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Notiziario Marketpress di Martedì 03 Ottobre 2006
 
   
  ECCEZIONALI PRESTITI PER LA GRANDE ANTOLOGICA DI “ARTURO MARTINI” MILANO, 8 NOVEMBRE 2006 - 4 FEBBRAIO 2007 ROMA, 25 FEBBRAIO - 13 MAGGIO 2007

 
   
   Milano, 3 ottobre 2006 - Si preannuncia come un’occasione assolutamente straordinaria per conoscere l’arte di Arturo Martini l’antologica che si terrà a Milano, al Museo della Permanente e alla Fondazione Stelline, dall’8 novembre 2006 al 4 febbraio 2007 e successivamente alla Gnam di Roma dal 25 febbraio al 13 maggio 2007. Prestigiosi prestiti, provenienti da istituzioni pubbliche italiane e da esclusive e inarrivabili collezioni private, arricchiscono il progetto espositivo, consentendo anche un’inedita sequenza di opere, finora mai esposte accostate: alla Permanente verranno presentate le due grandi pietre di Finale che hanno per tema La Sete, realizzate dall’artista trevigiano, fra il 1933 e il 1936, conservate ora nelle Civiche Raccolte d’Arte di Milano e alla Gnam di Roma, che rappresentano un ideale collegamento con la Pinacoteca di Brera, dove è conservato Il Bevitore, una terracotta da stampo del 1928. Inoltre, alla Fondazione Stelline, dove protagonista è l’aspetto della statuaria monumentale di Martini, verranno esposte l’Annunciazione delle Civiche Raccolte d’Arte di Milano, e l’Ercole di proprietà della Regione Valle d’Aosta. Per il tema de La Sete, Arturo Martini trasse ispirazione da una visita agli scavi archeologici di Pompei nel novembre 1931, dove restò fortemente impressionato dai calchi in gesso ricavati dalle impronte delle vittime dell’eruzione. Al ritorno dal viaggio, nel 1932, Martini realizza i primi bozzetti della Sete, impostati sul motivo della figura bocconi, che aveva già affrontato nella Lupa Ferita e che ora disegnare in posizione quasi prona. In questa scultura, una donna, con una creatura aggrappata al fianco, si è gettata a terra per abbeverarsi a una fonte d’acqua naturale o meglio, metaforicamente, all’acqua della vita e della conoscenza. Nel 1934 Martini realizza la versione definitiva dell’opera. Rispetto a questo esemplare, La Sete della Gnam di Roma (conosciuta anche come L’uomo che beve o Il Bevitore), ultimata nel 1936 ma la cui idea risale al 1933, è più drammatica. La sete qui non è una condizione fisica, ma esistenziale, e l’acqua verso cui la figura si protende non è un elemento naturale, ma metaforico: evoca non solo ciò che l’acqua tradizionalmente può simboleggiare, ma ogni ideale dell’uomo. Martini non sottolinea solo il desiderio, ma soprattutto la sofferenza che spinge alla ricerca. Nel panorama della scultura italiana contemporanea nessuna opera, a questa data, dà un’interpretazione così espressionista della figura umana: una caratteristica poco rilevata all’epoca, sia perché erano note le libertà formali dell’artista, sia perché il paragone con i calchi pompeiani, che apparve subito evidente, finì per neutralizzarne la sconvolgente originalità. L’annunciazione, esposta alla Fondazione Stelline, venne presentata per la prima volta sul piazzale dell’Arte della Triennale di Milano nel 1933. L’iconografia è caratterizzata da una forza dirompente, con l’arcangelo Gabriele, che ha le sembianze e la veste corta di un fanciullo ‘mantegnesco’, che si rovescia sul corpo della Madonna. Si assiste così non a un dialogo statico fra l’Annunziata e l’Annunziante, come in tutte le rappresentazioni canoniche del soggetto, ma a un movimento concitato: il messaggero divino irrompe nella scena, segnando con la mano il grembo di Maria; la Vergine alza le braccia di fronte all’evento straordinario e quasi fonde in sé l’angelo diventando l’unica protagonista della composizione. Anche l’Ercole fu esibito al pubblico per la prima volta alla Triennale di Milano, ma nell’edizione successiva del 1936. L’opera monumentale, dal titolo Anno Xiv. Il leone di Giuda intendeva celebrare la vittoria italiana nella guerra d’Africa; il fascismo, ovvero Ercole, schiacciava il leone di Giuda, simbolo dell’Abissinia. Del monumentale bronzo andato perduto, rimane un bozzetto e la monumentale versione frammentaria che viene esposta alla Fondazione Stelline, con il solo Ercole, privo delle braccia. Così isolata, la figura rivela ancor più esplicitamente il suo arcaismo: Martini guarda all’arte ellenistica ed etrusca senza rifarsi a nessun modello preciso, ma evocando soprattutto una lontananza mitica L’artista, tuttavia, considerava il frammento un’opera finita, tanto che l’aveva inviato alla Biennale di Venezia del 1936, e lo ritirò solo per la reazione negativa di Maraini, segretario della rassegna. .  
   
 

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