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Notiziario Marketpress di
Lunedì 02 Ottobre 2006 |
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RADIO 1 RAI, SANTO VERSACE: “ALL’ERRORE DI NASCERE RIPARIAMO CON LA MORTE” "ERO MEZZO PESCATORE E MEZZO CONTADINO E TALE SONO RIMASTO"
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Roma, 2 ottobre 2006 - venerdì 29 settembre su Radio 1 Rai Santo Versace è stato l’ospite del “Confessionale del Comunicattivo”, programma dei linguaggi della comunicazione ideato e condotto da Igor Righetti. Ecco un estratto dell´intervista. Sui giornali appare quasi sempre, erroneamente, come lo stilista della Maison Versace. Chi è, in realtà il creativo? Gianni è il creatore che ha fondato la Maison. Dopo Gianni, Donatella. Questa maison ha avuto soltanto due stilisti, il fondatore e dopo mia sorella, la più piccola, che adesso è diventata il direttore creativo e artistico della Casa. Qual è il suo ruolo nella Maison? Dalla fondazione della Gianni Versace fino al 1997 sono stato presidente, amministratore delegato, direttore generale e anima dell’azienda. Oggi, sono il presidente del consiglio di amministrazione, con tutti gli impegni annessi e connessi, tenendo conto che ci sono un amministratore delegato e un direttore generale. È stato più pesante lasciare l’impiego in banca o la squadra di basket “Viola” di Reggio Calabria? Per quanto riguarda l’impiego in banca è stata un’esperienza, ma sono uscito tranquillamente dopo aver capito quello che mi serviva. Per la squadra di basket, ci ho giocato negli Anni ’60. E’ stato sempre lo sport preferito ed è sempre un dispiacere non occuparsi di basket. Del suo essere calabrese quanto le è rimasto? Sono assolutamente calabrese, più sono lontano dalla Calabria e più mi sento calabrese. Si è spostato il corpo fisicamente, ma lo spirito è rimasto in Calabria, le radici sono lì. Dei tempi in cui era ufficiale di cavalleria a Genova che cosa ricorda con maggiore nostalgia? Il periodo dell’ufficiale è stato un periodo splendido anche perché avevo 25 anni. Ma la nostalgia maggiore è per la gioventù che avevamo addosso. Mi ricordo sempre con piacere una ragazza di Trieste che ho conosciuto in quel periodo in cui ero ufficiale a Palmanova. Quali sono le sue paure? Mio padre mi ha insegnato a non avere paura di niente, ad avere rispetto della situazione, dei pericoli, di avere la saggezza nell’affrontare i problemi. Mi ha detto che il termine paura devo cancellarlo dal vocabolario. Non ha paura neppure della morte? No, è una cosa naturale. All’errore di nascere ripariamo con la morte. Lei ha fatto suo lo slogan che nella competizione vince l’innovazione. Ma per innovare che cosa bisogna fare? Per primeggiare nel mercato ci vuole la creatività, l’innovazione, la qualità, l’organizzazione. Il nostro settore, in particolare, è una forma mentis. Bisogna capire che la competitività non è un fatto, ma è acquisito, come l’educazione. Sono cose che ogni giorno, ogni passo fatto è propedeutico al successivo. Bisogna veramente che l’innovazione sia figlia della creatività libera, che poi va applicata e resa attuabile e praticabile. Ci sono all’orizzonte italiano giovani stilisti promettenti? In questo momento, se noi guardiamo i più importanti gruppi stranieri, i creativi italiani sono scelti per guidare le loro maison. Senza fare un nome in particolare, ma se si analizza, le più importanti griffe hanno creativi italiani, anche francesi e inglesi. Com’è cominciata l’avventura della Maison Versace? Gianni è stato un predestinato, è nato tra pizzi e merletti perché mia madre aveva la sartoria. E quando tornai dall’esercito come ufficiale di cavalleria, Gianni mi disse che gli proponevano di fare lo stilista, il creativo per alcune aziende. Fino a quel momento era stato il compratore del nostro negozio, suo, di mia madre e si faceva fare anche delle cose in proprio. E io gli chiesi: “Gianni, ti interessa questo lavoro?”. Lui mi rispose: “Sarebbe il mio sogno!”. Siccome io ero tornato, avevo finito il servizio militare, mia madre c’era e Donatella cominciava già a partecipare anche lei al lavoro, gli dissi: “Va bene, parti, vai”. Fin dall’inizio ho curato tutto quanto, Gianni è partito e non è più tornato a casa. Lei è anche presidente di Polimoda. Quali sono i suoi progetti? Polimoda è una cosa che ho affrontato su richiesta di Ferruccio Ferragamo e del sindaco di Firenze. L’istituto ha due società, di una da febbraio è diventato presidente Ferruccio, e loro hanno pensato di affidare l’altra presidenza a Santo Versace. Non è che mi mancassero le cose da fare, però mi è sembrato giusto accettare questo incarico per la città di Firenze, che è stata l’ultima città in cui Gianni ha presentato in maniera ufficiale in Italia, nel Giardino dei Boboli, il 25 giugno del ’97, prima di partire per Parigi. E poi perché è un’occasione per stare vicino ai giovani, di aiutare lo sviluppo e di aiutare la moda italiana anche prima, con la formazione. Quindi mi ha fatto molto piacere. L’obiettivo, assieme a Ferruccio, alla città di Firenze, a tutto il management del Polimoda, è far diventare l’istituto la prima scuola mondiale della moda. Ricopre inoltre la carica di vicepresidente di Altagamma. Qual è lo scopo di questa associazione? Sono stato il presidente fondatore di Altagamma nel lontano ’92 quando eravamo solo nove soci: Angelo Zegna, il papà di Gildo e Anna, il povero Maurizio Gucci, Ferruccio Ferragamo, Santo Versace, Carlo Guglielmi della Fontana Arte, Michele Alessi e Marina Deserti. L’obiettivo che ci siamo posti con Altagamma era quello di raccogliere tutte le imprese dello stile di vita italiano, dell’eccellenza, della qualità. Ci siamo riusciti, adesso siamo circa 50 soci che nell’Altagamma fatturiamo oltre 27 miliardi di euro, una cifra importantissima. Penso che abbiamo raggiunto l’obiettivo di rappresentare lo stile di vita italiano e promuoverlo nel mondo. L’industria italiana della moda è sufficientemente coraggiosa per battere la concorrenza internazionale? L’industria italiana della moda è leader mondiale. È coraggiosissima perché dobbiamo pensare che la moda ha l’anno di sei mesi, è veloce, innovativa e globale. La moda non è mai stata fine a se stessa e non ha confini. Chiunque può scendere in campo, che sia americano, inglese, francese, tedesco, cinese e conquistare il suo mercato. La vera libertà economica, il vero mercato globale è la moda. Non c’è moda dove non c’è libertà. Della passione per l’arte di suo fratello Gianni quanta è da lei condivisa? Ho sempre amato l’arte, con una piccola differenza: mi piace che l’arte sia a portata di tutti e quindi che le cose più belle siano nei musei, accessibili al pubblico. Chiaramente anch’io ho alcune opere di arte moderna. La passione dell’arte è stata una passione di famiglia. Gianni ce l’aveva e la espresse in una maniera straordinaria. Io l’ho sempre avuta, con più moderazione e più attenzione. Mi piace visitare le città d’arte e andare per musei. Com’è il suo rapporto con la spiritualità? Ho un grande rapporto con la spiritualità vista a 360 gradi. Credo nell’uomo, nel credere in se stessi e nel prossimo. Amare se stessi, amare il prossimo e amare la gente. Pensare che una giornata senza sorriso sia una giornata persa. Vedere che la gente intorno a noi sia felice. Credo di avere una spiritualità molto ricca. Il lusso, la fama, l’ammirazione quanto hanno cambiato il suo stile di vita? La possibilità di vivere nell’industria del bello, nella creatività, nella qualità e nell’eccellenza mi ha avvantaggiato perché, sostanzialmente, è una vita splendida, bellissima. Però, non sono cambiato. Il tempo e gli impegni ti costringono e non ti permettono di fare certe cose, però sostanzialmente io sono partito da Reggio Calabria che ero mezzo pescatore e mezzo contadino e tale sono rimasto. Che cos’è che più la irrita? Quando la gente non rispetta l’intelligenza. La mancanza di educazione, il non rispetto della legalità, il fatto che in Italia sia sparita la meritocrazia, che non ci sia rispetto per il merito. Queste sono cose molto importanti. Sto facendo, dalla firma del manifesto sull’educazione, una battaglia continua, anche in convegni accetto gli inviti per poter parlare di educazione, legalità e meritocrazia, tre cose che in Italia rispettiamo poco. C’è qualche personaggio che proprio non sopporta? No, ho rispetto massimo per tutti. Se una persona non interessa basta evitarla. Non ho nessuno che non sopporto. Un po’ come in televisione con il telecomando… In televisione è diverso. La televisione l’ho abolita, sostanzialmente i primi sei canali, dall’uno al sei, non li guardo proprio. Guardo La7 se c’è “Otto e mezzo” e se mi interessa. Per il resto c’è il Televideo, i canali culturali o speciali di Sky, qualche film. La accendo soltanto se c’è qualcosa che mi interessa. Perché ha abolito i primi sei canali televisivi? C’è troppa spazzatura. Quindi solo canali satellitari? C’è National Geographic, History Channel è bellissimo. Poi il 142 Cult, Leonardo. Parecchi canali, almeno una quindicina molto interessanti. Però la radio la ascolta… La radio sì perché è molto divertente. Quando guardo il Televideo tolgo il volume perché non mi interessa ascoltare, ma leggere. La radio è bellissima perché la gente parla in modo tranquillo, deve comunicare realmente con le persone, deve essere comprensibile. È come quando scriveva Montanelli. Tra industriali, politici, gente dello spettacolo e giovani di Comunione e Liberazione con chi si sente più a suo agio? Generalmente mi sento a mio agio con le persone intelligenti, persone che sanno comunicare con gli altri, che hanno passione e amore per gli altri. Sicuramente i giovani di Comunione e Liberazione sono tra i miei preferiti perché hanno l’anima, hanno lo spirito. A me la gente interessa molto per cosa esprime con gli occhi, con il sorriso e per come usa il cervello. C’è una massima che ripete ai suoi figli? Dico sempre che per risolvere qualsiasi problema ci sono tre parole: lavorare, lavorare, lavorare. Quali sono le ipocrisie più grandi dell’Italia? Con tutto quello che è successo, la comunicazione in particolare… Abbiamo scoperto Moggi soltanto adesso, del caso Parmalat non ne sapeva niente nessuno, di Cirio nemmeno. Tutti questi problemi sono chiari, evidenti. Penso che lo sapevamo tutti come funzionavano queste cose. Bisogna aiutare i giornalisti a essere più liberi. Certo, è dura essere liberi quando gli editori non sono editori puri, quando ognuno può dire: “Il mio editore è Tizio, Caio e Sempronio”. Poi il giornalista come dipendente, come lavoratore dipendente, è un bel problema perché deve rispettare il volere dei propri editori. La comunicazione è poco libera in Italia, onestamente. A che cosa non potrebbe mai rinunciare? Alla mia libertà, libertà di pensiero. Alla mia autonomia assoluta di dire quello che voglio e di essere politicamente scorretto. Un sogno che vorrebbe realizzare? È difficile, ce ne sono tanti. Uno realizzabile? Quello di vedere la Calabria, la Sicilia, la Puglia e la Campania tra le principali regioni guida del Paese. In quale occasione si sente fuori luogo? Non mi sento mai fuori luogo per un fatto molto semplice: so isolarmi, più gente c’è e più sto tranquillo da solo. Nel massimo della confusione mi sento tranquillo. Qual è il suo primo pensiero quando si sveglia la mattina? Quello di prendere in giro la persona che vedo allo specchio. Quindici minuti quando ti fai la barba, quando ti fai i rimproveri o le critiche, in modo che stai bene con le radici piantate. Il mio maggiore divertimento è dialogare per quindici minuti e prendere in giro la persona che ho di fronte. Che cosa pensa degli adulatori? È una cosa che, siccome non mi piace né adulare né essere adulato, chiaramente non accetto. Non mi interessano. Penso sia gente che perde il proprio tempo e che non ha spirito, anzi che non ha carattere. Uno per adulare gli altri vuol dire che non ha carattere, non ha autonomia personale. Però ognuno ha i suoi difetti e le sue debolezze. Non li frequento gli adulatori. Che cosa vuol dire lusso per lei? Il termine lusso non lo gradisco. Preferisco i termini creatività, eccellenza, qualità perché il termine lusso per me può essere una cosa creativa e bella, di qualità e tutto il resto, ha un suo senso, è sempre positivo. Il termine lusso, in certi momenti, può essere anche negativo perché molte cose di lusso non sono belle, sono volgari. Al momento di spegnere la luce a che cosa pensa? Penso un po’ alla giornata che c’è stata e prima di addormentarmi dico: ”Domani sarà una bella giornata”. Penso sempre positivo. . |
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