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LUNEDI
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Notiziario Marketpress di
Lunedì 03 Giugno 2013 |
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TORINO: OGGI DIRETTA STRAMING DELLA SENTENZA D´APPELLO DEL PROCESSO ETERNIT |
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Come era già avvenuto
durante il processo di primo grado, la Provincia
di Torino conferma il
proprio impegno per assicurare, attraverso il
proprio sito istituzionale,
l´informazione sul processo Eternit.
Oggi pomeriggio lunedì 3
giugno a partire dalle ore 14.30 è fissata
la lettura della sentenza
d´appello e sul sito
http://www.provincia.torino.gov.it/
sarà possibile a tutti seguire la diretta
streaming.
"Una collaborazione
costante con il Tribunale di Torino - commenta il
presidente della Provincia
di Torino Antonio Saitta - che confermiamo
per consentire di seguire la
sentenza ai numerosi cittadini di tutta
Italia colpiti personalmente
e nei loro affetti dalle conseguenze
drammatiche della
lavorazione nei vari stabilimenti della Eternit".
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ECOMMERCE: +17% FATTURATO A 11,2 MLD EURO, OCCASIONE PER MADE IN ITALY |
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La previsione di crescita delle vendite dai siti italiani per tutto il 2013, secondo l’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm–school of Management del Politecnico di Milano, si attesta intorno al 17%, per un fatturato stimato intorno ai 11,2 miliardi di euro. Fra i principali comparti sono in crescita rispetto al 2012: l’abbigliamento (27%), l’informatica (24%), il grocery (18%), il turismo (13%), le assicurazioni (12%), l’editoria (4%). In crescita del 23% l’export, composto per il 31% dall’abbigliamento e per il 55% dal turismo, per un valore totale di oltre 2 miliardi di euro. Mette a segno un +160% il Mobile Commerce italiano a quota 427 milioni di euro Da aprile 2012 ad oggi gli acquirenti online attivi sono aumentati di oltre il 50%, raggiungendo quota 13,6 milioni a fine aprile 2013 (fonte Human Highway-netcomm), con un picco di 14 milioni di eShopper nel periodo natalizio. L’indagine Netcomm-contactlab sui comportamenti d’acquisto dei consumatori ha analizzato le abitudini della popolazione di 5 Paesi Europei Italia, Gran Bretagna, Germania, Francia e Spagna, e mostrato che in Italia a fronte di quasi nove utenti su dieci (89%) che si informano online su prodotti e brand, solo tre su dieci (34%) acquistano online, mentre in Uk l’infocommerce più frequentemente si tramuta in occasione di acquisto: nove inglesi su dieci tra gli utenti regolarmente connessi ad Internet acquistano online; in Spagna lo fa un utente su due. Continua la crescita dell’eCommerce nel nostro Paese e si rivela confermato un trend positivo di incremento a doppia cifra dal 2010. Crescono del 50% rispetto all’aprile del 2012 gli utenti attivi online, con un picco di quasi 14 milioni di eShopper nel periodo natalizio. La grande propensione all’uso smartphone fa crescere del 160% il valore del Mobile Commerce, raggiungendo la quota di 427 milioni di euro. Questo sono solo alcuni dei dati salienti presentati nel corso dell’ottava edizione del Netcomm eCommerce Forum 2013, alla presenza di oltre 4.000 invitati, tra aziende, professionisti e giornalisti, “un’adesione che dimostra come l’eCommerce sia una grande opportunità per le nostre aziende, soprattutto nella difficile congiuntura economica”, come sottolineato da Roberto Liscia, Presidente di Netcomm- Consorzio del Commercio Elettronico Italiano. “Tutti i segnali e gli indicatori che definiscono l’eCommerce in numeri descrivono un settore in salute e crescita. Nessun comparto economico in questa fase di crisi profonda è stato in grado di correre con tale entusiasmo, anche e soprattutto grazie ad una crescita molto importante dei consumatori – continua Roberto Liscia. Le stime che mensilmente rileviamo come Netcomm insieme a Human Highway parlano di circa 14 milioni di individui che hanno acquistato online nei mesi scorsi. Stiamo parlando di popolazione di utenti cresciuta del 50% nel giro di 12 mesi! Persone che hanno finalmente rotto gli indugi, anche per effetto della crisi, e dal mero utilizzo di internet per avere informazioni sono passati agli atti di acquisto. Ma abbiamo ancora grandi margini e potenzialità, come rileva un’indagine condotta con Contactlab su un panel di 61mila consumatori italiani e di altri Paesi Europei che ci mostra come solo il 34% di chi naviga online poi acquista (in Uk e Germania siamo nell’ordine del 90%). Anche in Europa, con Ecommerce Europe, l’Associazione europea di cui Netcomm fa parte come socio fondatore, i segnali che osserviamo sono ugualmente di segno positivo, con un incremento annuale delle vendite nell’ordine del 22% per il 2012. Parliamo di un fatturato complessivo di oltre 305 miliardi di euro, che pone l’Europa come il primo mercato mondiale, davanti agli Usa, che sono a quota 280 miliardi di euro, seguiti da Asia-pacifico con 216 miliardi di euro. Un trend positivo destinato a continuare, visto che anche le previsioni per i prossimi 5 anni stimano una crescita a doppia cifra per l’area euro. E anche le previsioni sul 2013 che leggiamo oggi elaborate col Politecnico di Milano confermano una crescita del 17%, per un fatturato stimato intorno ai 11,2 miliardi di euro." In questi mesi Netcomm ha, pertanto, moltiplicato il proprio impegno, lavorando sui temi come trasparenza, codici di condotta e progetti di formazione, partecipando alle iniziative dell’Associazione Europea, lanciando un’evoluzione del Sigillo Netcomm, promuovendo il progetto “Mybank”, organizzando missioni in Cina per favorire i nostri imprenditori, facendo parte della cabina dell’Agenda Digitale Italiana. L’ecommerce può davvero rappresentare il riscatto per le nostre imprese e un vero volano per competere sui mercati internazionali. “Non mi stancherò mai di sollecitare le nostre istituzioni, e soprattutto il Governo in carica, a continuare sulla via tracciata in tema di pagamenti elettronici, quali l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di rendere disponibili i pagamenti con carte e home banking, così da accelerare i comportamenti digitali degli italiani – continua Roberto Liscia. La moneta elettronica rappresenta la vera frontiera che permetterà alle piccole imprese di superare gli ultimi tabù per l´ingresso in questo nuovo e promettente mercato globale dell´eCommerce. Un settore che ormai sta raggiungendo un’età e un’esperienza ragguardevole, al punto da essere la vetrina più efficace per presentare il nostro Made in Italy in tutto il mondo. Lo dimostrano le continue missioni in Cina che il nostro Consorzio sta promuovendo da mesi. Alcuni distretti manifatturieri se ne stanno rendendo conto e stiamo sviluppando una filiera di export multicanale verso la Cina per dare ai nostri brand e ai nostri artigiani la possibilità di far conoscere e vendere a quella popolazione immensa il frutto del loro talento”. “Secondo le nostre prime stime, la crescita del commercio elettronico italiano per il 2013 sarà intorno al 17%, un valore di poco inferiore a quello dello scorso anno, per un fatturato previsto di circa 11,2 Miliardi di euro – ha dichiarato Riccardo Mangiaracina, Responsabile della Ricerca dell´Osservatorio B2c Netcomm-politecnico di Milano – "La crescita è trainata dalle vendite di prodotti, che, grazie all´andamento molto positivo soprattutto di Abbigliamento e Informatica ed elettronica di consumo peseranno nel 2013 quasi il 40% del totale vendite. Nel 2013 aumenterà ulteriormente la qualità e quantità dell´offerta online, grazie sia ai nuovi ingressi (soprattutto nei comparti dell´Abbigliamento e dell´Arredamento) che all’estensione della gamma da parte di alcuni player dell’eCommerce". Info: Netcomm – Consorzio del Commercio Elettronico Italiano costituito l’8 settembre 2005 - www.Consorzionetcomm.it |
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ECOMMERCE: FOCUS SUL CONSUMATORE ONLINE - INDAGINE NETCOMM-CONTACTLAB |
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Nell’indagine svolta su un panel di 61mila utenti sulle abitudini degli utenti internet italiani nell’acquisto online, parte integrante dello European Digital Behaviour Study 2013, si sono analizzati i comportamenti digitali della popolazione di cinque paesi europei: Italia, Gran Bretagna, Germania, Francia e Spagna. Solo il 34% degli italiani che navigano online decidono di acquistare, contro il 90% di Uk, l’87% in Germania, il 79% in Francia e uno su due in Spagna. Da una parte è sicuramente sintomo di una forte potenzialità di crescita ancora tutta da esprimere rispetto agli altri Paesi oggetto dell’indagine: l’indagine ci rivela, infatti, anche che l’8% di chi non ha ancora acquistato online pensa di effettuare il primo acquisto nei prossimi 12 mesi; a questi utenti si aggiunge un ulteriore 50% di utenti disposti a comprare online, anche se non sanno ancora esattamente quando. Di più, va confermandosi un circolo virtuoso per cui chi già acquistava, non solo in Italia ma in tutti i Paesi oggetto dell’indagine, nell’ultimo anno lo ha fatto più spesso e con maggiore varietà. A ciò si aggiungono anche se in forma più contenuta le diffidenze nei confronti dei pagamenti online, come testimonia anche la caratteristica tutta italiana di preferire il pagamento tramite carta di credito prepagata (lo dichiara il 48% degli utenti intervistati). Il dato sembra suggerire che chi aveva timori sulla sicurezza li ha risolti utilizzando le prepagate, dove carica importi limitati senza temere danni al proprio conto corrente. In tutti gli altri Paesi coinvolti dall’indagine la modalità di pagamento preferita è Paypal: lo dichiara il 68% degli inglesi, il 55% dei francesi, fino ad arrivare al 43% degli italiani. In Germania il 48% degli utenti dichiara di preferire il bonifico bancario. In caso di esperienza negativa che cosa si aspettano gli acquirenti online? Gli italiani mettono al primo posto il ritiro e la sostituzione dell’articolo difettoso senza costi aggiuntivi; i tedeschi invece puntano sull’efficienza delle procedure per il recesso mentre gli spagnoli manifestano una tipica esigenza di caring, che si traduce nella richiesta, fatta da più della metà degli intervistati, di un customer care sempre disponibile. Info: Netcomm – Consorzio del Commercio Elettronico Italiano - www.Consorzionetcomm.it |
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GIUSTIZIA EUROPEA: CONGELAMENTO FONDI: IL SOGGETTO COLPITO HA INTERESSE A OTTENERNE L´ANNULLAMENTO, ANCHE SE NEL FRATTEMPO È STATO CANCELLATO (SENTENZA C-239/12 P) |
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Una persona destinataria di una misura di congelamento di capitali conserva un interesse a ottenerne l’annullamento da parte del giudice europeo, anche qualora sia stata abrogata in corso di causa Il riconoscimento dell’illegittimità può costituire una forma di riparazione del danno morale subìto. Il 21 ottobre 2008 il nome del sig. Abdulrahim è stato aggiunto all’elenco stilato dal Comitato per le sanzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla situazione in Afghanistan del 1999 per aver partecipato ad attività di raccolta fondi per conto del Gruppo combattente islamico libico (Libian Islamic Fighting Group, «Lifg») e aver ricoperto alte cariche al suo interno. Il sig. Abdulrahim è stato quindi aggiunto all’elenco stilato secondo la normativa dell’Unione europea adottata nei confronti delle persone e delle entità i cui capitali devono essere congelati in base al regolamento che impone specifiche misure restrittive nei confronti delle persone associate a Osama bin Laden (l’«elenco controverso»). Nel 2009 il sig. Abdulrahim ha adìto il Tribunale dell’Unione europea al fine di ottenere l’annullamento della normativa europea che lo riguardava. Egli ha sostenuto che il Consiglio e la Commissione non avevano spiegato le ragioni della sua iscrizione, e che egli non era stato informato degli elementi assunti a suo carico né ascoltato a tale riguardo. A suo avviso, il congelamento dei capitali, che arrecava pregiudizio al suo diritto di proprietà e alla sua vita privata, era una misura sproporzionata. Infine, egli ha sostenuto di non essere mai stato legato a Osama bin Laden, né alla rete Al‑qaeda o ai Talibani. Mentre la causa era al vaglio del Tribunale, il nome del sig. Abdulrahim è stato dapprima cancellato dall’elenco del Comitato per le sanzioni e successivamente espunto, con regolamento, dall’elenco controverso. Ritenendo che la domanda di annullamento della sua iscrizione sulla lista impugnata fosse diventata quindi priva di oggetto, il Tribunale ha dichiarato con ordinanza che non vi era più luogo a statuire, e ciò nonostante l’opposizione del sig. Abdulrahim. A sostegno dell’impugnazione da lui proposta contro l’ordinanza dinanzi alla Corte di giustizia, il sig. Abdulrahim sostiene che il Tribunale ha commesso un errore di diritto, ritenendo che egli non avesse più interesse ad agire in quanto l’annullamento del regolamento in base al quale era stato iscritto nell’elenco controverso non poteva procurargli alcun beneficio. Egli invoca in particolare il suo interesse manifesto a che intervenga una pronuncia giurisdizionale che annulli l’atto che lo designa quale persona legata ad un’organizzazione terroristica. In concreto, il suo ricorso di annullamento dinanzi al Tribunale mirava a porre fine alla violazione continua della sua vita privata e familiare, a riabilitare la sua reputazione, ad eliminare gli ostacoli all’assunzione di impieghi e agli spostamenti, nonché a rimuovere le conseguenze della sua iscrizione nell’elenco controverso per lui stesso e per la sua famiglia. Nella sua odierna sentenza, la Corte ricorda innanzitutto la sua giurisprudenza con la quale ha riconosciuto che l’interesse ad agire di un ricorrente non viene necessariamente meno a motivo del fatto che l’atto impugnato abbia cessato di produrre effetti in corso di causa. Al contrario, la persona interessata da tale atto conserva un interesse ad ottenerne l’annullamento, o per ottenere il ripristino della propria situazione, o per indurre l’autore dell’atto impugnato ad apportare, in futuro, le modifiche appropriate e evitare così il rischio di ripetizione dell’illegittimità, o infine per proporre un eventuale ricorso per responsabilità. La Corte conferma poi la distinzione operata dal Tribunale tra l’abrogazione di un atto (che non implica il riconoscimento retroattivo della sua illegittimità) e una sentenza di annullamento (in forza della quale l’atto annullato viene rimosso retroattivamente dall’ordinamento giuridico e si considera come mai esistito). Al riguardo, la Corte rileva che erroneamente il Tribunale ne ha concluso che tale differenza non era idonea a giustificare un interesse del sig. Abdulrahim ad ottenere l’annullamento del regolamento che lo riguardava. Infatti, la Corte sottolinea che le misure restrittive hanno conseguenze negative concrete sui diritti e sulle libertà delle persone interessate: il congelamento dei capitali sconvolge la loro vita professionale e familiare e ostacola la loro libertà di concludere atti giuridici. Inoltre esse comportano la riprovazione e la diffidenza della società. La Corte ne conclude che, nonostante la cancellazione del suo nome dall’elenco, persiste l’interesse del sig. Abdulrahim ad ottenere dal giudice dell’Unione il riconoscimento che egli non avrebbe mai dovuto esservi iscritto. Alla luce dell’ampiezza del pregiudizio alla sua reputazione, il sig. Abdulrahim dispone di un interesse ad agire per chiedere l’annullamento del regolamento n. 1330/2008 nella parte che lo riguarda e per ottenere, nel caso in cui il suo ricorso fosse accolto, la sua riabilitazione e, in tal modo, una certa forma di riparazione del suo danno morale. Di conseguenza, il Tribunale ha commesso un errore di diritto dichiarando che il ricorrente non aveva più interesse ad agire. Dal momento che il Tribunale non ha esaminato il merito della controversia, la Corte ritiene che quest’ultima non sia matura per la decisione e rinvia la causa dinanzi al Tribunale. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 28 maggio 2013, Sentenza nella causa C‑239/12 P, Abdulbasit Abdulrahim / Consiglio e Commissione) |
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GIUSTIZIA EUROPEA: MANDATO D´ARRESTO UE - AMMESSO RICORSO CONTRO ESTENSIONE DEL MANDATO AD ALTRI REATI, SE LA DECISIONE DEFINITIVA SUL MANDATO RISPETTA I TERMINI DELLA DECISIONE QUADRO (SENTENZA C-168/13 PPU) |
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Il diritto dell´Unione non impedisce agli Stati membri di prevedere un ricorso sospensivo contro una decisione di estensione degli effetti di un mandato di arresto europeo. Esso impone tuttavia che, qualora gli Stati membri prevedano tale ricorso, la decisione di estensione intervenga nei termini previsti dal diritto dell´Unione per il mandato d´arresto europeo. La decisione quadro sul mandato d´arresto europeo mira a semplificare e accelerare la consegna tra gli Stati membri delle persone ricercate ai fini dell’azione penale o per l´esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative di libertà. Gli Stati membri devono pertanto rispettare determinati termini, sapendo che la decisione definitiva sull´esecuzione di un mandato d´arresto europeo, in linea di principio, deve essere adottata entro 60 giorni a decorrere dall´arresto del ricercato. Nel caso di specie, la Crown court at Maidstone (Corte d´assise di Maidstone, Regno unito) il 25 settembre 2012 ha spiccato un mandato d´arresto europeo nei confronti del sig. Jeremy F., cittadino britannico, nell´ambito di azioni penali promosse nei suoi riguardi per fatti commessi nel Regno Unito qualificabili, nel diritto inglese, come sottrazione di minore (reato per il quale è prevista una pena massima di sette anni di reclusione). Il sig. F., arrestato in Francia il 28 settembre 2012, ha espressamente dichiarato dinanzi alla Cour d’appel di Bordeaux che accettava la propria consegna alle autorità giudiziarie del Regno Unito senza tuttavia rinunciare al principio di specialità, in forza del quale chi sia oggetto di un mandato di arresto non può essere perseguito, giudicato o detenuto per reati commessi prima della sua consegna, diversi da quelli che hanno motivato quest´ultima. Con sentenza del 4 ottobre 2012 la sezione istruttoria della Cour d’appel di Bordeaux ha disposto la sua consegna alle autorità giudiziarie britanniche per promuovere le azioni penali indicate nel mandato. Il sig. F. È stato consegnato il 10 ottobre 2012 e da allora è in detenzione nel Regno Unito. Il 22 ottobre 2012 il Procuratore generale presso la Cour d’appel di Bordeaux ha ricevuto un´istanza dalle autorità giudiziarie del Regno Unito al fine di ottenere il consenso della sezione istruttoria dell´organo giurisdizionale francese a perseguire il sig. F. Per fatti commessi nel Regno Unito prima della sua consegna ed idonei a configurare un reato diverso da quello che aveva motivato tale consegna. In seguito all´udienza del 18 dicembre 2012 la sezione istruttoria della Cour d’appel di Bordeaux ha deciso, con sentenza del 15 gennaio 2013, di accordare il consenso alla domanda di estensione della consegna, in vista di nuove azioni penali contro il sig. F. Per atti sessuali su minore di 16 anni, commessi nel corso del periodo compreso tra il 1° luglio e il 20 settembre 2012. Avendo il sig. F. Proposto impugnazione contro la sentenza del 15 gennaio 2013 dinanzi alla Cour de Cassation, quest´ultima ha sottoposto al Conseil constitutionnel una questione prioritaria di legittimità costituzionalità, vertente sul diritto francese. Il codice di procedura penale francese prevede infatti che dopo la consegna di una persona a un altro Stato membro in applicazione del mandato d´arresto europeo, la sezione istruttoria si pronuncia entro 30 giorni «con decisione non impugnabile», su una domanda di estensione degli effetti di tale mandato ad altri reati. Si tratta di sapere se la decisione quadro ammetta questa mancata previsione di un mezzo di ricorso giurisdizionale contro la decisione dell´autorità giudiziaria. Il Conseil constitutionnel era interpellato sulla questione se il codice di procedura penale francese, prevedendo che la sezione istruttoria statuisca «con decisione non impugnabile», non violi il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo e il principio di uguaglianza dinanzi alla giustizia. Tuttavia, se la decisione quadro dovesse essere interpretata nel senso che esclude, per un qualche motivo, la possibilità di un siffatto ricorso, ad esempio perché l’istituzione di un tale ricorso sarebbe incompatibile con i termini imperativi da essa previsti, il Conseil constitutionnel sarebbe tenuto a far prevalere il diritto dell´Unione e a non riconoscere l´eventuale diritto di ricorso derivante dai principi di valore costituzionale in Francia. In questo modo la decisione del Conseil constitutionnel francese si conforma alla giurisprudenza della Corte di cui alla sentenza Melloni. In tale contesto il Conseil constitutionnel ha deciso, per la prima volta, di sottoporre alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale. Su richiesta del Conseil constitutionnel la Corte ha deciso di trattare la causa con procedimento d´urgenza, a causa dello stato di detenzione del sig. F. Nella sua sentenza odierna la Corte risponde, in primo luogo, che la decisione quadro non disciplina la possibilità per gli Stati membri di prevedere un ricorso giurisdizionale sospensivo avverso le decisioni relative al mandato d’arresto europeo. Peraltro, tale assenza di regolamentazione non significa che la decisione quadro impedisca di prevedere un siffatto ricorso o imponga ai medesimi di istituirlo. A tale riguardo, la Corte ricorda che la decisione quadro già di per sé prevede una procedura conforme alle esigenze della Carta dirette a garantire il diritto a un ricorso effettivo e l’accesso a un tribunale imparziale, indipendentemente dalle modalità di attuazione della decisione quadro scelte dagli Stati membri. Pertanto, le decisioni relative all´esecuzione del mandato di arresto europeo devono essere oggetto di controlli sufficienti e tutta la procedura di consegna tra Stati membri si svolge sotto controllo giudiziario, nel rispetto dei diritti fondamentali e dei principi giuridici fondamentali – come sanciti dal diritto dell’Unione, riflessi nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Peraltro, la Corte rammenta che, anche nell´ambito del processo penale principale, che permane al di fuori della sfera del diritto dell´Unione, gli Stati membri restano soggetti all´obbligo di rispettare i diritti fondamentali sanciti dalla Cedu o dal loro diritto nazionale. Tale obbligo corrobora la fiducia reciproca tra detti Stati e il principio di mutuo riconoscimento sul quale si fonda il meccanismo del mandato d´arresto. La Corte precisa, in secondo luogo, che, sebbene la decisione quadro non disciplini l’eventuale diritto a un ricorso sospensivo avverso le decisioni relative al mandato d´arresto europeo, taluni limiti devono essere tuttavia imposti al potere discrezionale di cui gli Stati membri dispongono a tale scopo. Infatti, l’obiettivo di accelerare la cooperazione giudiziaria è presente in diversi aspetti della decisione quadro e, in particolare, nel trattamento dei termini per l’adozione delle decisioni relative al mandato d´arresto. Alla luce dell´importanza di tali termini, una decisione definitiva sull´esecuzione del mandato deve intervenire, in linea di principio, entro i 10 giorni successivi al consenso del ricercato alla consegna, o, negli altri casi, entro 60 giorni dall´arresto di quest´ultimo. Soltanto in casi specifici tali termini possono essere prorogati di 30 giorni supplementari e soltanto in circostanze eccezionali i termini possono essere superati. La Corte precisa inoltre che la decisione di estensione del mandato o di una consegna successiva deve intervenire, in linea di principio, entro 30 giorni dalla ricezione della domanda conformemente alla decisione quadro . Tuttavia, qualora avverso tale decisione la normativa nazionale preveda un eventuale ricorso sospensivo, detto ricorso deve essere esperito nel rispetto dei termini sopra menzionati, previsti per l´adozione di una decisione definitiva sull´esecuzione del mandato. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 30 maggio 2013, Sentenza nella causa C-168/13, Jeremy F. / Premier Ministre) |
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GIUSTIZIA EUROPA: TRASPORTO FERROVIARIO - LA POLONIA È VENUTA MENO A TALUNI DEGLI OBBLIGHI DSTABILITI DALLA DIRETTIVA SULLA RIPARTIZIONE DELL´INFRASTRUTTURA FERROVIARIA (SENTENZA C-512/10) |
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La Polonia è venuta meno a taluni degli obblighi derivantile dal diritto dell’Unione nel settore del trasporto ferroviario. La Commissione ha proposto dinanzi alla Corte di giustizia, il 26 ottobre 2010, un ricorso per inadempimento con cui ha addebitato alla Polonia di essere venuta meno a taluni degli obblighi derivantile dal diritto dell´Unione in materia di trasporto ferroviario. Tale causa si inserisce in una serie di ricorsi analoghi proposti dalla Commissione nei confronti di diversi Stati membri per il mancato rispetto degli obblighi loro incombenti in forza delle direttive in materia. Il diritto dell’Unione impone agli Stati membri di stabilire le modalità necessarie affinché la contabilità del gestore dell´infrastruttura presenti almeno un equilibrio tra il gettito dei diritti per l´utilizzo dell´infrastruttura, le eccedenze provenienti da altre attività commerciali e i contributi statali, da un lato, e, dall´altro, i costi di infrastruttura. Nella sua sentenza odierna la Corte respinge la censura della Commissione secondo cui la Polonia ha omesso di adottare le misure atte a garantire in tempo utile l’equilibrio finanziario del gestore dell’infrastruttura Plk Sa (Pkp Polskie Linie Kolejowe Spółka Akcyjna). A tal proposito, la Corte precisa che uno squilibrio del conto profitti e perdite della società Plk non è sufficiente, di per sé, per concludere che la Polonia non abbia adempiuto gli obblighi ad essa incombenti in virtù del diritto dell’Unione. Infatti, per giungere a una tale conclusione occorre inoltre dimostrare che lo squilibrio contabile interviene «in condizioni normali di attività e nell´arco di un periodo ragionevole». Orbene, la Corte osserva che la gestione indipendente dell’infrastruttura ferroviaria in Polonia è iniziata solo recentemente (la prima sovvenzione statale è stata concessa nel 2006). Al tempo stesso, benché lo Stato polacco abbia finanziato il gestore dell’infrastruttura, gli introiti di quest’ultimo sono diminuiti, in parte a causa dell’importante crisi economica che l’Unione europea deve affrontare. La Corte respinge dunque gli argomenti della Commissione e dichiara che la Polonia ha definito le misure idonee a garantire, in tempo utile e in condizioni normali di attività, l’equilibrio finanziario del gestore dell’infrastruttura. La Corte accoglie invece la censura con cui la Commissione addebita alla Polonia di non aver introdotto, contrariamente a quanto previsto dal diritto dell’Unione, un regime di incentivi ai gestori per ridurre i costi di fornitura dell´infrastruttura e l’importo dei diritti di accesso per l’utilizzo della medesima. Infatti, anche se la normativa polacca sul trasporto ferroviario prevede come obiettivo la riduzione delle spese e dell´importo dei diritti di utilizzo, essa omette tuttavia di definire il meccanismo di incentivi che consente di raggiungerlo. Inoltre, detta normativa non istituisce un sistema di regolamentazione con l’attribuzione di adeguati poteri affinché il gestore dell´infrastruttura renda conto della propria gestione ad un´autorità competente. Parimenti, le misure menzionate dalla Polonia non sono incluse in un contratto pluriannuale di finanziamento come previsto dal diritto dell’Unione. Di conseguenza, la Corte constata l’inadempimento della Polonia ai suoi obblighi risultanti dal diritto dell’Unione. Infine, la Corte accoglie la censura della Commissione relativa al calcolo dei diritti riscossi per il pacchetto minimo di accesso e l´accesso mediante la rete alle infrastrutture ferroviarie. Secondo la normativa dell’Unione tali diritti devono essere pari al costo direttamente legato alla prestazione del servizio ferroviario. A tal proposito, la Corte dichiara che la parte dei costi di manutenzione o di gestione del traffico (che corrisponde a costi fissi che il gestore deve sopportare anche in assenza di movimenti dei treni) nonché gli ammortamenti (che sono determinati non sulla base dell´usura reale dell´infrastruttura imputabile al traffico, ma in funzione di regole contabili) non possono essere considerati direttamente imputabili alla prestazione del servizio ferroviario. Peraltro, i costi indiretti e i costi finanziari manifestamente non hanno alcun rapporto diretto con la prestazione del servizio ferroviario. Di conseguenza, la Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in virtù del diritto dell’Unione consentendo che nel calcolo dei diritti di utilizzo siano inclusi costi che non possono essere considerati direttamente legati alla prestazione del servizio ferroviario. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 30 maggio 2013 - Sentenza nella causa C-512/10 - Commissione / Polonia) glio, del 29 aprile 2004 (Gu L 164, pag. 44) |
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GIUSTIZIA EUROPEA: ASILO - IL RICHIEDENTE ASILO PUÒ ESSERE TRATTENUTO SE LA RICHIESTA DI ASILO È ABUSIVA E PUÒ COMPROMETTERE IL RIMPATRIO (SENTENZA C-534/11) |
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Il trattenimento di un richiedente asilo ai fini del suo allontanamento per soggiorno irregolare può essere mantenuto, in base al diritto nazionale, qualora la sua richiesta sia stata presentata al solo scopo di ritardare o di compromettere l’esecuzione della decisione di rimpatrio. Le autorità nazionali devono tuttavia esaminare, caso per caso, se ciò ricorra nella fattispecie e se sia oggettivamente necessario e proporzionato mantenere il trattenimento per evitare che il richiedente asilo si sottragga definitivamente al proprio rimpatrio La «direttiva rimpatrio» stabilisce norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Tali cittadini, a talune condizioni, possono essere trattenuti per un periodo, di norma, non superiore a sei mesi, al fine di garantire il regolare svolgimento del loro allontanamento. Il sig. Arslan, cittadino turco, è stato fermato dalla polizia ceca per soggiorno illegale e trattenuto. Il giorno successivo le autorità ceche hanno adottato una decisione di allontanamento nei suoi confronti. Con una seconda decisione adottata qualche giorno dopo, hanno portato la durata del suo trattenimento a 60 giorni, presumendo che il sig. Arslan avrebbe tentato di eludere l’allontanamento. Nella seconda decisione si esponeva, in particolare, che l’interessato era entrato clandestinamente nello Spazio Schengen eludendo i controlli alle frontiere e aveva poi soggiornato in Austria e nella Repubblica ceca senza documenti di viaggio né visto. Inoltre, era già stato fermato nel 2009 in territorio greco, risultando in possesso di un passaporto falso e in seguito era stato rimpatriato nel paese d’origine ed era stato inserito nel sistema di informazioni di Schengen come persona alla quale era vietato l’ingresso negli Stati dello Spazio Schengen dal 26 gennaio 2010 al 26 gennaio 2013. Il giorno dell’adozione di tale decisione il sig. Arslan ha presentato una domanda d’asilo. Durante il periodo di esame di tale domanda il trattenimento è stato prolungato per 120 giorni. Il sig. Arslan ha allora contestato dinanzi ai giudici cechi la legittimità di quest’ultima decisione di proroga del suo trattenimento. Nel frattempo, è stato posto termine al suo trattenimento, in quanto era trascorso il periodo di durata massima di sei mesi, e la sua domanda d’asilo è stata peraltro respinta. Il Nejvyšší správní soud (Corte suprema amministrativa, Repubblica ceca), investito della controversia, ha chiesto alla Corte se possa essere legalmente mantenuto il trattenimento di un richiedente asilo al fine del suo allontanamento dal territorio dell’Unione per soggiorno irregolare. Nella sua sentenza in data odierna la Corte constata, anzitutto, che un richiedente asilo ha il diritto di restare nel territorio dello Stato membro competente per l’esame della sua domanda, quanto meno fino a che quest’ultima sia stata respinta in primo grado. Di conseguenza, durante tale periodo il suo soggiorno non può essere considerato irregolare in tale Stato. La Corte precisa che gli Stati membri possono anche ampliare tale diritto permettendo ai richiedenti asilo di restare nel loro territorio fino a che sulla loro domanda non sia stata adottata una decisione definitiva. La Corte sottolinea inoltre che spetta attualmente agli Stati membri stabilire, nel pieno rispetto dei loro obblighi derivanti tanto dal diritto internazionale quanto dal diritto dell’Unione, le ragioni per le quali può essere disposto o mantenuto il trattenimento di un richiedente asilo. La Corte rileva che, nella fattispecie, il trattenimento del sig. Arslan è stato disposto per il motivo che il suo comportamento suscitava il timore che egli potesse darsi alla fuga e che la domanda appariva essere stata presentata al solo scopo di ritardare, se non di rendere impossibile, l’esecuzione della decisione di rimpatrio adottata nei suoi confronti. Orbene, circostanze del genere possono effettivamente giustificare che sia mantenuto il suo trattenimento anche dopo la presentazione della richiesta d’asilo. Tale situazione, infatti, è il risultato non della proposizione della domanda d’asilo, ma delle circostanze che caratterizzano il comportamento individuale di tale richiedente prima e all’atto della presentazione di detta domanda. Questo trattenimento è necessario inoltre per evitare che l’interessato si sottragga definitivamente al proprio allontanamento dal territorio dell’Unione e, quindi, per garantire l’effetto utile delle norme in materia di rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare. La Corte precisa infine che il solo fatto che un richiedente asilo, al momento della proposizione della sua domanda, sia oggetto di un provvedimento di allontanamento e che sia stato disposto il suo trattenimento non permette di presumere che egli abbia presentato la propria domanda al solo scopo di ritardare o compromettere l’esecuzione della decisione di rimpatrio. L’eventuale natura abusiva della presentazione della domanda deve essere quindi esaminata caso per caso. Le autorità nazionali devono valutare altresì se sia oggettivamente necessario e proporzionato mantenere il trattenimento del richiedente asilo. (Corte di giustizia dell’Unione europea - Lussemburgo, 30 maggio 2013 - Sentenza nella causa C-534/11 - Mehmet Arslan / Policie ČR, Krajské ředitelství policie Ústeckého kraje, odbor cizinecké policie) |
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GIUSTIZIA EUROPEA: SVEZIA CONDANNATA A PAGARE 3 MILIONI DI EURO PER TARDIVA TRASPOSIZIONE DELLA DIRETTIVA SU CONSERVAZIONE DEI DATI PERSONALI (SENTENZA C-270/11) |
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La Svezia è condannata a pagare una somma forfettaria di 3 milioni di euro per tardiva trasposizione della direttiva sulla conservazione dei dati Poiché tale direttiva mira a garantire la disponibilità dei dati relativi alle comunicazioni elettroniche a fini di indagine, accertamento e perseguimento di reati gravi, la sua tardiva trasposizione può produrre conseguenze sugli interessi privati e pubblici in questione
La Svezia è condannata a pagare una somma forfettaria di 3 milioni di euro per tardiva trasposizione della direttiva sulla conservazione dei dati Poiché tale direttiva mira a garantire la disponibilità dei dati relativi alle comunicazioni elettroniche a fini di indagine, accertamento e perseguimento di reati gravi, la sua tardiva trasposizione può produrre conseguenze sugli interessi privati e pubblici in questione La direttiva sulla conservazione dei dati è volta ad armonizzare le disposizioni degli Stati membri relative agli obblighi, per i fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di una rete pubblica di comunicazione, relativi alla conservazione di determinati dati da essi generati o trattati, allo scopo di garantirne la disponibilità a fini di indagine, accertamento e perseguimento di reati gravi, quali definiti dal diritto interno di ciascuno Stato membro. Tale direttiva doveva essere trasposta dagli Stati membri entro e non oltre il 15 settembre 2007. Nel 2009 la Commissione ha presentato alla Corte di giustizia un primo ricorso per inadempimento nei confronti della Svezia per mancata trasposizione della direttiva entro il termine impartito. Con una prima sentenza pronunciata nel 2010, la Corte ha dichiarato che la Svezia aveva oltrepassato il termine per l’adozione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva, venendo così meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della medesima. Nel 2011, dopo aver rilevato che la Svezia non aveva ancora eseguito la sentenza del 2010, la Commissione ha proposto il secondo ricorso per inadempimento. Ha chiesto alla Corte di condannare la Svezia a pagare una penalità di Eur 40 947,20, per ogni giorno di ritardo a decorrere dal giorno di pronuncia della sentenza emananda nella presente causa e fino al giorno dell’esecuzione della prima sentenza del 2010, nonché di una somma forfettaria di Eur 9 597,00, per ogni giorno di ritardo per il periodo compreso tra la prima sentenza e la sentenza emananda nella presente causa ovvero, qualora fosse intervenuta prima, l’eventuale adozione dei provvedimenti di esecuzione. Il 21 marzo 2012 il Parlamento svedese ha adottato i provvedimenti di trasposizione della direttiva nell’ordinamento svedese sì da garantire la piena esecuzione della sentenza del 2010. L’entrata in vigore di tali provvedimenti è stata fissata al 1° maggio 2012. Di conseguenza, la Commissione ha rinunciato alla fissazione di una penalità. Essa ha insistito, tuttavia, sulla domanda di pagamento di una somma forfettaria. Nella sentenza odierna, la Corte rileva, anzitutto, che la Svezia non aveva adottato tutti i provvedimenti necessari per garantire l’esecuzione della prima sentenza del 2010 entro il termine di due mesi (ovvero entro il 28 agosto 2010) decorrente dalla ricezione della lettera di diffida inviatale dalla Commissione. La Svezia è quindi venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell’Unione. Di conseguenza, la Corte ritiene che la Svezia debba essere condannata al pagamento di una somma forfettaria. Inoltre, per quanto riguarda il principio dell’imposizione di una somma forfettaria, essa ricorda che tale principio si fonda, sostanzialmente, sulla valutazione delle conseguenze della mancata esecuzione degli obblighi dello Stato membro interessato sugli interessi privati e pubblici, in particolare qualora l’inadempimento sia persistito per un lungo periodo successivamente alla sentenza che l’aveva inizialmente accertato. Orbene, alla luce dell’oggetto della direttiva – che mira a garantire la disponibilità dei dati relativi alle comunicazioni elettroniche a fini di indagine, accertamento e perseguimento di reati gravi – la mancata esecuzione della sentenza del 2010 è tale da poter ledere gli interessi privati e pubblici in rilievo. Peraltro, dal momento che l’inadempimento contestato alla Svezia è perdurato per oltre due anni dalla data della pronuncia della sentenza, esso si è dunque protratto per un periodo significativo successivamente a tale data. Infine, per quanto riguarda il calcolo dell’importo della somma forfettaria, la Corte tiene conto di elementi quali la gravità dell’infrazione e la sua persistenza. Quanto alla gravità dell’infrazione, la Corte rileva che l’inadempimento all’obbligo di trasporre la direttiva rischia di ostacolare il buon funzionamento del mercato interno. Ciononostante, da una relazione della Commissione del 2011 risulta che la direttiva non ha pienamente conseguito il suo obiettivo di creare condizioni di concorrenza omogenee per gli operatori nell’Unione europea. Di conseguenza, la Commissione era tenuta a dimostrare l’asserito pregiudizio alle condizioni di concorrenza nel mercato interno dei servizi di telecomunicazione, cosa che invece non ha fatto. La Corte tiene conto altresì, quale circostanza attenuante, del fatto che la Svezia, in passato, non ha mai mancato di eseguire una sentenza dichiarativa di un inadempimento pronunciata dalla Corte. Per contro, la Corte respinge, da un lato, le giustificazioni invocate dalla Svezia, secondo cui il ritardo nell’esecuzione della sentenza del 2010 sarebbe dovuto a difficoltà interne straordinarie, legate alle particolarità dell’iter legislativo, all’acceso dibattito politico sulla trasposizione della direttiva e ai problemi riscontrati nelle difficili scelte che hanno implicato la ponderazione della tutela della vita privata con la necessità di lottare efficacemente contro la criminalità. Infatti, uno Stato membro non può eccepire difficoltà interne (disposizioni, prassi o situazioni del proprio ordinamento giuridico) per giustificare l’inosservanza degli obblighi risultanti dal diritto dell’Unione. Dall’altro, la Corte respinge l’argomento secondo cui l’inadempimento riguarderebbe unicamente l’omessa parziale attuazione della direttiva. Infatti, la direttiva consentiva agli Stati membri di differire l’applicazione dell’obbligo di conservazione dei dati di comunicazione fino al 15 marzo 2009, ma non la sua trasposizione, che doveva essere effettuata prima del 15 settembre 2007. Per quanto riguarda la persistenza dell’inadempimento, la Corte sottolinea che quest’ultimo è perdurato per quasi 27 mesi dalla data della pronuncia della prima sentenza del 2010, ovvero fino alla data della trasposizione della direttiva (1° maggio 2012), ossia per un periodo di tempo significativo. Alla luce di tali elementi, la Corte condanna la Svezia a versare una somma forfettaria di 3 milioni di euro. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 30 maggio 2013, Sentenza nella causa C‑270/11, Commissione / Svezia) |
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GIUSTIZIA EUROPA: AGRICOLTURA - CONTRIBUTO OBBLIGATORIO PER NON È AIUTO DI STATO
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Un “contributo volontario obbligatorio” (Cvo) esteso a tutti gli operatori aderenti ad una organizzazione interprofessionale agricola riconosciuta, non costituisce aiuto di Stato. Tale contributo non costituisce un vantaggio concesso direttamente o indirettamente mediante risorse statali e imputabile allo Stato. Le organizzazioni professionali aderenti al Comitato interprofessionale del tacchino francese (Cidef, riconosciuto come organizzazione interprofessionale agricola), nel 2007, hanno firmato un accordo interprofessionale per promuovere e proteggere gli interessi del settore ed istituire un contributo volontario obbligatorio («Cvo»). Quest’ultimo è stato esteso con una clausola aggiuntiva e reso obbligatorio per tutti gli operatori del settore con decisione ministeriale. Due imprese – Doux Élevage Snc e Coopérative agricole Ukl-arree – assoggettate al versamento del Cvo avevano chiesto al Conseil d’État (Francia) di annullare la decisione ministeriale, sostenendo che il Cvo, esteso e reso obbligatorio per tutti gli operatori aderenti al Cidef, costituisce aiuto di Stato e avrebbe dovuto essere preventivamente notificato alla Commissione. (Sentenza C-677/11, Doux Élevage Snc, Coopérative agricole Ukl-arree / Ministère de l’Agriculture) |
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