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LUNEDI

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Notiziario Marketpress di Lunedì 12 Settembre 2011
DIRITTO D’AUTORE: EMI PERDE LA CAUSA CONTRO MP3TUNES.COM  
 
Emi ha perso la causa che aveva intentato contro Mp3tunes.com, il sito che offre uno spazio per lo storage on line di musica. Il giudice statunitense, infatti, ha respinto la richiesta di far chiudere tale sito. Emi ha sostenuto che fosse impossibile essere certi che nessun utente del sito violasse il copyright. Il giudice, invece, respingendo la tesi dell´Emi, ha affermato che tale impostazione implicherebbe una responsabilità dei motori di ricerca, che non possono garantire che ciascuno dei risultati che propongono agli utenti non indirizzi a qualche url contenente materiale pubblicato illecitamente. La decisione, di fatto, sancisce la legalità dei servizi di storage online  
   
   
UN NUMERO SORPRENDENTE DI PICCOLE IMPRESE NON PROTEGGE I DATI SUI SERVER VIRTUALIZZATI  
 
Symantec Corp. Ha annunciato i risultati dell´indagine 2011 Small Business Virtualization Poll, che ha esaminato l´adozione della virtualizzazione tra le piccole imprese e il suo impatto sulla loro organizzazione. In base ai dati emersi dalla survey, le piccole imprese hanno un forte interesse per la virtualizzazione, ma stanno ancora imparando come possono implementarla all´interno della loro organizzazione. Quando implementano la virtualizzazione del server, le piccole aziende mettono a rischio i loro dati. L´indagine mostra che la maggior parte delle piccole aziende non sta adottando nemmeno le misure base per metter al sicuro e proteggere gli ambienti virtuali. Il 70% degli intervistati ha dichiarato che le loro aziende stanno valutando l´implementazione della virtualizzazione. Nonostante l´interesse, le piccole aziende trovano alcune difficoltà nel passaggio dalla teoria alla pratica. Solo il 10% degli intervistati ha implementato server virtualizzati, focalizzando i primi passi su aree con applicazioni semplici e meno sensibili. Quando le piccole imprese passano ad ambienti virtualizzati, non proteggono e non mettono al sicuro i loro dati. Solo il 15% ha dichiarato di eseguire sempre il back up dei server virtualizzati e il 23% ha dichiarato di eseguirlo raramente o di non eseguirlo mai. Un sorprendente 78% degli intervistati non ha un antivirus sul server virtuale, il 48% non ha un firewall, e il 74% rinuncia alla protezione degli endpoint  
   
   
ANTONELLO BUSETTO NUOVO DIRETTORE DI ASSINFORM  
 
Assinform, l’associazione nazionale - aderente al sistema Confindustria - delle principali Aziende di Information Technology operanti sul mercato italiano, ha un nuovo Direttore. E’ Antonello Busetto, che rileva il testimone da Federico Barilli, Direttore della neocostituita Confindustria Digitale, fondata nel giugno scorso da Assotelecomunicazioni-asstel, l’associazione della filiera delle imprese di Telecomunicazioni, Assinform in rappresentanza dell’Information Technology, Anitec che riunisce i produttori di tecnologie e servizi di Ict e Consumer Electronics, Aiip associazione degli Internet Provider. Confindustria Dig ho l’obiettivo di promuovere lo sviluppo dell’economia digitale, a beneficio della concorrenza e dell’innovazione del Paese, compito della nuova Federazione sarà contribuire alla creazione delle condizioni migliori per favorire gli investimenti e realizzare anche in Italia gli obiettivi dell’Agenda Digitale. Ingegnere, romano, classe 1951, Antonello Busetto porta in Assinform una grande esperienza nell’ambito delle relazioni istituzionali. Ha fatto parte della Segreteria tecnica del Ministro dell’Industria (oggi Ministero dello Sviluppo Economico) in più legislature (1996-2001). Dal 2002 ad oggi è stato Direttore dei Rapporti Istituzionali, Responsabile dell’ufficio Affari Legislativi e dell’ufficio di Bruxelles della Federazione Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici. In precedenza aveva svolto incarichi di crescente rilievo in ambito ministeriale e in veste di esperto e studioso di temi energetici. Con il nuovo arrivo l’Associazione si rafforza per affrontare le sfide che l’evoluzione tecnologica e del mercato ci pongono davanti, guardando con rinnovato impegno al presente e proiettando il sistema delle imprese aderenti verso l’immediato futuro dell’economia digitale  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: LA CORTE PRECISA LA PORTATA DELLA TUTELA DEI DIRITTI DEI LAVORATORI IN CASO DI RIASSUNZIONE DA PARTE DI UN NUOVO DATORE DI LAVORO  
 
Il diritto dell´Unione può ostare a che i lavoratori trasferiti, ivi compresi quelli che si trovano alle dipendenze di una pubblica autorità di uno Stato membro e che sono riassunti da un´altra pubblica autorità, subiscano, per il solo fatto del trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale Secondo la normativa dell´Unione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di impresa, i diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono trasferiti al cessionario. Peraltro, il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest´ultimo per il cedente, fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell´entrata in vigore o dell´applicazione di un altro contratto collettivo. La sig.Ra Scattolon, dipendente del comune di Scorzè in qualità di bidella in scuole statali, tra il 1980 e il 1999 svolgeva tale attività lavorativa come membro del personale amministrativo, tecnico e ausiliario (personale Ata) degli enti locali. A decorrere dal 2000, veniva trasferita nei ruoli del personale Ata dello Stato e inquadrata in una fascia retributiva corrispondente, nei suddetti ruoli, a nove anni di anzianità. Non avendo ottenuto dal Ministero dell´Istruzione, dell´Università e della Ricerca il riconoscimento della sua anzianità di circa vent´anni, maturata alle dipendenze del comune di Scorzè, e ritenendo di aver sofferto, in tal modo, una notevole riduzione della sua retribuzione, la sig.Ra Scattolon ha adito il Tribunale di Venezia per ottenere il riconoscimento integrale di detta anzianità. Il giudice italiano chiede alla Corte di giustizia se la normativa dell´Unione in materia di mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese si applichi alla riassunzione, da parte di un´autorità pubblica di uno Stato membro, del personale alle dipendenze di un´altra autorità pubblica. In caso di soluzione affermativa a tale questione, detto giudice desidera sapere parimenti se, ai fini del calcolo della retribuzione dei lavoratori trasferiti, il cessionario debba tener conto dell´anzianità lavorativa da essi maturata presso il cedente. La Corte constata anzitutto che la riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un´altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell´ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro. Per quanto poi concerne il calcolo della retribuzione di lavoratori sottoposti a trasferimento, la Corte giudica che, benché il cessionario abbia il diritto di applicare, sin dalla data del trasferimento, le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle concernenti la retribuzione, le modalità scelte per una siffatta integrazione retributiva dei lavoratori trasferiti devono essere conformi allo scopo della normativa dell´Unione in materia di tutela dei diritti dei lavoratori trasferiti. Questo consiste, essenzialmente, nell´impedire che detti lavoratori vengano collocati, per il solo fatto del trasferimento, in una posizione meno favorevole rispetto a quella di cui essi godevano precedentemente. La Corte sottolinea che, nel caso di specie, il Ministero, piuttosto che riconoscere l´anzianità in quanto tale e integralmente, ha calcolato per ciascun lavoratore trasferito un´anzianità «fittizia». Detta circostanza ha svolto un ruolo determinante nella fissazione delle condizioni retributive applicabili per il futuro al personale trasferito. Dato che i compiti svolti, prima del trasferimento, nelle scuole pubbliche dal personale Ata degli enti locali erano analoghi, se non identici, a quelli svolti dal personale Ata alle dipendenze del Ministero, sarebbe stato possibile qualificare l´anzianità maturata presso il cedente da un membro del personale trasferito come equivalente a quella maturata da un membro del personale Ata in possesso del medesimo profilo e alle dipendenze, prima del trasferimento, del Ministero. Di conseguenza, la Corte conclude che quando un trasferimento porta all´applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all´anzianità lavorativa, il diritto dell´Ue osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell´anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all´atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest´ultimo. È compito del giudice nazionale esaminare se, all´atto del trasferimento in questione, si sia verificato un siffatto peggioramento retributivo. Visto che il trasferimento aveva portato, in altre cause promosse da diversi colleghi della sig.Ra Scattolon, ad alcune sentenze della Corte suprema di cassazione e, successivamente, a una legge che stabilisce, per l´insieme dei lavoratori soggetti a detto trasferimento, le modalità di quest´ultimo in un senso differente da quello enunciato in dette sentenze, il Tribunale di Venezia ha formulato anche una questione in merito alla compatibilità di una legge siffatta con alcuni principi generali del diritto, come quelli dell´effettiva tutela giurisdizionale e della certezza del diritto. Tale questione, affrontata nel frattempo dalla Corte europea dei diritti dell´uomo (sentenza 7 giugno 2011, Agrati e a. C. Italia), non è stata risolta dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. Quest´ultima ha giudicato che, alla luce delle risposte date alle altre questioni pregiudiziali, non occorreva più esaminare la causa sotto il profilo dei principi generali del diritto. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 6 settembre 2011, sentenza nella causa C-108/10, Ivana Scattolon / Ministero dell´Istruzione, dell´Università e della Ricerca)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: IL MIELE E GLI INTEGRATORI ALIMENTARI CONTENENTI POLLINE DERIVATO DA UN OGM COSTITUISCONO ALIMENTI PRODOTTI A PARTIRE DA OGM CHE NON POSSONO ESSERE IMMESSI IN COMMERCIO SENZA PREVIA AUTORIZZAZIONE  
 
Tale polline non costituisce più in sé un Ogm qualora abbia perso la sua capacità riproduttiva e risulti privo di qualsivoglia capacità di trasferire materiale genetico La direttiva sugli organismi geneticamente modificati (Ogm) dispone che questi ultimi possono essere deliberatamente emessi nell’ambiente o immessi in commercio solo previa autorizzazione. Peraltro, il regolamento relativo agli alimenti geneticamente modificati dispone che l’immissione in commercio degli Ogm destinati all’alimentazione umana, degli alimenti che contengono o sono costituiti da Ogm, nonché degli alimenti che siano prodotti a partire da Ogm o che contengano ingredienti prodotti a partire da Ogm è soggetta ad una previa autorizzazione. Nel 1998 l’impresa Monsanto ha ottenuto un’autorizzazione all’immissione in commercio del mais geneticamente modificato della linea Mon 810. Quest’ultimo contiene il gene di un batterio che produce tossine atte a distruggere le larve di una farfalla parassita la cui presenza, in caso di infestazione, pregiudica lo sviluppo della pianta. Tra il sig. Bablok, apicoltore amatoriale, e il Freistaat Bayern (Land della Baviera, Germania), proprietario di diversi terreni sui quali, negli ultimi anni, il mais Mon 810 è stato coltivato a fini di ricerca è in atto una controversia. In prossimità di tali terreni il sig. Bablok produce miele per la vendita e per il proprio consumo. Fino al 2005 produceva anche polline destinato alla vendita come prodotto alimentare, sotto forma di integratori. Nel 2005, nel polline di mais estratto dal sig. Bablok dagli alveari posti a una distanza di 500 m dai terreni del Freistaat Bayern è stata riscontrata la presenza di Dna di mais Mon 810 e di proteine transgeniche. Inoltre, è stata rilevata in alcuni campioni di miele del sig. Bablok la presenza di esigui quantitativi di Dna di mais Mon 810. Ritenendo che la presenza di residui del mais geneticamente modificato rendesse i suoi prodotti apistici inadatti alla commercializzazione e al consumo, il sig. Bablok ha avviato contro il Freistaat Bayern, dinanzi ai giudici tedeschi, vari procedimenti giudiziari, nei quali sono intervenuti altri quattro apicoltori amatoriali. Il Bayerischer Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa della Baviera, Germania) ha rilevato che, nel momento in cui il polline controverso è incorporato nel miele o in integratori alimentari a base di polline, esso ha perso la sua capacità di fecondazione. Desiderando precisazioni sulle conseguenze di tale perdita, detto giudice ha chiesto sostanzialmente alla Corte di giustizia se la mera presenza, nei prodotti apistici di cui trattasi, di polline di mais geneticamente modificato che abbia perso la sua capacità riproduttiva abbia come conseguenza che l’immissione in commercio dei citati prodotti sia soggetta ad autorizzazione. Nella sentenza pronunciata in data odierna la Corte rileva anzitutto che il polline in parola può essere qualificato come Ogm solo qualora costituisca un «organismo» ai sensi della direttiva e del regolamento, vale a dire se costituisce un’«entità biologica capace» o «di riprodursi» o «di trasferire materiale genetico». A tale proposito, essa constata che, poiché è pacifico che il polline di cui trattasi ha perso ogni capacità riproduttiva concreta e individuale, spetta al giudice del rinvio verificare se tale polline sia in grado, peraltro, di «trasferire materiale genetico», prendendo debitamente in considerazione i dati scientifici disponibili e ogni forma di trasferimento di materiale genetico scientificamente dimostrata. La Corte conclude che non rientra più nella nozione di Ogm una sostanza quale il polline derivante da una varietà di mais geneticamente modificato, la quale abbia perso la sua capacità riproduttiva e che sia priva di ogni capacità di trasferire il materiale genetico da essa contenuto. La Corte dichiara inoltre che, nondimeno, prodotti come il miele e gli integratori alimentari contenenti siffatto polline costituiscono alimenti che contengono ingredienti prodotti a partire da Ogm ai sensi del regolamento. A tale proposito essa constata che il polline controverso è «prodotto a partire da Ogm» e costituisce un «ingrediente» del miele e degli integratori alimentari a base di polline. Il polline non è un corpo estraneo né un´impurità rispetto al miele, bensì un suo normale componente, di modo che dev’essere effettivamente qualificato come «ingrediente». Di conseguenza, il polline rientra nell’ambito di applicazione del regolamento e dev’essere assoggettato al regime di autorizzazione da questo previsto per poter essere immesso in commercio. La Corte osserva poi che il carattere intenzionale o accidentale dell’immissione di tale polline nel miele non può sortire l’effetto di sottrarre l´alimento contenente ingredienti prodotti a partire da Ogm all´applicazione di tale regime di autorizzazione. Infine, dichiara la Corte, l’obbligo di autorizzazione sussiste a prescindere dalla proporzione di materiale geneticamente modificato contenuta nel prodotto di cui trattasi. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 6 settembre 2011Sentenza nella causa C-442/09, Karl Heinz Bablok e a. / Freistaat Bayern)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: LA CORTE PRECISA LA PORTATA DELL’IMMUNITÀ CONCESSA DAL DIRITTO DELL’UNIONE AI DEPUTATI EUROPEI PER LE OPINIONI E I VOTI ESPRESSI NELL’ESERCIZIO DELLE LORO FUNZIONI  
 
L’immunità può essere riconosciuta soltanto se esiste un nesso diretto ed evidente tra l’opinione espressa dal deputato europeo e l’esercizio delle sue funzioni parlamentari I membri del Parlamento europeo beneficiano di tutela ai sensi del Protocollo sui privilegi e sulle immunità dell´Unione europea. In particolare, in virtù dell´immunità ad essi riconosciuta, essi non possono essere ricercati, detenuti o perseguiti a motivo delle opinioni o dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni. Qualora un deputato europeo sia sottoposto ad azioni giudiziarie a motivo delle opinioni o dei voti da lui espressi, la valutazione in merito all´applicazione di tale immunità rientra nella competenza esclusiva del giudice nazionale investito del procedimento. Nell´ambito di un procedimento penale instaurato dinanzi al Tribunale di Isernia (Italia), il sig. Patriciello, deputato europeo, è imputato del reato di calunnia nei confronti di un pubblico ufficiale nell´esercizio delle sue funzioni. Infatti, nel corso di un alterco in un parcheggio pubblico, il sig. Patriciello avrebbe accusato un agente della polizia municipale di Pozzilli (Italia) di comportamento illecito (falso materiale in atto pubblico), affermando che quest´ultimo aveva falsificato gli orari riportati sui verbali di contravvenzione, elevati nei confronti di vari automobilisti i cui veicoli stazionavano in violazione del codice della strada. Nel 2009, facendo seguito alla richiesta del sig. Patriciello, il Parlamento europeo ha deciso di difendere l´immunità di tale deputato, ritenendo che egli avesse agito nell´interesse generale del suo elettorato. Il tribunale italiano chiede alla Corte di giustizia di precisare i criteri pertinenti per stabilire se una dichiarazione effettuata da un deputato europeo al di fuori delle aule del Parlamento europeo, la quale abbia dato luogo ad azioni penali nello Stato membro di origine di detto deputato per il reato di calunnia, costituisca un’opinione espressa nell´esercizio delle sue funzioni parlamentari, ammessa perciò a beneficiare di un’immunità. La Corte ricorda anzitutto che la portata dell´immunità per le opinioni e i voti espressi dai deputati europei nell´esercizio delle loro funzioni parlamentari deve essere determinata unicamente sulla scorta del diritto dell´Unione. In tal modo, ai sensi di tale diritto, l´immunità concessa ai deputati europei mira a tutelare la loro libertà di espressione e la loro indipendenza. Pertanto, essa osta a qualsiasi procedimento giudiziario che venisse instaurato a motivo di opinioni e voti siffatti. Ne consegue che, una volta soddisfatti i presupposti di merito per il riconoscimento dell’immunità, quest’ultima non può essere revocata dal Parlamento europeo ed il giudice nazionale competente per la sua applicazione è tenuto a non dar seguito all’azione promossa contro il deputato europeo. La Corte precisa poi che, sebbene l´immunità parlamentare riguardi essenzialmente le dichiarazioni effettuate nelle aule del Parlamento europeo, non è escluso che anche una dichiarazione effettuata al di fuori di tali luoghi possa costituire un´opinione espressa nell´esercizio delle funzioni parlamentari. Di conseguenza, l´esistenza di un´opinione siffatta deve essere valutata sulla base della natura e del contenuto della dichiarazione e non in base al luogo in cui quest’ultima è stata effettuata. La Corte ritiene così che l´immunità parlamentare sia strettamente connessa alla libertà di espressione, che è il fondamento essenziale di una società democratica e pluralista e rispecchia i valori sui quali l’Unione si fonda. Tale libertà costituisce inoltre un diritto fondamentale garantito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la quale ha lo stesso valore giuridico dei Trattati istitutivi dell’Unione. Essa è inoltre garantita dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Partendo da tali constatazioni, la Corte ritiene che la nozione di «opinione» tutelabile con l’immunità debba essere intesa in senso ampio, includente cioè i discorsi che, per il loro contenuto, corrispondono ad asserzioni costituenti valutazioni soggettive. Inoltre, per essere coperta dall’immunità, un´opinione deve presentare un nesso con le funzioni parlamentari. Tuttavia, la Corte constata che il riconoscimento dell´immunità può precludere definitivamente l´esercizio di azioni penali per i reati commessi e privare così i soggetti lesi da tali reati della possibilità di accedere alla giustizia, o addirittura impedire loro di ottenere il risarcimento del danno subito. Tenuto conto di tali conseguenze, la Corte ritiene che l´immunità possa essere concessa soltanto qualora il nesso tra l´opinione espressa e le funzioni parlamentari sia diretto ed evidente. Di conseguenza, spetta al giudice italiano valutare se la dichiarazione del deputato europeo presenti con evidenza tale nesso e possa dunque essere considerata quale espressione di un´opinione nell´esercizio delle sue funzioni parlamentari e legittimare il riconoscimento dell´immunità. A questo proposito, la Corte osserva però che, stando alla descrizione dei fatti e del contenuto delle allegazioni del sig. Patriciello, le dichiarazioni di quest´ultimo appaiono relativamente lontane dalle sue funzioni di membro del Parlamento europeo. Infatti, nel caso di specie, le frasi del sig. Patriciello difficilmente possono presentare un nesso diretto con un interesse generale coinvolgente i cittadini. La Corte ricorda peraltro che la decisione di difesa dell’immunità adottata dal Parlamento europeo costituisce unicamente un parere sprovvisto di qualsiasi effetto vincolante nei confronti dei giudici nazionali. Infine, nel caso in cui, alla luce dell´interpretazione fornita dalla presente sentenza, il giudice italiano decidesse di discostarsi dal parere del Parlamento europeo, il diritto dell´Unione non imporrebbe a detto giudice alcun obbligo particolare per quanto riguarda la motivazione della sua decisione. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 6 settembre 2011Sentenza nella causa C-163/10, Aldo Patriciello)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: ESENZIONI FISCALI, COOPERATIVE E AIUTI DI STATO  
 
La Corte di Cassazione ha chiesto alla Cgue di accertare se, e in che misura, le agevolazioni fiscali alle società cooperative di produzione e lavoro, in forza dell’art. 11 del Dpr n. 601/1973, possano essere qualificate come aiuti di Stato (art. 87, n. 1 Trattato). A) La Corte di giustizia constata innanzitutto che l’agevolazione è riconducibile ad un finanziamento statale. B) Natura selettiva dell’aiuto Ai fini del calcolo dell’imposta sul reddito delle società, la base imponibile delle cooperative di produzione e lavoro viene determinata allo stesso modo di quella degli altri tipi di società, vale a dire in funzione degli utili netti risultanti dall’esercizio dell’attività dell’impresa al termine dell’anno d’imposta. L’imposta sulle società costituisce quindi il regime giuridico di riferimento cui rapportare la valutazione dell’eventuale carattere selettivo della misura in discussione. D’altro canto, in deroga alla previsione generale applicabile alle persone giuridiche, i redditi imponibili conseguiti dalle società cooperative di produzione e lavoro sono esenti dall’imposta sulle società e beneficiano quindi di un’agevolazione fiscale cui non possono invece accedere le società a scopo di lucro. Pertanto, l’agevolazione fiscale in causa non si applica a tutti gli operatori economici, ma è concessa in considerazione della natura giuridica dell’impresa, società cooperativa o meno. Si tratta quindi di accertare se tali esenzioni fiscali come siano tali da favorire talune imprese o talune produzioni rispetto ad altre imprese che si trovano in una situazione di fatto e di diritto analoga sotto il profilo dello scopo perseguito dal regime dell’imposta sulle società, ossia l’imposizione dei redditi delle società. Dopo avere analizzato tutte le caratteristiche delle società cooperative, la Corte constata che non si può, in via di principio, considerare che società cooperative di produzione e lavoro si trovino in una situazione di fatto e di diritto analoga a quella delle società commerciali, purché, tuttavia, esse operino nell’interesse economico dei loro soci e intrattengano con questi ultimi una relazione non puramente commerciale, bensì personale particolare, in cui essi siano attivamente partecipi e abbiano diritto ad un’equa ripartizione dei risultati economici. Infatti, cooperative di produzione e lavoro che presentassero caratteristiche diverse da quelle inerenti a siffatto tipo di società non perseguirebbero realmente una finalità mutualistica e dovrebbero pertanto essere distinte dal modello descritto nella comunicazione della Commissione sulla promozione delle società cooperative in Europa. (punti 61 – 62 della sentenza) Spetta quindi alla Cassazione verificare se le cooperative di produzione e lavoro in discussione nelle cause principali si trovino effettivamente in una situazione analoga a quella delle società a scopo di lucro soggette all’imposta sulle società. Se la Cassazione concludesse che, nelle cause di cui è investito, le società si trovano effettivamente in una condizione analoga a quella delle cooperative, occorrerebbe ancora stabilire, se le esenzioni fiscali siano giustificate dalla natura o dalla struttura generale del sistema. Una misura in deroga rispetto all’applicazione del sistema tributario generale può essere giustificata qualora tale misura discenda direttamente dai principi informatori o basilari di tale sistema tributario. Secondo la comunicazione della Commissione sulla tassazione diretta delle imprese, la natura o la struttura generale del sistema tributario nazionale può essere legittimamente addotta per giustificare la circostanza che le cooperative che distribuiscono tutti gli utili ai propri soci non siano tassate a livello della cooperativa, purché l’imposta venga riscossa in capo ai soci, verifica che spetta ance alla giurisdizione nazionale. Inoltre, una misura nazionale non può trovare legittima giustificazione nella natura o nella struttura generale del sistema tributario nazionale in discussione laddove consente l’esenzione dall’imposta sugli utili derivanti da scambi con soggetti non membri della cooperativa o la deduzione di somme versate a questi ultimi a titolo di retribuzione. (72) Per la Corte, quindi è necessario che lo Stato membro realizzi e faccia applicare procedure di controllo e di vigilanza opportune al fine di garantire la coerenza delle specifiche misure fiscali introdotte a favore delle società cooperative con la logica e la struttura generale del sistema tributario per evitare che enti economici scelgano questa specifica forma giuridica esclusivamente al fine di godere delle agevolazioni in materia d’imposte previste per siffatto tipo di società. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale condizione sia soddisfatta nella causa principale. (74) C) Influenza scambi fra gli stati membri La Corte ricorda che per rientrare nella nozione di aiuti definita dal Trattato, non è necessario che la misura incida effettivamente sugli scambi e produca un’ effettiva distorsione della concorrenza ma è invece sufficiente che la misura rafforzi la posizione di un’impresa. Non è neppure necessario che l’impresa beneficiaria dell’aiuto partecipi direttamente agli scambi intracomunitari. In concreto, la Corte indica che un’agevolazione fiscale quale quella in discussione nelle cause principali è idonea ad incidere sugli scambi tra gli Stati membri e a falsare la concorrenza, ai sensi dell’art. 87, n. 1 Ce. (81) La Corte decide quindi che : Esenzioni fiscali come quelle in discussione nelle cause principali, concesse alle società cooperative di produzione e lavoro in forza di una normativa nazionale del genere di quella contenuta nell’art. 11 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, recante disciplina delle agevolazioni tributarie, nella versione in vigore dal 1984 al 1993, costituiscono un «aiuto di Stato» ai sensi dell’art. 87, n. 1, Ce solamente nel caso in cui tutte le condizioni di applicazione di tale disposizione siano soddisfatte. In una situazione come quella all’origine delle controversie di cui è investito il giudice del rinvio, spetterà a quest’ultimo valutare nello specifico il carattere selettivo delle esenzioni fiscali di cui trattasi, nonché la loro eventuale giustificazione alla luce della natura o della struttura generale del sistema tributario nazionale nel quale si inseriscono, stabilendo, segnatamente, se le società cooperative di cui alle cause principali si trovino di fatto in una situazione analoga a quella di altri operatori costituiti in forma di società a scopo di lucro e, qualora ciò si verificasse, se il trattamento fiscale più favorevole riservato alle menzionate società cooperative sia, da un lato, inerente ai principi fondamentali del sistema impositivo vigente nello Stato membro interessato e, dall’altro, conforme ai principi di coerenza e di proporzionalità. (Sentenza della Corte di Giustizia 8 settembre 2011, procedimenti riuniti da C-78/08 a C-80/08, Ministero dell’Economia e delle Finanze,agenzia delle Entrate contro Paint Graphos Soc. Coop. Arl e a.)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: CONFERMATE L’AMMENDA DI 30 MILIONI DI EURO ALLA DELTAFINA E DI 24 MILIONI ALLA ALLIANCE ONE INTERNATIONAL NELL’AMBITO DI UN’INTESA SUL MERCATO ITALIANO DEL TABACCO GREGGIO  
 
Il caso della Deltafina è il primo in cui la Commissione non ha concesso l’immunità definitiva dalle ammende alla prima impresa che ha rivelato l’esistenza di un’intesa La Deltafina è una società italiana attiva nella trasformazione del tabacco greggio e nella vendita del tabacco trasformato, controllata al 100% dalla società americana Universal Corp. Nel 2005 la Commissione ha inflitto a diverse imprese ammende per un totale di Eur 56 milioni per la loro partecipazione, tra il 1995 e il 2002, a un’intesa orizzontale attuata sul mercato italiano del tabacco greggio, che aveva per oggetto, in particolare, la collusione sui prezzi da pagare ai produttori di tabacco e agli intermediari, nonché la ripartizione dei fornitori . La decisione della Commissione concerne inoltre altre due infrazioni commesse dall’Associazione professionale trasformatori tabacchi italiani (Apti) e dall’Unione italiana tabacco (Unitab) nella fissazione dei prezzi da negoziare per conto dei rispettivi membri. La Deltafina era stata la prima impresa ad aver rivelato alla Commissione l´esistenza dell´intesa nell’ambito del programma di clemenza previsto dalla comunicazione della Commissione sulla cooperazione del 2002 . La Commissione le aveva pertanto concesso, all’inizio del procedimento amministrativo, l´immunità condizionata. Nella decisione di cui trattasi, la Commissione ha tuttavia ritenuto che la Deltafina avesse violato l´obbligo di collaborazione ad essa incombente in qualità di richiedente l´immunità, per aver rivelato ai suoi concorrenti, nel corso di una riunione dell’Apti, volontariamente e senza informarla, di aver presentato una richiesta di immunità alla Commissione, prima che quest’ultima avesse avuto modo di svolgere gli accertamenti relativi all’intesa in oggetto. In tale contesto, al termine del procedimento amministrativo la Commissione ha concluso che alla Deltafina non poteva essere concessa l´immunità dalle ammende e che doveva quindi esserle inflitta un’ammenda per la sua partecipazione all´intesa in oggetto. La Commissione ha tuttavia valutato la collaborazione fornita dalla Deltafina all´indagine a titolo di circostanza attenuante e le ha concesso una riduzione dell´ammenda del 50%. La Commissione ha quindi condannato la Deltafina, in solido con la sua società controllante Universal Corp, al pagamento di un’ammenda di Eur 30 milioni. Si tratta della prima decisione in cui la Commissione, dopo aver concesso nella fase iniziale del procedimento amministrativo l´immunità condizionata, non concede, poi, al termine del procedimento amministrativo, l´immunità definitiva dalle ammende a un’impresa che per prima ha rivelato l´esistenza dell´intesa nell’ambito del programma di clemenza. Nel suo ricorso presentato dinanzi al Tribunale, la Deltafina ha contestato la legittimità della decisione della Commissione. Il Tribunale ricorda anzitutto che il programma di clemenza creato dalla Commissione è diretto ad accordare un trattamento favorevole alle imprese che collaborano con essa alle indagini riguardanti intese segrete aventi ripercussioni negative sull’Unione. Tale programma si fonda sulla considerazione che il vantaggio che i consumatori e i cittadini traggono dalla certezza che le intese segrete siano scoperte e vietate prevale sull’interesse di infliggere sanzioni pecuniarie alle imprese che collaborano con la Commissione consentendole di perseguire e vietare intese di questo tipo. Il Tribunale osserva inoltre che, nell’ambito del programma di clemenza, quale previsto dalla citata comunicazione sulla cooperazione, la prima impresa che rivela l’esistenza di un’intesa e che collabora all’indagine della Commissione può, a talune condizioni, beneficiare dell’immunità totale dalle ammende che le sarebbero state altrimenti inflitte per la sua partecipazione a tale intesa. Tuttavia, per poter beneficiare di tale immunità, che costituisce un’eccezione al principio della responsabilità personale per la violazione delle norme dell’Unione in materia di concorrenza, detta impresa deve, in particolare, apportare alla Commissione, per tutta la durata del procedimento amministrativo, una collaborazione che, come espressamente previsto dalla citata comunicazione, deve essere «piena (...), permanente e tempestiva». A tal proposito il Tribunale ricorda che, secondo la giurisprudenza, dalla stessa nozione di collaborazione, quale evidenziata nel testo di tale comunicazione, risulta che solo quando il comportamento dell’impresa interessata testimonia un autentico spirito di collaborazione può essere accordata una riduzione delle ammende e, a fortiori, l´immunità totale dalle ammende, nell’ambito del programma di clemenza. Il Tribunale osserva quindi che un’impresa che intenda beneficiare dell’immunità totale dalle ammende sulla base della sua collaborazione all’indagine non si può esimere dall’informare la Commissione riguardo a fatti rilevanti di cui ha conoscenza e che sono idonei a pregiudicare, fosse anche solo potenzialmente, lo svolgimento del procedimento amministrativo e l’efficacia dell’attività istruttoria della Commissione. Nel caso di specie, il Tribunale constata che il comportamento della Deltafina, la quale ha rivelato di aver presentato una richiesta di immunità dalle ammende senza informarne la Commissione, non dimostrava uno spirito di collaborazione effettiva. Pertanto, il Tribunale dichiara che la Commissione, nella sua decisione, non è incorsa in errore non concedendo alla Deltafina l´immunità definitiva a motivo del fatto che quest’ultima aveva violato il suo obbligo di collaborazione. Il Tribunale osserva peraltro che, prima dell’adozione della decisione definitiva, la Commissione non poteva fornire alcuna rassicurazione alla Deltafina quanto al fatto che essa avrebbe beneficiato dell’immunità definitiva. Di conseguenza, benché l’immunità condizionata le fosse stata inizialmente concessa, la Deltafina, non avendo successivamente adempiuto l’obbligo di collaborazione ad essa incombente, poteva non essere più ammessa a beneficiare dell´immunità definitiva dalle ammende ai sensi della comunicazione. Il Tribunale considera che, alla luce di tali circostanze, la Deltafina non poteva trarre dal fatto di aver precedentemente ottenuto l´immunità condizionata un legittimo affidamento nella concessione dell’immunità definitiva. Infine, il Tribunale esamina in particolare la proporzionalità dell’ammenda. A tal proposito esso dichiara che la Commissione poteva legittimamente qualificare l’intesa orizzontale di cui trattasi come molto grave e che l´ammenda che essa ha irrogato alla Deltafina non era sproporzionata rispetto alla gravità dell´infrazione e alle altre circostanze del caso di specie. Peraltro, nell’ambito della medesima intesa, il Tribunale, nella sua sentenza di pari data relativa alla causa T‑25/06, Alliance One International, Inc./commissione, ha confermato altresì la decisione della Commissione che infligge un’ammenda globale di Eur 24 milioni (Eur 10 milioni in solido con la Mindo e Eur 14 milioni in solido con la Transcatab) alla Alliance One International. Il Tribunale si è essenzialmente fondato sulla giurisprudenza consolidata della Corte riguardante la responsabilità delle società capogruppo che detengono la totalità del capitale della controllata che ha partecipato all’intesa . La Alliance One è una società con sede negli Stati Uniti, nata dalla fusione tra la Dimon Inc. E la Standard Commercial Corp. (Scc), ex società capogruppo, rispettivamente, della Dimon Italia (in seguito ridenominata Mindo) e della Transcatab. (Tribunale dell’Unione europea, Lussemburgo, 9 settembre 2011Sentenze nelle cause T-12/06 e T-25/06, Deltafina Spa / Commissione, Alliance One International /Commissione)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: RICONOSCIMENTO DEI PERIODI DI LAVORO COME DIPENDENTI PUBBLICI TEMPORANEI  
 
Qualora per la promozione interna dei dipendenti pubblici di ruolo sia richiesta una certa anzianità, gli Stati membri possono essere tenuti a riconoscere i periodi lavorati in qualità di dipendente pubblico temporaneo Ai fini del riconoscimento di tali periodi, le funzioni svolte in qualità di dipendente temporaneo devono essere paragonabili a quelle svolte da un dipendente di ruolo La direttiva 1999/70 è volta a dare attuazione all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso tra le organizzazioni intercategoriali di carattere generale (Ces, Unice, Ceep). Detto accordo quadro ha lo scopo di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato. Esso contempla così un principio di non discriminazione che vieta di trattare i lavoratori a tempo determinato in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato, a meno che il trattamento differenziato non sia giustificato da ragioni oggettive. Tra il 1989 e il 2005, il sig. Rosado Santana ha lavorato in qualità di dipendente pubblico temporaneo presso la Junta de Andalucía (Comunità autonoma d’Andalusia, Spagna). Egli è divenuto dipendente pubblico di ruolo di detta amministrazione regionale nel 2005. Nel 2007, detta amministrazione regionale ha pubblicato un bando di concorso che annunciava l’organizzazione di prove ai fini della promozione interna dei suoi dipendenti di ruolo. Il bando precisava i requisiti che i candidati alle prove dovevano possedere. In particolare, i candidati dovevano detenere o essere in grado di ottenere il titolo di «Bachiller Superior» ovvero, in mancanza di tale titolo, comprovare un´anzianità di servizio di dieci anni in qualità di funzionario di ruolo di un certo grado. Al riguardo, il bando di concorso precisava che non sarebbero stati presi in considerazione né i servizi anteriori prestati in qualità di personale a tempo determinato o contrattuale presso qualsiasi amministrazione pubblica, né altri servizi anteriori dello stesso genere. Il sig. Rosado Santana, sebbene non possedesse né il titolo richiesto per partecipare al concorso né un’anzianità di servizio di dieci anni in qualità di funzionario di ruolo, è stato tuttavia ammesso a partecipare alle prove e ha superato il concorso. È stato quindi iscritto sull’elenco definitivo dei vincitori pubblicato nel novembre 2008. Nondimeno, il 25 marzo 2009, l’amministrazione regionale ha annullato la sua promozione in quanto l’interessato non possedeva né il titolo richiesto né l’anzianità di dieci anni in qualità di dipendente di ruolo. Il sig. Rosado Santana ha proposto ricorso contro tale decisione, ritenendo che essa violi il principio di non discriminazione enunciato nell’accordo quadro. Dal suo punto di vista, infatti, i periodi di servizio che egli ha prestato in quanto dipendente temporaneo (dal 1989 al 2005) dovrebbero essere presi in considerazione al fine di calcolare l’anzianità di dieci anni richiesta per la partecipazione alle prove di promozione. Il sig. Rosado Santana non ha, secondo il giudice spagnolo, proposto ricorso nel termine di due mesi a partire dalla pubblicazione del bando di concorso assegnato dalla normativa spagnola ai fini della contestazione della legittimità del concorso. In tale contesto, lo Juzgado de lo Contencioso-administrativo n. 12 de Sevilla (Tribunale amministrativo n. 12 di Siviglia, Spagna), investito della controversia, sottopone diverse questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia. Il giudice spagnolo chiede sostanzialmente se uno Stato membro possa subordinare il diritto ad una promozione interna nel pubblico impiego, aperta esclusivamente ai dipendenti di ruolo, alla condizione che i candidati abbiano prestato servizio per un certo periodo in qualità di dipendenti di ruolo, escludendo la possibilità di prendere in considerazione i periodi di servizio compiuti in qualità di dipendenti a tempo determinato. Nella sua sentenza odierna la Corte precisa che il solo fatto che il sig. Rosado Santana sia divenuto dipendente di ruolo – e abbia quindi cessato di lavorare a tempo determinato – non osta all’applicabilità dell’accordo quadro. Al riguardo, la Corte considera che, poiché la discriminazione di cui il sig. Rosado Santana sostiene di essere vittima riguarda i periodi di servizio da esso compiuti in qualità di dipendente temporaneo, è privo di rilievo il fatto che egli sia nel frattempo divenuto di ruolo. La Corte ricorda poi che l’accordo quadro si applica ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e gli altri enti del settore pubblico. L’accordo quadro pertanto esige che sia esclusa ogni disparità di trattamento tra i dipendenti di ruolo e i dipendenti temporanei di uno Stato membro, a meno che un trattamento diverso sia giustificato da ragioni oggettive. Quindi, allo scopo di determinare se nella fattispecie il mancato riconoscimento dei periodi di servizio compiuti dal sig. Rosado Santana in qualità di dipendente temporaneo costituisca discriminazione, spetta al giudice spagnolo stabilire, in primo luogo, se il sig. Rosado Santana si trovasse, allorché esercitava le sue funzioni in qualità di dipendente temporaneo, in una situazione paragonabile a quella dei dipendenti di ruolo ammessi a partecipare alla procedura di promozione. Nel contesto di tale verifica, il giudice nazionale deve segnatamente prendere in considerazione la natura delle funzioni svolte dall’interessato in qualità di dipendente temporaneo e la qualità dell’esperienza che egli ha a questo titolo acquisito. In tal senso, qualora il giudice nazionale concludesse che le funzioni svolte dal sig. Rosado Santana in qualità di dipendente temporaneo non corrispondevano a quelle svolte da un dipendente di ruolo del grado richiesto nel bando di concorso, l’interessato non potrebbe asserire di aver subito una discriminazione. Se, per contro, risulta dall’esame condotto dal giudice nazionale in merito alle funzioni svolte dal sig. Rosado Santana in qualità di dipendente temporaneo, che quest’ultimo si trovava in una situazione paragonabile a quella di un dipendente di ruolo del grado richiesto nel bando di concorso, il giudice spagnolo dovrebbe, in secondo luogo, verificare se esiste una ragione oggettiva che giustifichi la mancata considerazione di detti periodi di servizio nell’ambito della procedura di selezione di cui trattasi. Al riguardo, la Corte ricorda che la nozione di «ragioni oggettive» richiede che la disparità di trattamento constatata sia giustificata dall’esistenza di elementi precisi e concreti che caratterizzano la condizione d’impiego in parola, allo scopo di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a raggiungere l’obiettivo perseguito e sia necessaria a tale scopo. Tali elementi possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle mansioni per l’espletamento delle quali i detti contratti a tempo determinato sono stati conclusi e dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro. In ogni caso, il semplice riferimento alla natura temporanea del lavoro del personale dell’amministrazione pubblica non soddisfa tali esigenze e tale natura non è quindi di per sé idonea a costituire una ragione oggettiva ai sensi dell’accordo quadro. La Corte precisa infine che il diritto dell’Unione non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che prevede che il ricorso proposto da un dipendente di ruolo contro una decisione che respinge la sua candidatura ad un concorso, e basato su una violazione dell’accordo quadro, debba essere presentato nel termine di decadenza di due mesi a partire dalla data di pubblicazione del bando di concorso. Tuttavia, qualora, come nella fattispecie, il dipendente sia stato ammesso alle prove e il suo nome sia comparso nell’elenco definitivo dei vincitori di detto concorso, il fatto di far decorrere il termine di due mesi previsto dal diritto spagnolo dalla pubblicazione del bando di concorso potrebbe rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’accordo quadro. Qualora ciò avvenisse nella fattispecie, cosa che spetta al giudice nazionale verificare, il termine di due mesi potrebbe decorrere soltanto a partire dalla data di notifica della decisione che annulla la sua promozione. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 8 settembre 2011, Sentenza nella causa C-177/10, Francisco Javier Rosado Santana/consejería de Justicia y Administración Pública de la Junta de Andalucía)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: RESTRIZIONI A EMISSIONI ACUSTICHE AEREI DEVONO RISPETTARE LE NORME UE  
 
Stati membri possono stabilire, in linea di principio, limiti massimi per le emissioni acustiche misurate al suolo, che le compagnie aeree devono rispettare quando sorvolano aree situate in prossimità di un aeroporto Tuttavia, se la legislazione nazionale ha l´effetto di obbligare le compagnie aeree a rinunciare all´esercizio della loro attività economica, essa può essere adottata solo nel rispetto delle condizioni stabilite dal diritto dell´Unione Al fine di ridurre i rumori molesti provocati dagli aerei negli aeroporti dell´Unione, la direttiva 2002/30 autorizza gli Stati membri ad adottare restrizioni denominate «restrizioni operative». Esse sono consentite solo in caso di superamento dei livelli acustici certificati, livelli che vanno misurati alla fonte - ossia, presso lo stesso aereo. L´aeroporto di Bruxelles-national (Belgio) è situato nel territorio della Regione fiamminga, benché i voli ivi effettuati sorvolino anche, a bassa quota, la regione di Bruxelles-capitale. La presente causa trae origine da una controversia tra la compagnia aerea European Air Transport (Eat) − specializzata nel trasporto aereo di merci (gruppo Dhl) − da un lato, e la Regione di Bruxelles-capitale (Belgio) con il Collège d´environnement (commissione ambientale) di detta regione, dall´altro. Il 19 ottobre 2007 l´autorità regionale competente ha inflitto alla Eat una sanzione amministrativa pari a Eur 56 113 per superamento, durante la notte, dei limiti stabiliti dalla normativa della regione di Bruxelles. Ai sensi di questa normativa, questi limiti vengono misurati al livello del suolo. La compagnia aerea Eat ha proposto un ricorso per l´annullamento di tale decisione. Essa sostiene che la normativa regionale su cui si fondano le infrazioni che le sono contestate sarebbe contraria al diritto dell´Unione, poiché utilizza valori acustici massimi misurati a livello del suolo (e non alla fonte), in contrasto con la direttiva. Alla luce di ciò, il Conseil d´État (Belgio), che deve decidere la controversia, ha disposto di investire la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale. La giurisdizione belga chiede alla Corte di chiarire se la normativa della regione di Bruxelles, che punisce i rumori molesti provocati dal traffico aereo, possa essere considerata una «restrizione operativa» soggetta alle norme della direttiva 2002/30 e, in particolare, al metodo di misurazione dei livelli acustici alla fonte. Nella sua sentenza odierna la Corte ricorda preliminarmente che, per affrontare il problema dei rumori molesti provocati dagli aerei, l´Unione ha adottato il metodo dell´approccio equilibrato. Quest´ultimo – definito dall´International Civil Aviation Organisation (Icao) − si articola in quattro elementi essenziali e richiede un´attenta valutazione delle diverse soluzioni possibili per attenuare le emissioni acustiche, in particolare la riduzione alla fonte del rumore prodotto dagli aerei, la pianificazione e gestione del territorio, le procedure operative per l´«abbattimento del rumore» e le restrizioni operative. Quest´approccio equilibrato presuppone che le restrizioni operative possono essere ammesse solo quando ogni altra misura di gestione del rumore non abbia consentito di raggiungere gli obiettivi della direttiva. A questo proposito, la Corte giudica che una «restrizione operativa», ai sensi della direttiva, costituisce una misura di divieto, assoluto o temporaneo, di accesso di un aereo a un aeroporto di uno Stato membro dell´Unione. Pertanto, una normativa ambientale, come quella ora in questione, che impone limiti massimi alle emissioni acustiche misurate al suolo, che devono essere rispettati quando si sorvolano aree situate in prossimità dell´aeroporto, non costituisce, in quanto tale, una «restrizione operativa» dal momento che essa non vieta l´accesso all´aeroporto interessato. In ogni caso, la Corte precisa che, sebbene l´applicazione di un metodo consistente nel misurare, a livello del suolo, il rumore prodotto da un aeromobile in volo possa rientrare nella cornice dell´approccio equilibrato, non si può però escludere che una normativa ambientale, come quella ora in questione, a causa del contesto economico, tecnico e giuridico pertinente possa produrre gli stessi effetti di un divieto di accesso all´aeroporto. Ebbene, qualora risulti che i limiti imposti da una normativa nazionale sono talmente restrittivi da finire per obbligare in concreto i gestori di compagnie aeree a rinunciare all´esercizio della loro attività economica, una siffatta normativa equivarrebbe a un divieto di accesso e costituirebbe, di conseguenza, una «restrizione operativa», ai sensi della direttiva 2002/30. Pertanto, una normativa del genere dovrebbe essere adottata nel rispetto delle condizioni stabilite dalla direttiva. È compito della giurisdizione belga verificare se le misure adottate dalla Regione di Bruxelles-capitale producano effetti del genere. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 8 settembre 2011, Sentenza nella causa C-120/10, European Air Transport Sa / Collège d’environnement de la Région de Bruxelles-capitale, Région de Bruxelles-capitale)  
   
   
CONSUMI: LA VENDITA DIRETTA A DOMICILIO CRESCE NEL PRIMO SEMESTRE DEL +3,9%. IN AUMENTO ANCHE IL NUMERO DEGLI INCARICATI ALLE VENDITA CHE CRESCONO DEL 3,2%  
 
L’analisi di Confcommercio è tetra per i consumi italiani. Secondo l’associazione, infatti, ben 17 regioni su 20 registreranno un livello dei consumi inferiore a quello del 2000. Nonostante questo stallo, le imprese associate Univendita (Unione italiana vendita diretta) hanno segnato un deciso +3,9% rispetto al primo semestre del 2010 facendo registrare un fatturato di 510 milioni e 300mila euro. «Dati che parlano chiaro: la vendita diretta a domicilio coniuga qualità dei prodotti con la sicurezza dei consumatori» è il commento di Luca Pozzoli, presidente di Univendita. Nel dettaglio, il comparto più dinamico è stato quello della “cosmesi e accessori moda” che ha segnato un incremento del 7,2%, seguito dagli “alimentari e beni di consumo casa” (+3%) e dai beni durevoli casa (+2,9%) che, con il 61% di quota di mercato, rimane il comparto più importante della vendita diretta a domicilio. Tra gli altri beni e servizi, emerge il settore “viaggi e turismo” con un incremento del 30,1% nonostante il protrarsi dei problemi legati alla instabilità dei Paesi nordafricani. Sul fronte occupazionale, cresce il numero degli incaricati alla vendita che, nel primo semestre del 2011, raggiungono quota 54.717 con un incremento del 3,2% rispetto allo stesso periodo del 2010. Da sottolineare la cospicua componente femminile pari al 72,4% del totale degli incaricati delle aziende associate Univendita. «I dati divulgati alla fine di agosto da Confcommercio non sono per nulla incoraggianti per quanto riguarda i consumi delle famiglie italiane -continua Pozzoli-. Si parla, in alcune regioni, addirittura di cali che superano il 3% e che riportano il nostro Paese sotto i livelli del 2000. La vendita diretta a domicilio, invece, cresce in maniera decisa. Per spiegare questa controtendenza bisogna guardare alla qualità dei prodotti offerti dalle aziende associate Univendita, alla professionalità dei suoi incaricati, all’etica di vendita e, soprattutto, all’attendibilità che, quotidianamente, i venditori mettono di fronte alle famiglie italiane». La vendita a domicilio continua la sua performance positiva rispetto al commercio tradizionale. Secondo i dati Istat, nei primi sei mesi del 2011 il valore delle vendite del commercio fisso al dettaglio ha registrato una flessione dello 0,4% rispetto allo stesso periodo del 2010; le vendite della grande distribuzione sono diminuite dello 0,3%, mentre quelle dei piccoli esercizi commerciali sono calate dello 0,4%. Univendita (www.Univendita.it) Innovazione, sviluppo, credibilità, alti standard etici. Sono queste le parole chiave contenute nello statuto di Univendita, associazione di categoria nata nel 2010 che raggruppa le aziende di eccellenza della vendita diretta a domicilio. All’associazione, che ha sede a Milano, aderiscono otto aziende: Tupperware Italia, Vorwerk Folletto, bofrost* Italia, Just Italia, Dalmesse Italia, Vorwerk Contempora, Cartorange e Jafra Cosmetics per dare vita a una realtà che mira a “riunire l’eccellenza delle imprese di vendita diretta a domicilio” con l’obiettivo “di rafforzare la credibilità e la reputazione del settore tra i consumatori e le istituzioni”