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LUNEDI
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Notiziario Marketpress di
Lunedì 26 Settembre 2011 |
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IT, E’ CRISI: -1,7% NEL 1° SEMESTRE 2011 |
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Angelucci: “La crisi dell’Ict ipoteca le capacità di crescita: il Decreto Sviluppo scommetta sulla digitalizzazione del Paese. Risorse non preventivate dell’asta sull’Lte impiegate per rilanciare i progetti di dematerializzazione della Pa e generare nuovi investimenti delle imprese. Far partire realmente gli investimenti sulla banda ultralarga, privatizzazioni delle società pubbliche di Ict, pagamenti certi, aggregazione delle imprese per condividere servizi e infrastrutture avanzate, regole concorrenziali e trasparenti per garantire il ritorno delle investimenti in Ict”. “Il calo dell’1,7% registrato dalla domanda di Information Technology nel primo semestre del 2011, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, conferma che l’It italiano sta vivendo una forte crisi di mercato, che perdurerà nei prossimi mesi, con il rischio di ulteriore aggravamento. A fronte delle caratteristiche recessive della manovra finanziaria di agosto, infatti, siamo stati costretti ad aggiornare le stime sul trend del settore nell’anno, individuando un range che va da una riduzione della domanda It di -1,2% nell’ipotesi più favorevole e a un -2,8% in quella pessimista” - Non ha usato mezzi termini Paolo Angelucci, Presidente di Assinform, nell’aprire oggi a Milano la conferenza stampa di anticipazione sull’andamento dei settori It e Tlc nel primo semestre 2011, elaborato in collaborazione con Netconsulting. D’altro canto i dati parlano chiaro, confermati dall’indagine congiunturale effettuata a luglio su un campione di aziende associate, da cui emerge come in questo momento le medie e grandi imprese dell’It manifestino uno stato di sofferenza sull’andamento di fatturati (in peggioramento per il 25% delle medie rispetto al 14% rilevato ad aprile, per il 7% delle grandi rispetto al 5% di aprile) segno dei tagli di spesa, del differimento degli investimenti da parte soprattutto dei grandi clienti: la Pa, il settore bancario, la grande distribuzione, l’industria, situazione ancor più aggravata dai crescenti ritardi di pagamento. Gli ordinativi sono in peggioramento per il 25% delle piccole e delle medie (rispettivamente il 23% e il 14% ad aprile), mentre sul fronte dell’occupazione la gravità della crisi si manifesta con un netto peggioramento del numero dei dipendenti per il 29% delle grandi imprese e il 25% delle medie (rispettivamente 5,6% e 14,3% ad aprile), mentre per i consulenti il peggioramento riguarda il 25% delle medie (ad aprile le medie si dividevano fra 57% stabile e 43% migliorato), mentre nelle grandi imprese riappare la voce “molto peggiorato” per quasi l’8%. Vale per tutte le categorie di imprese It uno stato di crescente indebitamento e l’aumento allarmante della voce crediti insoluti, in peggioramento per il 27% del campione, a fronte del 17,5% rilevato ad aprile. “Ma attenzione il rosso dell’It non riguarda solo la crisi di un settore - ha messo in guardia il presidente di Assinform - qui siamo di fronte a un pesante colpo di freno sulle capacità stesse di ripresa dell’intera economia italiana. L’it è chiamato più di altri settori industriali a continui e crescenti investimenti per tenere il passo dell’innovazione, la sua capillarità e trasversalità ne fanno un settore base delle economie globalizzate. Le tecnologie digitali, accessibili a tutti a basso costo sono il più potente fattore di accelerazione e moltiplicatore dello sviluppo, con capacità di impattare rapidamente sull’efficienza dei processi, sul valore di prodotti e servizi, sulla qualità della vita. Dalla depressione della domanda It, dalla grave sottovalutazione delle potenzialità dell’Ict di cui l’Italia soffre da anni, discende l’immobilismo del Paese, che ha grosse difficoltà a produrre nuove e significative opportunità di sviluppo. Il processo di digitalizzazione, tuttavia, non è fermo, ma viaggia ormai soprattutto a livello locale, attraverso i piani e l’azione propulsiva di alcune Regioni e a livello spontaneo, grazie a spinte dal basso. Tanti gli esempi virtuosi, uno per tutti quello dell’Emilia Romagna, dove l’amministrazione regionale, intensificando la digitalizzazione, risparmia su carta, energia, spazi, trasporti per milioni di euro, ed ha stimato che se in tutte le l’amministrazioni regionali italiane si facesse allo stesso modo si risparmierebbero solo per queste voci almeno 40 milioni di euro, migliorando anche la qualità dei servizi. Il successo dei tablet: questi ultimi nei primi sei mesi dell’anno hanno registrato una crescita del 347% passando dalle 89.000 unità vendute nel primo semestre 2010, alle 398.000 di giugno 2011. Un altro piccolo, ma significativo segnale positivo è costituito dalla risalita del software a +0,3%, rispetto al - 1,2% registrato a fine primo semestre dell’anno precedente, a riprova del fatto che le imprese continuano a investire, anche se meno di prima. “Oggi finalmente si riparla di crescita al tavolo del Ministero dell’Economia – ha proseguito il presidente di Assinform – bene, è giunta l’ora di scommettere sull’Ict. Questo settore, attraverso l’asta sulle frequenze Lte, riverserà nelle casse pubbliche risorse dell’ordine di almeno 1 miliardo di euro in più rispetto a quelle preventivate. Una parte dovrebbe essere utilizzata nei progetti di digitalizzazione nelle pubbliche amministrazioni. Ipotizzando l’impiego di solo 200 milioni di euro verrebbero, così, attivati dal sistema delle imprese investimenti per almeno 1 miliardo di euro in innovazione Ict . L’effetto totale sarebbe di grande accelerazione dell’economia e dello sviluppo su tutti i fronti, perché questo è il fattore moltiplicatore delle tecnologie digitali. E’ una scelta che ci attendiamo dal Governo attraverso il preannunciato decreto per lo sviluppo”. Angelucci ha poi concluso:- “Non ci sono alternative: la digitalizzazione è un percorso strategico di crescita per il Paese, e di incremento occupazionale”- indicando fra le priorità, a costo zero per le finanze pubbliche: –“la rimozione delle le condizioni normative che impediscono un’ ampia e rapida diffusione dell’innovazione digitale, il rilancio del tavolo sulla banda ultralarga, la privatizzazione delle società pubbliche di Ict, il sostegno ai processi di aggregazione delle imprese per condividere servizi e infrastrutture avanzate, regole concorrenziali e trasparenti per qualificare le gare pubbliche dei servizi It, garantire il ritorno delle investimenti per la Pubblica Amministrazione e rendere certi i tempi dei pagamenti”. Il mercato dell’Ict - Informatica (It) e Telecomunicazioni (Tlc) – si è attestato a metà 2011 a quota 28.913 milioni di euro, con un calo di -2,4% eguale a quello registrato nel primo semestre dell’anno precedente. Il mercato dell´informatica, 8.763 milioni di euro ha mostrato uno slittamento (-1,7%) più contenuto rispetto alla prima parte del 2010 (-2,5%) e soprattutto del 2009 (-9%), a conferma dello sforzo delle imprese di continuare comunque ad investire in It anche in condizioni di criticità. In questo senso vanno anche i cali molto modesti delle componenti dei servizi (-1,2%, contro il -3,7% del primo semestre 2010) e dalla tenuta del software (+0,3, a fronte del - 1,2% del primo semestre 2010). Questo mentre sul calo dell’hardware (-4,1%) hanno influito oggettivamente una difficoltà di mercato e il calo dei prezzi. Il mercato delle telecomunicazioni (apparati, terminali e servizi per reti fisse e mobili) è risultato pari a 20.150 milioni, con un calo (-2,7%) che appesantisce ulteriormente quello dell’anno prima (-2,3%), ancora per effetto di evoluzioni fisiologiche sul fronte delle componenti di rete fissa e di evoluzioni tariffarie non compensate da maggiori volumi di traffico nelle aree di punta (servizi in banda larga, servizi valore aggiunto su rete mobile, ecc.).. Il mercato italiano dell’It (8763; -1,7%) - pur mostrando evoluzioni qualitative interessanti sui fronti delle applicazioni mobili, del cloud computing, dell’informatica personale, dei pagamenti - permane in una fase recessiva. Le componenti assunte a indicatore della volontà di innovare (software e servizi) sono quelle che meno hanno sofferto, senza però compensare un calo dell’hardware che dà conto dei limiti oggettivi a investire in un contesto di stagnazione. Nell’hardware, il calo delle vendite in valore (-4,1%, da rapportare al -1,1% del primo semestre 2011) è testimoniato soprattutto dal calo delle vendite di Pc (3.129.000 unità, -12,8%), risultante da un calo marcato dei portatili (2.100.000 unità, -14,6%) e dei desktop (940.000, - 9,7%), non certo compensato dal lieve incremento del Pc server (89.000, +1,6%) . Il calo riporta i risultati di vendita in volume al di sotto dei livelli del primo semestre del 2009, dopo il forte ricupero del primo semestre del 2010 (3.587.600 unità, + 16%). Tutto questo in volumi. Infatti, il risultato in valore ha sofferto anche di un calo dei prezzi medi unitari del 3-4%. Nota positiva del comparto è il decollo dei tablet Pc, che con 398.000 unità mostrano vendite quadruplicate rispetto al primo semestre del 2010. Nel software (1.937 milioni di euro) il mercato ha tenuto, mostrando anche un lieve incremento (+0,3% contro il -1,2% del periodo corrispondente dell’anno prima). Stentano a ripartire i progetti più corposi, ma le imprese cercano comunque di non trascurare le dotazioni It. Infatti, il software di sistema (255 milioni) ha contenuto il calo al – 0,8% contro il -1,2% del primo semestre 2010; il software applicativo (1.127, - 0,2%) è rimasto pressoché stabile, mentre il middleware (555 milioni) è cresciuto dell’1,8%. In chiave di resistenza alle difficoltà congiunturali vanno interpretati anche gli andamenti nei servizi It (4.164 milioni), che calano ancora, ma di poco (-1,2% nel complesso) e assai meno che nel primo semestre del 2010 (-3,7%) e del 2009 (-7,3% ). In questo caso gioca a sfavore del mercato la pressione sulle tariffe, che potrà attenuarsi solo con una ripresa complessiva della domanda It e con criteri di assegnazione di gare e commesse più orientati alla qualità ed efficacia delle prestazioni che al minimo prezzo. Nel primo semestre 2011 il mercato delle telecomunicazioni (apparati, terminali e servizi per reti fisse e mobili) ha raggiunto i 20.150 milioni di euro (-2,7%), limando al ribasso la già modesta performance dell’anno prima (-2,3%). Tutte le componenti sono risultate in affanno: le infrastrutture (1.615 milioni, in calo del -3,3%, dopo il -5,6% dell’anno prima), che continuano a soffrire di un quadro di riferimento incerto; i terminali (2.490 milioni, -0,8%); e la componente più corposa, quella dei servizi (16.045 milioni- 2,9%, dopo il – 2,2% dell’anno prima), per la prosecuzione di lanci di tariffe al ribasso, integrate voce-dati e promozionali, sia sul fronte mobile che fisso. L’altra vista del mercato complessivo delle telecomunicazioni, quella per fisso e mobile (11.145 milioni per il mobile, -1,4%; 9.005 milioni per il fisso, -4,3%) non fa che accentuare le difficoltà dello scorso anno, evidenziando la raggiunta maturità del segmento mobile. Nei servizi tutte le componenti più tradizionali sono risultate ancora in calo: servizi tradizionali di fonia, dati e connettività su rete fissa (5.430 milioni, - 6,6%, nonostante l’incremento del traffico Internet)e servizi voce su rete mobile (6.040 milioni, -5%). Sono invece cresciuti i servizi a valore aggiunto su rete fissa (1670 milioni, +2,1% e mobile (Sms, Mms, Internet), con 2.905 milioni di servizi erogati, in crescita di un buon 6,8%. Il mobile vede crescere ancora del 3,2% (a 96 milioni) il numero di linee e dell’1,1% quello degli utenti attivi (47 milioni, in gran parte con più linee, legate anche ad internet key e tablet connessi). E’ anche cresciuto, ma di poco (5,2%) il numero di connessioni in banda larga, che ora interessano oltre 13,6 milioni di utenti (96,6% in modalità Xdsl e 3,4% in fibra ottica). Sulle previsioni dei mercati dell’It e delle Tlc per l’intero 2011 gravano le recenti revisioni al ribasso sui fondamentali macroeconomici del Paese. Per l’intero anno, ci si attende un calo del mercato aggregato delle telecomunicazioni (apparati, terminali e servizi) compreso tra il -1,5 e il -4,1%. Per l’It nel suo complesso (hardware software, assistenza e servizi) il calo atteso è più contenuto, tra il -1,2% e il -2,8% |
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AFFITTI ON LINE, AUMENTANO LE ASSICURAZIONI |
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Angelis, Affitto Assicurato: «Con la crescente richiesta sul web, anche le attività assicurative stanno puntando sui social network per ampliare il portafogli clienti» Non solo agenzie immobiliari che mettono in vendita o in affitto appartamenti. Il web si è aperto anche alle polizze assicurative. O meglio, i social network hanno aperto nuove frontiere di business. Lo dice Claudio De Angelis, responsabile di Affitto Assicurato, una garanzia di affitti nata per tutelare a 360 gradi i proprietari deglim immobili che, da meno di un anno, ha aperto un proprio profilo sul social network per eccellenza: Facebook. «Essere presenti con il proprio sito internet (www.Affittoassicurato.com) non è più sufficiente -dice-, soprattutto tenendo conto del fatto che per il 70% degli utenti, oggi, il web è Facebook. Può apparire banale, ma creare una rete nella rete, soprattutto per prodotti assicurativi, è fondamentale, soprattutto in un momento storico come quello attuale in cui il potere d´acquisto degli italiani è sempre più levigato e gli affitti si stanno ritagliando nuove frontiere contro una crisi degli acquisti di immobili». In soldoni, nell´arco di un anno le agenzie immobiliari che propongono la formula assicurativa hanno aumentato le proprie potenzialità del 20 per cento: «Tutte le agenzie immobiliari con cui collaboriamo -prosegue De Angelis- hanno visto una crescita nella propria capacità di affittare gli immobili del 20% grazie al nostro prodotto ». Attenzione, perché le assicurazioni non vengono proposte direttamente ai locatari, ma alle agenzie che, in seguito, le inseriscono nei contratti proposti ai proprietari di immobili. Da qui, l´importanza di creare una rete nella rete, proprio grazie ai social network: «Facebook è naturalmente il più famoso e conosciuto -prosegue De Angelis- ed era inevitabile iniziare da lì, ma stiamo studiando progetti che ci portino anche su altri network al momento meno frequentati». Considerando il fatto che l´ultima indagine Nielsen sull´utilizzo del web dei cittadini americani ha portato alla luce che un quarto del tempo speso on-line viene proprio investito nella frequentazione di social network (per un totale di 53 miliardi di minuti spesi nel solo mese di maggio) e considerato che quanto accade al di là dell´Oceano tende a raggiungere le sponde italiane nell´arco di quattro/sei mesi, è presto fatto il calcolo di business che ruota attorno alle assicurazioni on-line di posizionarsi sui social network: «C´è anche da considerare che affittare una casa on-line porta con se un aspetto non secondario: il contatto diretto. On-line questo viene meno, ecco perché molte agenzie che lavorano solamente sul web si affidano alle polizze assicurative. Perché è più sicuro, sia per loro che per i propri clienti». L´obiettivo è quello di creare una rete di "amici" (nel caso di Facebook) nel quale sono fondamentali il passaparola e la credibilità degli iscritti. L´ultima indagine del portale Immobiliare.it ha portato alla luce che il 21 per cento di chi ricerca un appartamento in vendita o in affitto lo fa affidandosi al web. E il web, come detto, per la stragrande maggioranza degli utenti italiani, si chiama Facebook. Certo, da un lato ci vorrebbe una maggiore maturità nell´utilizzo della Rete da parte degli internauti italiani, ma di fronte a una situazione di questo genere, bisogna attrezzarsi: «La Rete ha la peculiarità di verificare immediatamente il valore e la qualità del lavoro di chi decide di affidarsi al web per i propri affari. Con Facebook questo controllo è ancora più deciso e meticoloso perché raggiungi gli utenti solo se ne hai effettivamente le caratteristiche. I banner pubblicitari servono moltissimo, ma chi sbaglia viene immediatamente smascherato. E per le assicurazioni la reputazione è tutto» |
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VIA I FALDONI: GIUSTIZIA “TELEMATICA” IN TUTTA LA TOSCANA
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Un taglio consistente (calcolabile in mesi) dei tempi processuali, risparmio del personale di sportello, niente cumuli di faldoni accatastati negli armadi, rapporti più agevoli tra magistrati di diverso grado, possibilità di monitorare costantemente lo stato di avanzamento delle cause: ecco i vantaggi della cancelleria telematica, il progetto che, prima in Italia, la Regione Toscana ha sviluppato con consistenti investimenti (400 mila euro) e che, dopo una lunga e minuziosa sperimentazione, è destinata a diffondersi in tutto il sistema giudiziario regionale. Oggi all’auditorium della Cassa di Risparmio di Firenze, a Novoli, si è tenuto il primo incontro dedicato all’approfondimento della conoscenza degli strumenti e i servizi informatici e telematici messi a disposizione degli avvocati e degli operatori del sistema giudiziario, dalla firma digitale alla posta elettronica certificata. Altri appuntamenti formativi sono previsti per il 23, 27 e 30 settembre e per il 4 e 7 ottobre, sempre dalla ore 15 alle 18. Il percorso di completa informatizzazione degli atti di cancelleria e quindi del processo civile ha coinvolto fino ad oggi 9.000 avvocati toscani. 50 avvocati fiorentini lo hanno sperimentato fino alla completa abolizione dei documenti cartacei, sostituiti da documenti digitali a valore legale, firmati digitalmente, ed entro l’anno questo accadrà anche per tutti gli avvocati del foro fiorentino. Con il 2012 l’estensione completa interesserà tutta la Toscana e anche la Corte d’Appello. Delle potenzialità del sistema beneficiano anche gli enti locali (per gli adempimenti anagrafici conseguenti le azioni giudiziarie) e le Agenzie provinciali delle entrate. Il progetto è stato sancito nel febbraio scorso dalla firma di un protocollo di intesa tra la Regione e i Ministeri della giustizia e della pubblica amministrazione. “La giustizia e il suo funzionamento – aveva affermato in quella occasione il presidente Enrico Rossi – sono fattori di competitività oltre che garanzia dell’effettivo esercizio dei diritti da parte dei cittadini. Questo progetto, che definirei la via toscana al processo breve, ci consegna una giustizia più efficiente e quindi più giusta” |
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COMMISSIONE EUROPEA: MIGLIORE APPLICAZIONE DELLE NORME DELL’UE E A SALVAGUARDIA DEL DENARO DEI CONTRIBUENTI
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Verso un uso equilibrato del diritto penale per una migliore applicazione delle norme dell’Ue e a salvaguardia del denaro dei contribuenti Bruxelles, 20 settembre 2011 – Contrastare la criminalità è una priorità per gli europei (cfr. Allegato). I cittadini si aspettano che i criminali non possano nascondersi oltre frontiera né sfruttare le divergenze fra gli ordinamenti giuridici nazionali. Al contempo, il diritto penale è ancora una materia relativamente recente a livello dell´Unione europea. È essenziale elaborare una politica penale europea chiara che consenta all’Unione di definire se, quando e come utilizzare il diritto penale per applicare meglio le sue politiche. Oggi questo è possibile grazie al quadro messo a punto dal trattato di Lisbona, che consente all’Unione europea di far uso del diritto penale per rafforzare l’applicazione delle sue norme e politiche. Le sanzioni penali non sono il miglior strumento di attuazione per tutte le politiche; ciononostante, l’applicazione di pene può rendere alcune norme europee più efficaci, dal divieto di manipolazioni dei mercati finanziari alla tutela del denaro dei contribuenti dell’Unione contro le frodi. L’impiego di sanzioni penali dovrebbe essere riservato a reati di particolare gravità ed essere preceduto da un’analisi accurata ed approfondita. Nella comunicazione intitolata “Verso una politica penale dell’Unione europea”, la Commissione europea ha definito per la prima volta la strategia ed i principi che essa intende applicare nell’uso del diritto penale dell’Unione per rafforzare il rispetto delle politiche europee e tutelare gli interessi dei cittadini. «Gli europei si aspettano che l’Unione li aiuti a lottare contro la criminalità. Dobbiamo accettare questa sfida, nel pieno rispetto del ruolo insostituibile dei parlamenti nazionali nel campo del diritto penale», ha dichiarato Viviane Reding, Vicepresidente e Commissaria Ue per la Giustizia. «Il trattato di Lisbona ci fornisce gli strumenti per affrontare la sfida del diritto penale in modo equilibrato, nel rispetto dei diritti fondamentali della libertà e della sicurezza, fissando anche limiti e contorni chiari: nulla può essere deciso senza il pieno controllo democratico del Parlamento europeo e la verifica da parte dei parlamenti nazionali che danno un importante contributo al processo decisionale». Secondo le stime, nell’Unione europea il costo totale della criminalità per la società nel suo complesso rappresenta 233 miliardi di euro l´anno. Una politica penale dell’Unione europea definita chiaramente può contribuire a garantire l’applicazione delle norme dell’Unione, in particolare per contrastare la manipolazione dei mercati finanziari, specialmente l’insider trading, e salvaguardare il denaro dei contribuenti dalle frodi a danno del bilancio dell’Unione, o per proteggere l’ambiente. La comunicazione pubblicata oggi definisce le condizioni che l´Unione e gli Stati membri devono rispettare nel lavorare insieme per la creazione di una politica penale dell´Unione coerente e coesa. Fra i maggiori principi ispiratori si ritrovano i seguenti: il diritto penale deve sempre rimanere una misura di ultima ratio; le sanzioni di diritto penale sono da riservare a reati di particolare gravità; le misure di diritto penale hanno un’incidenza diretta sui diritti fondamentali: l’elaborazione di nuove norme richiede il pieno rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo; ogni decisione in merito al tipo di misura o sanzione di diritto penale da adottare deve essere accompagnata da prove fattuali chiare e rispettare i principi di sussidiarietà e proporzionalità. Le norme di diritto penale adottate a livello di Unione dal Parlamento europeo e dal Consiglio dei ministri sono diverse dal diritto penale nazionale sotto un importante profilo: esse non possono imporre obblighi diretti ai singoli. Il diritto penale dell’Unione può portare a pene irrogate a singoli solo dopo che un parlamento nazionale l’ha recepito nell´ordinamento nazionale. È per questo che, ad avviso della Commissione europea, il coinvolgimento dei parlamenti nazionali nel processo legislativo penale è fondamentale. Contesto È da più di un decennio che l´Unione europea adotta misure di diritto penale allo scopo di contrastare più efficacemente la criminalità, ormai sempre più internazionale e sofisticata. Ma in passato la normativa è stata elaborata senza una base politica coerente e quindi non sempre viene applicata in modo efficace.Nel marzo 2010 la Commissaria Ue per la Giustizia, Vivian Reding, aveva illustrato la necessità di un approccio equilibrato e coerente al diritto penale ed annunciava la sua intenzione di adottare delle misure in questo settore (Speech/10/89). Con la comunicazione pubblicata oggi “Verso una politica penale dell´Unione europea", la Commissione mantiene la sua promessa e risponde al tempo stesso all´invito dei professionisti del diritto e del mondo accademico ad adottare un approccio più coerente verso il diritto penale a livello di Unione, così come è stato auspicato nel 2009 dai redattori del Manifesto sulla politica criminale europea. La comunicazione è presentata al collegio dalla Vicepresidente Viviane Reding d’intesa con il Vicepresidente Siim Kallas e i Commissari Janez Poto?nik, Olli Rehn, Michel Barnier e Algirdas Šemeta. Nel 2005, in una sentenza spartiacque, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che il Parlamento europeo e il Consiglio hanno il potere di adottare sanzioni penali laddove ciò sia indispensabile a garantire la piena efficacia del diritto dell´Unione (cfr. Ip/05/1136). Il trattato di Lisbona (segnatamente gli articoli 83 e 325 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea) conferisce all’Unione il potere di adottare, a determinate condizioni, norme minime di diritto penale relative alla definizione dei reati e delle sanzioni, laddove le norme dell’Ue non siano efficacemente attuate. Il trattato di Lisbona ha anche modificato il quadro giuridico nel quale si iscrivono le misure di diritto penale dell´Unione: nessuna di queste misure può essere decisa senza l’accordo del Parlamento europeo e la Corte di giustizia dell’Unione europea è ora pienamente competente nel merito. Inoltre, il nuovo trattato rafforza in modo sostanziale il ruolo dei parlamenti nazionali che possono esprimersi sui progetti legislativi e controllare il rispetto del principio di sussidiarietà. Il Consiglio può adottare una proposta a maggioranza qualificata degli Stati membri. I settori in cui è stata accertata la necessità di intervenire con norme di diritto penale dell´Unione sono, ad esempio, la protezione del funzionamento dei mercati finanziari, la protezione dell´euro contro la contraffazione o la lotta contro le frodi ai danni del bilancio dell’Unione europea, settore, questo, per il quale la Commissione ha già presentato dei programmi concreti lo scorso maggio (Ip/11/644). Il diritto penale dell’Unione può stabilire quali violazioni delle norme siano da considerare reati per il diritto nazionale in tutta l’Unione e può disporre pene efficaci, proporzionate e dissuasive, prevedendo ad esempio l´imposizione di determinati livelli di pene pecuniarie o detentive per un dato reato. Questo può rappresentare uno strumento importante per scoraggiare gli autori di reati e prevenire crimini futuri. Prima di presentare proposte legislative in questo campo, la Commissione valuterà se il ricorso al diritto penale sia necessario e, in caso affermativo, quali misure siano più adatte per affrontare i problemi di applicazione in uno specifico settore di intervento. La Commissione, in collaborazione con il Parlamento europeo e il Consiglio, proporrà un modello di linguaggio comune da utilizzare nella futura legislazione di diritto penale per garantire coerenza e coesione.Essa costituirà anche un gruppo di esperti con il compito di assisterla nel raccogliere elementi fattuali relativamente alla natura o agli effetti transnazionali di taluni reati |
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IL “DIGITAL” APPRODA AL 51° SALONE NAUTICO INTERNAZIONALE -
NUOVA VESTE GRAFICA DEL SITO, SOCIAL NETWORKING E MOBILE SOLUTIONS - AL SALONE SI NAVIGA CON INAUTICO, FACEBOOK E TWITTER
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Grande attesa per l’edizione numero cinquantuno del Salone Nautico Internazionale, che sta perfezionando gli ultimi dettagli organizzativi e si prepara a sbarcare a Genova dal 1 al 9 ottobre prossimi. Una kermesse storica, che da sempre riesce a coniugare la migliore produzione internazionale con le eccellenze del design, dell’artigianato e dell’imprenditoria tipiche del Made in Italy: 1.300 espositori, 2.000 barche – di cui 450 ormeggiate nella suggestiva sezione floating – e 450 nuovi modelli presentati in anteprima, sono solo alcuni dei numeri che fanno del Salone uno dei punti di riferimento del diportismo mondiale. Dieci intense giornate dedicate alla passione per il mare, ricche di opportunità, incontri, performance sportive ed eventi collaterali, con un unico comune denominatore: spalancare le porte della nautica, rendendola accessibile a un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo. Un obiettivo ambizioso rispecchiato da un’offerta quanto mai completa, che spazia oltre i canonici confini del quartiere fieristico. Tra le novità di quest’anno, la straordinaria apertura serale fino alle 22.30 di sabato 1° ottobre, in cui i visitatori potranno intrattenersi negli stand degli espositori con eventi speciali, band itineranti, le suggestive note dell’orchestra del Carlo Felice, i giochi pirotecnici e la Darsena illuminata; da non perdere anche l’edizione pilota di Genovainblu, il calendario delle iniziative fuori salone che vedrà i punti nevralgici della città “colorarsi” di attività, mostre, happening e serata a tema. A una manifestazione leader di settore, non potevano inoltre mancare innovazioni di tipo “digital”. In linea con le esigenze attuali, che richiedono una condivisione sempre più rapida e capillare delle informazioni, anche il Salone Nautico ha deciso di diventare 2.0 rinnovando il proprio sito web ufficiale e aprendosi al mondo di social network e smart phones. Il sito ufficiale del Salone Nautico (www.Genoaboatshow.com ) ha una nuovissima veste grafica, giocata sui toni del blu e dell’azzurro, che permette una più rapida navigazione delle pagine, con menù e pulsanti assolutamente user-friendly. Sulla home page sono anche presenti i social network cui la kermesse aderisce. Da agosto, infatti, il Salone ha una Fanpage ufficiale su Facebook (con oltre 1.700 iscritti, 3.489 utenti attivi mensilmente e 87.399 visite) e un profilo Twitter, su cui vengono postate tutte le news relative all’evento minuto, per minuto. Accessibile da poco anche il canale Youtube della manifestazione, su cui verranno caricati i video raccolti durante il Salone. In occasione del Salone, Circlecap – azienda che coniuga al suo interno competenze in tema di consulenza di processo, tecnologie innovative e marketing digitale – ha sviluppato, in collaborazione con l’agenzia di comunicazione Pbcom, iNautico: una mobile app per iPhone dedicata ai visitatori della manifestazione. La App è già disponibile e si può scaricare gratuitamente dall’Apple Store di iTunes o visitando il link: http://itunes.Apple.com/it/app/inautico/id456207897 Come funziona iNautico? La nuova mobile app è più di una semplice guida al Salone. Permette infatti di accedere a una serie di informazioni integrative, utili a scoprire e vivere al meglio la “boat experience” della manifestazione: dati in tempo reale sulle condizioni meteo, individuazione delle aree di parcheggio e dei punti di ristoro e il monitoraggio della viabilità stradale tramite le immagini trasmesse dalle webcam. Le possibilità della app non finiscono qui. Attraverso la funzione “Espositori”, identificata nel display dal simbolo di una barca a vela, è possibile visualizzare l’elenco alfabetico completo delle aziende e dei brand presenti al Salone, ottenere una web view dello stand desiderato integrata dalla scheda di approfondimento, avere accesso alla lista degli eventi con relativo orario e descrizione. Inoltre sarà possibile avvalersi di servizi online, come prenotare visite sulle imbarcazioni in esposizione, prendere appuntamenti con l’espositore di proprio interesse e scaricare informazioni sui prodotti tramite codice Qr. Inautico consente anche di personalizzare la tua visita al Salone, tramite la sezione “Nautinotes”: l’utente può memorizzare gli espositori di maggior interesse personale e visualizzarli con le corrispondenti schede, può programmare gli eventi a cui desidera partecipare e inserire un alert come promemoria, può salvare le fotografie realizzate e condividerle. Inoltre, con la funzione “Mappa”, una cartina georeferenziata permette al visitatore di individuare la propria posizione all’interno della manifestazione, rendendo più agevole la visita. Inautico ha una dimensione di 7.3 Mb, può essere scaricato gratuitamente dall’Apple Store ed è compatibile con iPhone, iPod Touch e iPad. Richiede l’iOs 4.0 o successive; disponibile in italiano e inglese. Il Salone è aperto tutti i giorni dalle 10 alle 18.30. Il 1° ottobre, primo sabato di apertura, il Salone resterà eccezionalmente aperto fino alle 22.30. A partire dalle 18.30, si potrà acquistare esclusivamente alle casse delle biglietterie, il biglietto serale a 12 Euro e i ragazzi fino a 10 anni (se accompagnati da un adulto) usufruiranno di un ingresso omaggio. L’offerta non è cumulabile con ulteriori riduzioni o promozioni. Durante la normale apertura diurna del Salone –1/9 ottobre, dalle 10 alle 18.30 – sarà invece in vigore l’ingresso a 15 euro; ingresso ridotto a 12 euro, per le comitive composte da almeno 30 persone, i militari, i disabili e per i bambini da 6 a 10 anni: i bimbi fino a 5 anni entrano gratis. Le riduzioni non sono cumulabili con altre iniziative promozionali o di prevendita. I biglietti ridotti sono acquistabili unicamente presso le biglietterie del Salone, situate agli ingressi principali del quartiere fieristico. Il biglietto intero è anche acquistabile on-line sul sito www.Genoaboatshow.com Gli ingressi al Salone: dal portale di Levante di piazzale Kennedy, dalla banchina riservata ai battelli del Consorzio Liguria Via Mare provenienti dal Porto Antico, dall’area del Terminal Traghetti, dalla Marina di Sestri Ponente e da Molo Archetti a Pegli. E’ consentito l’ingresso ai cani, al guinzaglio e provvisti di museruola. Tutte le info, le curiosità, i comunicati stampa, il calendario eventi, le novità in esposizione e molto, molto altro ancora … questo è il sito ufficiale del Salone, ricco di contenuti e in costante aggiornamento: www.Genoaboatshow.com Che tu sia un avventuroso lupo di mare o un placido crocierista, sportivo incallito o amante del relax al sole…we want you! Visita la Fanpage, clicca “mi piace” e scopri per primo articoli, iniziative e foto in anteprima del 51° Salone Nautico! http://www.Facebook.com/pages/salone-nautico-internazionale/218736271506351 Info: www.Genoaboatshow.com - tel. + 39 010 53911 |
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PRIVACY: VIDEOSORVEGLIANZA E TUTELA AZIENDALE |
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A una società che opera nel settore della componentistica elettronica è stato consentito di conservare per novanta giorni le immagini registrate mediante l´impianto di videosorveglianza Lo ha stabilito l´Autorità Garante per la protezione dei dati personali che ha accolto l´istanza di verifica preliminare, presentata dalla medesima società al fine di rafforzare i propri standard di sicurezza. Il proposito di raggiungere un maggiore livello di tutela della proprietà aziendale risponde all´esigenza, da parte della società, di potersi uniformare ai criteri dettati da un protocollo di sicurezza più severo, dal rispetto del quale dipende l´ammissione alla qualifica di "fornitore" in favore di una multinazionale tedesca. La società richiedente si avvale di un sistema di videosorveglianza costituito da 18 telecamere, debitamente segnalate prima del raggio di azione dei dispositivi, ed era stata autorizzata dalla Direzione provinciale del lavoro a conservare le immagini registrate per un tempo non superiore ai due giorni | |
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PRIVACY: MUNICIPALIZZATE E CURRICULA ON LINE DEI CANDIDATI A RAPPRESENTARE IL COMUNE
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La risposta del Garante al Comune di Milano. I Comuni possono pubblicare on line i curricula dei partecipanti al bando pubblico indetto per la nomina a rappresentanti comunali nei consigli di amministrazione delle società municipalizzate. Occorre però che la divulgazione sia prevista da una norma di legge o di regolamento o sia stato acquisito il consenso degli interessati. È quanto ha ribadito l´Ufficio del Garante rispondendo ad una specifica richiesta del Comune di Milano relativa all´intenzione di pubblicare sul suo sito web tutti i curricula dei candidati ammessi alla procedura di valutazione per ricoprire incarichi di rappresentante comunale negli enti, nelle fondazioni e nelle società partecipate. La disciplina sulla protezione dei dati personali - ha sottolineato l´Autorità - "non rappresenta un ostacolo alla trasparenza dell´attività amministrativa, specie nel caso in cui questa riguardi il corretto utilizzo di beni e risorse da parte dei soggetti pubblici". E´ necessario però rispettate alcune garanzie poste a tutela dei cittadini | |
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PRIVACY: IL GARANTE AL POLIGRAFICO - PIÙ TUTELE PER I LAVORATORI |
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Troppe violazioni, servono più tutele per i dipendenti dell´Istituto Poligrafico. E´ quanto ha stabilito il Garante privacy che con un recente provvedimento ha vietato all´Istituto alcuni trattamenti illeciti effettuati sui dati personali dei dipendenti. La decisione è stata adottata dall´Autorità a seguito di accertamenti effettuati per verificare la corretta applicazione da parte dell´Istituto della normativa in materia di protezione dei dati personali riguardo all´utilizzo di Internet, posta elettronica aziendale, sistemi di telefonia su Internet (Voip), nonché per verificare la correttezza dell´operato degli amministratori di sistema. Il provvedimento del Garante è stato trasmesso alla magistratura per le valutazioni di competenza. Nel corso degli accertamenti è emerso che, attraverso un sistema di filtraggio che consentiva la memorizzazione degli indirizzi delle pagine web effettivamente visitate o anche semplicemente richieste, il Poligrafico monitorava in modo sistematico e a insaputa dei dipendenti le attività su Internet, conservando le informazioni per un ampio periodo di tempo. Venivano inoltre conservati per un tempo indeterminato i numeri di telefono chiamati da ogni dipendente tramite Voip e la durata delle singole conversazioni. Trattamenti questi, non consentiti dallo Statuto dei lavoratori, che vieta il controllo a distanza dei lavoratori, ammettendolo solo in casi particolari e con l´adozione di necessarie garanzie. I dati trattati dall´Istituto in violazione di legge non potranno quindi essere più utilizzati. Il Poligrafico potrà conservare le informazioni finora raccolte solamente in vista di una eventuale acquisizione da parte dell´autorità giudiziaria. Contestualmente al divieto, l´Autorità ha ordinato al Poligrafico di informare dettagliatamente i propri dipendenti sulle modalità d´uso e di archiviazione della posta elettronica e di rendere conoscibili all´interno della società le identità degli amministratori di sistema, le cui operazioni dovranno essere tracciabili. Con riferimento ai fatti accertati è stato infine avviato un procedimento sanzionatorio per violazione degli obblighi di informativa e inosservanza dei provvedimenti dell´Autorità | |
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PRIVACY: ENTI CARITATIVI E "CARTA ACQUISTI": OK DEL GARANTE ALLA SPERIMENTAZIONE |
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L´autorità ha espresso parere favorevole sullo schema di decreto del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, recante norme che consentono agli enti caritativi di partecipare, in via sperimentale, alla gestione del programma "carta acquisti". Il decreto, che tiene conto delle indicazioni e degli approfondimenti richiesti dal Garante, disciplina le condizioni e le modalità di realizzazione del nuovo progetto di social card, incluse quelle relative al trattamento dei dati necessari all´individuazione delle persone che possono accedere ai benefici della carta. In base alle nuove norme, i Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e dell´economia e delle finanze - titolari del trattamento dei dati per la social card - devono nominare responsabili del trattamento sia l´Inps ("Soggetto attuatore" del programma sperimentale), sia i comuni e gli enti caritativi coinvolti. Sarà compito degli enti caritativi individuare un elenco delle "persone in condizioni di maggiore bisogno". I dati personali dovranno essere trattati in base al principio di pertinenza, non eccedenza e, in caso di dati sensibili, anche di indispensabilità. Il decreto ha poi recepito altre indicazioni dell´Autorità come quella di definire i flussi dei dati tra i vari soggetti coinvolti, inclusa l´Anagrafe tributaria. Il Garante per la privacy, pur valutando positivamente l´attuale testo, si è comunque riservato di esprimere un ulteriore parere sullo specifico provvedimento dell´Inps che dovrà individuare le misure di sicurezza da adottare per il trattamento dei dati personali. L´autorità infine verificherà il contenuto dei questionari che il Ministero del lavoro predisporrà al fine di valutare gli effetti della sperimentazione |
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GIUSTIZIA EUROPEA: LO STEMMA SOVIETICO NON PUÒ ESSERE REGISTRATO COME MARCHIO COMUNITARIO
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La sua registrazione come marchio comunitario deve essere negata anche se esso è contrario all’ordine pubblico e al buon costume soltanto in uno Stato membro. Il regolamento sul marchio comunitario prevede che la registrazione di un marchio debba essere esclusa per taluni motivi espressamente previsti nel testo. Ciò si verifica, in particolare, qualora il marchio sia contrario all’ordine pubblico e al buon costume, anche se tali impedimenti alla registrazione esistono solamente in una parte dell’Unione. Nel 2006 la Couture Tech Ltd, una società legata alle attività internazionali di uno stilista russo, ha presentato all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (Uami) una domanda di registrazione come marchio comunitario del segno figurativo che consisteva nella raffigurazione dello stemma dell’ex Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (Urss). L’uami ha respinto tale domanda perché il marchio richiesto era l’esatta raffigurazione dello stemma. Richiamando a fondamento la normativa e la prassi amministrativa in taluni Stati membri - ossia l’Ungheria, la Lettonia e la Repubblica ceca - l’Uami ha considerato che i simboli in questione sarebbero stati percepiti come contrari all’ordine pubblico e al buon costume da una parte rilevante del pubblico interessato che vive in quella parte dell’Unione europea un tempo assoggettata al regime sovietico. La Couture Tech Ltd ha proposto dinanzi al Tribunale un ricorso per l’annullamento di tale decisione. Nella sentenza di oggi, il Tribunale considera, innanzitutto, che la registrazione di un marchio deve essere negata quando esso è contrario all’ordine pubblico o al buon costume in una parte dell’Unione e tale parte può essere eventualmente costituita da un solo Stato membro. In seguito, il Tribunale rileva che le nozioni di «ordine pubblico» e di «buon costume» devono essere interpretate non soltanto facendo riferimento alle circostanze comuni a tutti gli Stati membri ma prendendo in considerazione le circostanze specifiche degli Stati membri singolarmente considerati che possono influenzare la percezione del pubblico di riferimento situato in tale territorio. Il Tribunale precisa che, essendo il regime comunitario dei marchi un sistema autonomo la cui applicazione è indipendente da ogni sistema nazionale, la legislazione e la prassi amministrativa di taluni Stati membri non sono prese in considerazione, nella fattispecie, per il loro valore normativo, ma in quanto indizi di fatto che consentono di valutare la percezione, da parte del pubblico di riferimento situato negli Stati membri interessati, dei simboli legati all’ex Urss. Infine, il Tribunale considera che l’Uami non ha commesso errori di valutazione nell’affermare, in base a un esame degli elementi relativi alla situazione in particolare in Ungheria, che il marchio richiesto era contrario all’ordine pubblico e al buon costume nella percezione del pubblico di riferimento. Infatti, ai sensi della normativa ungherese, la falce, il martello e la stella rossa a cinque punte sono considerati «simboli di dispotismo» e il loro utilizzo è contrario all’ordine pubblico. Il Tribunale decide, quindi, che nei limiti in cui la registrazione di un marchio deve essere negata se esso è contrario all’ordine pubblico e al buon costume anche solamente in una parte dell’Unione - ivi compreso in un solo Stato membro ‑ non è necessario valutare gli altri elementi relativi alla percezione del pubblico di riferimento situato in Lettonia e in Repubblica ceca. Di conseguenza, il Tribunale respinge il ricorso della Couture Tech Ltd. (Tribunale dell’Unione europea, Lussemburgo, 20 settembre 2011, Sentenza nella causa T-232/10, Couture Tech Ltd / Uami) |
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GIUSTIZIA EUROPEA: AIUTI AL SETTORE ALBERGHIERO - CONFERMATA LA DECISIONE DELLA COMMISSIONE CHE LI DICHIARA ILLEGITTIMI
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Con la legge regionale 9/98 la Regione Autonoma della Sardegna introduceva, a beneficio delle imprese del settore alberghiero, aiuti agli investimenti iniziali (sovvenzioni e prestiti agevolati), nonché aiuti al funzionamento, con l’impegno di non darvi attuazione prima dell’eventuale approvazione della Commissione. Nel 1998 la Commissione approvava il regime di aiuti (decisione Sg[98] D/9547) notificatole. Nel 2004 avviava peraltro il procedimento di esame dell´aiuto e con la decisione 2008/854/Ce concludeva che, autorizzando la concessione di sovvenzioni a progetti di investimento avviati prima della data di domanda degli aiuti, le autorità italiane non avevano adempiuto l’obbligo previsto nella decisione del 1998. La Commissione rilevava che la deliberazione regionale n. 33/6 introduceva modifiche alla misura notificata non compatibili con la decisione di approvazione. Pertanto dichiarava incompatibili gli aiuti individuali concessi a progetti le cui spese ammissibili fossero state sostenute prima della presentazione di una domanda di aiuto, superiori all’importo de minimis e imponeva alla Repubblica italiana il recupero presso i beneficiari degli aiuti incompatibili e degli interessi. La Regione Sardegna ha impugnato dinanzi al Tribunale dell´Unione europea la decisione del 2008, sostenuta da 19 intervenienti. Altre 3 società hanno presentato altrettanti ricorsi. A) Fra i vari motivi ha fatto valere che la decisione di approvazione non menzionava il requisito secondo il quale la domanda di aiuto doveva precedere l’inizio dei lavori. Il Tue respinge questo motivo. Invero, nella parte della decisione di approvazione dedicata alla descrizione del regime approvato, la Commissione indicava senza alcuna ambiguità che «le imprese devono aver presentato una domanda di finanziamento prima dell’inizio dell’esecuzione dei progetti di investimento». B) Si fa inoltre valere la violazione delle disposizioni applicabili in materia di aiuti de minimis (secondo il regolamento 69/2001: aiuti non superiori a Eur 100 000, accordati ad un´impresa su un periodo di tre anni). Il Tue ricorda che l’obiettivo della regola de minimis consiste nella semplificazione delle procedure amministrative, sia nell’interesse dei beneficiari di aiuti di importanza relativamente modesta (e pertanto non suscettibili di falsare la concorrenza), sia nell’interesse della Commissione, che deve poter concentrare le sue risorse sui casi d’effettiva importanza a livello comunitario. Il fatto di ammettere il frazionamento di un aiuto al fine di far beneficiare della regola de minimis una parte di esso non contribuirebbe al perseguimento di detto obiettivo. Il Tue respinge quindi l’argomento, secondo il quale la Commissione avrebbe dovuto limitarsi ad ingiungere alla Regione Sardegna di recuperare la parte dell’importo degli aiuti versati eccedente la soglia di Eur 100 000 e quello secondo il quale la Commissione avrebbe dovuto considerare soltanto la parte delle spese sostenute prima della presentazione della domanda di aiuto, ai fini dell’applicazione della regola de minimis. Ciò non esclude la possibilità che, nel contesto della valutazione di ogni caso particolare, cui le autorità italiane dovranno procedere in sede di recupero, si possa stabilire che taluni progetti iniziati prima della presentazione della domanda di aiuto e che pertanto non possono beneficiare di un aiuto ai sensi del regime introdotto dalla legge n. 9/1998, sono funzionalmente indipendenti da altri progetti che sono stati iniziati solo successivamente alla data della presentazione della domanda di aiuto e, pertanto, potrebbero beneficiare di un aiuto ai sensi del medesimo regime. Tuttavia, si tratta, in questo caso, di una questione che non spetta al Tribunale dell´Unione europea decidere nel contesto delle presenti cause (punto 313 della sentenza). (Tue, Sentenza nella causa T-394/08, T-404/08, T-453/08 e T-454/08, Regione autonoma della Sardegna e.A./ Commissione) Pertanto, i ricorsi devono essere integralmente respinti. |
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GIUSTIZIA EUROPEA: LA CORTE PRECISA LA PORTATA DELLA TUTELA DEI MARCHI NELL’UNIONE EUROPEA
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Nella fattispecie sarà compito del giudice nazionale verificare, in particolare, se la Marks & Spencer, utilizzando nell’ambito del servizio di posizionamento di Google parole chiave corrispondenti al marchio della Interflora, sua concorrente, abbia violato una delle «funzioni» di detto marchio o abbia commesso un atto di parassitismo La società statunitense Interflora Inc. Gestisce una rete mondiale di consegna di fiori. La Interflora British Unit è licenziataria della Interflora Inc. La rete della Interflora è costituita da fiorai presso i quali i clienti possono effettuare, di persona, per telefono o via Internet, ordinazioni che sono evase dal membro della rete più vicino al luogo di consegna dei fiori. Interflora è un marchio nazionale nel Regno Unito e un marchio comunitario. Tali marchi godono di grande notorietà nel Regno Unito e in altri Stati membri dell’Unione europea. La Marks & Spencer («M & S»), società di diritto inglese, è uno dei maggiori rivenditori al dettaglio del Regno Unito. Uno dei servizi che essa offre consiste nella vendita e nella consegna a domicilio di fiori, attività commerciale che è quindi in concorrenza con quella della Interflora. Risulta che, nell’ambito del servizio di posizionamento Adwords di Google, la M & S ha selezionato il termine «Interflora» e sue varianti, esempio «Interflora Flowers», «Interflora Delivery», «Interflora.com», «Interflora co uk» ecc., quali parole chiave. Di conseguenza, allorché un utente di Internet inseriva quale termine di ricerca nel motore di ricerca Google la parola «Interflora» o una delle sue varianti, appariva un messaggio della M & S. La High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division (Regno Unito), dinanzi alla quale la Interflora ha proposto ricorso contro la M & S per violazione dei suoi diritti di marchio, ha posto alla Corte di giustizia questioni su diversi aspetti dell’uso non consentito, da parte di un concorrente, nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet, di parole chiave identiche ad un marchio. La Corte ricorda anzitutto che, in caso di uso da parte di un terzo di un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio è stato registrato, il titolare del marchio ha il diritto di vietare tale uso solo qualora quest’ultimo possa pregiudicare una delle «funzioni» del marchio. La funzione essenziale del marchio è quella di garantire ai consumatori la provenienza del prodotto o del servizio da esso contrassegnato (funzione di indicazione d’origine); altre funzioni sono, in particolare, quella di pubblicità e quella di investimento. La Corte sottolinea quindi che la funzione di indicazione d’origine del marchio non è l’unica meritevole di tutela contro le violazioni da parte di terzi. Spesso, infatti, il marchio rappresenta – oltre ad un’indicazione della provenienza dei prodotti o dei servizi – uno strumento di strategia commerciale utilizzato, soprattutto, a fini pubblicitari o per acquisire una reputazione allo scopo di rendere fedele il consumatore. Riferendosi alla propria giurisprudenza Google, la Corte ricorda che sussiste violazione della funzione di indicazione d’origine del marchio quando l’annuncio, che appare a partire dalla parola chiave identica al marchio, non consente − o consente soltanto difficilmente − all’utente di Internet, normalmente informato e ragionevolmente attento, di sapere se i prodotti o i servizi a cui l’annuncio si riferisce provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo oppure, al contrario, da un terzo. Per contro, l’uso di un segno identico ad un marchio altrui nell’ambito di un servizio di posizionamento quale «Adword» non viola la funzione di pubblicità del marchio. La Corte esamina, inoltre, per la prima volta, la tutela della funzione di investimento del marchio. Così, viola tale funzione l’uso, fatto da un concorrente, di un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici, qualora detto uso intralci in modo sostanziale l’utilizzo, da parte del suddetto titolare, del proprio marchio per acquisire o mantenere una reputazione idonea ad attirare i consumatori e a renderli fedeli. In una situazione in cui il marchio gode già di una reputazione, la funzione di investimento è violata allorché il predetto uso leda tale reputazione e ne metta in pericolo la conservazione. Per contro, non si può ammettere che il titolare di un marchio possa opporsi ad un uso del genere da parte di un concorrente, qualora siffatto uso abbia come sola conseguenza di costringere detto titolare ad adeguare i propri sforzi per acquisire o mantenere una reputazione idonea ad attirare i consumatori e a renderli fedeli. Analogamente, la circostanza che detto uso induca taluni consumatori ad abbandonare i prodotti o servizi contrassegnati da tale marchio non può essere utilmente fatta valere dal titolare del marchio. Nella fattispecie, incombe al giudice nazionale verificare se l’uso, da parte della M & S, di un segno identico al marchio Interflora metta in pericolo la conservazione, da parte della Interflora, di una reputazione idonea ad attirare i consumatori e a renderli fedeli. Interrogata del pari sulla protezione rafforzata dei marchi che godono di notorietà, in particolare sulla portata delle nozioni di «diluizione» (pregiudizio arrecato al carattere distintivo del marchio) e di «parassitismo» (profitto indebitamente tratto dal carattere distintivo e dalla notorietà del marchio), la Corte constata, tra l’altro, che la scelta «immotivata», nell’ambito di un servizio di posizionamento, dei segni identici o simili ad un marchio altrui che gode di notorietà può essere considerata un atto di parassitismo. Una conclusione siffatta può imporsi in particolare nei casi in cui inserzionisti su Internet offrano in vendita, scegliendo parole chiave corrispondenti a marchi che godono di notorietà, prodotti che sono imitazioni dei prodotti del titolare di detti marchi. Per contro, qualora l’annuncio pubblicitario che è mostrato su Internet a partire da una parola chiave corrispondente ad un marchio che gode di notorietà – senza offrire una semplice imitazione dei prodotti e dei servizi del titolare di tale marchio, senza provocare una diluizione o senza arrecare pregiudizio alla sua notorietà (corrosione) e senza peraltro compromettere le funzioni di detto marchio – proponga un’alternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare del marchio che gode di notorietà, un uso siffatto rientra, in linea di principio, in una concorrenza sana e leale nell’ambito dei prodotti o dei servizi considerati. Corte di giustizia dell’Unione europea (Corte di Giustizia europea, Lussemburgo, 22 settembre 2011, Sentenza nella causa C-323/09 Interflora Inc., Interflora British Unit / Marks & Spencer plc, Flowers Direct Online Ltd) |
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GIUSTIZIA EUROPEA: L’ANHEUSER-BUSCH E LA BUDěJOVICKý BUDVAR POSSONO ENTRAMBE CONTINUARE AD UTILIZZARE IL MARCHIO BUDWEISER NEL REGNO UNITO
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I consumatori del Regno Unito percepiscono chiaramente la differenza tra le birre della Budvar e quelle dell´Anheuser-busch. La direttiva sui marchi dispone che un marchio è escluso dalla registrazione o può essere dichiarato nullo quando è identico a un marchio anteriore e se i prodotti e i servizi coperti dai due marchi sono anch’essi identici. Tuttavia, se il titolare di un marchio anteriore ha tollerato l’uso di un marchio posteriore identico per cinque anni consecutivi, essendone a conoscenza, non può più, in linea di principio, domandare la dichiarazione di nullità del marchio posteriore né opporsi al suo uso. Dal loro ingresso nel mercato del Regno Unito, rispettivamente negli anni 1973 e 1974, la birreria ceca Budějovický Budvar e la birreria americana Anheuser-busch commercializzano ognuna le proprie birre con il segno «Budweiser» o con termini che includono questo segno. L’11 dicembre 1979 l’Anheuser-busch ha chiesto all’Ufficio marchi del Regno Unito la registrazione come marchio del termine «Budweiser» per i prodotti «birra, ale e porter». In pendenza dell’esame di tale domanda, anche la Budvar ha presentato, il 28 giugno 1989, una domanda di registrazione come marchio del termine «Budweiser». Nel febbraio 2000 i giudici del Regno Unito hanno deciso che l´Anheuser-busch e la Budvar potevano entrambe far registrare il termine «Budweiser» come marchio. La legge britannica, infatti, consentiva espressamente che marchi identici o simili al punto di essere confusi fossero registrati in modo concomitante, in caso di uso simultaneo in buona fede («honest concurrent use»). In seguito a tale decisione, il 19 maggio 2000 entrambe le società sono state iscritte nel registro dei marchi del Regno Unito in qualità di titolari del marchio Budweiser. Il 18 maggio 2005, ossia quattro anni e 364 giorni dopo la registrazione del marchio Budweiser a favore della Budvar e dell’Anheuser-busch, quest’ultima ha presentato all’Ufficio marchi del Regno Unito una domanda di nullità della registrazione di tale marchio d’impresa a favore della Budvar. Nella sua domanda, l’impresa americana ha addotto che il marchio di cui era titolare era un marchio anteriore rispetto al marchio della Budvar dato che essa aveva depositato (l’11 dicembre 1979) la sua domanda di registrazione del termine «Budweiser» prima di quella della birreria ceca (il 28 giugno 1989). La Court of Appeal (Corte d´appello, Regno Unito), adita in appello, chiede alla Corte di giustizia se si debba accogliere la domanda di nullità dell’Anheuser-busch, sebbene entrambe le società abbiano utilizzato, in buona fede, per più di trent’anni, il termine «Budweiser» nel Regno Unito. Nella sua sentenza di data odierna, la Corte di giustizia precisa, innanzi tutto, la sua giurisprudenza sulle regole applicabili al termine quinquennale (detto di «preclusione per tolleranza») alla cui scadenza il titolare del marchio anteriore perde il diritto di opporsi all’uso del marchio posteriore. A questo proposito la Corte dichiara che, secondo il testo della direttiva, tale termine comincia a decorrere solo dopo la registrazione del marchio posteriore nello Stato membro interessato. Pertanto, il mero uso del marchio posteriore senza aver proceduto alla sua registrazione non fa decorrere detto termine. La registrazione del marchio anteriore, per contro, non costituisce una condizione necessaria affinché tale termine cominci a decorrere. La direttiva dispone infatti che un marchio può essere considerato anteriore nonostante non sia stato oggetto di una registrazione, come nei casi delle «domande di marchi (...) sotto riserva di registrazione» e dei marchi «notoriamente conosciuti». La Corte precisa inoltre che non si può ritenere che il titolare di un marchio anteriore abbia tollerato l’uso in buona fede e di lunga durata da parte di un terzo di un marchio posteriore identico se il titolare del marchio anteriore non disponeva di alcuna possibilità di opporsi a tale uso. Pertanto, il periodo durante il quale il titolare del marchio anteriore non era in grado di opporsi all’uso del marchio posteriore non può essere computato ai fini del calcolo della scadenza del termine di preclusione. La Corte rileva poi che un marchio posteriore registrato può essere dichiarato nullo unicamente se pregiudica o può pregiudicare la funzione essenziale del marchio anteriore, che consiste nel garantire ai consumatori l’origine dei prodotti da esso designati. Al riguardo, la Corte ricorda che l´Anheuser-busch e la Budvar commercializzano entrambe nel Regno Unito le loro birre con il segno «Budweiser» o con un marchio d’impresa che comprende tale segno da circa 30 anni prima della loro registrazione e che sono state autorizzate a registrare congiuntamente e simultaneamente i loro marchi Budweiser in tale paese. La Corte sottolinea anche che se l’Anheuser-busch ha presentato una domanda di registrazione del termine «Budweiser» come marchio nel Regno Unito prima della Budvar, è altrettanto vero che entrambe le imprese utilizzano i loro marchi Budweiser in buona fede sin dall’origine. La Corte osserva inoltre che, ad avviso del giudice del rinvio, sebbene le denominazioni siano identiche, i consumatori del Regno Unito percepiscono chiaramente la differenza tra le birre della Budvar e quelle dell’Anheuser-busch, in quanto il loro gusto, prezzo e presentazione sono sempre stati diversi. Allo stesso modo, dalla coesistenza di questi due marchi sul mercato del Regno Unito si evince che, nonostante i due marchi siano identici, le birre dell’Anheuser-busch e della Budvar sono chiaramente identificabili come prodotte da imprese diverse. Di conseguenza, la Corte dichiara che, nelle circostanze della fattispecie, l’uso simultaneo in buona fede e di lunga durata dei due marchi identici in questione non pregiudica o non può pregiudicare la funzione essenziale del marchio anteriore dell´Anheuser-busch. Pertanto, il marchio posteriore «Budweiser» registrato a favore della Budvar nel Regno Unito non deve essere dichiarato nullo. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 22 settembre 2011, Sentenza nella causa C-482/09 Budějovický Budvar, národní podnik / Anheuser-busch Inc) |
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GIUSTIZIA EUROPEA: LA GERMANIA NON PUÒ IMPEDIRE LA RITRASMISSIONE SUL SUO TERRITORIO DEI PROGRAMMI IN LINGUA CURDA DIFFUSI DALLA ROJ TV A PARTIRE DALLA DANIMARCA
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Tuttavia, nella misura in cui la ritrasmissione di tali programmi non sia impedita, la Germania può vietare, sul suo territorio, le attività della Roj Tv e della Mesopotamia Broadcast in quanto associazioni. La direttiva «Televisione senza frontiere» mira ad eliminare gli ostacoli alla libera diffusione delle trasmissioni televisive all’interno dell’Unione. La direttiva prevede che gli Stati membri hanno la competenza per vigilare sulla legalità delle attività delle emittenti televisive stabilite sul loro territorio. Essi devono garantire in particolare che le trasmissioni di tali emittenti non contengano alcun incitamento all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità. Inoltre gli Stati membri non possono ostacolare la ritrasmissione sul proprio territorio dei programmi diffusi da emittenti televisive stabilite in un altro Stato membro per ragioni fondate sull’incitamento all’odio, la cui valutazione è rimessa dalla direttiva a quest’ultimo Stato. La società danese Mesopotamia Broadcast è titolare di diverse autorizzazioni di emittenza televisiva in Danimarca. Essa gestisce, tra l’altro, l’emittente televisiva Roj Tv, anch’essa società di diritto danese. Quest’ultima diffonde via satellite, essenzialmente, programmi in lingua curda in tutta Europa e nel Medio Oriente. La Roj Tv fa produrre trasmissioni, tra l’altro, da una società stabilita in Germania. Nel 2008 le autorità tedesche hanno vietato alla Mesopotamia Broadcast di svolgere qualsiasi attività in Germania, tramite la Roj Tv, per il motivo che le trasmissioni di quest’ultima erano contrarie al «principio della comprensione fra i popoli» quale definito dal diritto costituzionale tedesco. Il motivo del divieto poggiava sul fatto che i programmi della Roj Tv incitavano a risolvere le divergenze tra i Curdi e i Turchi attraverso la violenza – anche in Germania – e sostenevano gli sforzi del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan, classificato come organizzazione terroristica dall’Unione europea) per reclutare giovani Curdi nella guerriglia contro la Repubblica di Turchia. Le due società hanno chiesto l’annullamento di tale divieto dinanzi ai giudici tedeschi facendo valere il fatto che, sulla base della direttiva, soltanto la Danimarca poteva controllare la loro attività. Il Bundesverwaltungsgericht (Tribunale amministrativo federale, Germania) chiede alla Corte di giustizia se le autorità tedesche abbiano potuto legalmente vietare l’attività della Mesopotamia Broadcast e della Roj Tv. Il giudice tedesco intende accertare se la nozione di «incitamento all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità», la cui interpretazione è rimessa nel caso di specie alle autorità danesi, comprenda anche gli attacchi al «principio della comprensione fra i popoli». Con la sentenza oggi pronunciata, la Corte interpreta la nozione di «incitamento all’odio» sancita dalla direttiva come avente per scopo di prevenire qualsiasi ideologia irrispettosa dei valori umani, in particolare iniziative che praticano l’apologia della violenza con atti terroristici contro una comunità determinata di persone. Orbene, la Mesopotamia Broadcast e la Roj Tv contribuiscono, secondo il giudice del rinvio, ad attizzare gli scontri violenti tra le persone di etnia turca e curda in Turchia e ad esacerbare le tensioni tra i Turchi e i Curdi che vivono in Germania. Dati tali elementi, la Corte constata che il comportamento della Mesopotamia Broadcast e della Roj Tv, come descritto dal giudice tedesco, è riconducibile alla nozione di «incitamento all’odio». Tuttavia, nella fattispecie, la Corte sottolinea che solo le autorità danesi sono competenti per verificare se un comportamento siffatto costituisca effettivamente un «incitamento all’odio» ed a vigilare a che le trasmissioni della Roj Tv non contengano un incitamento del genere. La Corte ricorda poi che gli Stati membri possono adottare normative che perseguono un obiettivo di ordine pubblico senza vertere specificamente sulla diffusione e sulla distribuzione dei programmi. Tuttavia gli Stati membri non sono autorizzati a impedire la ritrasmissione sul loro territorio di programmi provenienti da un altro Stato membro. La Corte constata al riguardo che, secondo le informazioni fornite dal governo tedesco, le misure impugnate non sono dirette ad impedire le ritrasmissioni in Germania dei programmi televisivi realizzati dalla Roj Tv, ma vietano le attività sul territorio tedesco della suddetta emittente televisiva e della Mesopotamia Broadcast in quanto associazioni. In tale contesto, la ricezione e l’uso privato del programma della Roj Tv non sono vietati e rimangono effettivamente possibili in Germania. Tuttavia, in Germania quale associazione vietata, la Roj Tv non può più organizzare attività e sono del pari vietate le attività esercitate a vantaggio della stessa emittente. In particolare, sono pertanto vietate la produzione di trasmissioni nonché l’organizzazione di manifestazioni consistenti in proiezioni di trasmissioni della Roj Tv in uno spazio pubblico, segnatamente in uno stadio, al pari delle attività di sostegno che si svolgano nel territorio tedesco. Di conseguenza, la Corte risponde che le misure prese contro la Mesopotamia Broadcast e la Roj Tv non costituiscono, in via di principio, un ostacolo alla ritrasmissione dei programmi diffusi dalla Roj Tv a partire dalla Danimarca. Nondimeno il giudice del rinvio deve verificare se gli effetti concreti derivanti dalla decisione di divieto non impediscano nella pratica la ritrasmissione dei programmi stessi verso la Germania. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 22 settembre 2011, Sentenza nelle cause riunite C-244/10 e C-245/10, Mesopotamia Broadcast A/s Metv e Roj Tv A/s / Bundesrepublik Deutschland) [1] Direttiva del Consiglio 3 ottobre 1989, 89/552/Cee, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive (Gu L 298, pag. 23), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 30 giugno 1997, 97/36/Ce (Gu L 202, pag. 60). |
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GIUSTIZIA EUROPEA: FEAOG – AIUTI ALLA TRASFORMAZIONE DEGLI AGRUMI |
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Il regolamento n. 1258/1999 prevede che la sezione «garanzia» del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (Feaog) finanzi le restituzioni all’esportazione verso i paesi terzi e gli interventi destinati a regolarizzare i mercati agricoli nella misura in cui siano intrapresi secondo le norme comunitarie nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati agricoli. Gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per accertare se le operazioni finanziate dal Feaog siano reali e regolari, per prevenire e perseguire le irregolarità e per recuperare le somme perse a seguito di irregolarità o di negligenze. La Commissione può verificare la conformità delle pratiche amministrative con le norme comunitarie ed eventualmente escludere talune spese dal finanziamento comunitario. Nel corso di un´ispezione in Sicilia nel 2006, i servizi della Commissione constatavano diverse carenze nei controlli fisici, amministrativi e contabili da eseguire per la corretta gestione degli aiuti nel settore della trasformazione degli agrumi relativamente alle campagne 2004/2005 e precedenti. Con decisione 2009, la Commissione applicava al settore ortofrutticolo (agrumi) due rettifiche forfetarie del 5% delle spese dichiarate dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) per gli esercizi finanziari 2005 e 2006, pari rispettivamente ad Eur 2 434 173, 33 e ad Eur 1 105 506, 48, per un totale di Eur 3 539 679, 81. La rettifica finanziaria applicata era basata su lacune nel sistema di controllo nel settore della trasformazione degli agrumi ed in particolare su: 1) l’assenza di prove sufficienti di controlli di concordanza tra la contabilità ufficiale e i registri tenuti dalle organizzazioni di produttori; 2) l’insufficienza dei controlli sugli acquisti di prodotti finiti; 3) l’inosservanza della soglia campione del 5% di produttori da sottoporre a controllo 4) la prevedibilità dell’esecuzione dei controlli sulle consegne di materia prima. L´italia ha chiesto al Tribunale dell´Unione europea di annullare in parte la decisione impugnata. Il Tribunale ricorda che il Feaog finanzia unicamente gli interventi effettuati conformemente alla normativa comunitaria nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati agricoli e spetta alla Commissione l’onere di provare l’esistenza di una violazione delle norme dell’organizzazione comune dei mercati agricoli, e ciò non necessariamente con una dimostrazione esaustiva dell’insufficienza dei controlli effettuati dagli Stati membri, bensì corroborando con elementi probatori i dubbi seri e ragionevoli che essa nutre a proposito dei controlli svolti dalle amministrazioni nazionali. Infatti, è lo Stato a disporre delle migliori possibilità per raccogliere e verificare i dati necessari ai fini della liquidazione dei conti del Feaog, ed è quindi lo Stato che deve fornire la prova più circostanziata ed esauriente della veridicità dei propri controlli. Nel caso presente, l´Italia non ha apportato, nel corso del procedimento amministrativo di liquidazione dei conti, elementi idonei a fugare i dubbi della Commissione riguardo alla qualità e all’effettività dei controlli. Il Tue sottolinea che per prevenire la concessione di aiuti indebiti, il controllo di concordanza avrebbe dovuto vertere su tutte le fatture registrate nella contabilità ufficiale. Inoltre, i controlli amministrativi e contabili sulle quantità di prodotti finiti erano effettuati esclusivamente sulla base di fatture e non sul fondamento della totalità dei dati ripresi nella contabilità ufficiale. Rispetto ai controlli a campione sui produttori, il Tue sottolinea che uno Stato membro non può invocare disposizioni, prassi o situazioni del proprio ordinamento giuridico interno per giustificare l’inosservanza degli obblighi e dei termini derivanti dalle norme comunitarie e non può invocare difficoltà pratiche nella programmazione di un numero sufficiente di controlli nel tempo voluto (la Commissione aveva infatti concluso che i trasformatori di agrumi erano in grado di prevedere le quantità di prodotti che sarebbero state sottoposte a controllo fisico, giacché detti controlli vertevano solo sui quantitativi consegnati il giorno stesso, cosa che non è stata seriamente confutata dalle autorità italiane). Infine, in merito all´entità della rettifica, il Tue ricorda che la Commissione può rifiutare di accollarsi la totalità delle spese sostenute ove constati che mancano meccanismi di controllo adeguati. In questo caso, l’importo non riconosciuto dalla Commissione, pari solo al 5% delle spese in questione, non può essere considerato eccessivo e sproporzionato. Per tutti questi motivi, il Tribunale respinge il ricorso. (Sentenza nella causa T-500/09, Italia/commissione) |
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GIUSTIZIA EUROPEA: LA RETRIBUZIONE VERSATA AI PILOTI DI LINEA DURANTE LE FERIE ANNUALI DEVE INCLUDERE IL SUPPLEMENTO PER IL TEMPO TRASCORSO IN VOLO PERCHÉ È INTRINSECAMENTE CONNESSO ALLO SVOLGIMENTO DELLE LORO MANSIONI
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Il supplemento destinato a coprire i costi collegati al tempo passato all’esterno della base aerea, invece, non rientra nella retribuzione ordinaria e quindi non deve essere preso in considerazione Secondo la direttiva sull’orario di lavoro, ogni lavoratore ha diritto a ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane. Diversi piloti di linea dipendenti della British Airways, tra cui la sig.Ra Williams, hanno contestato il calcolo dell’importo versato loro per le ferie annuali. La retribuzione di questi piloti è composta di tre elementi: 1) un importo annuo fisso; 2) un supplemento per il tempo passato in volo programmato, di 10 sterline all’ora; 3) un supplemento per il tempo trascorso all’esterno della base, di 2,73 sterline all’ora. Nel calcolo della retribuzione per le ferie annuali si tiene conto soltanto del primo elemento (salario di base). I piloti affermano che l’importo ricevuto a titolo delle ferie annuali deve essere basato sull’interezza della loro retribuzione, compresi i due supplementi. La Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema, Regno Unito), cui è stata sottoposta la controversia, chiede alla Corte di giustizia di precisare quali indicazioni fornisca il diritto dell´Unione in merito alla retribuzione che spetta ad un pilota di linea nel corso delle sue ferie annuali. Nell’odierna sentenza la Corte ricorda innanzi tutto che, per la durata delle ferie annuali, il lavoratore deve percepire la sua retribuzione ordinaria. L’obbligo di retribuire tali ferie è finalizzato a collocare il lavoratore, in occasione di tale periodo di riposo, in una situazione che, a livello retributivo, sia paragonabile ai periodi di lavoro. Di conseguenza, la retribuzione corrisposta per le ferie annuali, in linea di principio, deve essere calcolata in modo da corrispondere alla retribuzione ordinaria percepita dal lavoratore. Orbene, quando una retribuzione, come quella dei piloti, è composta di diversi elementi, per determinare tale retribuzione ordinaria e, di conseguenza, l’importo cui ha diritto il lavoratore durante le ferie annuali, è necessaria un’analisi specifica. La Corte dichiara così che qualsiasi incomodo intrinsecamente collegato all’esecuzione delle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro e che viene compensato tramite un importo pecuniario incluso nel calcolo della retribuzione complessiva del lavoratore – come, per i piloti di linea, il tempo trascorso in volo – deve obbligatoriamente essere preso in considerazione ai fini dell’ammontare che spetta al lavoratore durante le sue ferie annuali. All’opposto, gli elementi della retribuzione complessiva del lavoratore diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie che sopravvengano in occasione dell’espletamento delle mansioni che incombono al lavoratore in ossequio al suo contratto di lavoro, come le spese connesse al tempo che i piloti sono costretti a trascorrere fuori dalla base, non devono essere presi in considerazione nel calcolo dell’importo da versare durante le ferie annuali. Ciò precisato, la Corte rileva poi che, oltre a detti elementi della retribuzione complessiva, durante le ferie annuali retribuite devono essere mantenuti anche tutti quelli correlati allo status personale e professionale del pilota di linea (ad esempio i supplementi collegati alla qualità di superiore gerarchico, all’anzianità e alle qualifiche professionali, etc.). È compito del giudice nazionale valutare se i diversi elementi che compongono la retribuzione complessiva di un pilota di linea siano, da una parte, intrinsecamente connessi all’espletamento delle mansioni che gli incombono in forza del suo contratto di lavoro e, dall´altra, collegati al suo status personale e professionale. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 15 settembre 2011, Sentenza nella causa C-155/10, Williams e a. / British Airways plc) |
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GIUSTIZIA EUROPEA: UN MONOPOLIO DEI GIOCHI D’AZZARDO TRAMITE INTERNET PUÒ ESSERE GIUSTIFICATO SOLTANTO SE PERSEGUE IN MODO COERENTE E SISTEMATICO L’OBIETTIVO DELLA LOTTA CONTRO I PERICOLI CONNESSI A TALI GIOCHI
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Nel valutare il carattere proporzionato di un monopolio, i giudici nazionali non sono tenuti a prendere in considerazione i sistemi di controllo cui sono assoggettate società stabilite in un altro Stato membro La legislazione austriaca istituisce un monopolio in materia di giochi d´azzardo, riservando così allo Stato il diritto di organizzarli e gestirli. I giochi di casinò commercializzati tramite Internet sono equiparati a lotterie e sono dunque assoggettati al relativo regime di concessione, il quale prevede l´attribuzione di una concessione unica per l’insieme di questi giochi. Il concessionario dev’essere una società di capitali, deve avere la propria sede in Austria e deve sottostare alla sorveglianza delle autorità austriache. Il concessionario unico è attualmente, fino al 2012, la società di diritto privato Österreichische Lotterien Gmbh. L´organizzazione dei giochi d´azzardo in assenza di autorizzazione è suscettibile di sanzioni penali. I sigg. Jochen Dickinger e Franz Ömer sono cittadini austriaci, fondatori del gruppo multinazionale di giochi on line bet‑at‑home.Com. Tale gruppo comprende, in particolare, alcune controllate maltesi, le quali propongono giochi di casinò e scommesse sportive tramite Internet sul sito www.Bet‑at‑home.com e dispongono a tal fine di licenze maltesi per i giochi d´azzardo e le scommesse sportive on line. Il sito è accessibile in varie lingue, compresa quella tedesca. Le controllate maltesi utilizzavano, quanto meno fino al dicembre 2007, un server installato a Linz (Austria), messo a loro disposizione dalla società di diritto austriaco bet‑at‑home.Com Entertainment Gmbh, di cui i sigg. Dickinger e Ömer erano i gestori e che assicurava anche la manutenzione del sito e del programma necessario per i giochi, nonché l´assistenza agli utenti. Nei confronti dei sigg. Dickinger e Ömer, nella loro veste di gestori della società bet‑at‑home.Com Entertainment Gmbh, è stato avviato un procedimento penale per violazione della normativa austriaca in materia di giochi d´azzardo. Il Bezirksgericht Linz (tribunale distrettuale di Linz, Austria), investito della controversia, dubitando che le norme austriache siano compatibili con il diritto dell´Unione e segnatamente con la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi, ha deciso di sottoporre alla Corte di giustizia varie questioni pregiudiziali. Nella sua sentenza la Corte ricorda che, ai sensi della sua giurisprudenza, un monopolio sui giochi d´azzardo costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi. Tuttavia, tale restrizione può essere giustificata da motivi imperativi di interesse generale, come ad esempio l´obiettivo di garantire un livello di protezione dei consumatori particolarmente elevato. La Corte sottolinea che, nell´ambito di un rinvio pregiudiziale, la questione di quali obiettivi siano effettivamente perseguiti dalla normativa nazionale, nonché la valutazione della proporzionalità delle misure adottate nel perseguimento di tali obiettivi, rientrano nella competenza del giudice del rinvio, al quale la Corte fornisce alcuni criteri nella sua sentenza. A questo proposito, la Corte ricorda la propria giurisprudenza secondo cui, per essere coerente con gli obiettivi della lotta alla criminalità e della riduzione delle occasioni di gioco, una normativa nazionale istitutiva di un monopolio, nel consentire al titolare di quest´ultimo di condurre una politica espansionistica, deve effettivamente fondarsi sulla constatazione secondo cui le attività criminali e fraudolente connesse ai giochi costituiscono un problema nello Stato membro interessato, al quale potrebbe porsi rimedio mediante un’espansione delle attività regolamentate. La Corte sottolinea tuttavia che il solo obiettivo della massimizzazione delle entrate dell’Erario non consente una siffatta restrizione della libera prestazione dei servizi. La Corte ricorda poi che solo una pubblicità contenuta e strettamente limitata a quanto necessario per incanalare i consumatori verso le reti di gioco controllate potrebbe essere ammessa. Una politica commerciale espansionistica il cui obiettivo sia l´accrescimento del mercato complessivo delle attività di gioco non sarebbe coerente con l´obiettivo della lotta contro le attività criminali e fraudolente. Infine, la Corte esamina la questione se i controlli sugli operatori di giochi d´azzardo effettuati in altri Stati membri – come quelli cui sono assoggettate, nella fattispecie, le controllate maltesi a Malta – debbano essere presi in considerazione dalle autorità di un altro Stato membro – nel caso di specie, l’Austria. Infatti, ad avviso dei sigg. Dickinger ed Ömer nonché del governo maltese, la Repubblica di Malta avrebbe sviluppato un efficiente sistema di regolazione dei giochi d´azzardo su Internet, atto a soddisfare l’obiettivo della tutela dei giocatori contro le frodi. A questo proposito, la Corte ricorda che allo stato attuale del diritto dell´Unione, vista l’assenza di un’armonizzazione della normativa disciplinante tale settore a livello dell´Unione stessa, non esiste alcun obbligo di mutuo riconoscimento delle autorizzazioni rilasciate dagli altri Stati membri, e che il semplice fatto che uno Stato membro abbia scelto un sistema di protezione differente da quello adottato da un altro Stato membro non incide in alcun modo sulla valutazione della necessità e della proporzionalità delle disposizioni prese in materia. La Corte dichiara poi che la propria giurisprudenza, secondo cui non è conforme alla libera prestazione dei servizi il fatto di assoggettare a restrizioni un prestatore − nello Stato membro ospitante − al fine di salvaguardare interessi generali, qualora questi ultimi siano già tutelati nello Stato membro di stabilimento, allo stato attuale dell´evoluzione del diritto dell´Unione, non è applicabile in un settore come quello dei giochi d´azzardo, che non è armonizzato a livello dell´Unione e nel quale gli Stati membri godono di un ampio margine discrezionale per quanto riguarda gli obiettivi che essi intendono perseguire e il livello di protezione da essi ricercato. Al riguardo la Corte sottolinea che i vari Stati membri non dispongono necessariamente degli stessi mezzi tecnici per controllare i giochi d´azzardo on line. Il fatto che un particolare livello di tutela dei consumatori contro le frodi dell’operatore possa essere raggiunto in uno Stato membro mediante l’applicazione di tecniche sofisticate di controllo e di sorveglianza non consente di concludere che lo stesso livello di protezione possa essere raggiunto in altri Stati membri i quali non dispongano di questi mezzi tecnici o non abbiano fatto le medesime scelte in proposito. Uno Stato membro può legittimamente scegliere di voler sorvegliare un’attività economica che si svolge nel suo territorio, cosa che sarebbe per esso impossibile qualora dovesse fidarsi dei controlli effettuati dalle autorità di un altro Stato membro mediante sistemi di regolazione cui esso stesso non sovrintende in prima persona. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 15 settembre 2011, sentenza nella causa C-347/09, Procedimento penale a carico di Jochen Dickinger e Franz Ömer) |
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