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Notiziario Marketpress di Martedì 08 Giugno 2010
IL VICEPRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA ANTONIO TAJANI ALL´INCONTRO EUROPEO DEI MEDIA  
 
Madrid, 8 giugno 2010 - Discorso del vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani all´Incontro europeo dei media svoltosi a Madrid il 4 giugno. Signore e signori, per me è un onore trovarmi oggi qui con voi. Devo congratularmi con la Presidenza spagnola del Consiglio perché questoIncontro europeo dei media è un evento veramente originale. Da quando sono vicepresidente della Commissione europea, ossia da poco più di due anni, cerco, quando possibile, di esprimermi nelle occasioni ufficiali nella mia lingua madre, la lingua di Dante. Oggi però, poiché mi trovo nella sede principale dell´Istituto Cervantes, mi esprimerò nella lingua che si parla "in una terra della Mancia che non voglio ricordarecome si chiami". Come potete facilmente immaginare, l´agenda di un vicepresidente della Commissione europea che si occupa, tra l´altro, d´industria, impresa, turismo e spazio, è molto carica. Tutte le settimane sono invitato a intervenire in decine di incontri in tutta Europa ma, devo ammettere che mi lusinga molto partecipare a quello di oggi. Prima di dedicarmi alla politica sono stato giornalista: il giornalismo ce l´ho nel sangue. Ci sono politici che evitano i giornalisti, non è il mio caso: mi sento a mio agio qui tra voi. Come politico cerco sempre di mettermi nei panni del giornalista che mi ascolta e agevolargli il compito il più possibile perché so perfettamente che una buona iniziativa politica, comunicata male, perde molta della propria forza. Non voglio parlare del presente. Mi hanno invitato a questo incontro europeo per parlare del futuro dei mezzi di comunicazione. Per questo motivo vi comunicherò, nel tempo a mia disposizione, alcune idee molto personali di un ex giornalista che ora fa politica in Europa, che spero vi aiuteranno nelle vostre riflessioni. Il primo messaggio è che, a mio parere, dovremmo tutti leggere di più la stampa, vedere di più la televisione e ascoltare di più la radio di altri paesi europei, oltre al nostro. So che i giornalisti sono curiosi e vogliono sapere che cosa faccio tutte le mattine a Bruxelles, prima di iniziare il mio programma ufficiale: vi rispondo che dedico almeno mezz´ora a leggere la stampa nelle lingue che conosco, italiano, francese, inglese e spagnolo. La ricchezza che scopro consiste nel fatto che la stessa notizia è trattata con sfumature diverse a seconda se si leggono i giornali e di un paese o di un altro. A lettura ultimata si è in migliori condizioni per valutare ed esaminare l´attualità con maggiore obiettività. Consentitemi di citare alcune cifre per illustrare il mio messaggio: - secondo un Eurobarometro di alcuni anni fa, il 97.6% degli europei guarda la televisione. Quello che gli europei guardano di più sono i telegiornali e i programmi d´attualità, seguiti dai film, dai documentari e poi dallo sport. - lo stesso Eurobarometro segnala che quasi il 60% degli europei ascolta la radio tutti i giorni e quello che si ascolta di più, per ordine, è la musica, le notizie, i programmi di attualità e in seguito lo sport. - quasi la metà degli europei (il 46%) legge la stampa tutti i giorni e più del 60% di loro legge una rivista almeno una volta al mese. Tenendo conto che nell´Unione europea siamo quasi 500 milioni di cittadini, le cifre che vi ho appena comunicato sono abbastanza confortanti. Tuttavia, se poi si analizzano queste cifre globali e si vuol sapere quanta televisione, radio e stampa "non nazionale" si ascolti e si legga negli Stati membri dell´Unione europea, le cose si complicano. Innanzitutto, l´informazione disponibile è scarsa e, inoltre, quando l´informazione esiste, si costata che in alcuni paesi (specialmente quelli grandi), la parte della stampa straniera rispetto a quella nazionale è molto ridotta. Ad esempio, ho i dati su tutti i giornali che sono stati venduti in Francia nel 2008: indicano che il 99% era costituito da stampa nazionale e l´1% da stampa straniera. Inoltre è difficile trovare dati affidabili rispetto all´audience delle televisioni straniere in confronto ai canali nazionali. Invece è risaputo che soltanto il 7% degli europei guarda regolarmente la televisione di altri paesi. Questo avviene soprattutto nei paesi che condividono la lingua (Germania con Austria; Belgio con Francia e Olanda) e sappiamo anche che, secondo le statistiche, i quattro paesi dove si guardano meno le televisioni straniere sono la Grecia, l´Italia, la Spagna e il Regno Unito. All´altro estremo, nel Lussemburgo e a Malta, i due paesi dove si guarda di più la televisione straniera, la conoscenza delle lingue è molto superiore alla media. Sicuramente, la conoscenza delle lingue straniere svolge un ruolo molto importante al riguardo. Rimane però il fatto che secondo l´Eurobarometro del febbraio 2006, il 56% dei cittadini europei può partecipare a una conversazione in una lingua che non è la sua madrelingua. In concreto, questo significa che più della metà degli europei potrebbe perfettamente acquistare giornali, guardare la televisione o ascoltare la radio di altri paesi che non il proprio, ma, in realtà, gli europei che lo fanno sono una minoranza. C´è dunque un problema che riguarda le lingue, ma non è soltanto un problema di lingue. Perché v´invito a riflettere su questa realtà? Non perché voglio che vendiate più giornali o che otteniate maggiori spettatori fuori dai vostri paesi (cosa che mi farebbe comunque piacere!). È perché ritengo che sarebbe positivo per l´Europa, per costituire un´opinione pubblica europea, una "sfera pubblica europea", come ha dichiarato la Commissione nell´ottobre 2007 quando ha presentato il suo testo "Insiemeper comunicare l’Europa". Il mio secondo messaggio è che credo che voi giornalisti dovreste collaborare di più a livello europeo. Quando si legge la stampa nazionale, si guardano i telegiornali o si ascolta la radio del proprio paese, le notizie sono presentate spesso in chiave nazionale: fin qui tutto normale, però molti dei problemi che affrontiamo nella nostra società non sono soltanto nazionali, sono questioni anche europee, come l´invecchiamento della popolazione, la sicurezza alimentare, i cambiamenti climatici o l´immigrazione. Tali problemi vengono presentati di rado in un contesto transnazionale, benché le numerose difficoltà concrete che i cittadini devono fronteggiare possano essere risolte soltanto a livello europeo. Mi piace molto quando leggo articoli di fondo o interviste a personalità politiche europee che sono pubblicate contemporaneamente su vari giornali europei. Mi rallegra vedere politici stranieri intervistati dalle televisioni o dalle radio di altri paesi, anche se questo dovrebbe succedere con maggior frequenza. E non è tutto: quando ho proposto di pubblicare articoli in vari giornali contemporaneamente su temi che interessano obiettivamente gli europei come, ad esempio, sul nostro lavoro per promuovere le automobili pulite, non è stato facile. Alla fine, è più semplice pubblicare in ogni paese separatamente: la prima reazione del giornalista dinanzi ad una proposta di pubblicare un articolo in vari organi di stampa europei, è, in genere, che vuole l´esclusiva e non gradisce l´idea di condividere uno stesso argomento con i colleghi europei. Forse, anziché allo "scoop" nazionale potremmo cominciare a pensare allo "scoop" europeo. V´invito anche a riflettere su questo perché, a parer mio, non è il miglior atteggiamento per il giornalismo. Nel mio lavoro di commissario per l´Industria e l´imprenditoria, posso assicurarvi che gli imprenditori europei sono abituati a farsi concorrenza, ma anche collaborare tra di loro. Guardate: il presidente della più grande compagnia aerea europea Lufthansa, non è tedesco, è austriaco. Il presidente della British Airways non è inglese, è irlandese. Anche nel calcio, a volte gli allenatori delle principali squadre europee o anche nazionali, non sono della stessa nazionalità della loro squadra. Lo stesso succede con i calciatori. La mia impressione è che il mondo del giornalismo sia rimasto un po´ al margine di questa "europeizzazione". Credo che sarebbe auspicabile che fosse più presente la cultura della collaborazione europea tra giornalisti, come esiste, molto naturalmente in altri ambiti della vita europea. Il terzo argomento che volevo condividere con voi, è che esiste un problema di fiducia dei cittadini verso la stampa in Europa che è opportuno analizzare. Quando ho raccolto il materiale per preparare questo intervento, una delle cifre che mi hanno maggiormente sorpreso nell´Eurobarometro dell´autunno 2007, è che soltanto il 44% dei cittadini europei è disposto a fidarsi della stampa. So che la settimana scorsa a Cadice c´è stato il congresso della Federazione internazionale dei giornalisti. Condivido molto di quanto riporta la relazione scritta dal segretario generale della Federazione, sopratutto che il giornalismo deve essere un bene pubblico. Non ho la bacchetta magica con la soluzione della questione che è particolarmente complessa. Posso però dirvi qualcosa che da Bruxelles si vede molto meglio che dalle altre capitali: credo che dobbiate prestare maggior attenzione al nesso tra il contenuto e i titoli. Troppo spesso sento dire dai miei colleghi, e anch´io lo dico per le materie di cui mi occupo, che "l´articolo su tale argomento è valido come contenuto, ma il titolo lo rovina completamente". Tenendo conto che nella società in cui viviamo molta gente legge soltanto i titoli, se l´obiettivo principale è quello di attrarre audience il risultato è che il giornalismo di qualità va perso. Lo dice la relazione del segretario generale della Federazione internazionale di giornalisti a cui mi riferivo poco fa: il dibattito sul futuro del giornalismo deve privilegiare la qualità, non il profitto. Sono totalmente d´accordo. Quando leggo un buon articolo che è rovinato da un titolo che cerca a tutti i costi di richiamare l´attenzione del lettore, credo, come diciamo in Italia che "vi stiate dando la zappa sui piedi". Un´ultima questione, che vorrei brevemente affrontare con voi, riguarda precisamente il mondo della stampa a Bruxelles. A mio parere, la doppia crisi, economica globale, e di modello d´impresa, in particolare (sfida di Internet, gratuità dell´informazione generica), può condurre i mezzi di comunicazione tradizionali a cadere in due tentazioni molto nocive per l´Europa e per il futuro del progetto europeo: 1) la "frivolizzazione" dell´informazione o il sensazionalismo, come ricerca disperata dall´audience; 2) il ripiego nazionalistico o euroscettico, che critica l´Europa in quanto distante, incomprensibile o poco democratica. Queste due tentazioni stanno comparendo poco a poco anche nei paesi tradizionalmente più favorevoli all´integrazione europea. Io ritengo, invece, che il ruolo dell´Europa si giochi anche nel campo della comunicazione: quando si dice che l´Europa deve contare di più nel mondo aggiungerei che i media europei dovrebbero anch´essi contare di più nel mondo. Richiamo la vostra attenzione sul fatto che, da qualche anno a questa parte, diminuisce il numero di corrispondenti a Bruxelles. L´associazione internazionale della stampa ha appena adottato una risoluzione che denuncia questo fatto. Credo che dimenticarsi dell´Europa sia un errore. L´europa non è la creatura di alcuni tecnocrati che si trovano al palazzo Berlaymont o all´edificio Justus Lipsius. L´europa è, invece, come recita il preambolo del Trattato di Lisbona, un progetto che desidera"intensificare la solidarietà tra i suoi popoli rispettandone la storia, la cultura e le tradizioni ". Le nuove tecnologie danno accesso a una parte dell´informazione: attraverso Internet ed il servizio "Europa by Satellite" (Ebs), si può seguire in diretta la maggioranza degli eventi principali che si svolgono a Bruxelles. Il futuro della stampa passerà anche dall´uso dell´iPod, iPhone e iPad. Ogni giornalista europeo deve essere sensibile all´agenda europea e cercare di seguir da vicino le attività dell´Unione per vedere come si traducono nella vita quotidiana dei cittadini. Credo che questo sia più necessario che mai, tanto più quando stiamo vivendo una crisi senza precedenti nel nostro continente. Ma l´Europa non è soltanto Bruxelles. Più di otto europei su dieci ritengono importante essere informati sulle questioni europee. Sette su dieci desiderano saperne di più sui loro diritti come cittadini. Circa due terzi degli europei considerano che l´informazione disponibile sull´Unione europea sia utile e interessante, ma quasi lo stesso numero la considera insufficiente. Mi piacerebbe inoltre che trattaste la politica europea come trattate quella nazionale, perché è risaputo che una gran parte dell´attività parlamentare nazionale è dovuta al recepimento del diritto comunitario. Affinché i cittadini partecipino a un dibattito europeo, è essenziale comunicare a livello regionale e locale e per questo la chiave siete voi, i media. Consentitemi di concludere il mio intervento ricordando ciò che disse don Chisciotte più di 400 anni fa: "colui che legge molto e molto cammina, vede molto e conosce molto ". Vi posso assicurare che il mio lavoro mi obbliga a leggere molto, a viaggiare in tutta Europa e fuori dall´Europa e a incontrare molta gente. Non so se per questo conosco molto, quel che so è che ho un grande affetto e un grande rispetto per la professione di giornalista. Voi svolgete un ruolo fondamentale nella nostra società e spero che le mie riflessioni vi siano state utili per affrontare gli altri dibattiti di questa giornata che vi auguro siano molto proficui.  
   
   
MURDOCH E BERLUSCONI: DUE DINOSAURI DELL’INFORMAZIONE  
 
Trento, 8 giugno 2010 - A fronte di indubbie intuizioni rivoluzionarie, come quella di fare business entrando pesantemente in qualsiasi tipo di media, dal giornale alla televisione e all’editoria, Rupert Murdoch oggi si trova impotente di fronte alla rivoluzione delle news digitali, che non conosce e non sa governare. Far pagare i Tg sul web è il segno di questa debolezza, che lo farà cadere assieme al suo “seguace” Silvio Berlusconi. “Qui in Italia avete un’immagine sfalsata di Murdoch – ha esordito il 6 giugno il giornalista americano Michael Wolff, chiamato al Festival dell’Economia 2010 per parlare di “Rupert Murdoch e la rivoluzione dei media”. – Voi lo vivete come l’alter ego di Silvio Berlusconi, come il proprietario di canali satellitari a pagamento in cui si respira una maggior libertà. La storia di Murdoch, però, è tutta un’altra, il suo modo di intendere il mondo dei media è assai simile a quello di Berlusconi, ma entrambi oggi sono dei vecchi dinosauri, non hanno idea della rivoluzione che sta avvenendo, non riescono a capire che il modo di raccogliere, distribuire e vendere le news è profondamente cambiato con l’avvento del web!” Wolff è considerato a buon diritto uno dei massimi conoscitori della “parabola Murdoch”, avendo pubblicato nel 2008 un libro sul magnate australiano intitolato “The man who owns the news”, l’uomo che possiede le notizie. Un libro costato nove mesi di interviste e di frequentazioni continue, nelle cui pagine però l’Autore ha comunque condensato giudizi così caustici e corrosivi da provocare l’ira del magnate stesso, che s’è difeso con alcune rappresaglie che negli Stati Uniti hanno fatto storia. “Murdoch non è un uomo che s’è fatto dal nulla – comincia a raccontare il giornalista americano. – La sua famiglia è da sempre una delle più influenti dell’Australia e quando il giovane Rupert ad un certo punto della sua esistenza, eravamo attorno agli Anni Cinquanta del secolo scorso, ereditò da padre un vero impero di giornali, all’inizio non fece altro che proseguire sulle tracce tracciate in precedenza. Solo in seguito pensò bene di allargare il suo raggio di influenza, e quindi di far business, partendo dall’Inghilterra, dove cominciò ad acquistare testate sull’orlo del fallimento per farne terribili strumenti di informazione che si rivolgevano al pubblico che Murdoch preferisce, quello della classe operaia. Capì una cosa importante, e che in seguito sarebbe stata di insegnamento anche per Silvio Berlusconi: se l’informazione viene gestita in un certo modo, usando un linguaggio adeguato e solleticando i temi più appetiti dal grande pubblico, se insomma si riesce a parlare alla pancia dei lettori i giornali possono diventare ottimi strumenti per raggiungere il potere politico. Lui applicò questo paradigma sostenendo e facendo eleggere a primo ministro Margaret Thatcher; quel che fece invece Berlusconi, voi italiani lo sapete meglio di me.” Verso la metà degli Anni settanta Murdoch sbarca negli Stati Uniti. Compra il New York Post, poi il New York Magazine “e a quel punto la strategia cambia all’improvviso. Murdoch s’accorge che fare business solo con i giornali, solo con le notizie della carta stampata era un modo vecchio e tradizionale di far soldi. Si rivolge all’ora ad altri strumenti, acquista una casa di produzione cinematografica, la Fox, e con essa sbarca nel mondo della televisione. Comincia allora la parabola contemporanea della sua esistenza: abbinare l’informazione scritta con quella vista e ascoltata in televisione. E’ in definitiva la stessa idea che ebbe Silvio Berlusconi, quando capì che gli affari si potevano fare vendendo giornali, ma anche detenendo una, due, tre reti televisive, e poi anche reti per la distribuzione delle pellicole cinematografiche e così via...” Infine arriva il web, e qui cominciano le note dolenti. “Murdoch, e per certi aspetti anche Berlusconi – dice Michael Wolff, - pensano ancora che il segreto del potere sia nella distribuzione delle notizie. Non si sono accorti che internet ha rivoluzionato il modo di mettere in rete i fornitori e i consumatori di notizie. Non si sono accorti che la raccolta e il confezionamento delle notizie hanno bisogno di investimenti sempre troppo alti e sempre meno remunerativi, mentre dall’altra parte i blog gratuiti imperano e si diffondono in tutto il pianeta. Murdoch non sa accendere un Pc... E non sa usare un cellulare! Murdoch si illude che, mettendo a pagamento le news sulla rete, il business tradizionale si moltiplicherà all’infinito. Non si accorge, il magnate che ha fatto la propria fortuna sapendo leggere i tempi, che gli utenti che oggi accendono le sue reti televisive o che acquistano i suoi giornali conoscono già le notizie che vi trovano, perché in tempo reale le hanno trovate altrove sul web!”. Indubbiamente la carriera di Murdoch, conclude Michael Wolff, “riflette lo sviluppo, l’espansione e il declino della storia dei media mondiali. Adesso lui e Berlusconi si trovano in mezzo al guado: sono entrambi al tempo stesso i “killer” dell’informazione e i detentori di un enorme potere mediatico. Per qualche tempo ci saranno senz’altro persone che pagheranno per andare a leggere le notizie sulla rete, ma poi si rivolgeranno ad altri canali, ad altri media: abbandoneranno le pay-news per cercare informazioni là dove troveranno giornalisti capaci di usare i nuovi linguaggi per rendere appetibile il flusso di notizie”. Rupert Murdoch “sarà ricordato come colui che ha dominato il mondo prima dell’avvento dell’era moderna dei media!”. E sarà un avvento rapidissimo, dai contenuti sostanziali e soprattutto senza ritorno, ha detto Wolff, usando fino alla fine il suo linguaggio caustico e perentorio. “Murdoch e Berlusconi? Due dinosauri dell’informazione che cadranno di fronte al potere della rete”.  
   
   
IL GIORNALISMO SENZA COMPROMESSI DI ANNA POLITKOVSKAJA  
 
Trento, 8 giugno 2010 - Per gli eventi serali del Festival dell’Economia, il Cuminetti ha ospitato il 5 giugno la rappresentazione teatrale “Donna non rieducabile” in cui si ripercorrono alcuni momenti della vita della giornalista russa autrice di coraggiosi reportage. Un modo di interpretare la sua professione, inviso al potere, che ha avuto come conseguenza il suo terribile assassinio. Le parole che diventano un grido di denuncia, a tratti disperato, contro la barbarie della violenza. Le parole che vogliono far aprire gli occhi sulla terribile realtà di un conflitto, nel caso quello in Cecenia, ma che diventano paradigmatiche per ogni momento di guerra e di violazione dei diritti umani. A pronunciarle nella pièce teatrale “Donna non rieducabile”, per la regia di Silvano Piccardi, l’attrice altoatesina Ottavia Piccolo magnifica nella sua ricostruzione, attraverso la lettura di articoli e frammenti autobiografici, alcuni momenti cruciali della vita di Anna Politkovskaja uccisa nel 2006. Un personaggio scomodo Anna Politkovskaja che nei suoi reportage in terra cecena ha raccontato , con la forza della sua scrittura senza veli e autocensure, una terribile realtà di violenza e di soprusi ai lettori russi anestetizzati dalla propaganda del nazionalismo. Le immagini di Grozny che si trovano nei suoi articoli sono quelle di una città senza acqua, cibo, in cui manca quasi del tutto l’energia elettrica, una città terrorizzata dagli attentati in cui ogni sera dalle 18 cala il coprifuoco. Ottavia Piccolo ha letto frammenti dei reportage della Politkovskaja da cui emergono il cinismo dei soldati russi, nella spirale di violenza a massacri con i ribelli ceceni , mentre in un gioco di flashback autobiografici ecco i iferimenti a Gorbaciov, con il sogno della perestrojka, a Boris Eltsin, all’odio per il Kgb che per un gioco di prestigio ritrova più o meno indirettamente il potere grazie a Putin. A colpire nella narrazione di “Donna non rieducabile” la forza di una giornalista che non si arrende davanti ai pestaggi dei militari, infastiditi dalle sue cronache, come quella terribile del massacro nella scuola di Beslan in Ossezia, ai tentativi di avvelenamento e che si deve piegare solo davanti ai colpi di pistola di un killer. Magistrale l’interpretazione in scena di Ottavia Piccolo, scandita dagli interventi musicali dell’arpista Floraleda Sacchi, nel dare voce allo spirito tenace e all’ amara ironia di questa testimone di libertà intellettuale. Anna Politkovskaja é diventata infatti il simbolo di un giornalismo che non piega la testa davanti a nessun potere . Un giornalismo che sceglie di non prendere posizione, di non essere partigiano , di non schierarsi se non attraverso il racconto dei fatti, diretto e crudo quando serve, con l’obiettivo primo di essere al servizio dei lettori come sempre dovrebbe essere.  
   
   
GABANELLI: SPERO CHE LA PARTE SANA DEL PAESE DICA BASTA IN 13 ANNI NON SONO STATA TAGLIATA UNA VOLTA, SEGNO CHE IL PROGRAMMA È BEN ARGOMENTATO"  
 
 Trento, 8 giugno 2010 - Il 6 giugno è stata la serata di Milena Gabanelli, "la donna più querelata d´Italia", come l´ha definita il suo intervistatore Miguel Mora. Ma anche la donna più nominata nei cda delle società italiane, con epiteti irriferibili ma non certo gentili. La giornalista ha parlato delle difficoltà della sua professione, della fatica di "navigare" nel mare delle cause civili pretestuose, delle intimidazioni, ma anche delle soddisfazioni che si raccolgono quando un´inchiesta va a segno, quando le cose, comunque, cambiano, e allora nascono dei movimenti, ci sono interrogazioni parlamentari, le procure si muovono. Grazie all´informazione. Da Gabanelli anche un auspicio forte, condiviso coralmente da tutta la platea: che la parte sana del Paese dica "basta". E un invito a i giovani: quello a seguire le proprie passioni, il proprio talento, senza cedere a compromessi, senza ascoltare chi dice che "bisogna fare i furbi", perché fare un lavoro gratificante è importante. Un ´intervista sincera e al tempo stesso piena di spirito quella "andata in scena" sul palco del Sociale. Partendo dagli esorti di "Report", nel 1997, un programma di Rai 2 che dava spazio ai free lance, andando in onda in tarda serata. "In Rai inchieste all´epoca non ce n´erano - ha detto Gabanelli - e noi abbiamo iniziato ad occuparci di argomenti ´strani´ come la fusione fredda, l´elettromagnetismo, fino a quando non ci hanno spostato in seconda serata. Abbiamo deciso di cominciare a occuparci di economia perché nessuno di noi ci capiva niente, io per prima. Perciò mi sono detta che se io non capisco nulla di debito pubblico o di pratiche bancarie, probabilmente ce ne sono tanti messi come me. Così abbiamo provato ad occuparci di debito pubblico e di tutte le clausoline che in banca ci fanno firmare senza spiegarcele. Sembrava di una noia mortale. Invece no. Probabilmente siamo stati bravi a trattare con chiarezza delle cose complesse, e così siamo arrivati fino ad oggi." Mora - del quotidiano spagnolo "El Pais" - ha incalzato: "Qual è il lato bello del suo lavoro?" "Di certo è una sfida cercare di capire argomenti complessi e spiegarli in maniera semplice, per di più in televisione, cosa più difficile che in un giornale, perché in un giornale, se non capisci una riga, puoi tornare indietro, e rileggere, in televisione no. Ricordo una trasmissione sui derivati: in qualche modo aprì uno squarcio, spiegando al pubblico, anche ad esempio quello degli enti locali, meccanismi che sembravano incomprensibili. Smontando certi prodotti facemmo capire a tanta gente che si stava impiccando. Quando dissi al mio direttore che volevo ´aprire´ con i derivati, mi chiese: i derivati del latte? Ecco, questo accadeva solo due anni e mezzo fa. Poi, certo, non voglio sembrare neanche troppo naif. Tutto parte quando qualcuno ´da dentro´, di solito qualcuno incattivito, il cosiddetto insider, ti dice che stanno succedendo delle cose strane e lui te le può spiegare. E´ da lì che parte l´inchiesta." La giornalista ha ripercorso le tappe salienti della sua carriera. "Il primo mestiere che ho fatto è stato provare a vendere mobili, nella mia terra, la Brianza. Poi sono andata a Bologna a fare il Dams; dalla Brianza a Bologna, sembrava un sogno. Non ero e non sono giornalista. Sono pubblicista. Metà di quelli che lavorano con noi a fare inchieste sono pubblicisti. E questo fino a dieci giorni fa sarebbe significato, in base alla nuova legge, 4 anni di carcere per chi faceva riprese senza essere autorizzato. Il che significava non poter più documentare nulla. Ho fatto un appello, ho detto: siamo in 45.000. Si sono accorti che avevano fatto una stupidaggine e dopo due giorni l´hanno abolita." "Crede che ci siano anche cose positive in questa legge?" "Credo che per quel che riguarda la questione della pubblicazione di intercettazioni riguardanti fatti strettamente privati sia necessario fare un provvedimento. Ma penso anche che non ci vogliano più di 2 minuti, visto che si è varata una Finanziaria in 9. Sono settimane che i nostri parlamentari cercano di stabilire cosa si potrà sapere e cosa no. Io penso che così com´è questa proposta di legge sia un orrore, spero che non passi. Per la stampa e per il sistema della giustizia, che ha bisogno di una riforma profonda, e non è questa. Io non faccio politica, la politica non la capisco, non miro a spostare voti, non mi pagano per questo. L´opposizione, mi pare sia sotto gli occhi di tutti, è debolissima, inesistente. Però anche il popolo italiano si fa poco sentire". Applausi scroscianti in sala dopo quest´ultima affermazione. L´ammontare delle cause civili della Gabanelli - inaugurata con quella (persa) delle Ferrovie dello Stato, nel 2004 - è infinita. "Le cause civili ti infilano in una trafila che dura dai 4 ai 10 anni. Io lavoro per un grande editore, sono fortunata. Un piccolo editore non potrebbe farcela. Devi anticipare le spese legali, è impossibile. Il totale delle cause civili che abbiamo collezionato è per 300 milioni. Di queste circa 35 cause civili, comunque, almeno il 70% sono pretestuose. E questo è il vero limite. Se questa legge folle non si farà il problema comunque resterà, ed è un buco legislativo che davvero limita la libertà di stampa. Stiamo parlando di cause che richiedono la tua presenza in tribunale, metà del tuo tempo lo devi passare con gli avvocati a difenderti. Nel diritto anglosassone, dove la libertà di stampa è un valore civile e sociale, è previsto che colui che intenta una causa intimidatoria, fondata sul niente, venga condannato a pagare dei danni anche altissimi. In Italia il nostro codice di procedura civile prevede sanzioni per cause intimidatorie, ma sono sanzioni ridicole (perché basate su valutazioni tecniche) e quasi mai applicate. Nel diritto anglosassone, ripeto, non è così: lì viene punito chi limita la libertà di stampa, che è considerata un valore. Dovremmo prendere ad esempio il diritto anglosassone e coprire questo buco legislativo. Con il nostro sistema legislativo fare giornalismo d´inchiesta è da incoscienti." Dopo avere spiegato le sue traversie con Tremonti e l´Agicom, Gabanelli, sollecitata da Mora, ha brevemente accennato ai suoi rapporti con l´editore. "Io non sputo nel piatto dove mangio. Faccio la mia lotta quotidiana e il mio direttore con me. In 13 anni non sono mai stata censurata di una parola. A volte ci sono state delle grandi discussioni, momenti problematici. Una volta siamo stati a discutere un taglio fino a mezzanotte, con il direttore generale. Alla fine non è stato tagliato un frame. L´impressione di essere amata non ce l´ho, ma a volte a uno non succede nemmeno a casa." Lungo l´elenco dei manager e delle società che hanno fatto causa a "Report". Meno lungo quello dei politici (e in genere si tratta di figure di secondo piano). Il quadro del Paese, come appare anche dalle inchieste della giornalista, è tragico. Ma la speranza non è venuta meno. "Spero che un giorno ci sia una rivolta contro questo malcostume e questa indifferenza. C´è chi delinque, chi evade, ma anche chi vede e tace, pur essendo una persona per bene. Detto questo ogni mattina c´è un treno che parte, una scuola che apre, un ospedale che cura, il che significa che c´è chi ancora lavora bene. Altrimenti non si spiegherebbe perché da trent´anni l´Italia sembra finita ma poi, comparandoci con gli altri, non sembriamo quelli messi peggio. Spero che la parte più sana del Paese una mattina dica ´basta´. E comunque, quando le denunce sono motivate, vanno a segno. Un´inchiesta importante è partita da Trento. Un´altra per la confessione di un tassista. Abbiamo impedito per puro caso che nel decreto Alitalia ci finisse il decreto salvamanager; era già passato alla Camera, doveva andare al Senato. Senza contare che è importante anche il più piccolo comportamento, quello ad esempio che adottiamo al supermercato. E´ questa la ribellione più grande. Non delegare, neanche ai giornalisti. Chiedere conto. Agire in prima persona. Ognuno deve fare la sua parte." Una domanda fra le tante dal pubblico: "Non le manca il fatto di non poter parlare dell´Italia con la schiena dritta?" "Ci proviamo, con le good news. Alle volte funziona, altre volte devi fermarti prima che le good diventino bad news. In ogni puntata cerchiamo comunque di tirare fuori la parte sana della situazione. Non è sempre facile. Facciamo un programma di denuncia. Siamo rimasti in pochi a farlo. Se ci mettiamo a parlare delle cose ´belle´ poi si direbbe: chi fa la denuncia? Certo, parlare anche dell´ospedale o della scuola che funzionano è utile, se non altro per chi è in buona fede e vuole far funzionare le cose. Ma non ho la presunzione di raccontare la verità. E´ una parola troppo grossa. Diciamo qualcosa di verosimile." Certo, c´è un costo. Ci sono le minacce, le lettere intimidatorie. Gabanelli non considera tutto questo una "notizia". "Quando uno fa questo mestiere, si espone. E´ già tutto nel conto. Se dessi un peso a queste cose, dovrei cambiare mestiere."  
   
   
BOOM DELLA WEB TV AL QUINTO FESTIVAL DELL’ECONOMIA  
 
Trento, 7 giugno 2010 - E’ tempo di fare qualche bilancio anche per la macchina che ha reso possibile il Festival dell’Economia e lo ha seguito per dare un’informazione il più possibile puntuale sui tanti eventi in programma. Da sottolineare in primo luogo il dato sull´accesso alla web tv del Festival che è cresciuto di circa il 240%. Il solo collegamento con la conferenza di Roberto Saviano è stato seguito da 190.300 utenti. Il dato peraltro è in linea con la tendenza di Internet in generale che vede sempre più al primo posto la fruizione dei contenuti soprattutto in immagini e video rispetto al testo; esso dimostra inoltre come l´utenza "giovane" - quella che ha maggiore familiarità con il web - segua con sempre maggiore interesse il Festival dell´Economia. Per quanto riguarda gli accessi al sito internet, ad oggi, alle ore 16 circa, essi sono pari a 6.455.357 visualizzazioni di pagina. Si registra una crescita degli accessi postfestival; nel 2009 il giorno dopo il Festival c´erano state 800.000 visualizzazioni circa mentre ad ora, quando mancano ancora alcune ore alla fine della giornata, siamo a circa 1.900.000 visualizzazioni. Ecco gli altri dati salienti della quinta edizione del Festival dell´Economia di Trento. Sono state circa un centinaio le persone coinvolte complessivamente nella comunicazione del Festival (giornalisti, operatori di regia, fotografi, esperti del web, tecnici audio e video), settanta le persone che si sono occupate di allestimenti delle piazze e locations, oltre sessanta i volontari che hanno collaborato negli info point, mostre ed eventi paralleli, venti le persone che hanno seguito la segreteria organizzativa, circa quaranta quelle impegnate nella ristorazione, venti le hostess, stesso numero per coloro che hanno presidiato le sale degli incontri, Dodici persone hanno garantito una copertura di 15 ore giornaliere della sala stampa. Sono state coinvolte dodici librerie, dieci sono stati gli incontri trasmessi in diretta, cinquanta quelli in differita, quarantaquattro gli incontri del programma centrale, trentasei quelli del programma partecipato. Cinquantasette i relatori del programma centrale con diciannove stranieri, oltre centosessanta i professionisti delle presentazioni e i relatori del programma partecipato. In tutto si sono accreditati a seguire l’evento 425 giornalisti tra italiani e stranieri. L’ufficio stampa del Festival ha prodotto 138 comunicati nei giorni della manifestazione, dal 3 al 6 giugno, e 32 nelle settimane precedenti.  
   
   
IL CONTRIBUTO DI TUTTI PER AUMENTARE LA QUALITA’ E DIFFONDERE L’INFORMAZIONE FOCUS: “L’INFLUENZA DEI BLOG SULLE SCELTE DELLA POLITICA”  
 
Trento, 8 giugno 2010 - I blog come strumenti ormai imprescindibili per la divulgazione e la diffusione di conoscenza. Tyler Cowen, economista fondatore del popolare blog www.Marginalrevolution.com, ne ha discusso il 6 giugno con il giornalista Stefano Feltri e con gli animatori dei siti di informazione e dibattito economico Stephen Yeo (Voxeu.org), Pierfrancesco Daveri e Marco Gambaro (lavoce.Info), Reggy Peters (Mejudice.nl) Pablo Vasquez (nadaesgratis), Richard Robert (Telos). Un confronto tra diversi modi di fare informazione, diversi pubblici e target di riferimento, differenti modi di trattare gli argomenti e di offrirli al mondo della rete. Strutture editoriali, redazioni e modelli di comunicazione che, a prescindere dalle singole specificità, hanno in comune un tratto distintivo e vincente: semplicità di linguaggio, libertà d’accesso, possibilità di commentare e alimentare dibattito. Luoghi virtuali che, affiancati ai tradizionali giornali e alle pubblicazioni editoriali, contribuiscono ad arricchire il panorama dell’informazione, allargandone la base sociale. E ad innalzare il livello qualitativo di conoscenza di un pubblico che, diversamente, ne sarebbe in larga parte escluso. Così è toccato a Tyler Cowen iniziare la rassegna delle realtà informative. Un’intuizione nata sette anni fa che il docente gestisce in completa autonomia – “è diventata parte integrante della mia quotidianità” ha affermato – proprio perché strumento facile e che ben si presta a chi lo realizza ma anche a chi ogni giorno lo consulta per informarsi. Temi, quelli economici da “margin evolution”, che a dispetto dell’intrinseca complessità grazie al blog risultano invece semplici e chiari. A beneficio del crescente numero di visitatori, “veri protagonisti della comunità virtuale, cassa di risonanza e diffusori a loro volta di conoscenza”, le parole di Cowen. Proprio i numerosi strumenti a disposizione sui blog, infatti, sono le carte vincenti di un sistema che consente di creare dibattito e approfondire (facendo ricorso ai link). “E’ una forma letteraria antica con una nuova tecnologia” – ha spiegato il professore prima di cedere la parola ai colleghi – il cui successo è determinato dalla qualità dei contenuti trattati”. Argomento, questo, che ha trovato concordi tutti i relatori che hanno descritto le caratteristiche dei propri siti-blog. “Proprio in virtù della rilevanza dei dibattiti generati e della qualità temi trattati, gli stessi siti internet vengano citati da importanti testate e presi in considerazione dai policy maker” hanno detto all’unisono.  
   
   
POTERE DEL TELECOMANDO E CONTROLLO POLITICO DEI MEDIA UNA RICERCA SPIEGA COS’È ACCADUTO DOPO I CAMBIAMENTI AI VERTICI DELLA RAI  
 
Trento, 8 giugno 2010 - Cosa accade quando muta il controllo politico di un canale televisivo? I telespettatori utilizzano il potere del telecomando cambiando canale? E se sì, in quanto lo fanno? Lo ha spiegato Brian Knight, docente di Economia e Politiche pubbliche alla Brown University Incominciamo partendo dalla conclusione, forse, più “eclatante” dello studio di Brian Knight e Ruben Durante. In Italia esiste una quota sofisticata di pubblico che sa rispondere ai cambiamenti ideologici, che non si lascia soccombere dalla passività. C’è, in altre parole, un livello di autonomia critica che il telespettatore riesce ad imporre. Ciò nonostante esiste, forse mai come di questi tempi, una forte preoccupazione sul controllo da parte del settore dei media ed in particolare sul fatto che gli elettori facilmente influenzabili si possano far convincere da mezzi di comunicazione ideologici, con un conseguente vantaggio elettorale per un partito politico. Timori, come si è scoperto durante l’incontro a Palazzo Geremia, tutt’altro che fondati. Condotta dal 2001 al 2007 la ricerca di Knight e Durante si è focalizzata sul nostro Paese per due questioni particolari. La prima: il principale canale pubblico (Tg1) è controllato dalla coalizione al governo. La seconda: la rete privata è di proprietà di Berlusconi, che è il capo della coalizione di centro-destra. Tre invece le domande che gli studiosi, utilizzando i dati sui contenuti e di ascolto prima e dopo il cambio di governo del 2001, si sono posti: qual è la collocazione dei canali televisivi nello spettro ideologico? Il cambio di governo causa cambiamenti nella posizione ideologica del Tg1? E ancora: i consumatori rispondono a modifiche nella posizione ideologica del telegiornale di Rai 1, rivolgendosi ad altri canali? In che misura, infine, la scelta di altri canali modifica il contenuto ideologico del Tg1? Le risposte che ne sono uscite, per certi aspetti, sono davvero sorprendenti. Valutando la posizione ideologica di ciascuno dei sei canali presi in esame (nel dettaglio Tg1, Tg2, Tg3, Tg5, Studio Aperto, Rete4) si è edotto che il contenuto del Tg1, nel periodo dell’indagine, si è spostato a destra relativamente a ciascuno degli altri canali. Ma non solo. Il Tg1 era una versione meno estrema del Tg3, che è controllato tradizionalmente dalla sinistra, quando quest’ultima era al potere e che, sempre il Tg1, era una versione meno estrema del Tg5 quando la destra era al governo. Le curiosità non finiscono qui. Esaminando come i telespettatori hanno risposto a tali cambiamenti nella posizione ideologica del telegiornale della rete ammiraglia della Rai si scopre che molti elettori di destra, quando Berlusconi è andato al Governo, sono passati dal telegiornale di Canale 5 al Tg1 e che molti elettori di sinistra sono passati dal Tg1 al Tg3. Questo implica che il consumo ideologico di questi elettori si è spostato a sinistra, anche se il contenuto dei media si è spostato a destra. In un’analisi delle seconde scelte dei programmi di notizie si nota poi come gli elettori di destra tendano in generale a guardare canali Mediaset, come seconda scelta, dopo aver visto il Tg1 come prima scelta. Gli spettatori del Tg3, per contro, aumentano quando la destra è al potere. Tuttavia non si trova alcuna evidenza del fatto che il numero di telespettatori del Tg5 diminuisca. Per quanto riguarda la credibilità dei media troviamo, in linea con i precedenti risultati, che la fiducia nella Rai è maggiore negli elettori di destra quando la destra è al potere. Oltre a poter cambiare canale, chiede Felice Blasi, moderatore dell’incontro e giornalista del “Corriere della Sera”, che cosa possiamo fare noi telespettatori per esprimere il nostro dissenso verso quello che non ci piace, verso ciò che non condividiamo? “Possiamo spegnere la televisione, risponde Brian Knight, oppure ridurre la fiducia nei confronti dei mass media o rivolgerci a canali alternativi come Internet o i giornali, che in Italia sembrano essere di gran lunga più pluralisti della tv”.  
   
   
PANDEMIA INFLUENZALE: FU EMERGENZA MEDIATICA  
 
Trento, 8 giugno 2010 - “Pandemia influenzale uguale pandemia mediatica?” era il quesito posto dall’ultimo confronto del ciclo “Vero o falso”, nuovo format di questa edizione del festival, moderato nuovamente da Federico Rampini de “La Repubblica”. Introdotto da Nerina Dirindin, docente all’università di Torino e redattore de “lavoce.Info”, ha visto il 6 giugno gli interventi di Donato Greco, direttore del Centro nazionale di epidemiologia, Vittorio De Micheli, direttore dell’assessorato alla sanità della Regione Piemonte e collaboratore dell’Istituto di ricerca epidemiologica Mario Negri di Milano, assieme alle testimonianze di Silvio Garattini, direttore del Mario Negri, Maria Rosaria Russo Valentini, avvocato. La giuria degli studenti universitari – provenienti da tutta Italia - ha emesso anche questa volta il suo verdetto: vero, quella dell´inverno scorso fu emergenza mediatica, forse anche provocata dalle multinazionali del farmaco, per 18 votanti su 19. “Sono qui in parte in veste di imputato – ha detto Rampini nell’aprire i lavori – visto che i media oggi sono sotto accusa. Ma potrei dire che sono anche qui in veste di vittima, giacché il primo allarme pandemia, quello causato dalla Sars, mi costrinse a rinviare, all’epoca, il mio trasferimento dagli Usa a Pechino. E in Cina l’impatto dell’allarme fu particolarmente forte, con paralisi dei voli, controlli estremamente scrupolosi e così via. Oggi – lo scrive anche ‘Il Sole 24 Ore’ - sta emergendo che forse l’allarme pandemia generato dal virus H1n1 è stato enormemente ingigantito dall’Organizzazione mondiale della sanità, anche a causa di rapporti poco chiari con le grandi case farmaceutiche. Tuttavia devo anche ricordare il principio di precauzione, che ad esempio la Bp ha ignorato, con le conseguenze che sappiamo per l’incidente occorso alla piattaforma petrolifera al largo delle coste statunitensi, incidente considerato dagli esperti statisticamente improbabile. Qualcosa del genere vale anche per i terremoti; insomma, le autorità pubbliche a volte devono spendere per prevenire, e quando non lo fanno le critiche, a posteriori, sono feroci. Lo stesso vale per il mondo dei media.” Dirindin ha ripercorso l’ascesa dell’allarme relativo all’influenza cosiddetta "suina", a partire dalla primavera 2009 (a oggi il livello di allerta per questa pandemia è rimasto quello dichiarato dall’Oms nel giugno dell’anno scorso, ovvero il massimo, il sesto). “I governi cominciarono a fare scorte di vaccini per affrontare l’emergenza; i costi complessivi non sono ancora disponibili, comunque si parla di migliaia di euro, un miliardo solo in Europa. L’allarme poi non si è rivelato giustificato? C’è chi sostiene che lo era, e che quindi le autorità si sono attrezzate di conseguenza. C’è invece chi sostiene che non era giustificato ed è stato amplificato dai media, ma anche forse da altri soggetti che avevano degli interessi nel farlo, per aumentare i propri profitti in un momento di crisi mondiale generalizzata. Il Consiglio d’Europa sta inoltre denunciando una generale mancanza di trasparenza nell’operato delle autorità sanitarie dei diversi paesi, relativamente ai rapporti con i fornitori dei farmaci antiretrovirali.” Greco, che è anche membro di commissioni internazionali dell’Oms e dell’Unione europea, ha iniziato la sua esposizione ricordando che “noi con l’influenza conviviamo da sempre, essa è causa di morte per una fetta di popolazione che va dalle 3 alle 8.000 persone all’anno, soprattutto anziani o pazienti già debilitati. E’ la prima infezione del nostro paese dopo il raffreddore ed è anche molto costosa per le nostre finanze. Cosa è successo questa volta? Un virus ‘mutante’ si è combinato con 4 geni umani, 2 geni aviari e 2 geni di maiale, e ha dato vita a qualcosa di nuovo, sconosciuto ai 78 laboratori sparsi per il mondo a fare ricerche in questo campo. C’è stata una prima epidemia in Messico – nella città dove c’è il più grande allevamento di maiali del mondo – e poi il virus si è diffuso molto rapidamente, e fuori stagione. Il Ministero italiano, con il suo gruppo di lavoro che monitorizza le pandemie – memore della catastrofe della ‘Spagnola’ del 1918 – ha cominciato a muoversi. Nel giugno è scesa in campo l’Oms, agenzia delle Nazioni unite, che ha assegnato alla nuova pandemia il sesto livello, il massimo, sulla base di 169 criteri presi in esame. Non mi risulta che questi criteri siano stati modificati per l´occasione. In quanto alla vaccinazione, la sua efficacia in questi casi è assolutamente provata, lo vediamo ogni anno, ad ogni uscita di un nuovo vaccino. Non si tratta peraltro di un grande business; la spesa per vaccini non è un grande affare mondiale, rispetto ad esempio al business delle vitamine. I limiti del piano italiano sono stati semmai il mancato coinvolgimento dei medici e un cattivo rapporto stato-regioni. Ci sono state pressioni da parte delle case farmaceutiche? Sì, ma ritengo che gli acquisti di vaccini, data la circostanza, fossero inevitabili. I mass media hanno anche amplificato la portata dell’emergenza. Semmai forse si sarebbe potuto procedere con maggiore flessibilità. Ma quando le campagne di vaccinazioni falliscono, le conseguenze sono tragiche.” De Micheli ha ricordato invece l’inchiesta condotta dal Consiglio d’Europa (e di alcuni media) da cui risulterebbero scarsa trasparenza nell’operato delle autorità sanitarie nei loro rapporti con le case farmaceutiche, con conseguente conflitto di interessi. “Solitamente identifichiamo l’influenza con la presenza di virus - ha spiegato - che in realtà il più delle volte nel paziente non viene cercato. Quando lo si fa, normalmente emerge che una determinata sindrome influenzale che si diffonde in un Paese può essere dovuta a molti fattori, e che il virus a cui essa è imputata non ne è responsabile che in minima parte. La mortalità è bassa: circa una vittima ogni mille influenzati; 5 milioni di ammalati all’anno in Italia, circa 5.000 morti, ma sono stime grossolane. La mia impressione, quando è esploso l’allarme pandemia, è che stessimo monitorando fenomeni che succedevano anche gli altri anni, ma non venivano cercati. Da tenere presente che i fattori di equilibrio sono cambiati: l’essere umano oggi è più forte che in passato e l’ambiente è molto più pulito. Se anche oggi esplodesse una pandemia come quelle del passato, probabilmente produrrebbe meno danni. L’unica anomalia veramente verificatasi l’anno scorso è stata l’anticipo della diffusione dell’influenza, già ad ottobre anziché attorno a Natale. In quanto al vaccino contro l’influenza, esso da un lato sembra essere molto poco efficace: bisogna vaccinare 100 persone per proteggerne una. Puntare tutto sulle vaccinazioni di massa è dunque una scelta discutibile. Ma avendo alimentato negli anni passati grandi aspettative sui vaccini, abbiamo di fatto conferito alle case produttrici un enorme potere. In questo caso, poi, tutto è avvenuto con un’enfasi mediatica senza precedenti. I costi: in totale circa 300 milioni di euro, di cui 180 dovuti all’acquisto del vaccino. In quanto all’Oms, la stessa definizione di pandemia è stata, ad un certo punto, abbandonata, perché le condizioni per avere la pandemia devono essere la diffusione del virus in tutto il mondo e un alto numero di morti, che invece non si è registrato. Consideriamo peraltro che solo il 5% degli addetti all’ordine pubblico e alla difesa si sono vaccinati. Se ci fosse stata vera emergenza l’avrebbero fatto tutti.” L’avvocato Russo Valentini ha illustrato le procedure adottate dagli stati per fronteggiare l’emergenza sanitaria; in Italia è stata adottata un’ordinanza pensata in realtà per una grave minaccia terroristica. Subito dopo è stata emanata una seconda ordinanza che fissava il quantitativo di dosi di vaccino da acquistare (24 milioni). Sempre con questa seconda ordinanza del presidente del Consiglio è stata individuata la società fornitrice, Novartis, che ha lavorato in esclusiva, con un contratto fortemente sbilanciato a favore dell’impresa (anche perché non vi è stato alcun confronto concorrenziale sul prezzo). A oggi ancora non sappiamo quante dosi in realtà siano state prodotte e in seguito non ritirate. Non solo: lo stato si è assunto tutti i rischi connessi all’acquisto ‘al buio’ di un prodotto di cui non era ancora stata testata l’efficacia. In definitiva, con questo contratto non è stata adottata nessuna delle misure di precauzione che lo stato avrebbe potuto assumere. Una terza ordinanza, emanata dopo l’esaurimento dell’emergenza, e riguardante i quantitativi di vaccino, non ha risolto le cose e potrebbe essere facilmente impugnata dalla società messa sotto contratto, che ha la facoltà di ritirare il vaccino non utilizzato dall’Italia e rivenderlo a altri clienti o di lasciarlo in carico al committente. Il collegio arbitrale che dovrà dirimere le eventuali controversie future è composto di soggetti privati: non si vede perché lo Stato non sia ricorso ai suoi legali.” Garattini, intervenuto in videoconferenza, ha riconosciuto che nessun paragone con la famosa “Spagnola” era proponibile nel caso dell´emergenza prodotta dal virus H1n1. Sono stati fatti dunque errori di valutazione molto importanti. “Vedremo se il prossimo anno avremo di nuovo un’influenza molto precoce come l’anno scorso; in tal caso dovremo cercare di ridurre i tempi fra l’esplosione dell’infezione e l’inizio della vaccinazione. In questa circostanza abbiamo perso una buona occasione per fare della ricerca. Abbiamo anche imparato che la fiducia del pubblico non è stata molto forte, e quindi dobbiamo recuperare credibilità”. Infine – dopo le domande degli studenti (e un suggestivo confronto fra la bolla speculativa creata dalle banche che ha provocato la crisi economica di fine 2008 e la bolla pandemica forse creata ad arte dalle case farmaceutiche) – la sentenza della giuria: sì, l’emergenza “febbre suina” è stata emergenza mediatica, per 18 votanti su 19.  
   
   
PUBBLICITA’ E INFORMAZIONE: IL LEGAME NASCOSTO ESISTE  
 
Trento, 8 giugno 2010 - Con 50milaeuro di pubblicità guadagno 13 articoli in più sulla mia impresa: risultati di un’indagine mettono nero su bianco le influenze che la pubblicità ha sulla libertà di informazione. Disparità di trattamento e “editori impuri”, fenomeni che esistono. 50mila euro di pubblicità al mese si associano a 13 articoli in più: è questo il dato, secco e spiazzante, con cui Riccardo Puglisi, ricercatore dell’Università di Pavia, ha accolto il folto pubblico del Festival dell’Economia di Trento, che ha partecipato all’incontro “Cosa compra la pubblicità?”, che si è tenuto il 6 giugno nell’aula magna della Facoltà di Giurisprudenza. Nell’incontro, moderato da Laura Strada, caporedattore della Rai di Trento, Puglisi ha dato conto di una recente ricerca empirica, condotta insieme a Marco Gambaro dell’Università Statale di Milano, che prova a gettare luce su alcuni aspetti cruciali del rapporto tra media e pubblicità, ponendosi alcune domande: i media trattano in modo diverso le imprese che acquistano spazi pubblicitari? Qual è il criterio di notiziabilità delle diverse imprese? Quale legame esiste tra l’acquisto di pubblicità e le attività di relazioni pubbliche? Quale ruolo gioca, infine, la proprietà diretta dei media da parte delle imprese stesse? «I mass media - spiega Puglisi - si presentano come una sorta di “Giano bifronte”, perché da un lato vendono a lettori e ascoltatori; dall’altro, vendono agli inserzionisti pubblicitari l’attenzione dei lettori e ascoltatori per i loro prodotti. La crisi ha reso ancora più difficili le cose, soprattutto per i giornali che hanno dovuto fronteggiare il calo delle copie vendute e quello degli introiti pubblicitari. Ad oggi infatti circa la metà dei ricavi dei giornali italiani proviene dalla pubblicità comprata dalle imprese. Allora abbiamo deciso di verificare se esista un legame tra pubblicità acquistata e notizie giornalistiche relative a quell’inserzionista». L’indagine, che si è basata su di un software automatico, ha preso in esame il numero di articoli pubblicati giorno per giorno da sei quotidiani italiani (nazionali e locali) che menzionano 13 società quotate, tra il 2006 e il 2007. I dati poi sono stati incrociati con le rilevazioni mensili sulla pubblicità acquistata da ciascuna azienda, con i comunicati diramati dai loro uffici stampa e con le quotazioni delle stesse società. Ne è emerso che le testate danno sistematicamente più spazio alle notizie riguardanti l’andamento in borsa (sia negativo che positivo) o le novità relative alle società prese in esame se queste comprano pubblicità. Con un effetto che l’indagine ha provato a stimare: 50mila euro di pubblicità in più al mese si associano a 13 articoli in più (con un effetto più piccolo per i quotidiani nazionali con circa 7 o 8 articoli). I quotidiani menzionano di più una società il giorno dopo l’emissione di un comunicato stampa e la frequenza di articoli sulle società prese in esame cresce in modo significativo se sussistono legami societari tra impresa e quotidiani (editori “impuri”, come ad esempio, La Stampa e Fiat, Corriere della Sera con Fiat, Telecom Italia e Tod’s)». Le interpretazioni di questo fenomeno secondo Puglisi possono essere due e molto diverse tra loro: «Esiste un effetto riflettore della pubblicità, per cui la società che compra più spazi acquista notorietà anche agli occhi degli inserzionisti. Oppure, si potrebbe pensare che le imprese, in modo più o meno implicito, non comprano soltanto spazi pubblicitari, ma anche l’attenzione aggiuntiva dei quotidiani all’interno dei propri articoli. Un altro aspetto significativo riguarda proprio il legame tra rapporti proprietari e copertura mediatica. Una dipendenza che è stata misurata nell’indagine e che sembra non essere molto presente nel numero degli articoli, quanto piuttosto nella loro posizione, nel tono e nella lunghezza di questi. Sulla base di tutto ciò, i nostri risultati sul legame tra pubblicità e copertura mediatica mettono in evidenza una potenziale sinergia tra funzione di marketing e funzione di Ir, investor relation. Comprando pubblicità, le imprese comprano attenzione mediatica, la quale induce gli investitori individuali a comprare il titolo in questione. Cosa che avviene anche verso i consumatori, che sono spinti dagli articoli, e non solo dalla pubblicità, ad acquistare un dato prodotto. Fenomeno molto evidente nelle riviste di moda, in cui spesso si rileva un trattamento preferenziale nei confronti dei maggiori inserzionisti. Lo stesso meccanismo può essere attuato anche a livello politico: alcuni economisti (Di Tella e Franceschinelli) hanno studiato il caso del governo argentino che, comprando pubblicità, si garantiscono una minore attenzione sugli scandali e i problemi legati alla cattiva gestione.».  
   
   
PUBBLICITÀ: I SEGRETI DI UN MERCATO POTENTE E COMPLESSO GAMBARO: «GLI INSERZIONISTI PREMIANO LE RETI MAGGIORI E I GRANDI ASCOLTI PERCHÉ RAGGIUNGONO PRIMA IL LORO TARGET E PENALIZZANO I QUOTIDIANI PERCHÉ VENDONO MENO COPIE E TRASCURANO LA RACCOLTA LOCALE». ECCO COME FUNZIONA IL SISTEMA TRA MILLE VARIABILI  
 
Trento, 8 giugno 2010 - Vista con un po’ di fastidio da parte degli spettatori e fonte di tormentoni e modi di dire, la pubblicità pervade la nostra vita con effetti rilevanti sui consumatori e sull’economia delle imprese. La pubblicità è stata al centro di “Parola chiave”, l’incontro nell’ambito del Festival dell’Economia di Trento che si è svolto il 6 giugno alla sala conferenze della Facoltà di Economia. A raccontare i segreti di un mercato che sta sotto gli occhi di tutti, ma che sfugge alla comprensione di molti, è stato Marco Gambaro, docente di Economia della comunicazione al dipartimento di Scienze Economiche Aziendali e Statistiche dell´Università Statale di Milano. A dialogare con lui anche Edoardo Gaffeo, ricercatore di Politica economica all´Università degli Studi di Trento. «La pubblicità è pervasiva nella nostra vita – spiega Marco Gambaro. È importante che il mercato della pubblicità funzioni bene, perché questo influenza non soltanto i mass media ma anche il mercato dei beni, aumentando ad esempio i prezzi dei prodotti. Pubblicità e mass media sono infatti parte dello stesso mercato. I mass media producono e offrono qualcosa da vendere, i contatti pubblicitari (ascolti e lettori, attenzione in una parola), interessanti per le aziende “utenti” che le vogliono comprare. I media dunque sono il lato dell’offerta, mentre le aziende quello della domanda. In Italia gli investimenti pubblicitari ammontano a 7.924 milioni di euro con una quota preponderante delle televisioni (56,4% della raccolta totale) e dei quotidiani (16,4%). In gran parte dei Paesi europei la pubblicità nella tv di Stato è fortemente limitata. Questo non avviene nel nostro Paese. In presenza di un mercato con pochi operatori e bassa concorrenza, il prezzo della pubblicità aumenta e consente agli italiani di pagare un canone più basso per la fruizione della tv e avere più risorse per offrire programmi televisivi più ricchi». Quello della pubblicità è dunque un mercato istituzionalmente complesso in cui agiscono molti attori. Oltre ai media e alle aziende esistono altri soggetti: le società concessionarie, che si occupano della raccolta e le società di comunicazione che invece elaborano le strategie pubblicitarie, acquistare e pianificare gli spazi. Ma perché le aziende fanno pubblicità? «La domanda di pubblicità – commenta Gambaro - dipende dall’andamento del mercato. È una scelta “derivata” dalla concorrenza e dalla situazione economica globale. Il mercato della pubblicità si basa su delle convenzioni: quando acquisto uno spazio pubblicitario in anticipo di qualche mese, faccio una scommessa su quanto ascolto/lettori avrà quel media. Difficile è però stimare, ad esempio, il grado di attenzione dei lettori dei giornali o l’ascolto televisivo. Una volta appurato che i media producono e vendono attenzione, va capito se questi contatti sono tra di loro indifferenziati, oppure alcuni valgono di più e altri di meno. In linea di massima, i contatti relativi a chi ha più disponibilità economica tendono a valere di più. È quindi importante capire chi sono questi contatti». Ma quanta pubblicità si fa in Italia? «Per misurarne l’intensità si può prendere a riferimento i consumi interni di un Paese. In Italia la pubblicità pesa sui consumi interni pesa circa per l’1% (0,88% nel 2009). E su questo c’è stata negli ultimi anni una certa convergenza nei Paesi europei. Nel nostro Paese, rispetto agli altri Paesi, la pubblicità con maggiore intensità è quella riferita ai settori dei soft drinks, degli alcolici (perché da noi ci sono meno vincoli), dell’automotive (soprattutto per via degli incentivi) e dell’abbigliamento (le marche da noi sono di più e hanno più peso), mentre ve ne è meno nel campo dell’editoria (e in generale i prodotti culturali), delle banche, della distribuzione e delle assicurazioni. In questi ultimi settori, più “protetti” la pubblicità cala perché vi è meno concorrenza. Nell’editoria, la minore intensità è dovuta al minore mercato di questi prodotti.» In base agli ultimi dati disponibili la domanda di pubblicità in Italia si indirizza soprattutto verso il mezzo televisivo con pochi grandi investitori e verso i quotidiani e periodici, dove invece gli investitori sono più piccoli e investono meno, ma sono molti di più. «Ecco perché la televisione è più a rischio nel caso in cui un suo investitore decida di smettere di investire in pubblicità – spiega Gambaro. In più, storicamente, un’ora di attenzione del fruitore pesa di più sui quotidiani che sugli altri media. In televisione i contatti (i punti di share) non pesano allo stesso modo. Le reti Mediaset vendono la pubblicità ad un costo maggiore (nel 2008 la quota era del 55’%%) rispetto alla Rai (28,1%). La Rai in questo è penalizzata dal limite imposto alla raccolta pubblicitaria e ad un target composto da un pubblico più anziano e meno ricco. Anche le reti più piccole soffrono di questo meccanismo. Nonostante il pubblico selezionato e commercialmente interessante di Sky, ad esempio, la frammentazione della pubblicità su quelle reti non paga. Il prezzo degli spazi pubblicitari varia molto (da cliente e cliente, da un mezzo all’altro) e per questo non costituisce una misura attendibile dell’andamento del mercato. Il costo della pubblicità dipende infatti dalla qualità del contatto. Se, ad esempio, voglio raggiungere i giovani dai 14 ai 24 anni facendo pubblicità sulla Rai pagherò il doppio rispetto a quanto potrei spendere facendola su Mediaset e almeno dieci volte di più rispetto al farla sulla radio». Gli inserzionisti dunque preferiscono investire sui programmi più seguiti e raggiungere così più in fretta il loro target. Le televisioni maggiori (Rai e Mediaset) sono anche agevolate dai bassi costi di vendita della pubblicità (la rete dei venditori), che invece pesano molto su radio, periodici, e tv minori. Questo spiega perché sia tanto difficile far entrare nuovi grandi soggetti nel mercato televisivo. Ma la situazione non va molto bene neanche nel mercato pubblicitario dei quotidiani italiani, che soffrono rispetto alle testate degli altri paesi. Innanzitutto perché vendono meno copie e perché trascurano la pubblicità locale che invece all’estero raccoglie molto bene. E questo può generare pericolosi meccanismi di commistione nascosta con la pubblicità per tentare di aumentare gli introiti. «Ed è proprio quando la pubblicità influenza l´informazione che arrivano i rischi per i cittadini. Questo avviene ad esempio anche su internet, dove la libertà di espressione trasforma i confini tra comunicazione commerciale e informativa e favorisce una confusione, a volte pericolosa, tra messaggio pubblicitario e notizia. È il caso dei blog dove dietro ad alcuni utenti si nascondono le aziende che veicolano in modo indiretto ma molto efficace la loro pubblicità. Per internet una regolamentazione è difficile, ma sui media tradizionali qualcosa si può fare. Per tentare di regolamentare il settore si può intervenire ad esempio sulla domanda (ad esempio mettendo limitazioni nei contenuti) oppure sull’offerta (come le limitazioni alla raccolta commerciale in tv)».  
   
   
SCIOPERO PERSONALE SEDE RAI EMILIA-ROMAGNA, MUZZARELLI INCONTRA DELEGAZIONE LAVORATORI E SINDACATI  
 
Bologna, 8 giugno 2010 - «Un servizio pubblico radiotelevisivo di qualità e veramente al servizio dei cittadini, è importante anche per valorizzare il territorio, tanto più in un´ottica di federalismo». Lo ha sottolineato l´assessore regionale alle Attività produttive, Gian Carlo Muzzarelli, incontrando i rappresentanti delle organizzazioni sindacali territoriali della comunicazione, che gli hanno espresso preoccupazione per le strategie dell´azienda Rai. Preoccupazioni, in particolare, per la chiusura del settore "ponti mobili", per il ridimensionamento delle squadre esterne di Bologna e le carenze organizzative che hanno portato tra l´altro al ridimensionamento di una rubrica settimanale dedicata all´agricoltura. «Una decisione quest´ultima - ha sottolineato Muzzarelli – che, proprio in quell´Emilia-romagna capitale delle eccellenze alimentari, va in controtendenza rispetto a quello che dovrebbe essere l´obiettivo di un´azienda come la Rai: valorizzare le più importanti caratteristiche ambientali, culturali, economiche di un territorio». Inoltre ha ricordato l’assessore Muzzarelli che, «l’imminente passaggio al digitale terrestre di tutte le province dell´Emilia-romagna, richiede servizi adeguati, sia in termini infrastrutturali come il segnale visibile in ogni punto della regione, che di produzioni. Per questo, scriveremo alla dirigenza Rai chiedendo una programmazione che tenga nel dovuto conto Bologna e l´Emilia-romagna, superando una strategia di duopolio Roma-milano che non risponde né alla logica né alla storia e geografia del Paese».  
   
   
DATI DELL’OSSERVATORIO STAMPA FCP RELATIVI AL PERIODO GENNAIO-APRILE 2010 RAFFRONTATI AL PERIODO GENNAIO-APRILE 2009.  
 
 Milano, 8 giugno 2010 - Il trend del fatturato pubblicitario del mezzo stampa in generale continua a registrare un miglioramento pur mantenendo un segno negativo (-1,8%). In particolare i quotidiani presentano un segno positivo (+0,4 %). I periodici segnano un andamento negativo ma in miglioramento (- 6%) In particolare, i quotidiani in generale hanno registrato un aumento degli spazi del (+7,8%). La tipologia Commerciale nazionale ha evidenziato un +4,6 % a fatturato ed un +9,1% a spazio. La tipologia Di Servizio ha visto un -8,3% a fatturato e un +8,5% a spazio. La tipologia Rubricata ha segnato un calo a fatturato del – 5,8% e a spazio -2,2%. La pubblicità Commerciale locale ha ottenuto un +0,3% a fatturato ed un +8% a spazio. I Quotidiani a pagamento hanno registrato un andamento migliore rispetto a quello dei quotidiani in generale (+1%) I quotidiani Free Press hanno segnato andamenti in calo a fatturato (- 12,3%) e a spazio (-10,5%). Diminuisce del -11,4% il fatturato della commerciale nazionale e del -12,6% quello della locale, mentre gli spazi registrano un andamento rispettivamente del -10% e del -10,3%. I Settimanali hanno ottenuto variazioni significativamente migliori rispetto a quelle dello scorso anno: a fatturato – 2,3% ( 2009:-32,3%) a spazio +1,8% (2009: -24,4%). Per i Mensili si registra una diminuzione di fatturato (-9,7%) e un calo degli spazi (-6,8 %). Le Altre Periodicità hanno riportato una flessione sia a fatturato (-13,2%) che a spazio (-9,8%).  
   
   
COMUNICARE POCO E BENE PER RECUPERARE REPUTAZIONE  
 
Trento, 8 giugno 2010 - Trasparenza e comunicazione, specie alla luce degli ultimi recenti eventi che hanno contribuito a stravolgere i mercati finanziari, da semplici “luoghi comuni” possono diventare elementi strategici per imprese e professionisti della comunicazione. Ne hanno discusso il 6 giugno Gianluca Comin, presidente Ferpi e direttore relazioni esterne Enel, Paola Dubini docente di economia aziendale all’università Bocconi, il giornalista Luca Sofri, Vittorio Meloni direttore relazioni esterne gruppo Intesa Sanpaolo, Tonio Muzi Falconi docente di Global relation alla New York University. L’attuale contesto economico e finanziario, la cui forte incertezza e instabilità non consentono di offrire a consumatori e stakeholders prospettive e visioni di medio termine, impone alle aziende di recuperare la componente reputazionale. É la conclusione cui sono giunti il 6 giugno i partecipanti a “Trasparenza e comunicazione”, confronto curato da Ferpi. “La reputazione e il rapporto di fiducia tramite una comunicazione chiara, continua e trasparente con i propri clienti e più in generale con tutti gli stakeholders, è l’elemento su cui dovranno investire maggiormente le aziende (specie quelle quotate in borsa) per differenziarsi ed essere autorevoli sui mercati” le parole di Vittorio Meloni. Che siano grandi compagnie o professionisti della comunicazione, la strada da perseguire ha il nome della “trasparenza”. “é una scelta strategica che, seppur comporta dei costi in termini organizzativi e gestionali, ripaga nel lungo periodo, specie se accompagnata da una rendicontazione dei comportamenti socialmente responsabili” ha spiegato la professoressa Dubini. Comunicazione, rendicontazione, trasparenza. In campo economico uno spartiacque lo ha segnato nel 1998 la “legge Draghi”, imponendo alle società l’obbligo di comunicazione trimestrale dei dati. Ma può bastare ad aumentare la reputazione di un’impresa? “Di per sè no – ha spiegato Meloni – se ai semplici dati non si offre al cliente/investitore una visione di medio lungo periodo, una prospettiva futura che crei il valore reputazionale dell’azienda anche agli occhi del mercato”. Dunque informazione, che però – come ha fatto notare il giornalista Luca Sofri – spesso non è attendibile e comunque ha poca corrispondenza alla realtà e non è quindi sinonimo di trasparenza. Ecco dunque, come ha spiegato Muzi Falconi, che “l’informazione aziendale e finanziaria, più che essere fine a se stessa e autoreferenziale, dovrebbe contenere tre caratteristiche fondamentali: essere informativa (tempestiva, sostanziale, verificabile), partecipativa (rispondere a interessi espressi dagli stakeholder) e responsabilmente rendicontabile”. Concetto ribadito anche dalla professoressa Dubini. “Non serve una grande mole di informazione se non quella necessaria; l’azienda dovrebbe parlar poco di sè, lasciando a altri questo compito, limitandosi ad offrire le informazioni utili al consumatore per capire il contesto”.  
   
   
NATI PER LEGGERE, PREMIATI I MIGLIORI SCRITTORI PER L’INFANZIA  
 
Torino, 8 giugno 2006 - Al Salone è giunta al termine la prima edizione del Premio Nazionale Nati per Leggere. Lunedì 17 maggio all’Arena Bookstock sono stati premiati gli autori dei migliori libri d’infanzia e i promotori della lettura per bambini da zero a sei anni. La scrittrice australiana Mem Fox ha ricevuto il premio della sezione Nascere con i libri, dedicata alle opere indirizzati ai bambini dagli 0 ai 36 mesi, per il libro Dieci dita alle mani, dieci dita ai piedini (Il Castoro, 2009), realizzato insieme all’illustratrice inglese Helen Oxenbury. Beatrice Alemagna, autrice di Un leone a Parigi (Donzelli, 2009), ha vinto il premio Crescere con i libri per i giovanissimi dai 3 ai 6 anni. Al francese Eric Battut è andato il riconoscimento Libri in cantiere per miglior inedito per l’albo Lindo Porcello (Bohem Press Italia, in uscita a settembre). Ha ritirato il premio Joanna Dillner, direttrice della casa editrice. Altri premi sono stati consegnati all’Unità Locale Socio Sanitaria 9 di Treviso per l’ottimo lavoro svolto nella promozione della lettura ai più piccoli (sezione Reti di Libri) e alla pediatra napoletana Lina di Maio dell’Associazione Culturale Pediatri Campania per il suo impegno nel diffondere la lettura in famiglia (Sezione Pasquale Causa). Infine una menzione speciale è andata al coordinamento nazionale Per l’Abruzzo che si è distinto per l’attività in situazione di emergenza. Il premio Nati per leggere riconosce la consapevolezza che la lettura ad alta voce ai più piccoli contribuisce alla formazione del lettore di domani e allo sviluppo equilibrato del bambino. Questo tema è stato discusso alle ore 10.30 al convegno internazionale Come la lettura sviluppa la mente. Dieci anni di ‘Nati per Leggere’: riflessioni e prospettive, seguito da un pubblico numeroso e attento di addetti ai lavori e lettori. Durante l’incontro sono stati messi in evidenza i risultati del lavoro portato avanti da pediatri, bibliotecari e volontari per favorire la lettura ad alta voce ai bambini. I giovanissimi acquisiscono migliori capacità intellettive, accumulano un vantaggio rispetto ai coetanei. Nelle fasce sociali a disagio permette ai bambini di avere più possibilità di successo scolastico. Inoltre, per gli studenti dislessici, la lettura ad alta voce facilità l’apprendimento. All’appuntamento hanno partecipato: Perri Klass (docente di Giornalismo e pediatria alla New York University e direttrice del progetto americano Reach Out and Read, capostipite di molti altri programmi di promozione della lettura ai bambini fin dal loro primo anno di età); Giorgio Tamburlini (pediatra e presidente del Centro per la Salute del Bambino Onlus di Trieste, consulente dell’Organizzazione Mondiale di Sanità e dell’Unicef); Alessandra Sila (educatrice e membro del coordinamento nazionale Nati per Leggere) e Giacomo Stella (docente di Psicologia clinica all’Università di Modena e Reggio Emilia e condirettore della rivista Dislessia). A coordinare i lavori Piero Bianucci, giornalista scientifico. Appuntamento al prossimo Salone con la seconda edizione. Per approfondire visita il sito dedicato www.Natiperleggere.it/    
   
   
LE LOGICHE ANTITETICHE DI PLURALISMO E MERCATO “CHI FA IL MENÙ DETERMINA ANCHE I TEMPI DELLA DIGESTIONE”  
 
 Trento, 8 giugno 2010 - Se da un lato il primo è fondamentale per sviluppare l’insieme di voci ed opinioni che forma l’opinione pubblica, dall’altro non va dimenticato che la totalità dei mezzi d’informazione deve sottostare alle esigenze del mercato editoriale. Un passaggio spesso trascurato quando si discute di completezza dell’informazione, nella convinzione che tutte le voci che si espongono verso l’opinione pubblica abbiano la stessa autorevolezza e visibilità a prescindere dalla forza economica della testata che le esprime. E’ questo il legame che, il 6 giugno, Michele Polo, professore di Economia politica alla Bocconi, ha analizzato nel libro “Notizie S.p.a.” e che ha presentato al Festival dell’Economia, introdotto dal giornalista del Corriere della Sera Massimo Sideri. L’informazione si presenta, dice Polo, “come un’edicola”: ad una prima occhiata stupisce per la molteplicità di titoli e testate, che sembrano rappresentare un buon esempio di pluralismo; ma se andiamo a considerarle singolarmente notiamo come ogni testata abbia un peso diverso rispetto alle altre. Una questione che non è assolutamente legata alla sola Italia: “la tendenza alla concentrazione del mercato dell’informazione è insita in quello stesso mercato”, condizione che si verifica in tutti gli stati europei. Piuttosto la specificità italiana sta nella presenza di strutture multicanale (Rai e Mediaset hanno tre reti, mentre in Francia e Gran Bretagna i privati non possono detenere più di una emittente televisiva), nell’influenza del sistema partitico all’interno della tv pubblica (“la Bbc difende chi paga il canone, non i politici”) e il conflitto d’interessi del presidente Berlusconi. Ma da economista Polo preferisce concentrarsi sul versante economico di questa implicazione. La mancanza di pluralità, ha spiegato, è determinata prevalentemente dai costi dell’informazione stessa, che risultano proibitivi per chiunque intenda affacciarsi sul mercato non disponendo delle stesse somme dei concorrenti. Il fatto poi che queste somme siano determinate dagli introiti stessi dei canali principali attraverso il legame fra spettatori/copie vendute e pubblicità, rende ancora più difficile il tentativo di inserirsi nel mercato dell’informazione. Da un lato infatti provoca situazioni analoghe quella di La7, costretta dai prezzi del duopolio Rai-mediaset ad accontentarsi di programmi più economici e di minor richiamo; dall’altra la situazione di Sky, che pur avendo un magnate delle comunicazioni come proprietario e fatturati paragonabili a quello dei maggiori network italiani paga il fatto di avere una numero fortemente minore di ascoltatori. Dunque “non sono mercati che si concentrano a caso, ma conseguenza dei costi fissi che ogni soggetto è costretto a sostenere per poter partecipare al gioco stesso”. In tutto questo il pluralismo è fortemente compromesso, e insieme ad esso finisce col corrompersi l’intero legame fra informazione e democrazia. Polo ha quindi analizzato la situazione dell’informazione in Italia, commentando i dati d’ascolto dei telegiornali e i dati di vendita dei giornali, sottolineando come la media d’ascolto di una sola edizione dei due principali telegiornali italiani (Tg1 e Tg2) sia nettamente maggiore rispetto alla totalità dei giornali venduti. Ciò provoca uno strapotere da parte di certi telegiornali e delle ripercussioni paradossali sull’agenda setting, che in alcuni casi non possono essere limitate nemmeno dalla totalità delle altre voci. A sostegno della sua tesi ha quindi citato le conclusioni tratte questa mattina da Gian Antonio Stella in sede del Festival, approfondendo poi altri “black out di informazione” come il cosiddetto Caso Boffo dell’agosto scorso (una battaglia fra giornali risultata assente sul Tg1 e tendenzialmente ignorata dalla maggior parte opinione pubblica) o il silenzio calato sull’offerta Airfrance ai tempi della creazione della cordata Cai per il salvataggio di Alitalia. Non è da escludere, ha poi aggiunto, che ci siano interessi privati dietro alla manipolazione delle informazioni, il che rende la questione del pluralismo ancora più complessa. L’unico modo per uscire da questa stagnazione sarebbe la riconversione dell’intervento pubblico in materia editoriale in finanziamento “start up”, cioè finalizzato all’avvio di nuove voci nel panorama dell’informazione e successivamente decrescente. Ma, conclude sarcasticamente Polo, “sono italiano, so come vanno queste cose: la risposta è… buonanotte!”  
   
   
GIORNALISMO DI FRONTIERA: IL LIBRO DI WALTER MOLINO “TACI INFAME”: OLTRE GLI EROI, CRONISTI IN PERICOLO ALLA BIBLIOTECA COMUNALE NINO AMADORE, GIORNALISTA DEL SOLE 24 ORE, UNA VITA A RACCONTARE LA MAFIA DEI “COLLETTI BIANCHI”  
 
 Trento, 6 giugno 2010 - Giornalisti che fanno semplicemente il proprio lavoro. Scrivono un pezzo, lo pubblicano. Poi ricevono una telefonata nel cuore della notte. Poi un botto all’improvviso e la macchina prende fuoco, proprio sotto casa. In “Taci infame” (Saggiatore), Walter Molino racconta , il 6 giugno, un lungo viaggio in quattro regioni del Sud, dove incontra cronisti che per lavoro si aggirano nei vicoli e nelle piazzette di paese. “Non sono eroi civili – precisa Molino -. Sono semplici cronisti, spesso precari, pagati 4 centesimi a riga”. Nino Amadore, giornalista del Sole 24 Ore ha la fortuna di raccontare la mafia borderline con il sostegno della propria testata: “Io sono fortunato – ha spiegato – perché il mio giornale mi appoggia, ma la maggior parte dei corrispondenti sono soli e precari”. Sui cronisti vittime di mafie si sono scritti molti libri. “Ma questo è il primo sulla vita dei giornalisti vivi, impegnati nella cronaca mafiosa dal fronte del Sud”, come ha spiegato Molino. Nei territori dominati dalle mafie, i giornalisti che indagano e denunciano diventano bersaglio di minacce, intimidazioni e aggressioni. Lavorano solitamente in testate locali, come accadeva a Mauro Rostagno o a Peppino Impastato, sono indifesi e vulnerabili, rimangono sconosciuti, finché non arrivano a subire la violenza estrema dell´omicidio. Questo libro è un reportage esemplare sulla più inquietante periferia dell´informazione italiana, quella del Mezzogiorno d´Italia, grazie al quale vengono sottratte dal silenzio e dall´isolamento persone e storie altrimenti invisibili. Tra le vite raccontate da Molino c’è quella di Nino Amadore, giornalista e autore del libro-inchiesta sulla mafia “La zona grigia”. “Spesso mi trovo a spiegare a mia figlia qual è il mio lavoro - ha raccontato Amadore -, una vita a ricevere telefonate, macchine rigate e addirittura incendiate per raccontare notizie che in televisione hanno una risonanza addirittura didascalica”. Ma allora perché? Dove trova la forza di continuare il proprio lavoro, tra minacce, intimidazioni e mancanza di risonanza? “Chi fa questo mestiere non si accorge nemmeno delle minacce - ha detto -. Si comincia con grande ingenuità. Così è stato per me e per molti altri colleghi: ho scritto la prima inchiesta sui rifiuti del mio paese che arrivavano in una discarica abusiva. L’ho fatto ingenuamente, raccontando semplicemente quello che stava succedendo”. Poi le inchieste sul cemento per arrivare alla mafia borderline di cui parla nel suo libro (“La zona grigia”). A differenza dei giovani cronisti del libro di Molino, però, Amadore si ritiene fortunato: “Il giornale per cui scrivo mi sostiene e mi difende. Nella maggior parte dei casi, invece, i corrispondenti sono soli, sottopagati e precari”. Ed è proprio questa la realtà che “Taci infame” esplora. “Ho scritto questo libro per capire cosa accade realmente dopo le minacce - ha spiegato Molino -. Quando un cronista riceve una busta con dei proiettili, una telefonata minatoria e via dicendo apprendiamo la notizia dalle agenzie. In seguito parte il coro del sostegno da partiti, sindacati fino alla costituzione di gruppi Facebook”. E poi? “Nulla, non accade nulla - ha aggiunto -. Dopo la solidarietà a parole non succede niente e questi cronisti continuano con coraggio a raccontare quello che succede per 300 euro al mese”. Ma nella difficoltà, nella sottovalutazione e nel pericolo il testo regala uno spiraglio positivo: “Se coltivato correttamente è questo il futuro del giornalismo - ha detto Amadore -. Il giornalismo di frontiera può crescere”. Con una condizione, però: “Dobbiamo stare attenti ai miti - spiega Molino -. Autori come Saviano hanno il merito di aver raccontato a milioni di persone una realtà complicata come quella della Camorra napoletana, ma i cronisti che ogni giorno raccontano altre mafie fanno un lavoro diverso: devono pesare le parole e capire come relazionarsi con i boss mafiosi”.  
   
   
GLI IMMIGRATI E IL PORTAFOGLIO IL LIBRO DI RICCARDO STAGLIANÒ È STATO PRESENTATO PRESSO LA FACOLTÀ DI ECONOMIA, DALL’AUTORE, TONIA MASTROBUONI E VITTORIO GIACOPINI  
 
Trento, 8 giugno 2010 - E’ il target la chiave di volta di questo libro. Non tanto o non solo l’argomento o lo stile ma proprio il “target”. Si rivolge infatti non al cuore o al cervello delle persone - approcci che fin’ora non hanno avuto esiti veramente positivi - ma piuttosto al portafoglio. Fa infatti i conti Staglianò, giornalista della Repubblica e autore di “Grazie. Ecco perché senza gli immigrati saremmo perduti” e lo fa senza barare. Tonia Mastrobuoni de Il Riformista lo introduce dicendo “quello di Staglianò è un viaggio alla scoperta di ventiquattro mestieri che gli italiani non vogliono più fare”. E Vittorio Giacopini, giornalista e scrittore, aggiunge “Staglianò parla di quelle professioni, compresi i preti, in cui gli immigrati fungono da supplenza, lavori che gli italiani disdegnano: tutte 24 tranne una, quello del calciatore“. “Per scrivere questo libro ho viaggiato molto in Italia - dice Staglianò - e ho scoperto cose che non sapevo; sono venuto anche in Trentino, per seguire le storie dei raccoglitori di mele in Val di Non e quelle dei cubettatori di porfido in Val di Cembra”. Così Staglianò ha conosciuto persone come Lino Bergamo, che ogni sera prima di andare a dormire con sua moglie ringrazia per aver avuto la fortuna di incontrare alcuni ragazzi senegalesi, lavoratori indefessi, che ogni anno a settembre raccolgono le sue mele. Per raccontare queste storie, l’autore ha utilizzato un linguaggio pragmatico, scartandone altri attualmente molto in voga. “Il linguaggio che parla per esempio l’opposizione è per così dire solidaristico e non è la lingua di serie negli esseri umani e in pochi lo capiscono; la destra invece utilizza il linguaggio della paura e quello sì che è di serie; io non voglio usare nessuno dei due registri, non voglio convincere il lettore ad essere buono, non voglio dirgli cosa è giusto e cosa è sbagliato, ma semplicemente cosa gli conviene”. Dal dibattito tra i relatori emergono alcune caratteristiche relative all’immigrazione nel nostro Paese. Si sottolinea quanto purtroppo la maggior parte delle persone basi tutti i propri giudizi osservando la realtà esclusivamente da quel buco della serratura chiamato televisione. Un piccolo foro che restituisce un’immagine per molti versi distorta. Emergono anche i tratti pericolosi di certi comportamenti legati all’immigrazione, come lo sfruttamento del lavoro o la generalizzazione di scarse tutele e nessuna garanzia. Staglianò individua anche alcune responsabilità in questa situazione: “Anche la sinistra è assolutamente colpevole da questo punto di vista, perché non ha reagito come doveva ad orrori quali sono stati i respingimenti e il reato di clandestinità; è un po’ imbarazzante che le idee nuove in quest’ambito vengano da Gianfranco Fini”. Ma nella discussione emergono anche le responsabilità degli intellettuali che spesso hanno attinto da tristi storie di immigrazione per vendere libri e film, senza contribuire a fare chiarezza. Ecco dunque che l’obiettivo principale e dichiarato di “Grazie. Ecco perché senza gli immigrati saremmo perduti”- che inizialmente doveva essere “Gli indispensabili” - diventa quello di fornire ai lettori una serie di argomenti per fronteggiare la disinformazione e per replicare a coloro che denigrano studi autorevoli sul ruolo degli immigrati. Una piccola cassetta degli attrezzi insomma per orientarsi tra i giudizi più disparati e fare controinformazione.  
   
   
SAVIANO: L´OMERTA´ DI OGGI E´ NON VOLER CONOSCERE AUDITORIUM SANTA CHIARA E PIAZZE DI TRENTO PIENE PER L´AUTORE DI "GOMORRA" DELLAI: "VOGLIAMO METTERE L´ESPERIENZA DEL FESTIVAL DELL´ECONOMIA A DISPOSIZIONE DEL SUD"  
 
Trento, 8 giugno 2010 - Roberto Saviano, l´autore di "Gomorra", ha chiuso degnamente la quinta edizione del Festival dell´Economia di Trento, spiegando il funzionamento delle economie criminali e i loro intrecci con quella legale. Auditorium Santa Chiara esaurito, come pure le altre sedi dalle quali la conferenza poteva essere seguita, comprese le principali piazze di Trento. In chiusura i saluti del presidente della Provincia autonoma di Trento Lorenzo Dellai, che ha detto - a nome di tutti gli organizzatori - di voler mettere a disposizione l´esperienza del Festival al Sud, per contribuire a realizzare quanto auspicato da Saviano: conoscere, ragionare assieme, dibattere liberamente, per far crescere la "rivoluzione della legalità". L´ultimo appuntamento del Festival dell´Economia ha regalato molte emozioni e molti spunti di riflessione alle migliaia di persone che l´hanno seguito, dentro e fuori l´auditorium Santa Chiara di Trento. In apertura Giuseppe Laterza "("un editore meridionale - ha sottolineato Saviano all´inizio della sua relazione - e non è banale, perché se costa molto fare cultura in Italia è ancora più costoso al Sud") ha brevemente ripercorso le fortune di "Gomorra", libro stampato originariamente in 4.500 copie che a tutt’ oggi ne ha vendute oltre 10 milioni in tutto il mondo. Un libro scomodo e affascinante, per il quale Saviano ha pagato con la sua libertà personale, dal momento che, poco dopo la pubblicazione, è stato costretto ad accettare una scorta e tutte le limitazioni che comporta l´essere costantemente sotto la minaccia dei boss della camorra. "La fortuna di questo libro - ha chiosato Laterza - ci fa riflettere sul potere della parola, e rappresenta la degna conclusione ad un festival dell´economia dedicato al tema della conoscenza, in tutte le sue declinazioni." Saviano - che si è detto molto contento di essere per la prima volta a Trento, città dove è nata la madre - ha voluto a sua volta iniziare con una parola "economia". "Il sottotitolo che avevo scelto per ´Gomorra´, ossia ´Viaggio nell´impero economico e nel sogno di dominio della camorra´ all´inizio venne considerato una pessima scelta di marketing. Si pensava che la parola ´economia´ non avrebbe aiutato le vendite. Eppure parlare di economie criminali oggi significa parlare di questo, del motore imprenditoriale e finanziario più forte del Paese. 100 miliardi di euro è il profitto annuale realizzato dalle organizzazioni più importanti. Non esiste gruppo imprenditoriale oggi in Italia che possa ottenere un profitto così alto in un tempo così breve. Ma la vera forza di questo sistema è di legare il mercato illegale con quello legale. Il boss è una persona che usa il crimine per fare affari. E dalla crisi economica in poi gli affari sono enormemente aumentati, specie sul versante bancario. I soldi del narcotraffico stanno entrando negli istituti di credito, che hanno bisogno di liquidità. Quando la crisi sarà terminata questi capitali determineranno le scelte finanziarie di quelle banche. Negli ultimi anni le organizzazioni criminali - mafia, camorra, ´ndrangheta - si stanno dando una struttura ´all stars´; in pratica i ´migliori´ di loro si confrontano, fanno affari assieme all´estero, soprattutto all´Est. Tutto questo è iniziato già con la caduta del Muro di Berlino: dal mio paese ad esempio sono partiti degli emissari verso la Romania, dove hanno fondato un´impresa, ´Albanova´ (il vecchio nome di Casal del Principe); in pochi mesi, mettendo sotto contratto gli ex-funzionari del regime, hanno creato una rete tale per cui le altre imprese che volevano entrare nel Paese dovevano passare attraverso di loro per avere le autorizzazioni necessarie ad impiantare un´attività in tre mesi anziché in due o tre anni. Faccendieri dei clan sono andati all´Est a comprare di tutto, anche i titoli di Stato. In questo modo, le organizzazioni criminali si comprano stati interi. In Europa." In tutto questo i soldi generati dal narcotraffico - soprattutto della cocaina - sono determinanti. "Adesso sta emergendo che una delle più grandi compagnie telefoniche europee sarebbe utilizzata per ripulire denaro sporco. Non stiamo parlando di cose lontane o che riguardano solo il Meridione. In via Veneto a Roma - la strada de ´La dolce vita´ - c´è un caffè aperto con i soldi del narcotraffico. Lo stesso in piazza di Spagna. E così via. Sono lì, tutti lo sanno. C´è un´inchiesta da cui risulta il tentativo di clan dell´Aspromonte di infiltrarsi nella distribuzione delle mele trentine. Al concerto del 1° maggio, che tutti abbiamo visto in tv, sono stati presi trenta spacciatori. Lo stesso avviene alle partite di calcio. Però tutti questi episodi vengono considerati isolatamente. Se ne occupa il cronista di nera, il giudice meridonale... Si perde il disegno d´insieme, si perdono le connessioni. Poi, a volte succede qualcosa. Ad esempio, il cittadino-lettore comincia a riflettere, a indignarsi. A questo punto si alza qualcuno e dice: chi ne parla infanga il nome dell´Italia nel mondo. Chi ne parla specula sulle disgrazie della sua gente. Insomma, ti dà la colpa di raccontare. I più intelligenti ribattono: è una stupidaggine. Poi anche chi vive in quei luoghi comincia a stancarsi di doversi continuamente giustificare, di dire: ´Io non sono mafioso´. Dobbiamo capire che non è con il silenzio che si risolvono i problemi. Anzi. Noi italiani abbiamo insegnato al resto del mondo a combattere la mafia. La nostra legislazione è la migliore. E´ esattamente il contrario: è stando in silenzio che passiamo per omertosi. E´ stando zitti che danneggiamo il nostro Paese." Saviano ha insistito sull´intreccio fra economia legale e illegale. "Prendiamo le estorsioni. Noi crediamo che funzioni così: arriva qualcuno e punta una pistola in testa a un negoziante, dicendogli, o mi versi la tangente o ti sparo. Sono solo i clan pezzenti che fanno così. La tipica estorsione oggi consiste nel versare una parte del tuo guadagno per avere dei servizi. Se paghi, ad esempio, i camion arriveranno al tuo supermercato in tempo, e viaggeranno con benzina scontata. Per questo denunciare l´estorsione è così difficile: perché accettarne la logica significa ottenere dei vantaggi economici. Quando esplose il caso Parmalat emerse proprio questo: che i prodotti Parmalat erano entrati prepotentemente nei mercati del Sud grazie all´intermediazione criminale." Questo meccanismo si trasferisce poi dal piano economico a quello politico. "Funziona così con il voto di scambio. Il meccanismo è noto: l´elettore entra nella cabina elettorale con la scheda già segnata e timbrata, ed esce consegnando la scheda che ha ritirato al seggio all´uomo del clan. Ma dietro cosa c´è? C´è l´idea che tu voti qualcuno perché ti dia qualcosa: un parcheggio, una licenza, un posto di lavoro. Tutte cose a cui tu avresti diritto come cittadino. Invece così diventano merce di scambio." Infine, un accorato appello al rispetto delle regole. "I boss non rappresentano l´antistato. Non si sentono così. Si sentono imprenditori, che rifiutano regole che, a loro giudizio, frenano l´economia. Sempre dove c´è economia criminale c´è qualcuno che parla contro le regole. Invece la regola è una forma di libertà, non di costrizione. La forza del mio libro è data dalla gente che lo ha letto, gente che capisce che le cose non vanno bene, che inizia a sentirsi ´diversa´. Gente che si rende conto che i poteri che comandano non sono puliti, che questo non è il paese della conoscenza ma delle conoscenze. La grande speranza è che ci si possa unire trasversalmente sul tema della legalità, che è un tema rivoluzionario." Ed ancora, quasi a suggello del festival dedicato al tema "informazione, scelte e sviluppo": "L´omertà di oggi è non voler conoscere". Dopo l´intervento di Saviano è salito sul palco il presidente della Provincia autonoma di Trento Lorenzo Dellai, assieme agli altri organizzatori della manifestazione, per un saluto finale, che è anche una rassicurazione: "Come sempre, nei prossimi giorni, ci troveremo per fare un bilancio di queste giornate, ma posso dire fin d´ora che questa edizione del festival è andata molto bene, che Trento con questa manifestazione sente di fare un servizio anche al resto del Paese, offrendo stimoli e spunti di conoscenza. Quindi, non ci fermeremo." Rivolgendosi a Saviano, e ringraziandolo per avere accettato l´invito del Trentino, Dellai ha aggiunto: "L´impegno che possiamo prendere è di mettere il Festival dell´Economia a disposizione anche del Sud del Paese, nelle forme che andremo ad immaginare nel prossimo futuro, per offrire anche noi il nostro contributo alla crescita di una conoscenza libera."  
   
   
LIRICA: VENERDI’ “DON GIOVANNI” A VILLA CONTARINI DI PIAZZOLA SUL BRENTA  
 
Venezia, 8 giugno 2010 - Venerdì sera sarà messo in scena a Villa Contarini a Piazzola sul Brenta (Padova) l’allestimento del "Don Giovanni" di Wolfgang Amadeus Mozart, sotto la direzione di Giulio Svegliado e la regia di Gianmaria Romagnoli. "E la conferma dell´attenzione della Regione nei confronti della produzione lirica – evidenzia il vicepresidente della giunta veneta e assessore alla cultura, Marino Zorzato – che nel Veneto è una produzione di qualità tale da riuscire ad avere un seguito di migliaia di appassionati, con ricadute positive anche sul piano economico. E’ il segno della grande tradizione che abbiamo in campo musicale e delle potenzialità sotto il profilo artistico che siamo in grado di esprimere. Mi auguro che iniziative come questa continuino a riscuotere l’interesse anche di coloro che hanno scelto il Veneto per trascorrere le proprie vacanze”. “Un ulteriore aspetto da sottolineare – conclude Zorzato – è l’utilizzo di un prestigioso contenitore culturale come Villa Contarini, proseguendo nella linea d’azione con cui la Regione punta a promuovere la tutela ma anche la fruizione del proprio patrimonio storico, artistico ed architettonico. Gli spettacoli e le manifestazioni nelle ville venete rappresentano quindi un tassello importante per la promozione dell´immagine culturale e turistica dei territori della nostra regione”.  
   
   
MUSICA SU ACQUA, FESTIVAL PIÙ SUGGESTIVO  
 
Milano, 8 giugno 2010 - E´ stata presentata ieri in Regione Lombardia dall´assessore alla Cultura Massimo Buscemi la sesta edizione del festival "Musica sull´acqua" che si svolgerà dal 4 al 24 luglio in alcune storiche ambientazioni del lago di Lecco come la villa Monastero di Varenna, l´abbazia di Piona e la storica sede della società canottieri di Lecco. Presenti, tra gli altri, l´assessore alla Cultura, Beni culturali, Identità e Tradizioni della Provincia di Lecco, Marco Benedetti e il direttore artistico del Festival, Francesco Senese. Caratteristica di "Musica sull´acqua" è quella di riunire giovani solisti emergenti e nomi affermati dl concertismo internazionale, che spesso neppure si conoscono, per realizzare insieme un programma che stimoli un nuovo approccio delle opere eseguite. "Musica sull´acqua - ha detto l´assessore Buscemi - è il più suggestivo festival italiano sia per la musica che si ascolta sia per le location dove si svolgono i concerti. La Lombardia è nota per il suo artigianato, per i suoi prodotti agricoli ma anche per il turismo e per le sue bellezze artistiche e paesaggistiche che devono essere conosciute anche oltre confine. Regione Lombardia - ha concluso l´assessore Buscemi - tra gli obiettivi di questa legislatura ha proprio quello di far conoscere la nostra Regione come terra di cultura". Il Festival (sei concerti in cui si celebreranno Frédéric Chopin e Robert Schumann a 200 anni dalla nascita) vanta l´Alto Patronato del Presidente della Repubblica e avrà anche per l´edizione 2010 dei percorsi per ragazzi che saranno dedicati alla mimica del corpo, alle percussioni e alla capacità di espressione sonora.  
   
   
A SALSO LA CULTURA DEL MONDO DAL 5 AL 13 GIUGNO IL FESTIVAL “INCONTRARSI A SALSOMAGGIORE”: LETTERATURA, TEATRO E MUSICA CON NOMI DI PRESTIGIO DEL PANORAMA INTERNAZIONALE. TUTTI GLI EVENTI A INGRESSO LIBERO.  
 
 Parma, 8 giugno 2010 – Giuliana Sgrena, Ildefonso Falcones, Sergio Romano, Marcia Theophilo, Oliviero Toscani, Vittorio Sgarbi, Paola Gassman e Giulio Giorello. Sono solo alcuni dei protagonisti del festival “Incontrarsi a Salsomaggiore”, giunto alla quarta edizione, che si terrà dal 5 al 13 giugno nella cittadina termale: nove giorni, con eventi tutti a ingresso libero, all’insegna dell’incontro e della contaminazione tra le culture durante i quali si confronteranno giornalisti, scrittori, donne e uomini d’arte. Il Festival è organizzato dall’Associazione Incontrarsi a Salsomaggiore con il contributo del Comune di Salsomaggiore, della Provincia di Parma, della Regione Emilia-romagna, di Banca Monte Parma, della Camera di Commercio di Parma, dell’Unione Parmense degli Industriali e il sostegno di altre realtà del territorio. “Anche in un anno così difficile per la cultura siamo riusciti a organizzare un festival di alto livello – ha detto Fabrizio Cesario dell’Associazione Incontrarsi a Salsomaggiore, introducendo l’incontro di presentazione questa mattina al Parma Point –. Un evento di levatura nazionale che porterà a Salsomaggiore non solo cultura ma anche turismo e che avrà quindi buone ricadute su tutto il territorio.” “La Provincia ha investito fin dal primo anno in questa manifestazione e continuiamo a crederci perché pensiamo che investire in termini culturali sia vincente – ha spiegato l’assessore provinciale alla Cultura Giuseppe Romanini -. Ogni appuntamento servirà a far riflettere, a confrontarsi e a scambiarsi idee. Sarà inoltre un’ottima occasione per vivere Salsomaggiore in un modo diverso, nell’incontro con altre culture.” “Quando si parla di Salsomaggiore si pensa subito a Miss Italia, ma Salsomaggiore non è solo Miss Italia e questa iniziativa ne è la dimostrazione” ha affermato il sindaco di Salsomaggiore Massimo Tedeschi, che ha aggiunto: “L’auspicio è che Salsomaggiore possa stabilire una relazione ancora più forte con Parma, in modo che le iniziative di un comune abbiamo ricadute sull’altro”. “Siamo soddisfatti di legare il nome della banca a un evento di grande spessore come questo, che qualifica la proposta culturale del nostro territorio: è un “contenitore culturale” ancora più importante perché sfocia in un confronto di idee”, ha aggiunto Erico Verderi, responsabile della Segreteria generale e delle relazioni esterne di Banca Monte Parma. L’edizione 2010, così come quella dello scorso anno, si avvale della direzione artistica di Mariangela ed Eleonora Guandalini, che definiscono il festival “un luogo d’incontro delle culture del mondo” e che questa mattina ne hanno presentato il programma. “Il periodo che stiamo attraversando è caratterizzato da crisi d’identità politiche ed economiche, sociali e religiose. A Salsomaggiore si vuole provare a discutere e a confrontarsi sull’oggi, a partire dai libri e dai vissuti degli ospiti protagonisti – ha spiegato Mariangela Guandalini -. La gente che verrà a Salsomaggiore non assisterà alla “solita” presentazione di libri che si può vedere uguale in ogni città ma potrà assistere a un evento, un dialogo, un dibattito unico, che si può sentire solo in quel luogo e in quel momento.” Tra gli ospiti presenti, la poetessa brasiliana Marcia Theophilo (5 giugno), candidata al Nobel per la letteratura, che leggerà la sua opera sull’Amazzonia, Sergio Romano (6 giugno), che parlerà dell’Unità d’Italia con il giornalista Antonio Polito, Paola Gassman (7 giugno), che presenterà il suo libro “Una grande famiglia alle spalle”, Ildefonso Falcones (9 giugno), che arriverà da Madrid appositamente per il Festival per dialogare con lo scrittore Bruno Arpaia del suo libro “La mano di Fatima”; mentre Giuliana Sgrena (9 giugno) presenterà “Il ritorno. Dentro il nuovo Iraq”. Oliviero Toscani e Domenico De Masi si confronteranno sulla “cultura del bello” (7 giugno), mentre Giulio Giorello, Riccardo Chiaberge e Massimo Teodori tratteranno il tema “Il pensiero Laico” (10 giugno). L’incontro, tema centrale della manifestazione, diventa sinonimo anche di confronto con le altre culture. Durante i nove giorni del festival saranno infatti presentate le storie di scrittori, come Laila Wadia (5 giugno), Younis Tawfik (8 gugno) e Pap Khouma (11 giugno), che guardano la nostra società attraverso la ricchezza delle loro radici indiane, irachene e senegalesi. “Abbiamo pensato di inserire nella rassegna anche scrittori stranieri e abbiamo scelto quelli che scrivono del loro Paese in lingua italiana per evitare la mediazione della traduzione – ha precisato Eleonora Guandalini -. In questo modo non c’è alcun tramite tra l’autore e ciò che vuole dire, e il suo pensiero non può in alcun modo essere falsato”. Il festival darà spazio anche all’arte, con la lectio magistralis di Vittorio Sgarbi su Caravaggio (11 giugno), al cinema con Pupi Avati (12 giugno), e allo spettacolo di qualità, con Gigi Dall’aglio che omaggia Shakespeare (6 giugno) e Tania Rocchetta che legge Alda Merini (12 giugno). Non poteva mancare la musica: Andrea Mugnai con lo spettacolo “Vento in poppa e ritmo nei piedi” (8 giugno) e il concerto di pizzica e taranta dei Mascarimirì (13 giugno). Per informazioni: Per il programma e l’elenco completo degli ospiti, gli orari e le convenzioni per chi arriva da fuori città: www.Incontrarsiasalsomaggiore.org/    
   
   
“MUSEI CHE HANNO STOFFA” ENTRO L’ANNO IN UMBRIA 25 STRUTTURE COINVOLTE NEL PROGETTO  
 
Perugia, 8 giugno 2010 – Verrà esteso entro l’anno ad altre dodici strutture museali il progetto “Musei che hanno stoffa”, nato su iniziativa del Comune di Spoleto che, insieme al Comune di Sant’anatolia di Narco, ha ottenuto dalla Regione Umbria, nell’ambito del Piano 2008 di valorizzazione dei musei, un contributo di 24mila euro per la realizzazione di prodotti per il circuito dei propri musei tessili (Museo del costume e del tessuto, Museo diocesano e Basilica di Sant’eufemia, Museo della canapa). Il progetto, che ha già coinvolto tredici musei del Sistema Museale dell’Umbria dedicati al tema o che possiedono manufatti tessili di vario genere e verrà ampliato a cura dei due Comuni e dell’Arcidiocesi di Spoleto-norcia con un ulteriore contributo regionale di 20mila euro, è stato illustrato stamani a Palazzo Donini. “L’obiettivo – ha sottolineato l’assessore regionale alla Cultura Fabrizio Bracco – è quello di realizzare un circuito per valorizzare un patrimonio che è parte della nostra storia, fatto di stoffe e tessuti di maggiore o minore pregio, prodotti dell’ingegno e dell’abilità in particolare delle donne umbre”. “L’arte tessile è una delle tradizioni legate all’identità umbra – ha aggiunto – che questo progetto si propone di far conoscere attraverso i manufatti del passato fino alla sua produzione attuale, favorendo anche il recupero di attività artigianali. Con ‘Musei che hanno stoffa’, avviato dall’assessore Rometti e che viene ora ampliato, si crea una filiera tra produzione, fruizione e capacità del prodotto tessile di essere punto di riferimento e di ulteriore sviluppo”. L’importanza di “una rete museale che, a livello regionale, possa essere creata per i musei che ospitano collezioni di tessuti, costumi e manufatti tessili, pizzo, merletti, paramenti sacri” è stata sottolineata dall’assessore allo Sviluppo economico del Comune di Spoleto, Maria Margherita Lezi. “Il progetto che abbiamo presentato alla Regione Umbria – ha detto – rappresenta un punto di partenza significativo per fare sistema e promuovere le nostre città e l’intera regione a livello nazionale e internazionale”. Nelle attività museali, inoltre, vengono coinvolte le scuole. “Chiederemo inserimento del progetto nel piano dell’offerta formativa”, ha detto Lezi. Il sindaco di Sant’anatolia di Narco, Tullio Fibraroli, ha rimarcato “il grande interesse riscontrato, dai bambini agli anziani, che dimostra la validità di ‘Musei che hanno stoffa’”, ricordando come grazie al Museo dedicato alla canapa siano state riscoperte coltivazioni e produzioni artigianali. Ai visitatori dei musei umbri che fanno parte della rete dei “Musei che hanno stoffa” verrà offerto anche una documentazione specifica. Ogni museo, ha spiegato il direttore regionale Ernesta Maria Ranieri, ha una scheda esplicativa, due per i musei dedicati esclusivamente alle arti tessili, in cui sono presentate le collezioni e le tipologie esposte. L’intera serie potrà essere conservata in un raccoglitore ad anelli appositamente realizzato. “La formula ‘aperta’ – ha detto Ranieri - costituisce una novità negli strumenti di comunicazione dei musei umbri, così come per la prima volta trova applicazione l’immagine coordinata che la Regione Umbria ha individuato per la promozione del suo patrimonio museale e dei parchi”. Oltre alle schede, è stato realizzato anche un gioco “d’epoca”, destinato ai bambini, “Véstiti, andiamo al museo”. Si tratta di un fascicolo con figure di carta da ritagliare e vestire con abiti ripresi dai costumi e accessori conservati nei musei umbri. Al gioco “Véstiti, andiamo al museo” è dedicato uno speciale laboratorio, per bambini dai 6 agli 11 anni, organizzato nei singoli musei, sabato 12 giugno dalle 15 alle 18; a Perugia domenica 13 giugno nel Museo laboratorio “Giuditta Brozzetti”. I musei coinvolti nella prima fase del progetto sono Museo comunale di Palazzo Santi, Cascia; Museo Laboratorio “Tela Umbra”, Città di Castello; Museo di San Francesco, Montone; Museo di San Francesco, Montefalco; Museo del tulle Anita Belleschi Grifoni, Panicale; Casa Museo Palazzo Sorbello, Perugia; Museo Laboratorio “Giuditta Brozzetti”, Perugia; Museo della canapa, antenna dell’ecomuseo della Valnerina, Sant’anatolia di Narco; Museo del costume e del tessuto, Spoleto; Museo diocesano e Basilica di Sant’eufemia, Spoleto; Museo civico Palazzo dei Cnsoli, Todi; useo del Merletto di Isola Maggiore, Tuoro sul Trasimeno; Museo del ricamo e del tessile, Valtopina. Nell’ampliamento saranno presi in considerazione gli altri musei di: Assisi, Città di Castello, Corciano, Foligno, Gualdo Tadino, Gubbio, Orvieto, Panicale, Perugia, Spello, Terni e Torgiano.  
   
   
GIAMBATTISTA PIRANESI. MATRICI INCISE 1743-1753 ROMA, CALCOGRAFIA 9 GIUGNO –18 LUGLIO 2010  
 
Roma, 8 giugno 2010 - In occasione dei 35 anni dalla fondazione dell´Istituto Nazionale per la Grafica si inaugura la mostra di una selezione dei rami incisi da Giambattista Piranesi (Venezia 1720 – Roma 1778) dopo il suo arrivo a Roma nel 1740, solo una piccola parte delle 1191 matrici possedute dalla Calcografia Piranesi, uno dei fondi più prestigiosi dell´Istituto Nazionale per la Grafica. Con questa scelta si presenta il lavoro svolto dall´Istituto nell´ambito di Progetto Piranesi, programma che ha un duplice obiettivo: operare una revisione dei rami che comprenda il restauro e l´analisi diagnostica dell´inciso, che oggi si serve delle nuove metodologie d´indagine del Laboratorio diagnostico per le matrici, e fornire agli studiosi di Piranesi uno strumento che consenta ulteriori approfondimenti riguardo al suo modo di lavorare, alla storia della sua collezione personale, ai successivi interventi di suo figlio Francesco e non ultimo, al ruolo svolto dalla famosa bottega a Palazzo Tomati in via Sistina. Dati che però saranno confrontabili solo alla fine del lavoro di analisi dell´intera opera, prevista per il 2020, anno del terzo centenario della nascita dell´artista. La Calcografia Piranesi, che conta al suo interno 964 matrici autografe, è stata considerata una collezione di pregio sino dal suo arrivo a Civitavecchia, il 5 marzo 1839, a bordo del vapore Maria Antonietta proveniente da Marsiglia. Come ci informa un documento doganale le casse furono caricate su quattro carri: “rami da condurre in Roma alla Calcografia Camerale in Fontana di Trevi...”, secondo le disposizioni del cardinale tesoriere Antonio Tosti che aveva condotto l´acquisto dalla famosa stamperia parigina dei Firmin Didot, per conto di papa Gregorio Xvi. Il papa riportava così in Italia l´intera collezione di matrici che Francesco, figlio di Piranesi, nel 1799 aveva trasferito a Parigi, costretto a partire per aver preso parte agli avvenimenti della Repubblica Romana. La mostra costituisce anche un´occasione per far conoscere le matrici originali di un incisore che ha contribuito a diffondere una nuova immagine di Roma, e si pone l´obiettivo di avvicinare il pubblico alla complessa materia legata alla realizzazione della stampa, ottenuta in questo caso con l´acquaforte e un sapiente uso del bulino. Sono presentati alcuni rami dalle serie Prima parte di Architetture, e Prospettive e di Alcune vedute di Archi Trionfali, le matrici della Caduta di Fetonte, rifiutate dallo stesso Piranesi che ne utilizzò il verso per incidervi due famose vedute di Roma, i quattro Grotteschi e l´intera serie delle Carceri che con la loro forte valenza visionaria hanno affascinato e ispirato romanzieri, artisti e registi già a cominciare dalla seconda metà del Settecento. In questa occasione è inoltre possibile confrontare direttamente, per la prima volta, le matrici delle Carceri con le stampe della prima edizione, molto rara, rilegata nel volume donato all´Accademia di San Luca dallo stesso Piranesi nel 1761, quando divenne accademico. La mostra si conclude con le matrici della serie dei Trofei di Ottaviano Augusto edita nel 1753, preludio all´opera monumentale delle Antichità Romane del 1756, che sarà oggetto del prossimo studio, e documenta quindi il lavoro svolto dall´artista veneziano tra il 1743 e il 1753, con la sola eccezione delle Carceri reincise nel 1761, periodo che vede l´arrivo di Piranesi a Roma e l´inizio del suo apprendistato come incisore e disegnatore di antichità e vedute. Le matrici realizzate in questi anni sono quasi interamente conservate in Istituto, a eccezione del rame della Real Villa dell´Ambrogiana, e di quelli delle Varie vedute di Roma Antica e moderna, assenza spiegabile in parte per il tipo di pubblicazione a cui erano destinati, ma anche per il fatto che si trattava di opere su commissione e quindi le matrici spesso restavano in possesso dell´editore o del committente. Potrebbe essere il caso infatti del rame in mostra della Topografia di Roma, inciso con Carlo Nolli, e di quelli della Pianta del corso del Tevere e sue adiacenze, giunti in Calcografia in tempi diversi in quanto non facevano parte della Calcografia Piranesi, probabilmente perché, essendo stati eseguiti su commissione, non erano di proprietà dell´artista. In mostra sono stati esposti anche alcuni rami acciaiati o cromati, per far conoscere questa procedura tecnica usata in Calcografia tra Ottocento e Novecento per poter consentire una più ampia tiratura delle matrici. Questo lavoro affronta quindi problematiche diverse - anche se strettamente correlate - rispetto allo studio delle stampe, che per natura sono un multiplo per eccellenza, e in questo senso vuole offrire un ulteriore strumento a chi studia il complesso fenomeno della grafica a stampa. Il lavoro svolto sulle prime novanta matrici di Piranesi è pubblicato nel volume Giambattista Piranesi Matrici incise 1743-1753, a cura di Ginevra Mariani per le Edizioni Gabriele Mazzotta. La mostra è stata realizzata con il contributo del Collegio Provinciale dei Geometri e dei Geometri Laureati di Roma, Presidente Marco D´alesio. La mostra sarà inaugurata in coincidenza del Xxii Convegno Internazionale dei Direttori delle Collezioni Grafiche (International Advisory Committee of Keepers of Public Collections of Graphic Art).