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LUNEDI

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Notiziario Marketpress di Lunedì 17 Marzo 2008
TAR LAZIO: VALIDITÀ E RILEVANZA DELL´USO DEL FAX NELLE GARE D´APPALTO  
 
La sezione Iii quater del Tar Lazio, con sentenza n. 1254 del 13 febbraio 2008, in primo luogo, ha richiamato l’articolo 45 del D. Lgs n. 82/05, recante il codice dell’amministrazione digitale, nel quale sono contenute le disposizioni sul valore giuridico della trasmissione anche a mezzo fax (I documenti trasmessi da chiunque ad una pubblica amministrazione con qualsiasi mezzo telematico o informatico, ivi compreso il fax, idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale), riconoscendo che il fax è un mezzo di comunicazione inserito a pieno titolo nell’ordinamento e che gli accorgimenti tecnici che lo contraddistinguono garantiscono, in via generale, una sufficiente certezza circa la ricezione del messaggio. Del resto, la sezione Vi del Consiglio Stato, con sentenza n. 2951/07, ha stabilito, in tema di appalti, che …“se l’aggiudicazione è stata comunicata via fax, il termine per impugnare il provvedimento decorre dalla data di ricezione del messaggio e lo stesso Tar Lazio Roma, sezione Iii, con sentenza n. 1066/06 ha stabilito che … “la comunicazione a mezzo fax, essendo attuata mediante l´utilizzo di un sistema che consente di documentare sia la partenza che la ricezione del messaggio con il c. D. Rapporto di trasmissione, è strumento idoneo a garantire con sufficiente certezza l´effettività della comunicazione stessa, quindi a far decorrere termini perentori senza che colui che ha inviato il messaggio debba fornire prova ulteriore quando il rapporto di trasmissione indichi che questa è avvenuta regolarmente, la prova contraria spettando a chi afferma la mancata ricezione per la non funzionalità dell´apparecchio ricevente”. Conseguentemente, in questa occasione il Tar Lazio Roma ha affermato non solo che il mezzo è idoneo a far decorrere termini perentori, ma anche un fax si presume giunto al destinatario quando il rapporto di trasmissione indica che questa è avvenuta regolarmente, senza che colui che ha inviato il messaggio debba fornire alcuna ulteriore prova .  
   
   
SPAM: SMS PEGGIO CHE E-MAIL  
 

Secondo una ricerca condotta da Ferris Research, di San Francisco (Usa), nel 2008 i messaggi di testo pubblicitari inviati ai cellulari statunitensi saranno oltre 1,5 miliardi. In decisa crescita rispetto al 2007 (1,1 miliardi) e al 2006 (800 mln). Il gestore Verizon Wireless ha dichiarato che, moti proprio, blocca oltre 200 milioni di messaggi di testo ogni mese. Le altre società telefoniche annunciano sempre nuove lotte giudiziarie nei confronti degli spammer telefonici. Lo spamming via Sms è decisamente più invadente di quello effettuato via e-mail. Mentre con i recenti programmi di filtraggio della posta in arrivo si possono mettere automaticamente in una cartella apposita i messaggi presunti Spam, con i cellulari questo non si può fare ed occorre aprire ogni singolo messaggio per leggerne il contenuto. Ci risulta comunque che alcuni sviluppatori siano già in azione per risolvere il problema con programmi specifici in grado di bloccare i messaggi provenienti da numeri sospetti

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SPAM: CONDANNATA GM  
 
Accogliendo la richiesta dell´avvocato Angelo Pisani - presidente di Noiconsumatori - il giudice di pace di Napoli ha deciso che la General Motors Italia dovrà pagare 300 euro di risarcimento danni per lo spamming via e-mail ai danni di un cittadino a seguito del continuo invio, non autorizzato, di messaggi pubblicitari via posta elettronica. Secondo l’Avv. Pisani “ la sentenza fa profilare tempi duri, anzi durissimi per gli spammer in Italia” .  
   
   
PRIVACY: ILLECITO SPIARE GLI UTENTI CHE SCAMBIANO FILE MUSICALI E GIOCHI  
 
Il Garante per la Privacy ha chiuso l´istruttoria avviata sul "caso Peppermint", la società discografica che aveva svolto, attraverso una società informatica svizzera (la Logistep, utilizzata anche dalla società Techland con riferimento a software relativi a giochi), un sistematico monitoraggio delle reti peer to peer (P2p). Tramite l´utilizzo di software specifici, le società avevano individuato numerosissimi indirizzi Ip (che identificano i computer collegati ad Internet) relativi a utenti ritenuti responsabili dello scambio illegale di file: erano poi risaliti ai nomi degli utenti, anche italiani, al fine di potere ottenere un risarcimento del danno. Il Garante, richiamando anche la decisione dell´omologa Autorità svizzera, ha ritenuto illecita l´attività svolta in quanto le società private non possono svolgere attività di monitoraggio sistematico per individuare gli utenti che si scambiano file musicali o giochi su Internet. Innanzitutto, ha ricordato il Garante, la direttiva europea sulle comunicazioni elettroniche vieta ai privati di poter effettuare monitoraggi, ossia trattamenti di dati massivi, capillari e prolungati nei riguardi di un numero elevato di soggetti. È stato, poi, violato il principio di finalità: le reti P2p sono finalizzate allo scambio tra utenti di dati e file per scopi personali. L´utilizzo dei dati dell´utente può avvenire, dunque, soltanto per queste finalità e non per scopi ulteriori quali quelli perseguiti dalle società Peppermint e Techland (cioè il monitoraggio e la ricerca di dati per la richiesta di un risarcimento del danno). Infine non sono stati rispettati i principi di trasparenza e correttezza, perché i dati sono stati raccolti ad insaputa sia degli interessati sia di abbonati che non erano necessariamente coinvolti nello scambio di file. Sulla base del provvedimento del Garante 28 febbraio 2008 le società che hanno effettuato il monitoraggio dovranno ora cancellare, entro il 31 marzo, i dati personali degli utenti che hanno scambiato file musicali e giochi attraverso il sistema P2p.  
   
   
PRIVACY: RIPARTONO I LAVORI PER IL CODICE DEONTOLOGICO DEL MARKETING  
 
Riprendono i lavori preparatori del codice deontologico per il settore del marketing. Le associazioni che raggruppano gli operatori del settore nonché le associazioni dei consumatori sono chiamate a fornire il loro contributo in vista dell´adozione del codice che disciplinerà l´uso dei dati personali trattati per l´invio di materiale pubblicitario, vendita diretta, ricerche di mercato o comunicazione commerciale interattiva. Con il provvedimento del 21 febbraio 2008 il Garante ha invitato tutti i soggetti pubblici e privati appartenenti alle categorie interessate e che ritengano di avere titolo, in base al principio di rappresentatività, a sottoscrivere il codice a comunicare la loro adesione o a confermarla se già espressa a seguito dell´invito formulato a suo tempo dall´Autorità. Gli organismi che intendono partecipare alla redazione del codice dovranno comunicare inoltre, gli eventuali mutamenti intervenuti nel loro ambito e ogni notizia e documentazione utili ai fini della valutazione della loro rappresentatività. Ai lavori sono stati invitati anche tutti gli altri soggetti che siano in grado di dimostrare il proprio interesse alla materia (es. Associazioni di consumatori). Ai fini dell´ammissione ai lavori, il Garante, oltre a valutare la effettiva appartenenza alle categorie interessate alla sottoscrizione del codice, verificherà, in particolare, l´organizzazione e l´articolazione sul territorio dei soggetti che si ritengono rappresentativi, le attività da loro svolte in concreto anche con riferimento alla protezione dei dati personali, il numero dei soggetti effettivamente rappresentati in rapporto alla categoria. Comunicazioni e documentazione potranno essere inoltrate, entro il 31 marzo 2008, al Garante per la protezione dei dati personali all´indirizzo di posta elettronica: codicemarketing@garanteprivacy. It.  
   
   
CMB: I PRIMI CENTO ANNI DI ATTIVITA´  
 
Venerdì 14 marzo, al Teatro Dal Verme di Milano, hanno avuto inizio le celebrazioni per i primi 100 anni di attività di Cmb, Società Cooperativa Muratori e Braccianti, una delle maggiori imprese di costruzioni in Italia. Le celebrazioni di questo importante traguardo sono iniziate proprio nello storico teatro di Milano i cui lavori di restauro sono stati curati proprio da Cmb - con un concerto esclusivo dell’Orchestra Sinfonica “Giuseppe Verdi” diretta dal Maestro Aldo Ceccato - e culmineranno il 13 giugno presso il Teatro Comunale di Carpi. Nata a Carpi, in provincia di Modena, nel 1977 dalla fusione di due società cooperative: la Cooperativa Braccianti e la Cooperativa Muratori e Cementisti (fondata il 15 agosto 1908), Cmb lavora sul mercato delle costruzioni generali nel suo complesso, negli ambiti che lo caratterizzano: quello delle infrastrutture (dalle strade, ai ponti, alle gallerie, ai depuratori, ai gasdotti…) e quello dell’edilizia (dalle abitazioni, agli ospedali, ai centri commerciali…). A questi ambiti “tradizionali”, si aggiunge quello delle cosiddette aree innovative, di cui fanno parte, ad esempio, le iniziative in “project financing” (opere realizzate per un committente pubblico a spese dell’impresa, che ne assume poi la gestione per un numero di anni concordato contrattualmente). L’attuale solidità nasce da una costante valorizzazione dello scambio mutualistico, delle persone e delle loro competenze professionali. Un’attitudine che si manifesta attraverso la formazione permanente, la tutela della salute, del lavoro e dell’ambiente, la condivisione dei saperi per un obiettivo comune. Composta da 870 dipendenti e oltre 1200 soci tra cooperatori e sovventori, Cmb fonda la propria strategia di espansione su un forte legame imprenditoriale e sociale con i territori di appartenenza: Carpi, Milano e Roma sono da decenni le sedi stabili dalle quali la Cooperativa interviene per costruire nuovi spazi e nuove funzionalità. La sede centrale è a Carpi (Mo), in Via Carlo Marx n. 101, e due sedi operative: a Roma, in Viale F. Angeli n. 5 e a Milano in Via A. Checov n. 50, rispondendo ad un modello organizzativo divisionale. Le divisioni territoriali,poi, agiscono in Regioni specifiche che sono state definite nel tempo dalla presenza storica di cantieri o dalla vicinanza alle sedi: la divisione Centrale (resp. Ing. Carlo Zini) opera in Emilia, Toscana, Marche, Trentino, Veneto e Friuli Venezia Giulia; la divisione Lazio (resp. Geom. Luigi Francesco Mancini) opera in Lazio ed estende la propria influenza in Abruzzo e Umbria; la divisione Lombardia (resp. Dr. Aldo Tognetti) opera in Lombardia, ed estende la propria influenza in Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria. Cmb è una società in ottima salute che ha chiuso il 2007 con un giro di affari di 470 milioni di euro (+9,8% sull’anno precedente) e un utile netto gestionale di 21 milioni. Fra gli interventi di maggiore rilievo, negli ultimi anni Cmb è stata impegnata nella realizzazione della nuova sede dell’Editrice Sole24ore a Milano (su progetto dell’architetto Renzo Piano), dell’Headquarter della Pirelli, dei nuovi Ospedali di Fidenza e Modena e dell’Ospedale Fondazione Macchi di Varese, mentre nell’ambito delle infrastrutture ha lavorato sulla Linea Ferroviaria ad Alta Velocità Milano-bologna, sull’ampliamento del Grande Raccordo Anulare a Roma e su un lotto dell’Autostrada Asti-cuneo. Tra le opere in corso di realizzazione meritano una menzione il Palazzo della Regione Lombardia, i due Alberghi presso la Nuova Fiera di Rho-pero a Milano (su progetto dell’architetto francese Dominique Perrault), l’Ospedale Maggiore di Trieste e l’Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano, la realizzazione della Linea “C” della Metropolitana di Roma e il nuovo e moderno Carcere per la Provincia di Trento. Da cento anni Cmb risponde alla sua vocazione: valorizzare gli individui e trasformare gli spazi in luoghi ideati per l’uomo. Dopo un secolo di storia, la Cooperativa di Carpi guarda al futuro, pronta ad affrontarlo con le armi dell’innovazione e della forte motivazione di tutti i suoi soci. Lo scorso 4 dicembre 2007 Cmb è stata insignita del Premio di Responsabilità Sociale d’Impresa della Provincia di Modena per la sezione “Rendicontazione Sociale e Ambientale”, grazie alla pubblicazione della versione sperimentale del nuovo Report Sociale della Cooperativa. Il modello, elaborato in maniera originale, mira a manifestare con chiarezza la relazione tra business d’impresa e comunità sociale. A tal proposito è stato introdotto l’uso della Catena di Valore di Porter come chiave di lettura e criterio logico attraverso il quale analizzare la Cooperativa nelle sue componenti organizzative e di funzionamento. Ulteriori informazioni sulla storia di Cmb, la sua organizzazione e i lavori eseguiti o in corso di esecuzione sono reperibili sul sito internet: http://www. Cmbcarpi. It/home. Php . . . .  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: LA CORTE DI GIUSTIZIA CHIARISCE L´APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO DI LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CAPITALI NEI RAPPORTI TRA GLI STATI MEMBRI E I PAESI TERZI  
 
Sentenza della Corte di giustizia relativa alla causa C-101/05 - Skatteverket / A : qualora un vantaggio fiscale venga subordinato da uno Stato membro a condizioni la cui osservanza può essere verificata soltanto ottenendo informazioni da parte di un paese terzo, è in linea di principio legittimo che tale Stato membro rifiuti la concessione di detto vantaggio se risulta impossibile ottenere dal paese tali informazioni La normativa svedese concede ai contribuenti residenti in Svezia un’esenzione d´imposta per i dividendi distribuiti, sotto forma di azioni di una controllata, da parte di una società per azioni stabilita in Svezia oppure in un altro Stato membro del See; rifiuta peraltro di concedere loro il vantaggio di tale esenzione quando tale distribuzione promana da una società stabilita in un paese terzo non membro del See, salvo che quest´ultimo abbia concluso con la Svezia una convenzione che preveda lo scambio di informazioni. A è azionista della società X, che ha la sua sede sociale in Svizzera e intende distribuire le azioni che detiene in una delle sue controllate. Esso ha chiesto allo Skatterättsnämnden (commissione di diritto tributario) un parere preventivo circa la questione se tale distribuzione vada esente dall´imposta sul reddito. Lo Skatterättsnämnden ha risposto che la distribuzione delle azioni prevista da X doveva essere esentata dall´imposta sul reddito in applicazione delle disposizioni del trattato relative alla libera circolazione dei capitali. Sostenendo che tali disposizioni non concernono i movimenti di capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi, lo Skatteverket (amministrazione tributaria) ha impugnato tale decisione dello Skatterättsnämnden dinanzi al Regeringsrätten (corte amministrativa suprema), il quale ha sottoposto alla Corte di giustizia delle Comunità europee la questione se la normativa svedese sia compatibile con il diritto comunitario. Per quanto riguarda i movimenti di capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi, la Corte ricorda anzitutto che le disposizioni relative alla libera circolazione dei capitali possono essere invocate dinanzi al giudice nazionale e comportano l´inapplicabilità delle norme nazionali ad esse contrarie, indipendentemente dalla categoria di movimenti di capitali di cui trattasi. La Corte ammette che la liberalizzazione dei movimenti di capitali con i paesi terzi possa perseguire obiettivi diversi da quello di realizzare il mercato interno, come in particolare quelli di garantire la credibilità della moneta unica comunitaria sui mercati finanziari mondiali e di conservare negli Stati membri centri finanziari di dimensione mondiale. Tuttavia, essa constata che gli Stati membri hanno consacrato il principio della libera circolazione dei capitali nello stesso articolo del Trattato Ce e negli stessi termini per i movimenti di capitali che hanno luogo all´interno della Comunità e per quelli che riguardano rapporti con i paesi terzi, pur prevedendo clausole di salvaguardia e deroghe che si applicano specificamente ai movimenti di capitali provenienti dai paesi terzi o ad essi diretti. Secondo la Corte, la misura in cui gli Stati membri sono autorizzati ad applicare taluni provvedimenti restrittivi relativi ai movimenti di capitali non può essere determinata senza tenere conto della circostanza che i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti si svolgono in un contesto giuridico diverso da quelli che hanno luogo in seno alla Comunità. In ragione del grado di integrazione giuridica esistente tra gli Stati membri dell´Unione europea e, in particolare, dell´esistenza di misure legislative comunitarie miranti alla cooperazione tra le autorità fiscali nazionali, l´assoggettamento ad imposta da parte di uno Stato membro di attività economiche che hanno aspetti transfrontalieri e che si situano in seno alla Comunità non è sempre paragonabile a quello di attività economiche relative a rapporti tra gli Stati membri e i paesi terzi. Secondo la Corte, non si può neppure escludere che uno Stato membro possa dimostrare che una restrizione ai movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti sia giustificata da un determinato motivo in circostanze in cui tale motivo non costituirebbe una giustificazione valida per una restrizione ai movimenti di capitali tra gli Stati membri. La Corte osserva poi che una normativa come quella svedese ha l´effetto di dissuadere i contribuenti residenti in Svezia dall´investire i loro capitali in società stabilite al di fuori del See. Infatti, nei limiti in cui i dividendi che esse versano ai residenti svedesi sono trattati a livello fiscale con minor favore di quelli distribuiti da società stabilite in Stati membri del See, le azioni di tali società sono meno attraenti per gli investitori residenti in Svezia di quelle di società stabilite in detto Stato. Tale normativa comporta, pertanto, una restrizione ai movimenti di capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi. Orbene, la Corte ricorda che la necessità di garantire l´efficacia dei controlli fiscali costituisce un motivo imperativo di interesse generale in grado di giustificare tale restrizione se la misura rispetta il principio di proporzionalità, nel senso che è idonea a garantire il conseguimento dell´obiettivo che persegue e non va oltre quanto necessario per raggiungerlo. Al riguardo, la Corte osserva che, in seno alla Comunità, uno Stato membro non può invocare l´impossibilità di sollecitare la collaborazione di un altro Stato membro per effettuare ricerche o raccogliere informazioni allo scopo di giustificare il rifiuto di un vantaggio fiscale. Tuttavia, tenuto conto del diverso contesto in cui si inscrivono i movimenti di capitali tra gli Stati membri e i paesi terzi, tale orientamento non può essere integralmente applicato ai movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti. Infatti, la Corte constata che, qualora la normativa di uno Stato membro faccia dipendere il beneficio di un vantaggio fiscale dall’osservanza di condizioni il cui rispetto può essere verificato soltanto ottenendo informazioni dalle autorità competenti di un paese terzo, è, in linea di principio, legittimo che tale Stato membro rifiuti la concessione di detto vantaggio se, in particolare per l´assenza di un obbligo convenzionale di fornire informazioni assunto da tale paese terzo, risulta impossibile ottenere tali informazioni da detto paese. Spetta al giudice del rinvio accertare se l´amministrazione fiscale svedese sia in grado di verificare l´osservanza dei requisiti stabiliti dalla legge svedese per beneficiare dell’esenzione dei dividendi e se la convenzione conclusa dalla Svezia con la Svizzera consenta a tale amministrazione fiscale di ottenere le informazioni di cui necessita.  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: IL REGNO UNITO E L´IRLANDA POSSONO PARTECIPARE ALL´ADOZIONE DELLE MISURE CHE SVILUPPANO L´ACQUIS DI SCHENGEN A CONDIZIONE CHE PARTECIPINO GIÀ ALLE DISPOSIZIONI SULLE QUALI SI FONDA LA NUOVA MISURA  
 
La Corte di Giustizia con le sentenze pronunciate nelle cause C- 77/05 e C-137/05 - Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord / Consiglio dell´Unione europea – ha affermato che correttamente il Consiglio ha rifiutato di ammettere il Regno Unito a partecipare all´adozione del regolamento Frontex e del regolamento che stabilisce le norme sulle caratteristiche di sicurezza e sugli elementi biometrici nei passaporti, Ai sensi del Protocollo sull’integrazione dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione europea, «[l]’Irlanda e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, i quali non sono vincolati dall’acquis di Schengen, possono, in qualsiasi momento, chiedere di partecipare, in tutto o in parte, alle disposizioni di detto acquis». Se il Regno Unito o l´Irlanda non notificano che intendono partecipare all´adozione di una misura basata sull´acquis di Schengen, gli altri Stati membri sono liberi di adottare la misura in questione senza la partecipazione dei detti paesi. Una decisione, adottata il 29 maggio 2000, elenca le disposizioni dell´acquis di Schengen alle quali il Regno Unito partecipa, e stabilisce che si reputa che il Regno Unito abbia irrevocabilmente notificato la propria intenzione di partecipare a tutte le proposte e iniziative basate su tali disposizioni. L´11 febbraio 2004 il Regno Unito ha informato il Consiglio della propria intenzione di partecipare all´adozione del regolamento che istituisce l´agenzia Frontex 1. Il 19 maggio 2004 il Regno Unito ha informato il Consiglio che intendeva partecipare anche all´adozione del regolamento recante le norme sulle caratteristiche di sicurezza e sugli elementi biometrici nei passaporti 2. Malgrado tali notifiche, il Regno Unito non è stato ammesso a partecipare all´adozione di questi due regolamenti, a motivo del fatto che essi costituiscono uno sviluppo di disposizioni dell´acquis di Schengen alle quali il detto Stato membro non partecipa. I due regolamenti sono stati adottati senza la partecipazione del Regno Unito. Ritenendo che il rifiuto del Consiglio di ammetterlo a partecipare all´adozione dei regolamenti costituisse una violazione del protocollo di Schengen, il Regno Unito ha proposto due ricorsi dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee. Al contrario del Consiglio, il Regno Unito ritiene che il suo diritto di partecipare all´adozione di misure di questo tipo sia indipendente dalla circostanza che esso partecipi o no alle disposizioni dell´acquis di Schengen sulle quali la misura è fondata. La Corte considera che la disposizione del protocollo di Schengen relativa alla partecipazione del Regno Unito e dell´Irlanda alle misure esistenti e quella che prevede la possibilità per tali Stati membri di partecipare all´adozione delle nuove misure devono essere lette congiuntamente, e non in modo indipendente l´una dall´altra, malgrado che esse attengano a due aspetti differenti dell´acquis di Schengen. Risulta dall´impiego dell´espressione «proposte e iniziative che si baseranno sull’acquis di Schengen» nelle disposizioni di cui trattasi che le misure in questione sono fondate sull´acquis di Schengen, del quale esse costituiscono unicamente un´attuazione o uno sviluppo successivo. Logicamente, misure di questo tipo devono essere conformi alle disposizioni alle quali danno attuazione o di cui costituiscono uno sviluppo. La partecipazione di uno Stato membro alla loro adozione presuppone dunque l´accettazione da parte di tale Stato del settore dell’acquis di Schengen nel quale si inserisce la misura da adottare o del quale quest´ultima costituisce uno sviluppo. Alla luce di tali premesse, la Corte conclude che la possibilità per il Regno Unito e l´Irlanda di partecipare all´adozione di una nuova misura nell´ambito dell´acquis di Schengen può trovare applicazione soltanto per le proposte e le iniziative basate su un settore dell’acquis di Schengen al quale tali paesi sono già stati ammessi a partecipare. Atteso che, nel caso di specie, è pacifico che il Regno Unito non ha aderito al settore dell´acquis di Schengen nel quale si inscrivono i regolamenti in questione, la Corte constata che correttamente il Consiglio ha negato al Regno Unito il diritto di partecipare all´adozione di tali provvedimenti.  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: IL PAGAMENTO DI UNA PENSIONE DI VECCHIAIA A SFOLLATI DI NAZIONALITÀ O DI ORIGINE TEDESCA NON PUÒ ESSERE RIFIUTATO IN RAGIONE DELLA LORO RESIDENZA IN UN ALTRO STATO MEMBRO  
 
La Corte di giustizia con la sentenza pronunciata nelle cause riunite C-396/05, C-419/05 e C-450/05 -Habelt, Möser, Wachter / Deutsche Rentenversicherung Bund – ha dichiarato incompatibile con la libera circolazione delle persone l’autorizzazione concessa alla Germania di subordinare il computo di periodi contributivi maturati al di fuori del territorio della Repubblica federale alla condizione che il beneficiario vi risieda. Il regolamento comunitario n. 1408/71 prevede norme di coordinamento in materia previdenziale al fine di assicurare a coloro che si spostano all’interno della Comunità il mantenimento dei diritti e dei vantaggi acquisiti. Esso fissa il principio secondo cui il fatto che il beneficiario risieda nel territorio di uno Stato membro non incide sulle pensioni di vecchiaia acquisite in base alla legislazione di un altro Stato membro. Sussistono, tuttavia, eccezioni a tale principio. Con riguardo alla Germania, il regolamento consente, ai fini del pagamento delle prestazioni di vecchiaia, di subordinare il computo dei periodi contributivi maturati al di fuori del territorio della Repubblica federale alla condizione che il beneficiario sia residente in Germania. Sul fondamento di tale eccezione, il Rentenversicherung Bund (ente pensionistico federale) ha rifiutato di tener conto di due tipi di periodi contributivi. I periodi contributivi maturati nel territorio dei Sudeti (1939-1945) e in Pomerania (1937-1945) (cause C-396/05 e C-419/05) Le sig. Re Doris Habelt e Martha Möser, due cittadine tedesche residenti, rispettivamente, in Belgio e nel Regno Unito, hanno chiesto al Sozialgericht Berlin di annullare il diniego di prendere in considerazione, ai fini del pagamento delle loro pensioni di vecchiaia, i periodi contributivi maturati su tali territori a quali si applicava, all’epoca, la normativa previdenziale del Reich tedesco. Al fine di poter decidere in ordine a tali ricorsi, il Sozialgericht ha chiesto alla Corte se sia compatibile con il diritto comunitario la facoltà, prevista dal regolamento n. 1408/71, di escludere dal pagamento delle pensioni di vecchiaia i periodi contributivi maturati sul territorio in cui era applicabile al normativa del Reich. Nella sentenza odierna, la Corte respinge, anzitutto, l’argomento secondo cui le prestazioni di vecchiaia per periodi contributivi maturati tra il 1937 ed il 1945 devono essere ritenute quali prestazioni a favore delle vittime della guerra o delle sue conseguenze e sono, pertanto, escluse dalla sfera di applicazione del regolamento. La Corte rileva che la situazione delle sig. Re Habelt e Möser rientra effettivamente nella sfera di applicazione del regolamento n. 1408/71. La pensione loro dovuta costituisce la contropartita dei contributi che esse hanno versato agli enti previdenziali del Reich, poi della Repubblica federale. Il diniego delle autorità tedesche di prendere in considerazione, ai fini del calcolo delle prestazioni di vecchiaia da pagare ai beneficiari non residenti in Germania, i contributi versati tra il 1937 ed il 1945 costituisce un ostacolo al loro diritto alla libera circolazione all’interno dell’Unione. In mancanza di una giustificazione obiettiva di tale ostacolo, la Corte conclude che la disposizione che consente di subordinare il computo, ai fini del pagamento delle prestazioni di vecchiaia, di periodi contributivi maturati al di fuori del territorio della Repubblica federale alla condizione che il beneficiario sia residente di Germania, è incompatibile con la libertà di circolazione delle persone. Le pensioni dovute per periodi contributivi maturati in uno Stato terzo da sfollati (causa C-450/05). La Rentenversicherung ha parimenti rifiutato di versare una pensione di vecchiaia per periodi contributivi maturati in Romania tra il 1953 ed il 1970 dal sig. Peter Wachter, cittadino austriaco residente in Austria che gode in Germania dello status di sfollato (espatriato) 1. Prima del 1994, le pensioni dovute per periodi contributivi maturati all’estero potevano essere percepite in Austria, in forza di una Convenzione tra Germania e Austria. Tuttavia, a seguito dell’applicazione all’Austria del regolamento n. 1408/71, è ormai consentito versare tali pensioni ai soli beneficiari residenti in Germania. Avendo il sig. Wachter compiuto l’età di 63 anni, che dà diritto alla pensione di vecchiaia, solo nel 1999, il versamento della pensione in Austria gli è stato negato. Il Landessozialgericht Berlin-brandenburg, giudice in appello del ricorso presentato dal sig. Wachter, ha chiesto alla Corte se le disposizioni controverse del regolamento n. 1408/71 siano compatibili con il diritto alla libera circolazione garantito dal Trattato. La Corte rileva che il diritto comunitario si applica alla situazione del sig. Wachter, che invoca il beneficio di una pensione di vecchiaia in forza della normativa di uno Stato membro (Germania) diverso da quello in cui risiede (Austria). Se è pur vero che, all’epoca dei fatti di causa, gli enti previdenziali ai quali il sig. Wachter ha versato contributi appartenevano ad uno Stato terzo (Romania), tali contributi sono stati riconosciuti, tuttavia, ai fini del conseguimento di una pensione tedesca. Ciò premesso, la perdita del diritto a prestazioni di vecchiaia a seguito all’entrata in vigore, in Austria, delle disposizioni del regolamento n. 1408/71, viola la libertà di circolazione dei lavoratori. La Corte conclude che le disposizioni che - ai fini del pagamento delle prestazioni di vecchiaia- consentono di prendere in considerazione periodi contributivi maturati in Romania tra il 1953 e il 1970, solo alla condizione che il beneficiario sia residente in Germania, sono incompatibili con la libera circolazione delle persone.  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: COMPATIBILITÀ CON IL DIRITTO COMUNITARIO DI UN´AZIONE COLLETTIVA CON LA QUALE UN´ORGANIZZAZIONE SINDACALE TENTA DI INDURRE UN PRESTATORE DI SERVIZI STRANIERO AD AVVIARE TRATTATIVE SULLE RETRIBUZIONI E A SOTTOSCRIVERE UN CONTRATTO COLLETTIVO  
 
La Corte di giustizia con la sentenza relativa alla causa C-341/05 - Laval un Partneri Ltd / Svenska Byggnadsarbetareförbundet e a. - si è pronuncia sulla compatibilità con il diritto comunitario di un´azione collettiva con la quale un´organizzazione sindacale tenta di indurre un prestatore di servizi straniero ad avviare trattative sulle retribuzioni e a sottoscrivere un contratto collettivo. Una simile azione collettiva, nella forma di un blocco dei cantieri, costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi che, nella fattispecie, non è giustificata alla luce dell´obiettivo di interesse generale della protezione dei lavoratori. La direttiva 96/71 sul distacco dei lavoratori 1 prevede che le condizioni di occupazione riconosciute ai lavoratori distaccati nello Stato membro ospitante siano determinate da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative e/o, nel settore edilizio, da contratti collettivi o decisioni arbitrali dichiarati di applicazione generale. La legge svedese sul distacco dei lavoratori precisa le condizioni di lavoro e di occupazione riconducibili alle materie elencate dalla direttiva 96/71, ad eccezione dei minimi salariali. La legge nulla dice circa le retribuzioni, la cui fissazione è tradizionalmente affidata, in Svezia, alle parti sociali attraverso la contrattazione collettiva. Il diritto svedese concede alle organizzazioni sindacali il diritto di ricorrere ad azioni collettive, in presenza di talune condizioni, allo scopo di indurre qualunque datore di lavoro ad avviare trattative sulla retribuzione o a sottoscrivere un contratto collettivo. Nel maggio 2004 la Laval un Partneri Ltd, una società lettone, ha distaccato taluni lavoratori dalla Lettonia per lavorare in alcuni cantieri in Svezia. I lavori sono stati intrapresi da una società controllata, la L&p Baltic Bygg Ab. Tra gli stessi rientravano il rinnovo e l´ampliamento di un edificio scolastico nella città di Vaxholm. Nel giugno 2004 la Laval e la Baltic Bygg, da un lato, e il sindacato svedese dei lavoratori dell´edilizia e dei lavori pubblici, la Svenska Byggnadsarbetareförbundet, dall´altro, hanno avviato trattative per la determinazione delle retribuzioni dei lavoratori distaccati e la sottoscrizione, da parte della Laval, del contratto collettivo dell´edilizia. Non è stato tuttavia possibile raggiungere un accordo. La Laval ha sottoscritto, in settembre e in ottobre, contratti collettivi con il sindacato lettone dell´edilizia, al quale era iscritto il 65% dei lavoratori distaccati. Il 2 novembre 2004 la Byggnadsarbetareförbundet ha iniziato un´azione collettiva, nella specie un blocco, in tutti i cantieri della Laval in Svezia. Il sindacato svedese dei lavoratori elettrici si è unito al movimento con un’azione di solidarietà, che ha avuto l´effetto di impedire agli installatori elettrici di fornire servizi alla Laval. Tali sindacati non avevano alcun iscritto tra il personale della Laval. In seguito all´interruzione dei lavori per un certo periodo, la Baltic Bygg è fallita e i lavoratori distaccati sono ritornati in Lettonia. L´arbetsdomstolen, dinanzi al quale la Laval ha proposto un ricorso in merito alla legittimità delle azioni collettive e al risarcimento del danno, ha chiesto alla Corte di giustizia delle Comunità europee se il diritto comunitario osti a che le organizzazioni sindacali, nelle circostanze indicate, intraprendano simili azioni collettive. La Corte osserva innanzitutto che la direttiva 96/71 non permette allo Stato membro ospitante di subordinare la realizzazione di una prestazione di servizi sul suo territorio al rispetto di condizioni di lavoro e di occupazione che vadano al di là delle norme imperative di protezione minima. Infatti, per quanto riguarda le materie di cui alla direttiva 96/71, questa prevede esplicitamente il livello di protezione che le imprese stabilite in altri Stati membri devono garantire, nello Stato membro ospitante, ai lavoratori che esse distaccano sul territorio di quest’ultimo. La Corte riconosce poi che il diritto di intraprendere un’azione collettiva deve essere riconosciuto quale diritto fondamentale facente parte integrante dei principi generali del diritto comunitario di cui la Corte garantisce il rispetto, diritto il cui esercizio può essere sottoposto a talune restrizioni. Il carattere fondamentale del diritto di intraprendere un’azione collettiva non è però tale da escludere un’azione del genere, avviata nei confronti di un’impresa stabilita in un altro Stato membro, che distacca lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi transnazionale, dall´ambito di applicazione del diritto comunitario. Nella fattispecie, la Corte rileva che il diritto delle organizzazioni sindacali di uno Stato membro di intraprendere azioni collettive mediante le quali le imprese stabilite in altri Stati membri possono essere obbligate a partecipare ad una trattativa per un periodo indeterminato al fine di conoscere i minimi salariali, nonché a sottoscrivere un contratto collettivo le cui clausole vanno al di là della protezione minima garantita dalla direttiva 96/71, è in grado di scoraggiare o rendere più difficile per tali imprese l’esecuzione di lavori di costruzione sul territorio svedese e costituisce pertanto una restrizione alla libera prestazione dei servizi. Una restrizione alla libera prestazione dei servizi può essere giustificata soltanto se essa persegue un obiettivo legittimo compatibile con il Trattato e se si fonda su ragioni imperative di interesse generale, purché, in tal caso, essa sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vada al di là di ciò che è necessario per raggiungerlo. La Corte rileva in proposito che il diritto di intraprendere un’azione collettiva per la protezione dei lavoratori dello Stato ospitante contro un’eventuale pratica di dumping sociale può costituire una ragione imperativa di interesse generale. In tale contesto, un blocco dei cantieri intrapreso da un’organizzazione sindacale dello Stato membro ospitante per garantire ai lavoratori distaccati nell’ambito di una prestazione di servizi transnazionale condizioni di lavoro e di occupazione di un certo livello rientra nell’obiettivo della protezione dei lavoratori. Tuttavia, alla luce degli obblighi specifici collegati alla sottoscrizione del contratto collettivo dell’edilizia che le organizzazioni sindacali tentano di imporre alle imprese stabilite in altri Stati membri, l’ostacolo che un’azione collettiva comporta non può essere giustificato alla luce di tale obiettivo. Infatti, per quanto riguarda i lavoratori distaccati nell’ambito di una prestazione di servizi transnazionale, il loro datore di lavoro è tenuto, grazie al coordinamento realizzato dalla direttiva 96/71, a rispettare un nucleo di norme imperative di protezione minima nello Stato membro ospitante. Per quanto riguarda la trattativa salariale che le organizzazioni sindacali pretendono di imporre con un’azione collettiva alle imprese stabilite in un altro Stato membro che distaccano temporaneamente lavoratori sul loro territorio, la Corte evidenzia che il diritto comunitario non vieta agli Stati membri di imporre a tali imprese il rispetto delle loro norme in materia di minimi salariali, utilizzando i mezzi appropriati. Tuttavia, le azioni collettive non possono essere giustificate alla luce dell’obiettivo di interesse generale della protezione dei lavoratori qualora la trattativa salariale che esse mirano ad imporre a un’impresa stabilita in un altro Stato membro si inserisca in un contesto nazionale caratterizzato dall’assenza di disposizioni, di qualsivoglia natura, sufficientemente precise e accessibili da non rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile la determinazione, da parte di tale impresa, degli obblighi cui dovrebbe conformarsi in materia di minimi salariali. La Corte osserva infine che una disciplina nazionale la quale non tenga conto, indipendentemente dal loro contenuto, dei contratti collettivi ai quali le imprese che distaccano lavoratori in Svezia sono già vincolate nello Stato membro in cui sono stabilite, crea una discriminazione nei confronti di tali imprese, in quanto applica loro il medesimo trattamento riservato alle imprese nazionali che non hanno concluso un contratto collettivo. Ebbene, risulta dal Trattato che simili norme discriminatorie possono essere giustificate soltanto da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica. L’applicazione di tale disciplina alle imprese straniere vincolate da contratti collettivi ai quali non è direttamente applicabile la legge svedese ha lo scopo, da un lato, di consentire alle organizzazioni sindacali di agire affinché tutti i datori di lavoro sul mercato svedese applichino retribuzioni e altre condizioni di occupazione corrispondenti a quelle normalmente riconosciute in Svezia e, dall’altro lato, di creare le condizioni di una concorrenza leale, a parità di condizioni, tra datori di lavoro svedesi e imprenditori provenienti da altri Stati membri. Poiché nessuna delle considerazioni citate è riconducibile a ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, tale discriminazione non può essere giustificata .  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: AIUTI DESTINATI AD INCENTIVARE LE ATTIVITÀ AGRICOLE  
 
E’ stata pronunciata lo scorso 13 marzo la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee in merito alla causa C-78/07, Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Enna, Assessorato all’Agricoltura e Foreste della Regione Sicilia, Regione Sicilia contro Domenico Valvo. Al fine di assicurare il proseguimento dell’attività agricola ed il mantenimento di un livello minimo di popolazione o la conservazione dell’ambiente naturale in talune zone svantaggiate, gli Stati membri possono istituire aiuti destinati ad incentivare le attività agricole e a migliorare il reddito degli agricoltori di tali zone. Il regolamento n. 2328/91, relativo al miglioramento dell’efficienza delle strutture agrarie (come modificato dal regolamento n. 3669/93 e dal regolamento n. 950/97) prevede il versamento di un’indennità compensativa nelle regioni agricole svantaggiate. Gli Stati membri possono concedere un’indennità compensativa annua stabilita in funzione degli svantaggi naturali permanenti. L’indennità è assegnata agli imprenditori agricoli che coltivano almeno 3 ettari di superficie agricola utilizzata (Sau) e che si impegnano a proseguire un’attività agricola per almeno un quinquennio a decorrere dal primo pagamento dell’indennità compensativa. Nella regione italiana del Mezzogiorno, comprese le isole, la Sau minima è di 2 ettari. Le spese relative all’indennità compensativa non danno luogo ad alcun cofinanziamento del Fondo [europeo agricolo di orientamento e di garanzia] se l’imprenditore percepisce una pensione di vecchiaia o di vecchiaia anticipata. Oltre questi limiti e condizioni, l’indennità è vietata. Le disposizioni comunitarie sono state recepite nella normativa vigente nella Regione Sicilia dal programma operativo plurifondo (Pop 2) del 1996. I beneficiari sono gli imprenditori agricoli che coltivino almeno due ettari di superficie agricola utilizzata, s’impegnino a proseguire la loro attività agricola per almeno un quinquennio e non percepiscano una pensione di vecchiaia o una pensione di vecchiaia anticipata. Il sig. Valvo si è dimesso dal suo impiego in banca all’età di 44 anni per dedicarsi all’attività di imprenditore agricolo. Successivamente alle sue dimissioni egli ha beneficiato del trattamento previdenziale di anzianità erogato dal fondo pensioni del suo ex datore di lavoro. Egli ha chiesto un’indennità compensativa per gli anni 1994-1998 e l’ha ottenuta per gli anni 1994 e 1995, ma gli è stata rifiutata per i tre anni successivi. L’ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Enna ha respinto la sua domanda adducendo che il sig. Valvo percepiva una prestazione di vecchiaia anticipata. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia ha accolto la domanda di Valvo di annullare la decisione di rifiuto dell’Ispettorato Provinciale. Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana adito in secondo grado, chiede alla Corte di giustizia se l’indennità compensativa possa essere esclusa nei confronti di un imprenditore che percepisca anche una pensione e in particolare una pensione di anzianità. Il governo italiano e la Commissione ritengono entrambi che i regolamenti conferiscano agli Stati membri la facoltà di versare un’indennità compensativa ad un agricoltore che riceve, peraltro, una pensione di vecchiaia o un altro trattamento previdenziale. La Corte ricorda che gli Stati membri dispongono della facoltà di concedere un’indennità compensativa. Peraltro essi possono a prevedere condizioni complementari o limitative per la concessione di tale indennità. Il legislatore comunitario ha dunque conferito a questi ultimi un potere discrezionale in tale ambito. I regolamenti contengono disposizioni specifiche relative alla riscossione di una pensione di vecchiaia o di vecchiaia anticipata. Qualora percepisca una tale pensione, l’imprenditore agricolo è esonerato dal suo impegno di proseguire per cinque anni l’attività agricola. In aggiunta, non è allora possibile alcun cofinanziamento comunitario dell’indennità compensativa. Dette disposizioni riguardano solo le conseguenze di una tale riscossione tanto per l’imprenditore agricolo quanto per la Comunità europea. Gli Stati membri hanno la facoltà di concedere o di non concedere un’indennità compensativa nel caso in cui l’imprenditore agricolo percepisca una pensione di vecchiaia o di vecchiaia anticipata. Tale considerazione vale altresì qualora detto imprenditore agricolo usufruisca di altri trattamenti previdenziali. Si evince dalla normativa nazionale che l’indennità compensativa non viene concessa se l’imprenditore agricolo riceve una pensione di vecchiaia o di vecchiaia anticipata. Per contro, non pare che tale esclusione si estenda al caso della pensione di anzianità. Non compete alla Corte pronunciarsi sulla portata delle disposizioni nazionali. E’ il giudice del rinvio che dovrà verificare se il legislatore nazionale abbia escluso la concessione della medesima non soltanto in caso di riscossione di una pensione di vecchiaia o di vecchiaia anticipata, ma anche in caso di riscossione di una pensione di anzianità. Per quanto concerne invece i regolamenti comunitari, questi conferiscono agli Stati membri la facoltà di concedere un’indennità compensativa e consentono a uno Stato membro di rifiutare il pagamento di una siffatta indennità in caso di riscossione, da parte di tale imprenditore agricolo, di una pensione e, in particolare, di una pensione di anzianità.