profondamente segnate da questa esperienza. Milioni di esseri umani morirono sui campi di battaglia della Francia, in Russia, nei campi di sterminio della Germania, nel bombardamento di Dresda, nelle esplosioni nucleari di Hiroshima e Nagasaki. All’epoca della morte di Tolkien, nel 1973, l’animo degli inglesi era invaso da un miasma morale, perché le delusioni e i compromessi del secolo avevano iniziato a presentare il conto. Ciò che il libro celebra – e piange – sono un mondo e una tradizione che sembrano dissolversi in una grande guerra, o in una serie di guerre. Queste guerre vengono sì combattute per una buona causa, contro un nemico che non si può lasciar vincere. Eppure, il vero pericolo non è che il mondo libero possa essere sconfitto, ma che tutti noi possiamo risultare corrotti, abbruttiti e avviliti dal conflitto stesso, in particolare dai mezzi impiegati per assicurarsi la vittoria. Tolkien negò sempre che Mordor fosse una rappresentazione intenzionale della Germania nazista o della Russia sovietica, ma era anche piuttosto consapevole della sua «applicabilità» ai campi di concentramento e ai gulag, al fascismo e al comunismo – così come ad altre manifestazioni, più sottili e frammentarie, dello stesso spirito. […] L’importanza di Tolkien come scrittore che nel dopoguerra utilizzò il genere fantasy per esplorare temi morali e spirituali profondi, non venne affatto riconosciuta quando Il Signore degli Anelli fu pubblicato per la prima volta negli anni ’50. Nel 1936, il sottotitolo del suo saggio accademico sul Beowulf: i mostri e i critici, seppur in tono semiserio implicava già l’idea che i critici letterari dell’antico poema inglese, che lui tanto amava, fossero degli avversari dell’eroe, forse addirittura simili a dei mostri. Dunque, al momento della pubblicazione del Signore degli Anelli, Tolkien sapeva molto bene cosa aspettarsi. Infatti venne deriso da un certo numero di critici da entrambe le parti dell’Atlantico, fra i quali possiamo ricordare Edmund Wilson, il quale, com’è noto, definì l’opera «spazzatura giovanile». La ragione che veniva spesso addotta per disprezzare l’opera era che il «bene» e il «male» erano così chiaramente delineati da rendere la trama semplicistica e infantile. Tuttavia, come abbiamo visto, Tolkien era ben consapevole della complessità e della confusione della vita reale – eppure riuscì a mantenere realistico il suo libro, più vero per la vita interiore della maggior parte dei presunti romanzi «adulti» che i critici avevano in mente (si veda L 71). Tolkien ha attinto a una tradizione di narratori molto più antica rispetto al romanzo moderno, con i suoi presupposti tipicamente materialisti. Ha recuperato l’arte del pensiero mitologico, mitopoietico, antico quanto l’umanità stessa e profondamente intrecciato al nostro senso religioso. Il libro si rivolge a delle costanti universali della natura umana, costanti che si riflettono nella mitologia tradizionale e nel folclore di tutto il mondo. Il pensiero mitologico non costituisce «una fuga» dalla realtà, quanto piuttosto «un’intensificazione» di essa, come in un’occasione disse giustamente un altro scrittore di fantasy (Alan Gardner). È questo ciò che in parte spiega la vasta capacità d’attrazione del racconto – e allo stesso tempo il disprezzo di coloro la cui visione del mondo e mentalità risultano anticipatamente precluse a simili usi dell’immaginazione. Il Signore degli Anelli, quindi, può essere letto come una storia entusiasmante che fa rivivere in modo spettacolare un genere letterario quasi estinto. Ma si può goderne anche in altri modi: come fosse un’ampia meditazione su ciò che significa essere inglesi, o come una risposta dell’immaginazione all’esperienza della guerra moderna, oppure ancora come un’evocazione commovente del rapporto intimo fra amore ed eroismo. […] può essere letto anche come un’esplorazione alle radici del linguaggio e della coscienza umani. Più stranamente ancora, forse, può essere visto come la sperimentazione deliberata di una sorta di viaggio temporale che utilizza sogni e «fantasmi linguistici» per superare i limiti della memoria e dell’esperienza. Quando fu pubblicato il primo volume del Signore degli Anelli, Tolkien scrisse trepidante: «Ho esposto il mio cuore perché gli sparassero». I temi dell’opera sono la chiave d’accesso alle sue più profonde preoccupazioni, comprese la morte e l’immortalità, la nostalgia del paradiso, la creazione e la creatività, la realtà della virtù e del peccato, della corretta gestione della natura, dei rischi morali che il possesso del potere tecnologico comporta. Lottando contro queste preoccupazioni creò un corpus di opere intriso di una saggezza profonda – una saggezza di cui la nostra civiltà ha disperatamente bisogno – tratta in grandissima misura dalla fede cattolica in cui era stato cresciuto. Certo, non scrisse della teologia dogmatica, neppure nelle lettere o nei commenti in cui giunse molto vicino a spiegare la propria poetica. Tuttavia, dal momento che credeva nella verità di certi dogmi, egli le utilizzò come torce o lampade di cristallo, che diffondono la luce nei luoghi bui. La sua opera aveva a che fare proprio con questa luce e con le cose che essa poteva svelare, non con la foggia delle lampade: Tolkien era abbastanza umile da lasciare questo aspetto ai professionisti. La sua non era una spiritualità pretenziosa, ma piuttosto «quotidiana», come la spiritualità che troviamo in molti degli autori cattolici più popolari, come Jean-pierre de Caussade o Teresa di Lisieux. Gli Hobbit esemplificano questa umiltà e quotidianità che sta al cuore dei suoi scritti. Quindi, benché non si presuma mai che il lettore sia un devoto cristiano, la struttura cosmologica del mondo immaginato da Tolkien, insieme alle creature e agli avvenimenti con cui lo popola e riempie, e alle leggi morali che governano questo cosmo immaginario – tutte queste cose tendono a conformarsi con le sue credenze in merito alla realtà, e in effetti costituiscono delle «indicazioni» per una visione del mondo cristiana. Amore, coraggio, giustizia, misericordia, gentilezza, integrità e le altre virtù vengono personificate nel racconto attraverso personaggi come Aragorn e Frodo. È una testimonianza del potere e del realismo della tradizione cristiana il fatto che l’esposizione a questi modelli di vita morale possa avere un effetto purificatore sul lettore ricettivo, pur senza farlo sentire confinato od oppresso all’interno di un sistema ideologico. Molti fanno continuo ritorno a Il Signore degli Anelli per rinfrancarsi l’anima – forse addirittura per quel tipo di sollievo rigeneratore che il suo autore deve aver provato scrivendolo. Edizioni Lindau «I Pellicani» pag. 200 euro 19 .  
   
 

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