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Notiziario Marketpress di Lunedì 04 Maggio 2009
 
   
  GIUSTIZIA EUROPEA: CGCE: RIVENDITORI DI STOCK E MARCHI

 
   
  La sentenza 23 aprile 2009 della Corte nella causa C‑59/08 - Copad Sa / Christian Dior couture Sa, Société industrielle lingerie (Sil) afferma che il titolare di un marchio può opporsi alla rivendita dei suoi prodotti di prestigio da parte di rivenditori di partite in saldo. Ciò si verifica in particolare quando il rivenditore è stato rifornito da un licenziatario in violazione di un contratto di licenza e tale violazione danneggia lo stile e l’immagine di prestigio che attribuiscono a detti prodotti un’aura di lusso. Nel 2000 la Dior concludeva con la Société industrielle lingerie (Sil) un contratto di licenza di marchio per la fabbricazione e la distribuzione di prodotti di biancheria intima recanti il marchio Christian Dior. Tale contratto precisa che al fine di tutelare la notorietà e il prestigio del marchio Dior, la Sil si impegna a non vendere tali articoli segnatamente a rivenditori di partite in saldo che non fanno parte della rete di distribuzione selettiva, salvo accordo scritto della Dior, e che il licenziatario dovrà adottare tutti i provvedimenti necessari per garantire il rispetto di tale regola da parte dei suoi distributori o dettaglianti. Tuttavia, a causa di difficoltà economiche la Sil vendeva prodotti contrassegnati dal marchio Dior alla società Copad che svolge un’attività di rivendita di partite in saldo. Ritenendo che tale rivendita fosse vietata dal contratto, la Dior citava in giudizio la Sil e la Copad per contraffazione del marchio. I rivenditori invocavano tuttavia l’esaurimento del diritto della Dior sul suo marchio, poiché i prodotti erano stati immessi in commercio all’interno del See (Spazio economico europeo) con il consenso della Dior. La Corte di cassazione francese, investita in ultimo grado della controversia, chiede alla Corte di giustizia di pronunciarsi in merito all’interpretazione della Direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/Cee, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi di impresa, come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo 2 maggio 1992, in particolare nel caso in cui il licenziatario abbia violato una clausola del contratto di licenza che vieta, per ragioni di prestigio del marchio, la vendita a rivenditori di partite in saldo, al di fuori della rete di distribuzione selettiva. Anzitutto, la Corte rileva che il titolare di un marchio può invocare i diritti conferiti dal marchio stesso nei confronti di un licenziatario che viola una clausola del contratto di licenza che vieta, per ragioni di prestigio del marchio, la vendita a rivenditori di partite in saldo, purché venga accertato che tale violazione, nelle circostanze del caso concreto, danneggia lo stile e l’immagine di prestigio che attribuiscono a detti prodotti un’aura di lusso. Infatti, la direttiva permette al titolare di un marchio di far valere i diritti che esso gli conferisce nei confronti del licenziatario in caso di violazione da parte di quest’ultimo di talune clausole del contratto di licenza previste all’art. 8, n. 2, della direttiva, tra cui rientrano, in particolare, quelle riguardanti la qualità dei prodotti. La qualità dei prodotti di prestigio non risulta solo dalle loro caratteristiche materiali, ma anche dallo stile e dall’immagine di prestigio che conferiscono loro un’aura di lusso. Orbene, a tale riguardo, un sistema di distribuzione selettiva, come quello di cui trattasi, che ha lo scopo di assicurare una presentazione che valorizza i prodotti nel punto vendita, in particolare per quanto riguarda la collocazione, la promozione, la presentazione dei prodotti e la politica commerciale può contribuire alla notorietà dei prodotti di cui trattasi e quindi a salvaguardare la loro aura di lusso. Di conseguenza, non può escludersi che la vendita di prodotti di prestigio da parte del licenziatario a terzi che non fanno parte della rete di distribuzione selettiva comprometta la qualità stessa di tali prodotti per cui, in tale ipotesi, una clausola contrattuale che vieti tale vendita deve essere considerata come rientrante nella direttiva sui marchi. È compito del giudice nazionale competente verificare se, in considerazione delle circostanze caratterizzanti la controversia, la violazione da parte del licenziatario di una clausola come quella di cui alla causa principale danneggi l’aura di lusso dei prodotti di prestigio, compromettendo in tal modo la loro qualità. La Corte rileva poi che la vendita effettuata in violazione di una clausola che vieta di vendere successivamente a rivenditori di partite in saldo al di fuori della rete di distribuzione selettiva può essere considerata, ai sensi della direttiva, come avvenuta senza il consenso del titolare del marchio, qualora venga accertato che tale violazione è contraria ad una delle disposizioni enunciate nella direttiva. Se l’immissione in commercio di prodotti contrassegnati dal marchio da parte di un licenziatario deve essere considerata, in linea di principio, come avvenuta con il consenso del titolare del marchio, tuttavia il contratto di licenza non equivale ad un consenso assoluto e incondizionato del titolare del marchio alla commercializzazione, da parte del licenziatario, dei prodotti contrassegnati da tale marchio. Infatti la direttiva prevede espressamente la possibilità, per il titolare del marchio, di invocare i diritti che esso gli conferisce nei confronti di un licenziatario quando quest’ultimo viola talune clausole del contratto di licenza. Pertanto, la direttiva deve essere interpretata nel senso che la commercializzazione di prodotti contrassegnati dal marchio da parte del licenziatario, in violazione di una clausola del contratto di licenza, osta all’esaurimento del diritto conferito dal marchio al suo titolare ai sensi della direttiva, qualora venga accertato che tale clausola corrisponde ad una di quelle previste all’art. 8, n. 2, di tale direttiva. Infine la Corte dichiara che il pregiudizio arrecato alla notorietà del marchio può costituire, in via di principio, un motivo legittimo ai sensi della direttiva perché il titolare del marchio si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti di prestigio messi in commercio nel See dal titolare stesso o con il suo consenso .  
   
 

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