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Notiziario Marketpress di Lunedì 25 Novembre 2013
DEFINIRE CON PRECISIONE LA CONNESSIONE TRA DIETA E DEMENZA  
 
Bruxelles, 25 novembre 2013 - Il morbo di Alzheimer è una malattia degenerativa che colpisce tra il 50 e il 70 per cento di tutti i malati di demenza. Dato che i neuroni vengono uccisi lentamente ma gradualmente, i malati subiscono perdita della memoria e disorientamento, che peggiorano con il passare del tempo. Un progetto di ricerca europeo sta compiendo progressi nel determinare in che modo ridurre l´incidenza della malattia, concentrando l´attenzione sulla dieta. Il progetto Lipididiet ("Therapeutic and preventive impact of nutritional lipids on neuronal and cognitive performance in ageing, Alzheimer´s disease and vascular dementia"), finanziato dall´Ue, sta sviluppando una dieta basata sui lipidi che potrebbe ritardare o prevenire l´inizio della malattia e altri disturbi collegati alla demenza. Secondo i partner del progetto, una dieta concentrata su lipidi come gli omega-3 aiuterebbe anche a mantenere e supportare le normali funzioni cognitive man mano che si invecchia e a ridurre il rischio di sviluppare malattie cerebrovascolari. Lanciato nel 2008, Lipididiet ha identificato dettagliati fattori di rischio relativi alla dieta, allo stile di vita e genetici, oltre a combinazioni di questi, che sono correlati a un rischio di demenza maggiore o minore. L´amminoacido non proteico omocisteina, oltre a obesità, caffè, tè e alcolici erano caratteristici dei fattori studiati. I partner del progetto, coordinati dall´Università dello Saarland in Germania, hanno compiuto anche grandi progressi nella comprensione delle vie molecolari e cellulari che portano alla demenza. Geni, metabolismo dei lipidi e infiammazioni sono stati identificati come fattori. Attaccando il problema da un´angolazione differente, il team ha anche isolato nuovi meccanismi mediante i quali le molecole amiloidi, note per scatenare la demenza, interferiscono con trasmissione sinaptica (il passaggio dell´impulso neurale da una fibra nervosa a un´altra), differenziazione e funzionamento cellulare. Più interessanti sono le scoperte riguardanti il modo in cui i lipidi della dieta potrebbero ridurre questa interferenza. I risultati ottenuti in questo studio hanno aiutato il team di Lipididiet a fissare approcci dietetici e ricette che potrebbero dimostrarsi efficaci nel ridurre il rischio del declino cognitivo legato all´età. I dati ottenuti da Lipididiet non solo aiuteranno i pazienti e i medici, ma sono importanti anche per l´industria alimentare, poiché i ricercatori sono in grado di corroborare con dati scientifici le affermazioni sulla salute. Una dieta più salutare avrà inoltre il gradito effetto collaterale di promuovere il benessere delle persone durante l´invecchiamento. Il team sta attualmente lavorando su un´altra serie di diete sperimentali e ha finito di reclutare i soggetti per la prove del prossimo studio clinico. Il progetto ha ricevuto quasi 6 milioni di euro in finanziamenti dall´Ue. Per maggiori informazioni, visitare: Lipididiet http://www.Lipididiet.eu  Scheda informativa del progetto http://cordis.Europa.eu/projects/rcn/88395_it.html  Università dello Saarland http://www.Uni-saarland.de/en/    
   
   
PREVEDERE LE MALATTIE LEGATE AI CAMBIAMENTI CLIMATICI IN AFRICA  
 
Bruxelles, 25 novembre 2013 - È noto che i cambiamenti climatici colpiscono in particolare i paesi in via di sviluppo, ma è ancora molto difficile prevedere quali saranno gli effetti sulla salute. Nel tentativo di colmare questa lacuna, il progetto Qweci si è proposto di aiutare i medici e i responsabili delle politiche sanitarie a distribuire le risorse e implementare misure preventive per le epidemie. Le previsioni dei cambiamenti climatici dipendono da molte variabili, il che le rende un vero e proprio rompicapo per gli scienziati di tutto il mondo, ma l´impatto di un clima che cambia sulla salute umana è ancora più incerto. È adesso comunemente riconosciuto che il riscaldamento globale aumenta le concentrazioni di inquinanti nell´aria e nell´acqua e ha effetti sulla stagionalità di alcune malattie epidemiche. Come si possono prevedere questi cambiamenti, specialmente in Africa, dove le conoscenze locali non sono praticamente usate in metodi di previsione? Il progetto Qwenci ha riunito ricercatori di 13 istituti di ricerca europei e africani per integrare dati sui modelli climatici e sistemi di previsione delle malattie. Il progetto si è occupato in particolare del clima e delle malattie in Senegal, Ghana e Malawi e il suo obiettivo era dare ai responsabili delle decisioni il tempo necessario per mettere in pratica metodi di intervento e aiutare a prevenire la diffusione su larga scala di malattie come la malaria e la febbre della valle del Rift. Ci si aspetta che questo contribuisca a prevedere la probabilità di un´epidemia di malaria da quattro a sei mesi in anticipo. Andy Morse, il ricercatore responsabile del progetto e climatologo presso l´Università di Liverpool nel Regno Unito, ha parlato a research eu* rivista dei risultati degli esiti del progetto e dell´impatto previsto sulla capacità dell´Africa di prevedere e contrastare i problemi sanitari causati dai cambiamenti climatici. L´obiettivo generale di Qweci era associare modelli climatici all´avanguardia, dati sul controllo delle infezioni dipendenti dal clima per rilevanti malattie africane e conoscenze locali sul comportamento della popolazione, la malattie, i vettori e gli schemi di trasmissione. I risultati potrebbero così generare mappe del rischio di infezione adatte alle necessità dei professionisti sanitari che devono prendere decisioni sul campo e alle politiche dei governi nei paesi vulnerabili. Il valore aggiunto di Qweci sta nell´integrazione dei modelli di previsione basati sul clima più affidabili con i modelli del controllo climatico sulle variabili di rischio delle malattie per le malattie portate da vettori e per archi temporali medi e lunghi. Questo ha come risultato informazioni uniche e significative che si possono trasmettere rapidamente agli utenti finali e permettono la quantificazione e la previsione dell´impatto del clima e del tempo sulla salute in Africa. Alla fine degli anni 1990, il bisogno di migliore previsione e contenimento delle malattie legate ai cambiamenti climatici è diventato ovvio nel mondo in via di sviluppo, specialmente in Africa. Era chiaro che non si usavano i dati dei modelli climatici per gli studi sulle conseguenze e il team voleva contribuire a estendere l´uso di queste risorse. È difficile svolgere un progetto in una zona così ampia, così lontana dall´Europa, facendo in modo che gli utenti locali assimilino i risultati del modello. I ricercatori hanno superato questa difficoltà invitando a unirsi a loro importanti partner e utenti regionali, attraverso l´organizzazione di workshop a livello nazionale e locale. Il team del progetto ha portato la modellazione della malaria guidata da sistemi di previsione complessiva su scala stagionale all´apice operativo. La capacità della regione di usare e interagire con le tecnologie di modellazione della malaria è stata sviluppata attraverso impostazioni di parametri locali di studi sul campo nella regione e metodi come il Wifi a lunga portata per comunicare i risultati agli utenti locali. Attraverso workshop internazionali e visite, Qweci ha aiutato a condividere conoscenze dei professionisti sanitari locali in comunità isolate e competenze all´avanguardia sulla creazione di modelli. Ha permesso anche una collaborazione duratura tra diversi istituti, paesi, comunità scientifiche e agenti sanitari in Africa e Europa, il che dovrebbe facilitare i futuri impegni congiunti. Se il progetto può far sì che i modelli Qweci per la malaria siano completamente operativi nell´ambito di un sistema di previsione complessiva stagionale, avrà fatto in modo che si raggiunga un livello efficiente di ciò che potrebbe svilupparsi in un sistema di preavviso pan-africano. In futuro, il team vorrebbe sviluppare sistemi simili per altre malattie portate da vettori e influenzate dal clima, come la febbre della valle del Rift che colpisce principalmente animali ma che può causare disturbi gravi anche negli esseri umani. Il progetto è stato coordinato dall´Università di Liverpool nel Regno Unito. Per maggiori informazioni, visitare: Qweci http://www.Liv.ac.uk/qweci/  Scheda informativa del progetto http://cordis.Europa.eu/projects/rcn/93952_it.html    
   
   
MELANOMA: “OK DALL’EUROPA PER IPILIMUMAB IN PRIMA LINEA”  
 
Roma, 25 novembre 2013 – La Commissione Europea ha espresso parere favorevole per l’utilizzo in prima linea di ipilimumab nella terapia dei pazienti adulti con melanoma avanzato (non operabile o metastatico).3 Ipilimumab, già approvato in Europa a luglio 2011 per il trattamento di pazienti adulti con melanoma avanzato precedentemente trattati e disponibile in Italia da febbraio 2013, rappresenta il più importante avanzamento nella cura di questa malattia negli ultimi 30 anni, offrendo per la prima volta un beneficio in termini di sopravvivenza globale nel trattamento del melanoma avanzato in uno studio di fase Iii.1 “L’approvazione di ipilimumab in prima linea è un’importante novità per molti pazienti europei con melanoma avanzato che non hanno ricevuto precedenti trattamenti. Nonostante alcuni progressi nel trattamento di prima linea del melanoma in stadio avanzato, per molti pazienti raggiungere migliori risultati nella sopravvivenza rappresenta tuttora una necessità insoddisfatta - ha commentato Ron Cooper, Presidente di Bristol-myers Squibb Europe -. La nuova indicazione sottolinea la fiducia nel potenziale terapeutico di un trattamento come ipilimumab, che rappresenta la prima terapia approvata della nostra pipeline immuno-oncologica. In Bristol-myers Squibb siamo impegnati nella ricerca e sviluppo dell’immuno-oncologia, un trattamento innovativo e in rapida evoluzione che potenzia le naturali capacità del sistema immunitario del paziente di combattere il tumore”. L’aspettativa mediana di vita dei pazienti con melanoma metastatico, uno dei più aggressivi tipi di tumore della pelle, era di soli 6-9 mesi.4 “Ipilimumab - ha affermato il dott. Paolo Ascierto, presidente della Fondazione Melanoma e coordinatore delle linee guida dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) sul melanoma - è attualmente l’unico trattamento per il melanoma avanzato che ha mostrato una sopravvivenza a lungo termine duratura nei pazienti già trattati, in uno studio randomizzato di fase Iii.1,2 Con questa approvazione siamo ora in grado di offrire questa terapia immuno-oncologica innovativa ai pazienti con melanoma avanzato dalle prime fasi del trattamento”. Il regime di trattamento raccomandato di ipilimumab è di 3 mg/kg somministrato per via endovenosa in un intervallo di 90 minuti, ogni 3 settimane, per un totale di 4 dosi.5 Gli eventi avversi correlati a ipilimumab sono generalmente immunomediati e sono gestiti secondo le linee guida protocollo-specifiche.2,5,6 Reazioni avverse immuno-correlate, che possono essere gravi o potenzialmente letali, possono coinvolgere l’apparato gastrointestinale, il fegato, la cute, il sistema nervoso ed endocrino o altri organi.2,5 Il profilo di sicurezza di ipilimumab 3 mg/kg in pazienti naïve alla chemioterapia, da studi clinici di fase Ii/iii (n = 75), e in pazienti naïve al trattamento, da uno studio osservazionale retrospettivo (n = 120), era simile a quello osservato in pazienti con melanoma avanzato già trattati.5,7 L’estensione dell’autorizzazione alla commercializzazione è supportata da dati che derivano da studi di fase Ii e Iii condotti in pazienti con melanoma avanzato e da due studi osservazionali retrospettivi in pazienti con melanoma avanzato trattati in prima linea con ipilimumab 3mg/kg in monoterapia.3,7,8 Questi dati osservazionali sono stati presentati all’European Cancer Congress (27 settembre – 1 ottobre 2013). La sopravvivenza globale (Os) della monoterapia con ipilimumab 3mg/kg in pazienti naïve alla chemioterapia da studi di fase Ii e Iii (n = 78, randomizzati) e in pazienti naïve al trattamento da due studi osservazionali retrospettivi (n = 120 e n = 61) era consistente.3,7,8 La stima dei tassi di sopravvivenza a un anno, nei due studi retrospettivi osservazionali, era 59.5% (intervallo di confidenza [Ic] 95%: 50.1 - 67.8) e 49.3% (Ic 95%: 35.6 - 61.6).3,7,8 La stima dei tassi di sopravvivenza a 1 e 2 anni nei pazienti naïve alla chemioterapia, da studi di fase Ii e Iii (n = 78), era rispettivamente 54.1% (95% Ic: 42.5 - 65.6) and 32% (Ic 95%: 20.7 - 42.9).3,7,8 Questa estensione dell’indicazione di ipilimumab è allargata a tutti i 28 Stati membri dell’Unione Europea e a Islanda e Norvegia. Bristol-myers Squibb lavorerà a stretto contatto con le autorità sanitarie locali di questi Paesi per accelerare la disponibilità di ipilimumab per il trattamento in prima linea di pazienti adulti con melanoma avanzato, allo scopo di rispondere alla grande domanda di trattamento per questa importante malattia.  
   
   
DIETA MEDITERRANEA SALVA-PROSTATA: MENO CASI DI TUMORE AL SUD ‘DECESSI RIDOTTI CON LE NUOVE TERAPIE, MA PREVENIRE È PRIORITARIO’  
 
Napoli, 25 novembre 2013 – Il tumore della prostata si alimenta a tavola: una dieta ricca di grassi saturi, fritti e carne rossa aumenta la probabilità di sviluppare il cancro. Lo dimostrano anche i numeri: le Regioni del Nord sono le più colpite mentre il Meridione, patria della dieta mediterranea, è la zona in cui si registra la minore incidenza. La Campania occupa il penultimo posto, seguita soltanto dalla Basilicata, con tassi inferiori di un terzo rispetto al Piemonte ‘maglia nera’ e all’Umbria, regione nota per l’elevato consumo di insaccati e bistecche. Per giocare d’anticipo sulla neoplasia più diffusa tra gli uomini, che registra 36mila nuove diagnosi nel 2013, si devono quindi privilegiare ortaggi gialli e verdi, olio d’oliva e frutta. Così facendo si può allontanare il rischio di contrarre il tumore che, comunque, rispetto al passato fa sempre meno paura: nell’ultimo decennio la mortalità è diminuita del 10%. Questo grazie anche alle innovative terapie ora disponibili, che consentono un aumento della sopravvivenza e una migliore qualità di vita dei malati. “Nuovi farmaci ormonali (abiraterone, enzalutamide) e chemioterapici come il cabazitaxel sono messi a disposizione dalla ricerca scientifica – spiega il prof. Carmine Pinto, Presidente eletto dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) e Direttore dell’Unità Operativa di Oncologia Medica del Policlinico S.orsola-malpighi di Bologna, durante il Convegno Nazionale “Personalizzazione e strategia di trattamento nel carcinoma della prostata”, in chiusosi il 23 novembre a Napoli –. Occorre individuare per il singolo paziente la migliore strategia terapeutica ed impiego sequenziale delle molecole oggi disponibili. È questa oggi la prospettiva per le persone con cancro avanzato. Il nostro obiettivo, quindi, è curare allungando la sopravvivenza ma, allo stesso tempo, migliorare anche la qualità di vita dei malati”. Due farmaci già disponibili in Italia sono il cabazitaxel, sperimentato nel 2011 nel nostro Paese in 25 centri, nell’ambito di un ampio studio internazionale e l’abiraterone acetato. “Nel 2012 il primo ha ricevuto il via libera dell’Aifa ed è ora a disposizione di tutte le Regioni, il secondo è arrivato ad aprile 2013. A breve potremo utilizzarne un terzo, l’enzalutamide, approvato ad agosto di quest’anno dall’Ema”, aggiungono i proff. Sergio Bracarda, Direttore dell’Oncologia Medica dell’Ospedale S. Donato di Arezzo e Orazio Caffo, Oncologo presso l’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento. Trattamenti innovativi quindi, che si inseriscono nella strategia terapeutica del tumore alla prostata: patologia con cui ad oggi convivono ben 217mila italiani. “Un numero davvero consistente di persone, a cui possiamo offrire una delle migliori assistenze al mondo, in ogni angolo del Paese – commenta il prof. Giacomo Cartenì, Responsabile dell’Oncologia Medica del “Cardarelli” di Napoli –. Questa due giorni promossa dall’Aiom, resa possibile grazie ad un contributo educazionale di Sanofi, serve proprio per scattare una fotografia, a livello nazionale, dello stato dell’arte della neoplasia prostatica. Cinque sessioni per discutere di argomenti fondamentali come gli effetti delle terapie sulla qualità della vita, prevenzione, gestione e sostenibilità dei farmaci innovativi tra crisi economica e best practise”. La discussione sull’Antigene Prostatico Specifico (Psa) rappresenta uno dei momenti principali del Convegno: la diffusione di questa metodica di dosaggio, introdotta all’inizio degli anni Duemila, ha modificato profondamente l’epidemiologia della malattia. “Il test del Psa non può essere utilizzato in maniera indiscriminata come screening del cancro alla prostata – sottolinea il prof. Pinto –. La sua sensibilità varia dal 70 all’80% e questo significa che il 20-30% delle neoplasie non viene individuato quando si utilizza l’esame come unico mezzo identificativo. Va eseguito solo quando è necessario, cioè dopo i 50 anni, se vi è familiarità diretta per il tumore e in caso di disturbi urinari”. Utilizzare il Psa come screening diffuso aumenterebbe il rischio di uso inappropriato di esami e sovradiagnosi, senza portare vantaggi sicuri in termini di riduzione dei decessi. “Le patologie tumorali sono destinate a diventare in poco tempo la prima causa di mortalità a livello mondiale, nei Paesi occidentali così come in quelli in via di sviluppo – afferma Alessandro Crevani, Direttore della Business Unit Oncologia di Sanofi Italia –. Sanofi è da sempre impegnata nella ricerca di soluzioni e nuovi approcci per dare risposte significative e adeguate alle esigenze delle persone affette da diverse tipologie di cancro, sia in termini di controllo della malattia sia sotto l´aspetto della qualità di vita. In questo percorso di progresso scientifico, crediamo fermamente nel valore della collaborazione con le Società Scientifiche. Il tumore alla prostata, in particolare, richiede un approccio congiunto per essere precocemente individuato e tempestivamente affrontato”.  
   
   
ALLE SCOTTE DI SIENA IL TRAPIANTO DI POLMONE NUMERO 100.  
 
Firenze, 25 novembre 2013 - Effettuato a Siena il 100esimo trapianto di polmone. L´importante traguardo è stato raggiunto dal Centro Trapianti di Polmone dell´Aou Senese, coordinato dal chirurgo toracico Luca Voltolini, l´unica struttura in Toscana ad effettuare questo tipo di interventi. "E´ stato un intervento molto particolare – spiega Voltolini – non solo per la complessità del caso ma anche per tutte le forze e i professionisti coinvolti. Un bel risultato che dedichiamo a tutte le famiglie dei donatori, senza i quali questi traguardi non potrebbero essere raggiunti". "E´ un bellissimo traguardo, per il quale mi congratulo con il dottor Voltolini e con tutta la sua équipe - è il commento dell´assessore al diritto alla salute Luigi Marroni - Un sentito ringraziamento va anche a tutte le famiglie dei donatori, che con la loro generosità rendono possibili questi interventi, e alle associazioni di volontariato, che con la loro azione capillare contribuiscono alla crescita della cultura della donazione nella nostra regione". L´intervento è stato effettuato su una ragazza di 17 anni di Pesaro colpita da fibrosi cistica e arrivata a Siena in condizioni disperate. "La paziente – aggiunge Voltolini – era seguita dal centro fibrosi cistica dell´ospedale di Ancona e aveva bisogno del trapianto di entrambi i polmoni. Le sue condizioni si sono aggravate ed è stata trasferita a Firenze dove è stata seguita dall´équipe di Cesare Braggion, direttore del Centro di fibrosi cistica del Meyer e dallo staff di Adriano Peris, direttore della Rianimazione di Careggi, che ha messo in circolazione extracorporea la paziente, trasferita poi a Siena. Abbiamo lanciato un appello urgente per la disponibilità di organi su tutto il territorio nazionale che è stata accolta dalla Campania, in una vera e propria corsa contro il tempo. Se gli organi fossero arrivati un po´ più tardi non ci sarebbe stato più nulla da fare e invece è andato tutto bene". L´intervento è stato molto lungo e complesso. "Dopo l´intervento – prosegue Voltolini – la giovane paziente è stata affidata alle cure della Terapia Intensiva Cardiotoracica, sotto la direzione di Bonizzella Biagioli e, successivamente, alle Malattie Respiratorie di Paola Rottoli. Dopo una lunga degenza è tornata finalmente a casa, sta bene e ha iniziato una nuova vita". Il trapianto di polmone è tra gli interventi più delicati perché il nuovo organo rimane a diretto contatto con l´esterno e può essere più soggetto a infezioni. "La nostra attività – conclude Voltolini – iniziata nel 2001 grazie alla Chirurgia Toracica diretta da Giuseppe Gotti, è frutto della collaborazione tra tanti specialisti diversi, medici, infermieri, personale di sala operatoria, fisioterapisti, biologi, tecnici di laboratorio, psicologi. Un ringraziamento particolare va alle Forze dell´Ordine e alle associazioni di Volontariato che ci aiutano per il trasporto urgente di organi. Ogni trapiantato ha una storia speciale alle sue spalle, fatta di affetti, speranze, paure e sofferenza e riuscire a migliorare la vita di questi pazienti, grazie al meraviglioso dono degli organi, è sempre una grande commozione per tutti".  
   
   
MEDICI DI FAMIGLIA: “INTEGRIAMO OSPEDALE E TERRITORIO COSÌ POSSIAMO EVITARE IL 35% DEI RICOVERI IMPROPRI”  
 
Firenze, 25 novembre 2013 – Il Servizio Sanitario Nazionale rischia di scomparire. Costa troppo e non è più in grado di rispondere ai bisogni reali dei cittadini. L’unica reale alternativa è rappresentata da un nuovo modello di assistenza, in cui ospedale e territorio sono strettamente connessi. Già realizzato da un anno in Toscana, ha dimostrato di evitare ricoveri impropri in ospedale fino al 35% dei casi e gli intasamenti dei pronto soccorso, con notevole risparmio di risorse. Si chiama sistema di cure primarie integrate e intercetta i bisogni di salute prima che si trasformino in malattie. E’ stato presentato il 21 novembre nella giornata di apertura del 30° Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina Generale (Simg), a Firenze conclusosi sabato. “L’esempio toscano – spiega il dott. Claudio Cricelli, presidente Simg – può essere esteso al resto del Paese. Gli attuali criteri di cura vanno superati. È destinata a esaurirsi la figura del medico di medicina generale che lavora con modalità tradizionali. Già durante il ricovero devono essere attivati i meccanismi per assistere il paziente a casa, dopo le dimissioni. Il paziente, varcata la soglia dell’ospedale, non abbandona il legame con il territorio, che rimane la sua destinazione naturale. L’acuzie, il ricovero ospedaliero e l’evento critico sono una parentesi che impone il ricorso a una struttura complessa. La persona poi trova nelle nuove cure primarie un sistema che l’attende a casa, predisponendo tutti gli interventi necessari, dall’accoglienza al supporto domiciliare, in continuità con l’ospedale di cui rappresenta l’estensione ed il raccordo. Inoltre non possiamo più attendere la presentazione dei problemi e l’arrivo delle criticità: dobbiamo intervenire in tutte le fasi della malattia, delle complicanze e del ricovero. È il passaggio dalla medicina di attesa a quella della presa in cura, con la realizzazione di un modello a ‘media intensità di cura e assistenza’”. Il tema di fondo del 30° Congresso Nazionale Simg è costituito dalla parola “cambiamento”. In base alle nuove norme infatti i medici di famiglia saranno obbligati a lavorare in associazioni mono-professionali (Aggregazioni Funzionali Territoriali) e multi-professionali (Unità Complesse di Cure Primarie). “Il sistema salute – continua il dott. Ovidio Brignoli, vicepresidente Simg - oggi risente di condizionamenti mai verificatisi negli ultimi 50 anni: l’esplosione delle malattie croniche, la drastica e drammatica riduzione delle risorse e, per contro, nuovi bisogni di salute della popolazione. Il cambiamento non si è fatto attendere a livello legislativo. La Simg è pronta a raccogliere la sfida. In accordo con le prassi del chronic care model, il team delle cure primarie esplora tutte le fasi del processo assistenziale in maniera proattiva”. Oggi la medicina generale deve sempre più farsi carico delle carenze del sistema. “Ciascuno di noi – spiega la dott.Ssa Raffaella Michieli, segretario Simg - è responsabile della salute di una media di circa 1.100 assistiti. Sono oltre 25 milioni i malati cronici a cui dobbiamo garantire continuità di cura per evitare ricoveri e prestazioni inutili. Come risulta dall’ultimo rapporto Health Search della Simg, il carico di lavoro dei medici di famiglia è aumentato in maniera esponenziale: da 6,6 contatti all’anno per paziente del 2003 a 8,3 del 2011, che equivale a più di 30 visite al giorno. Un dato in crescita in particolare per i camici bianchi che lavorano nel Sud e nelle Isole. Ricordiamo che gli adempimenti burocratici occupano più della metà della nostra vita professionale. Chi va dal medico di famiglia è soprattutto donna, ma non dai 75 anni in poi, quando a prevalere sono gli uomini”. La maggior parte delle visite è di tipo ambulatoriale (il 71,5% di tutte quelle registrate nel 2011). L’ipertensione non complicata è la patologia che impegna maggiormente i medici di famiglia (15,6% dei contatti totali nel 2011), seguita dal diabete mellito (5,5%) e dalla dislipidemia (3,6%). Il 30° Congresso Nazionale Simg tocca i temi centrali per la professione: dall’ipertensione alla gestione del dolore al diabete all’osteoporosi alla Bpco fino alla fibrillazione atriale. Una sessione speciale è dedicata alle dipendenze: il medico di famiglia svolge infatti un ruolo fondamentale nell’individuazione di un nuovo modello per gestirle, grazie al rapporto privilegiato e continuo con gli assistiti. Senza dimenticare la ricerca scientifica. “Da più di 20 anni – continua il dott. Brignoli - siamo impegnati in studi clinici, epidemiologici e sperimentali e in un decennio abbiamo prodotto più di 150 articoli su riviste con Impact Factor. Lavoriamo con interlocutori internazionali e abbiamo stretto un accordo con un centro di ricerca inglese per definire il nuovo algoritmo sull’osteoporosi e con l’Università di Montreal per un progetto sulla farmacovigilanza. Abbiamo quindi deciso di dedicare, nella giornata finale del Congresso, un workshop internazionale alla ‘Ricerca clinica in Medicina Generale’, promosso dalla Fondazione Simg. Verrà presentato un nuovo database per analizzare tutti i determinanti decisivi della salute dei cittadini, rappresentati dall’alimentazione, dagli stili di vita e dai comportamenti sociali”. Grazie alle informazioni dettagliate sulle abitudini alimentari delle singole comunità, sarà possibile realizzare anche efficaci programmi di prevenzione. Infine grande spazio alla formazione. “La Scuola Superiore delle Cure Primarie della Simg – conclude il dott. Cricelli - è un progetto di grande respiro con cui vogliamo formare le nuove professionalità, gli esperti di management, di diagnostica e gestione clinica. E, anche in Italia, come già in altri Paesi, nel prossimo futuro serviranno medici di medicina generale con interessi speciali, cioè con competenze cliniche di secondo livello. Figure intermedie fra lo specialista e il medico di medicina generale, nel cui percorso formativo la Simg darà un contributo fondamentale”.  
   
   
INAUGURAZIONE DEL NUOVO PRONTO SOCCORSO E DELLA NUOVA TAC DELL’OSPEDALE DI FABRIANO.  
 
Ancona, 25 novembre 2013 - “Un’occasione per riflettere e condividere lo stato di avanzamento della riforma sanitaria avviata dalla Regione”. Con questo auspicio, il presidente della Giunta regionale, Gian Mario Spacca, ha introdotto la cerimonia di inaugurazione del nuovo Pronto soccorso e della nuova Tac dell’Ospedale di Fabriano. Una struttura più ampia e funzionale, adeguata alle nuove esigenze e alle necessità di tutto il comprensorio fabrianese. “L’investimento – ha detto il presidente - consente di modernizzare gli impianti che erano particolarmente vetusti. Questo era un servizio datato che aveva bisogno di un profondo rinnovamento. Lo abbiamo fatto, non senza sacrificio, per allineare questa struttura alla media regionale”. La giornata di oggi, ha poi continuato, “ci apre il cuore al sorriso, ma ci invita anche alla riflessione sul momento difficile che stiamo ancora vivendo. Un momento che richiede non soltanto nuove macchine, ma anche grande determinazione e senso di responsabilità. La Regione ha compiuto una scelta netta a favore della coesione della comunità delle Marche. Questo significa, soprattutto, potenziamento dei servizi sociali e sanitari. Siamo alle prese con risorse calanti per il drastico taglio ai trasferimenti nazionali: lo Stato riduce le risorse, ma la Regione non consente che questo ricada sui cittadini”. Spacca, ricordando, tra l’altro, che le Marche sono la prima regione in Italia per riduzione della mortalità evitabile e rientrano tra le regioni benchmark per la sanità, ha sottolineato come i risultati di questa azione della Regione siano evidenti. “Merito del nostro lavoro e di quello di tutti i professionisti sociosanitari – ha aggiunto – In un trend decrescente di risorse, però, ciò non basta ed è per questo che abbiamo avviato la riforma del sistema con l’efficientamento delle reti di emergenza, la riconversione dei piccoli presidi in strutture sociosanitarie e l’organizzazione degli ospedali in rete”. Tutto ciò – ha concluso – “richiede un grande sforzo da parte di tutti. Un ringraziamento va alla responsabilità dimostrata dal personale sanitario che ha compreso il nostro pensiero strategico: mantenere la coesione, partendo dal diritto fondamentale dei cittadini che è quello della salute”. Il sindaco di Fabriano, Giancarlo Sagramola, ha detto che l’inaugurazione rappresenta “un momento di rilancio per l’entroterra e per le prestazioni sanitarie delle aree montane”. Ha ringraziato gli operatori sanitari della struttura, per l’ottimo lavoro che stanno svolgendo, in quanto “le persone fanno la qualità del servizio”. Secondo il direttore dell’Asur, Piero Ciccarelli, “il pronto soccorso rappresenta il cuore degli ospedali. Oggia a Fabriano, come in un intervento di angioplastica, abbiamo dilatato un restringimento e allargato la possibilità di accesso a una struttura più moderna che consente di curare il paziente in emergenza con maggiore tempestività e la sicurezza necessaria”. Per il direttore del Pronto soccorso, Elio Palego, “l’ospedale dispone di una struttura adeguata alle necessità, con maggiori spazi riservati all’area dell’emergenza. Statisticamente un cittadino su due si reca al pronto soccorso una volta all’anno. A Fabriano registriamo circa 23 mila accessi annui, su una popolazione di 46mila residenti”. La presenza della vecchia Tac, posizionata nel nuovo Pronto soccorso (“perché ancora idonea per gestire la maggior parte dei pazienti che si rivolgono alla struttura”) e la Radiologia implementata con la nuova apparecchiatura - ha riferito il direttore del reparto, Francesco Bartelli – “consentono di eseguire, anche a Fabriano, esami in linea con le più moderne reti cliniche, senza la necessità di ripeterli, se necessita il trasferimento del paziente in altre strutture più specializzate”. Bartelli ha poi anticipato che l’ospedale fabrianese, insieme ad altri, sperimenterà un nuovo sistema di teleconsulto con l’ospedale di Ancona.  
   
   
IL PIEMONTE SPUNTA I PREZZI MIGLIORI NELL´ACQUISTO DI FARMACI A USO OSPEDALIERO  
 
Torino, 25 novembre 2013 - Il Piemonte, con la sua centrale di committenza Scr Piemonte S.p.a., è la Regione d’Italia che ha spuntato i prezzi migliori per l’acquisto di farmaci a uso ospedaliero. A dirlo è l’Avcp, Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture, nell’analisi territoriale comparativa pubblicata il 18 novembre, che misura le performance delle Regioni italiane in materia di acquisti di farmaci. L’analisi, più in generale, è stata condotta su un campione di farmaci non coperti da brevetto selezionando 39 stazioni appaltanti in 18 Regioni e gli indicatori presi in esame riguardano rispettivamente la posizione (rango) della stazione appaltante, per ciascun farmaco, nell’ordinamento dei prezzi di acquisto trasmessi dalle amministrazioni e il rapporto tra prezzo di acquisto della stazione appaltante e un prezzo arbitrariamente fissato (in questo caso specifico il prezzo mediano). Rispetto all’indicatore riferito alla posizione, i prezzi di acquisto aggiudicati da Scr Piemonte, per singolo farmaco, sono mediamente i più bassi, quindi il Piemonte risulta la Regione con la miglior performance nella classifica stilata dall’Avcp. Inoltre, rispetto all’indicatore del prezzo in relazione al prezzo mediano ottenuto dalle stazioni appaltanti, il Piemonte si colloca tra le prime 3 Regioni d’Italia, a conferma dell’impegno per la razionalizzazione e il contenimento della spesa sanitaria, mediante gare centralizzate. Gli ultimi provvedimenti regionali assunti vanno proprio nella direzione di centralizzare, sempre di più, gli acquisti in campo sanitario, con il potenziamento delle funzioni della società di committenza e il ridisegno organizzativo delle aziende sanitarie. I risultati del documento dell’Avcp sono stati accolti con grande soddisfazione dai vertici di Regione e Scr. Agostino Ghiglia, assessore regionale con delega alle Società partecipate: “Viene certificata in modo inequivocabile e oggettivo l’ottima performance di Scr nell’acquisto di farmaci ad uso ospedaliero. Il fatto che Scr risulti tra le realtà italiane più efficienti ed efficaci in ottica di razionalizzazione della spesa sanitaria, oltre ad essere motivo d’orgoglio, rafforza le scelte effettuate a livello di governance e di rilancio operativo dell’ente. Emerge in modo sempre più evidente la necessità di incrementare l’incidenza di Scr nel sistema di procurement regionale: il superamento dell’attuale frammentazione in campo sanitario e, d’altro canto, la valorizzazione delle funzioni di centrale di committenza e di Stazione unica appaltante per contratti pubblici di forniture, servizi e lavori, determineranno risparmi tangibili e significativi, ad oggi condizione imprescindibile per un concreto risanamento strutturale del bilancio”. Ugo Cavallera, assessore regionale alla Sanità: “L’assessorato sta lavorando per ridurre la spesa farmaceutica, che è uno degli impegni che abbiamo assunto con la predisposizione dei programmi operativi 2013-2015. L’analisi comparativa, seppur riferita ad un campione limitato, dimostra che è possibile conseguire risparmi significativi. L’orientamento è quello di procedere sempre più nella direzione di centralizzare gli acquisti in campo sanitario, con il potenziamento delle funzioni della società di committenza. I risparmi ottenuti consentiranno, a regime, di mantenere il buon livello del servizio sanitario regionale riconosciuto dalle recenti valutazioni di Agenas e dello stesso Ministero della Salute con le verifiche sugli adempimenti dei Livelli essenziali di assistenza.” Domenico Arcidiacono, presidente di Scr: “I risultati dell’analisi dell’Avcp confermano il trend positivo della gestione di Scr Piemonte, che sta contribuendo in modo significativo a razionalizzare la spesa sanitaria regionale producendo importanti risparmi. Tutto questo è possibile grazie alla sinergia con gli assessorati e gli uffici regionali competenti e al lavoro prezioso della nostra società per la professionalità e l‘impegno di tutti, in particolare della Direzione amministrativa con l’Ufficio Contratti e Appalti, in collaborazione con gli Acquisti di Scr”.  
   
   
CESSIONE DI ALBUMINA PRODOTTA DAL PLASMA DEI DONATORI MARCHIGIANI, CONVENZIONE TRA REGIONE MARCHE E REGIONE PUGLIA.  
 
 Ancona, 25 novembre 2013 - E’ stata siglata questa mattina una convenzione con la Regione Puglia per la cessione di Albumina prodotta dal plasma dei donatori marchigiani. Si tratta della prima cessione in Italia fra Regioni di farmaci salva-vita derivanti da separazione del plasma donato: “Un’iniziativa che ancora una volta distingue la Regione Marche in termini di sostenibilità ed economicità del Sistema Trasfusionale Regionale – ha commentato con soddisfazione l’assessore alla Salute, Almerino Mezzolani – così come ci viene riconosciuto dal Centro Nazionale Sangue, consentendo un utilizzo etico e razionale dei medicinali provenienti dalle donazioni volontarie e gratuite dei donatori di sangue marchigiani”. All’incontro, presieduto dall’assessore Mezzolani, ha partecipato una delegazione della Regione Puglia rappresentata dal Direttore del Policlinico di Bari, dal Responsabile del Centro Regionale Sangue Puglia, dalla Direzione Amministrativa Assessorato Sanità Regione Puglia, dal Direttore Servizio Trasfusionale Policlinico di Bari, Avis Marche e Kedrion. La convenzione, approvata con Dgr 1169/2013, nasce dalla volontà di contribuire all’autosufficienza nazionale e di non incorrere in rischi di spreco di prodotto dato che, al termine del 2012, la Regione Marche aveva un magazzino del farmaco Albumina pari a più del doppio del proprio fabbisogno, mentre altre Regioni italiane ne erano carenti. Il Dipartimento Interaziendale Regionale di Medicina Trasfusionale e il Centro Regionale Sangue della Regione Marche hanno così avviato, agli inizi di quest’anno, la procedura per identificare quali regioni mostravano carenze del farmaco. La Regione Puglia è risultata carente e disposta ad acquisire quantitativi di Albumina. La Direzione del Dipartimento Interaziendale Regionale di Medicina Trasfusionale ha poi promosso uno studio per comprendere il prezzo di cessione congruo alla copertura dei costi di produzione e lavorazione con la collaborazione dell’Agenzia Regionale Sanitaria (Ars). Sono state quindi attuate le procedure amministrative, previo parere favorevole del Centro Nazionale Sangue, per l’esecuzione del contratto di cessione di 50.000 flaconi di Albumina. Il quantitativo è stato definito secondo il fabbisogno della Puglia e la necessità delle Marche di non incorrere nel rischio di scadenza (3 anni) e di mantenere alto il magazzino per soddisfare eventuali richieste impreviste nel territorio marchigiano. Il prezzo di cessione fissato a copertura dei costi è stato di 20 euro a flacone. Parte delle entrate generate da tale scambio saranno impiegate dal Dipartimento Interaziendale Regionale di Medicina Trasfusionale della Regione Marche nell’acquisto di materiale sanitario e non sanitario da utilizzare nella raccolta di plasma sul territorio. Tale strategia consentirà di mantenere l’autosufficienza regionale di emocomponenti e farmaci plasmaderivati. “Qualora ne ricorrano le condizioni, si continuerà a contribuire al fabbisogno nazionale attuando future cessioni a regioni carenti nonostante l’attuale congiuntura economica preoccupante” ha concluso l’assessore.  
   
   
CENTRALI 118, TOSCANA "PASSAGGIO DA 12 A 3 ENTRO IL 2016"  
 
Firenze, 25 novembre 2013 - Le centrali operative del 118 passeranno dalle attuali 12 a 3 entro la fine del 2016. A queste se ne affiancheranno 3 dedicate al trasporto sanitario ordinario. Il passaggio alla configurazione definitiva del servizio sarà preceduto da una fase di transizione, necessaria a causa della forte complessità organizzativa e tecnologica, in cui sono previste 6 centrali che svolgeranno compiti misti, ovvero di emergenza-urgenza e di trasporto sanitario ordinario. Si è riunita a Palazzo Strozzi Sacrati la commissione tecnica incaricata di analizzare la valutazione del riassetto organizzativo delle centrali del 118, che ha presentato le conclusioni del suo studio. Secondo i risultati viene ribadito che il numero ideale per servire il territorio toscano è di 3 centrali operative del 118, così come esplicitato nel piano sanitario regionale vigente, nella delibera 1235 e nella legge regionale 40. A queste si affiancheranno altre 3 centrali operative, dedicate al trasporto sanitario ordinario. "Questo – ha spiegato l´assessore al diritto alla salute Luigi Marroni – è il risultato delle migliori evidenze internazionali più attuali in tema di gestione e qualificazione del servizio di emergenza-urgenza. La separazione delle due linee è importante perchè l´apparato dell´emergenza urgenza non deve essere, per così dire, ´disturbato´ dalla linea dedicata al trasporto sanitario ordinario". La commissione ha messo in evidenza una forte complessità nella realizzazione del passaggio, di tipo organizzativo e tecnologico. "E´ perciò richiesto un tempo di transizione – ha detto ancora Marroni - che prevede il passaggio da 12 a 6 centrali che in questa fase avranno compiti misti. Il passaggio è molto complesso perchè ci sono tempi lunghi legati alla implementazione delle infrastrutture tecnologiche, alla riorganizzazione delle procedure e alla formazione del personale". Il governo del processo di transizione e gestione verrà affidato alla costituzione di un dipartimento regionale che comprenderà le 6 direzioni delle centrali operative, rappresentanti del volontariato e dirigenti della sanità. Il dipartimento avrà anche il compito di identificare le 3 centrali della configurazione finale. L´identificazione delle 6 centrali previste per la fase di transizione, di cui esiste già una lista preliminare, sarà sottoposta alla certificazione formale dei requisiti di sicurezza già presentati delle aziende. Tale certificazione viene richiesta dalle autorità competenti, quali genio civile e autorità di bacino. Gli esiti di tale cerificazione potrebbero accelerare il processo di concentrazione. "Nella riorganizzazione complessiva – ha aggiunto l´assessore - la Regione effettuerà importanti investimenti nelle migliori tecnologie di comunicazione e georeferenziazione e per la formazione degli operatori. Entro breve verranno adottati gli atti che formalizzeranno tutto il processo. Si tratta di un grande investimento per migliorare la salute e la sicurezza dei cittadini toscani, una decisione presa insieme al volontariato, parte integrante del sistema di emergenza-urgenza e trasporto sanitario. Inoltre permetterà di allinearsi alla normativa europea del numero unico dell´emergenza (112). La Toscana – ha quindi concluso Marroni - si dota così di una rete di emergenza-urgenza ulteriormente migliorato, con l´obiettivo di porsi al massimo livello internazionale".  
   
   
SALUTE DENTALE IN TEMPO DI CRISI: ARRIVA IL DECALOGO AIOP PER DIFENDERSI DALLA “NON QUALITÀ”  
 
 Bologna, 25 novembre 2013 – Quando viene ricostruita una corona protesica, uno degli interventi dentistici più comuni, ci sono alcuni segnali che aiutano a capire se si è ricevuto un lavoro di qualità o meno. A tal proposito, l’Accademia Italiana di Odontoiatria Protesica (Aiop) ha stilato alcuni semplici consigli per supportare i pazienti alle prese con la crisi economica e il proliferare di prestazioni odontoiatriche a basso costo, in Italia e all’estero. Ecco alcune regole d’oro: la corona non deve risultare più alta degli altri denti, non deve “toccare prima”; i contatti con i denti vicini devono essere precisi, occorre infatti poter usare il filo interdentale, che deve incontrare una buona resistenza ma senza rompersi o sfilacciarsi; la gengiva a contatto con il bordo della corona non deve arrossarsi o sanguinare; la corona non deve staccarsi accidentalmente; il colore della ceramica deve essere simile a quello dei denti vicini. Il decalogo è stato presentato a Bologna, in occasione del Xxxii Congresso Internazionale Aiop, che con i suoi 1.500 soci è la più importante accademia protesica d’Europa e una delle massime espressioni dell’eccellenza odontoiatrica italiana. In un contesto come quello attuale, dove i cittadini cercano soluzioni di risparmio economico anche nell’ambito della salute, e oltre 600.000 italiani già si affidano alle cure dei dentisti low cost, il vademecum degli esperti Aiop vuole rappresentare uno strumento utile per riconoscere ed eventualmente porre rimedio a prestazioni di “non qualità”. “Esistono procedure complesse per la produzione a regola d’arte di un ‘prototipo’, ad esempio una corona protesica in porcellana”, ha evidenziato Leonello Biscaro, Presidente Aiop. “Vi sono passaggi clinici e tecnici, attrezzature e competenze specifiche, spesso sconosciute alla popolazione. Se l’odontoiatra è il garante della correttezza della diagnosi e di tutte le procedure cliniche, all’odontotecnico spetta il fondamentale compito di assicurare la qualità dei materiali utilizzati, ottemperando alla direttiva europea 93/42 che l’Italia che recepito in maniera estremamente più rigorosa di altri Paesi europei, specialmente quelli oggetto del cosiddetto turismo odontoiatrico. Il nostro obiettivo è quello di sensibilizzare il cittadino-paziente sul fatto che, se è difficile rapportare la qualità al prezzo, è invece logicamente possibile rapportare la Non qualità al costo di produzione: al di sotto del costo di produzione è verosimile ricevere una prestazione di non qualità”. “È ormai palese la crescita degli utenti che realizzano impianti, ponti e protesi dentarie in Paesi dell’Est Europa”, ha dichiarato Alessandro Amato, Vice Presidente Codacons. “Basti pensare ai risultati ottenuti digitando sui motori di ricerca le parole ‘dentista low cost’ o ‘turismo dentale’. Alla base del fenomeno vi sono i costi ridotti, inferiori fino al 60% rispetto alle tariffe praticate in Italia. Tuttavia, è necessario far comprendere al cittadino attirato da prezzi contenuti e tempi rapidi di esecuzione che questi due elementi non possono convivere in trattamenti a elevato contenuto specialistico. Agire sui costi, riducendo il tempo dedicato alle cure, è controproducente perché mette in pericolo il successo a lungo termine della terapia. Altra criticità riguarda i materiali utilizzati, spesso prodotti scadenti e a basso costo che possono determinare l’insorgere di nuovi problemi”. Anche nell’ambito della salute dentale, quindi, sembra valere la vecchia regola del “Chi più spende meno spende”: un lavoro eseguito con materiali di alta qualità e metodiche innovative, durerà sicuramente di più nel tempo, evitando al paziente di doversi sottoporre a futuri interventi correttivi e consentendogli così un risparmio nel lungo termine. Inoltre, valgono poi le regole dettate daI buon senso. I pazienti devono, infatti, prestare particolare attenzione ai tempi: gli interventi, specialmente quelli più complessi, richiedono diversi passaggi, nel rispetto dei cosiddetti tempi biologici dei tessuti su cui si opera e delle caratteristiche dei materiali. Occorre esigere le dovute attestazioni, perché l’assistito ha diritto a richiedere sempre garanzia, certificazione dei materiali impiegati e lotti di provenienza per accertarsi che siano prodotti di qualità. Anche pulizia, ordine e sterilità dello studio, elementi imprescindibili per l’esecuzione di interventi a regola d’arte, possono aiutare il paziente a farsi un’idea di come il professionista approcci il lavoro. Infine, informarsi sull’assistenza post intervento: il paziente protesico inizia, al termine del lavoro, un nuovo percorso in cui si sottoporrà a sedute di igiene orale periodiche e a controlli del decorso dell’intervento. Deve quindi accertarsi che la struttura sia in grado di gestire adeguatamente anche questa fase. La qualità spesso non viene percepita, ma come riconoscere la “non qualità”? Cosa può succedere se il lavoro protesico non è preciso, sia sui denti che sugli impianti? Decalogo Per Riconoscere Una Protesi Di Qualità Consigli utili per capire se la vostra corona protesica ha qualche problema 1. Dopo gli opportuni e quasi sempre necessari aggiustamenti in fase di controllo, la corona non deve risultare più alta degli altri denti, non deve “toccare prima”. Non c’è bisogno di “abituarsi”. 2. I contatti con i denti vicini devono essere precisi, né troppo stretti (si deve poter usare il filo interdentale), né troppo larghi (il filo interdentale deve incontrare una buona resistenza). La mancanza di contatti adeguati è molto pericolosa, in quanto i residui alimentari possono rimanere intrappolati e causare carie e problemi alle gengive. 3. Il filo interdentale non deve rompersi o sfilacciarsi. Se ciò accade, significa che probabilmente c’è qualche grossolana imprecisione nella corona o nei denti vicini. 4. Tutte le superfici devono essere perfettamente levigate. E’ fondamentale per evitare che si consumi il dente antagonista e per evitare un pericoloso accumulo di placca batterica. 5. La gengiva a contatto con il bordo della corona non deve arrossarsi, gonfiarsi o sanguinare. Se questo succede, può essere segno di imprecisione del margine della corona o di posizione non corretta del margine stesso (troppo dentro alla gengiva) o della presenza di piorrea che non era stata diagnosticata prima. 6. La corona non deve staccarsi accidentalmente, se è stata cementata con un materiale definitivo, così come il provvisorio non dovrebbe staccarsi o rompersi facilmente. Se il vostro provvisorio era instabile, verosimilmente lo sarà la corona definitiva. 7. Se non è stato programmato e non vi è stato comunicato previamente, non dovrebbero essere effettuati ritocchi (limature) dei denti naturali, sia dei vicini che dell’arcata opposta. In alcuni casi è necessario un ritocco dei denti naturali o di vecchi restauri, ma dovreste essere stati avvisati prima. 8. Il colore della ceramica deve essere simile a quello dei denti vicini, in caso di differenze o di inestetismi dovete poterli esprimere e trovare una soluzione adeguata. Dovreste, su vostra richiesta, poter parlare anche con l’odontotecnico che ha realizzato la vostra corona. 9. Se non riuscite a masticare bene con la nuova corona, se c’è sensibilità alla pressione, o addirittura al serramento dei denti, o se il cibo fibroso rimane intrappolato nel nuovo dente, c’è qualcosa che non funziona. A parte un primo momento di adattamento, una corona ben fatta deve entrare subito a far parte della bocca e deve funzionare bene. 10. Ricordate che la fine di una terapia protesica in realtà è l’inizio del percorso che vi consentirà di mantenere sia i risultati delle cure effettuate, sia la salute dei vostri denti naturali. Il programma di igiene professionale e di controlli periodici dovrà essere personalizzato in base alle condizioni dei vostri denti, alle abitudini di vita (per esempio, se siete dei forti fumatori dovrete farvi controllare più spesso) e alle vostre capacità di effettuare un’igiene domiciliare adeguata.  
   
   
RIUNIONE DEGLI ESPERTI DEL GAT  
 
Milano, 25 novembre 2013 - "Vorremmo ridurre sempre più i ticket, soprattutto a carico delle famiglie in difficoltà. Si sente dire sempre più spesso che ´molte persone non fanno le analisi perché non hanno i soldi per i ticket´. Guai se fosse così. Dobbiamo proprio scongiurare, invertire questa tendenza a pensare che non si possa accedere al servizio sanitario per questioni economiche". Mantovani Al Gat - Lo ha detto l´assessore alla Salute di Regione Lombardia Mario Mantovani parlando ai manager e ai tecnici della sanità lombarda riuniti a Palazzo Lombardia per la riunione del Gat (Gruppo di Approfondimento Tecnico) tenuta da Walter Bergamaschi, direttore generale dell´assessorato alla Salute, e da Giovanni Daverio, direttore generale dell´assessorato alla Famiglia, Solidarietà sociale e Volontariato. Riforma Da Aggiornare - Il gruppo di dirigenti, funzionari regionali e di Enti del sistema oltre che di esperti esterni, in seduta per contribuire alla formulazione di proposte in tema di "Riordino del sistema Sanitario Regionale", in tarda mattinata è stato raggiunto dall´Assessore alla Salute, il quale ha sottolineato l´importanza dei Gat, che sono i diretti ´portavoce´ del territorio in materia di assistenza e cura ai pazienti. "L´aggiornamento della legge sulla riforma sanitaria dopo 16 anni si impone - ha riaffermato Mario Mantovani - perché da 16 anni a questa parte sicuramente molte cose sono cambiate. Primi fra tutti, i bisogni dei cittadini". Ospedale Sotto Casa - L´assessore Mantovani, nell´elencare i punti nodali che necessitano di un aggiornamento, ha anche toccato l´aspetto relativo al modello ospedaliero, evidenziando che "non si può avere tutto, dappertutto, sotto casa. Credo che questo sia un concetto che è ormai chiaro anche ai cittadini. E´ molto meglio fare 3, 5 chilometri in più e trovare un servizio sanitario adeguato - ha ribadito l´assessore alla Salute - piuttosto che avere il piccolissimo ospedale aperto di notte vicino a casa, che però effettua pochissimi interventi a notte e che non dispone magari di quei servizi e di quelle attrezzature di qualità previste oggi per poter effettuare correttamente una diagnosi e quindi salvare una vita". Mmg E Cronici - Il vice presidente del Governo di Regione Lombardia ha concluso i suoi saluti al gruppo di lavoro sottolineando l´importanza del ruolo che possono esercitare i "medici di famiglia" anche nella gestione delle cure del paziente cronico.  
   
   
BOLZANO: NUOVE FARMACIE, ALLA PROVINCIA LA DECISIONE SUI NUMERI  
 
Bolzano, 25 novembre 2013 - Dopo l´impugnazione del governo, e la sentenza della Corte Costituzionale che ridisegna le competenze, la Giunta altoatesina si è occupata del piano provinciale per le farmacie. In futuro la Provincia continuerà a decidere il numero delle farmacie, mentre l´assegnazione sul territorio sarà a carico dei comuni. Previste 28 nuove strutture. "Secondo la Corte Costituzionale - ha spiegato il presidente Luis Durnwalder - le competenze in materia non sono tutte della Provincia, che sino ad ora concedeva le autorizzazioni all´apertura di nuove farmacie dopo aver sentito i comuni interessati. In futuro il procedimento sarà inverso". Le normative statali prevedono che vi sia una farmacia ogni 3.300 abitanti, "ma con la possibilità lasciata ai comuni di aprirne una seconda se nella zona interessata si arrivi a quota 4.951 residenti", ha aggiunto Durnwalder. In sostanza, questa opzione viene concessa ogni qualvolta si superi del 50% la soglia precedente, con i comuni che si occupano di suddividere il territorio in zone e di agire d´intesa con l´ordine dei farmacisti e la Ripartizione provinciale sanità. La sentenza della Corte Costituzionale, inoltre, pone dei paletti ben precisi alla liberalizzazione avviata anche in Alto Adige dopo il decreto Monti. "Per le nuove farmacie "obbligatorie" - precisa l´assessore alla sanità Richard Theiner - ovvero quelle da aprire una volta raggiunta la quota dei 3.300 abitanti all´interno della zona interessata, non vi sono margini di manovra al di fuori delle norme statali. Il discorso cambia, invece, quando si parla delle farmacie che si possono aprire, ovvero quando la zona è tra i 1.650 e i 3.300 abitanti: in questo caso la scelta è lasciata ai comuni d´intesa con la Provincia". In Alto Adige, secondo quanto annunciato dal presidente Durnwalder, ricadono all´interno di quest´ultima fattispecie 11 "possibili" nuove farmacie, mentre sono 17 quelle che dovranno essere aperte, di cui 5 a Bolzano e 2 a Bressanone.  
   
   
VENDOLA PRESENTA CAMPIONATI NAZIONALI TAEKWONDO: "UN´ECCELLENZA PUGLIESE"  
 
Bari, 25 novembre 2013 - “Oggi ospitiamo con particolare gioia un campione come Carlo Molfetta che, pur essendo nel circuito dello sport un punto di riferimento e una persona molto amata, è rimasto un ragazzo del sud che non si è montato la testa e che non si è mai dimenticato di essere un ragazzo di Mesagne. Un ragazzo che sa lavorare sulla concentrazione e sulla capacità di dominare la propria testa, il proprio corpo, il proprio respiro. Crediamo che questa tre giorni possa essere l’occasione di un’ulteriore diffusione per una disciplina come il Taekwondo che sta diventando una eccellenza pugliese”. Così il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola questa mattina in conferenza stampa con l’oro olimpico di Taekwondo Carlo Molfetta per la presentazione dei Campionati nazionali che si svolgeranno a Bari dal 22 al 24 novembre. “Credo che la politica – ha aggiunto Vendola – debba ispirarsi a questa arte marziale che in modo particolarmente sofisticato, colto ed,elegante riesce a dominare la violenza del corpo e a trasformarla in un arte, l’arte della concentrazione e della conoscenza dell’avversario, l’arte di capire le proprie possibilità. Credo che in questo caso, lo sport abbia molto a che fare con l’educazione e molto poco con la violenza”. Vendola ha poi sottolineato come in questi anni “la Puglia sportiva si sia cimentata con la più rilevante delle contraddizioni e cioè quella di essere la regione più povera e avara di infrastrutturazioni sportive ed essere contemporaneamente una delle regioni più vivaci dal punto di vista dell’organizzazione volontaria e delle espressioni di eccellenze nelle diverse tipologie di sport”. “Per noi – ha concluso Vendola - la politica dello sport è soprattutto la politica di infrastrutturazione, di costruzione di strutture sportive nel territorio. E’ l’idea di come si possa intendere lo sport per tutti e per tutte strumento di incivilimento e di costruzione di corrette relazioni tra le persone”. Nel corso della conferenza stampa, Carlo Molfetta ha donato al Presidente Vendola il dobok, la divisa utilizzata nella disciplina del Taekwondo.  
   
   
SPORT, FOOTGOLF È PASSIONE ANCHE IN LLIGURIA ARENZANO LANCIA LA SFIDA CON SKUHRAVY, DEHU, MARCO ROSSI E MURGITA  
 
Genova, 25 novembre 2013 - Arriva in Liguria il Footgolf , uno sport di precisione, nato in Olanda cinque anni fa e popolarissimo in Argentina dove i giocatori cercano di mandare un pallone da calcio in una buca nel minor numero di colpi possibili. Il nome è un misto tra "football" e "golf" È comunque un po´ più vicino al golf. Si gioca su 9 o 18 buche di 50 centimetri di diametro, vince chi completa il percorso con il minori numero di colpi effettuati. Domenica 1 dicembre, al Golf Tennis Club Pineta di Arenzano prenderà il via la prima edizione del Tournaments Legea Novelli 1934 Challenge 2013, manifestazione presentata in mattinata nella sede della Regione Liguria dall’organizzatore Marco Bracco con Gerolamo Valle, presidente del golf club di Arenzano, l’assessore allo Sport della Regione Liguria Matteo Rossi e l’ex bomber genoano, Thomas Skuhravy, che parteciperà alla gara insieme con un gruppo di calciatori e vecchie glorie del calcio, da Massimo Minetti (Verona), Roberto Murgita e Marco Rossi (Genoa), il francese Frédéric Déhu ( Barcellona, Marsiglia, Paris Saint Germain). Atteso anche l’allenatore del Genoa Gian Piero Gasperini. Frattanto, il Golf Tennis Club della Pineta di Arenzano sta stringendo i contatti con il Golf Club Colline del Gavi e il Golf Club di Rapallo per organizzare un evento interregionale di Footgolf e l’assessore regionale allo Spor Matteo Rossi, in futuro, punta a ospitare ad Arenzano le coppe europee e mondiali della specialità che fa capo a Fifg - Federazione Internazionale di Footgolf che conta 17 membri ufficiali, ma si sta rapidamente espandendo. La federazione è in contatto con altre 10 nuove nazioni interessate.  
   
   
IN LOMBARDIA PROMUOVIAMO LO SPORT  
 
Milano, 25 novembre 2013 - "Non ci siamo, occorre investire nella cultura sportiva, cambiare il modo di pensare, sia delle famiglie sia dei giovani, seguendo l´esempio delle politiche che sta attuando Regione Lombardia". Lo ha detto l´assessore regionale allo Sport e Politiche per i giovani Antonio Rossi, commentando i dati emersi, in questi giorni, nell´ambito degli Stati generali della Pediatria, promossi dalla Società italiana di pediatria (Sip), secondo cui meno di un quindicenne su due pratica sport. Battiamo La Sedentarietà - "Io ho iniziato a fare sport a 11 anni - ha detto l´assessore -. Non dico che tutti i ragazzi debbano seguire la mia strada e diventare campioni olimpici, ma, se andiamo avanti di questo passo, nel giro di vent´anni avremo una generazione di trentenni in sovrappeso e con gravi problemi di salute". "Nel nostro Paese - ha evidenziato l´assessore - c´è un tasso di sedentarietà che è il triplo rispetto a quello dell´Unione europea e si registra un abbandono dello sport già in età giovane, in particolare nella fascia tra gli 11 e 15 anni, con il risultato sconcertante che meno di un adolescente su due pratica sport in modo continuativo". La Speranza Nei Bambini - "La speranza viene dalle fasce più giovani - spiega l´assessore -. Secondo i dati, in dieci anni, si è registrato un fenomeno in controtendenza tra i bambini più piccoli, in particolare nella fascia che va dai 6 ai 10 anni, tra i quali la pratica sportiva è aumentata, passando dal 48,8 al 54,3 per cento. È solo dopo la scuola primaria che i nostri bambini cominciano ad allontanarsi dallo sport e a ingrossare le fila dei sedentari". Nell´ultimo anno la quota di praticanti sportivi nella fascia di età 11-14 anni è scesa dal 56 al 53 per cento. Inoltre è aumentato il numero di giovani che non praticano alcuna attività fisica, fenomeno che riguarda soprattutto le ragazze, in una percentuale che va dal 24 per cento (tra 15 e 17 anni) al 30 per cento (tra 18 e 19 anni). Puntare Sulla Scuola - "Certamente - ha rimarcato l´assessore - occorre puntare sulla scuola e far crescere la cultura sportiva nei nostri giovani. Servono più ore di educazione fisica nelle scuole e servono soprattutto impianti scolastici più attrattivi e sicuri, che invoglino i ragazzi a mettersi in gioco anche nello sport; inoltre, è necessario mettere in condizione le famiglie più disagiate di poter far fare sport ai loro figli, anche perché, senza queste garanzie, lo sport è una delle prime voci del bilancio familiare che troppo spesso viene sacrificato". L´assessore Rossi ha spiegato come "proprio in questa direzione vada il nostro recente bando da 1,5 milioni di euro, a cui potranno accedere Comuni e Province quali proprietari delle palestre scolastiche, per ampliare l´utilizzo delle palestre in orari extrascolastici". L´accordo Di Programma Quadro - "Uno dei principali obiettivi dell´Accordo di programma quadro per lo sviluppo e il rilancio dello sport in Lombardia, che la Regione ha voluto sottoscrivere con Ufficio scolastico regionale, Coni e Cip Lombardia, Upl e Anci Lombardia, - ha concluso l´assessore - è proprio quello di aumentare la pratica sportiva in tutte le fasce d´età con azioni concrete che stiamo portando avanti".