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Notiziario Marketpress di Lunedì 28 Novembre 2011
INTERNET: CONFINDUSTRIA CULTURA ITALIA SULLA PRONUNCIA DELLA CORTE UE  
 
“La decisione della Corte di Giustizia (vedi oltre) sul caso Scarlet Extended Sa, un fornitore di accesso a Internet, e la Sabam non ha nulla a che fare con il rispetto della legalità su internet”. E’ quanto precisa il presidente di Confindustria Cultura Italia Marco Polillo dopo la pronuncia della Corte Ue. “La sentenza conferma, invece, in maniera chiarissima - prosegue Polillo - che, ai fini del contrasto della pirateria online, l’Autorità Giudiziaria e gli Organi amministrativi di vigilanza, dopo aver accertato gli illeciti, possono ordinare provvedimenti di inibizione all’accesso attraverso il coinvolgimento degli intermediari. Ciò proprio alla luce degli articoli 14 e seguenti della Direttiva 2000/31/Ce. Questa decisione dovrebbe confortare anche l’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni italiana che ha intrapreso la giusta strada dei provvedimenti interdittivi solo dopo l´adeguato confronto e l´accertamento degli illeciti”. “Nessuno vuole imporre obblighi di sorveglianza e filtraggi preventivi della rete internet – chiarisce Polillo-, men che meno l’industria dei contenuti. Chiediamo tuttavia con forza che, ove riscontrate violazioni gravi e sistematiche del diritto d’autore, le Autorità competenti, e quindi anche l’Agcom, possano intervenire tempestivamente per porre fine alle violazioni. In Italia, come all’estero. Il cosiddetto website blocking è una misura non “invasiva” delle libertà, e tale da assicurare un livello di garanzie, anche procedimentali, sufficienti per i soggetti coinvolti. Come hanno dimostrato i Monopoli di Stato per il betting on line e le recenti pronunce sui casi “pirate-bay e btjunkie”, l´inibizione dei siti illegali è lo strumento più efficace per contrastare gli illeciti e l´abusivismo in rete”.  
   
   
INTERNET: LEZIONE DI SICUREZZA ALL´UNIVERSITÀ CATTOLICA A MILANO  
 
In che modo e con quali logiche si è evoluto negli ultimi anni lo scenario delle minacce informatiche? Cosa sono gli attacchi mirati, quali Duqu e Stuxnet, e qual è l’impatto crescente delle minacce sulle piattaforme mobili? Questi, oltre a dati e dimostrazioni online degli attacchi, con un diretto riferimento all’attualità, saranno i principali argomenti della Symantec Security Academy, una lezione sulla sicurezza informatica organizzata da Symantec, in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore. «L’università Cattolica è il primo ateneo in Italia che ospita il nostro programma di Security Academy e siamo orgogliosi di avere l’opportunità di rivolgerci agli studenti universitari, un pubblico all’avanguardia nell’utilizzo dei dispositivi smartphone e tablet, ma non sempre a conoscenza dei rischi che derivano da un utilizzo non corretto di tali dispositivi» - ha dichiarato Marco Riboli, Vice President e General Manager, Symantec Emea Mediterranean Region. «Con questa sessione sulla sicurezza, Symantec intende aiutare gli utenti di tecnologia a muoversi in maniera consapevole e protetta in un mondo connesso e incentrato sulle informazioni.» «Lo sviluppo dei social network e delle applicazioni informatiche, ci chiede di sensibilizzare i nostri studenti sui nuovi rischi e sulle minacce future della rete. Oggi il pericolo maggiore non riguarda soltanto la violazione dei sistemi, ma soprattutto dei dati personali e sensibili che troppo spesso sono oggetto di frode – afferma Federico Rajola, direttore del Cetif. – È quindi necessario un profondo ripensamento delle logiche di gestione dei rischi informatici a tutti i livelli. È altresì d’obbligo soffermarsi sulle necessità di una crescita culturale che consenta di comprendere come difendersi e come fronteggiare tali problemi. Le nuove generazioni sono pertanto chiamate a sviluppare competenze adeguate». L´incontro avverrà venerdì 2 dicembre, alle ore 15.30, nella Cripta Aula Magna, largo Gemelli, 1 – Milano. Info: http://www.symantec.com/    
   
   
PRIVACY: PERICOLI ALLA VIABILITÀ STRADALE - SÌ ALL´USO DI SMS PER AVVISARE LA POPOLAZIONE  
 
Il Centro di coordinamento nazionale per la viabilità ("Viabilità Italia"), costituito presso il Ministero dell´Interno, potrà inviare sms utili alla gestione di situazioni di crisi della viabilità a tutte le persone presenti sul territorio interessato dall´emergenza. Il Garante della privacy ha espresso parere favorevole sullo schema di convenzione stipulato tra "Viabilità Italia" e le società telefoniche. Lo schema - che tiene conto delle osservazioni formulate dall´Autorità al Ministero - stabilisce che "Viabilità Italia", in seguito a una ordinanza contingibile e urgente emanata da una autorità di pubblica sicurezza, possa chiedere alle società telefoniche di individuare i cellulari dei clienti presenti nell´area di crisi per allertarli via sms sulla situazione di emergenza o di imminente pericolo. Il Garante ha ritenuto che, trattandosi di messaggi inviati in presenza di casi eccezionali e sulla base di una provvedimento d´urgenza della autorità pubblica competente, gli operatori telefonici e quelli che forniscono servizi di comunicazione elettronica non hanno l´obbligo di acquisire il consenso al trattamento dei dati personali prima di poter contattare la popolazione che si trova nell´area di crisi. Al fine di evitare eventuali abusi, nella convenzione viene comunque specificato che la comunicazione inviata dagli operatori telefonici dovrà attenersi rigorosamente al contenuto dell´ordinanza e all´area geografica indicata. Il trattamento dei dati delle persone interessate dovrà inoltre avvenire nel pieno rispetto della normativa sulla privacy e dello specifico provvedimento, adottato dal Garante nel 2003, in materia di sms di pubblica utilità  
   
   
PRIVACY: UNIVERSITÀ TELEMATICA: SOLO DATI NECESSARI NEI FORM ON LINE  
 
Attraverso il form di iscrizione ad un sito web si possono raccogliere solo i dati personali strettamente necessari a fornire il servizio per il quale l´utente si registra. Il principio è stato affermato dal Garante per la protezione dei dati personali che ha vietato ad una università telematica il trattamento di alcuni dati degli studenti che si erano iscritti on line per essere informati sulle attività dell´ateneo. Nel corso di accertamenti ispettivi è emerso infatti che l´università, mediante il form di registrazione al sito, raccoglieva anche informazioni, quali luogo e data di nascita, codice fiscale, cittadinanza, che sono risultate eccedenti e non pertinenti rispetto alle finalità dichiarate di mantenere contatti con gli utenti interessati al mondo dell´ateneo e di informare sulle novità e gli appuntamenti universitari. Oltre al divieto, l´Autorità ha prescritto all´ateneo di modificare le modalità di raccolta on line dei dati personali, eliminando dal form di registrazione la richiesta dei dati risultati non pertinenti. L´università, inoltre, nel caso in cui intenda comunicare i dati personali a terzi, dovrà indicare chiaramente nell´informativa i soggetti o le categorie di soggetti, i motivi della comunicazione ed avere il consenso degli utenti. Prima dell´intervento del Garante, l´ateneo forniva un´unica informativa ed acquisiva il consenso per tre diverse finalità (per la registrazione al sito, per la valutazione del curriculum vitae dell´utente e per l´iscrizione e l´immatricolazione ai corsi) richiedendo come "obbligatori" dati personali (cognome e nome, luogo e data di nascita, codice fiscale, cittadinanza, indirizzi di residenza, domicilio, indirizzo mail, numero di cellulare) necessari solo per alcune di esse  
   
   
PRIVACY: NUOVE REGOLE PER LA TUTELA DEI DATI SANITARI DEI MILITARI  
 
Parere favorevole del Garante per la protezione dei dati personali su uno schema di Dpr recante "disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare", predisposto dal Ministero della Difesa. Tra le norme introdotte o aggiornate dal regolamento alcune rivestono particolare interesse ai fini della tutela dei dati personali. Lo schema di regolamento, che tiene conto delle osservazioni formulate dal Garante al Ministero, disciplina infatti anche l´adozione del "doppio certificato". Quest´ultimo prevede per il militare in malattia la trasmissione di due certificati medici: uno con la sola prognosi, da consegnare al superiore diretto, e un altro, recante anche la diagnosi, da inviare alle strutture sanitarie militari, affinché possano accertare l´idoneità psico-fisica ad attività istituzionali connesse alla detenzione o all´uso delle armi, ovvero connotate da rischio o controindicazioni all´impiego. Viene inoltre previsto che il comandante di corpo o di distaccamento, tenuto ad informare i familiari dei militari che versino in gravi condizioni di salute, dovrà comunicare solo il luogo in cui questi sia ricoverato e non anche la malattia da cui è affetto. Per innalzare maggiormente il livello di tutela, il Garante ha richiesto che anche in caso di accertata inidoneità all´impiego, i dati relativi alla diagnosi debbano essere comunicati solo all´organo della sanità militare e non al superiore diretto, il quale potrà trattare esclusivamente le informazioni indispensabili per le valutazioni a lui spettanti (ad esempio, per il conteggio dei giorni di malattia)  
   
   
PRIVACY: GIUSTIZIA TRIBUTARIA: CONCORSI E DATI PERSONALI  
 
Per rettificare il punteggio di un candidato nella graduatoria di un concorso a vice presidente di sezione di commissioni tributarie provinciali, è sufficiente pubblicare solo il dispositivo della delibera. Per pubblicare l´atto in forma integrale è necessario invece che lo disponga una norma di legge o di regolamento. Questa in sintesi la motivazione con la quale il Garante ha dichiarato illegittimo il trattamento di dati personali di un candidato effettuato dal Consiglio di presidenza della giustizia tributaria che per aggiornare una graduatoria ha disposto l´affissione della delibera negli uffici di segreteria delle commissioni provinciali dove erano i posti vacanti. Il candidato allora si è rivolto al Garante privacy con un reclamo lamentando la diffusione di numerosi dati personali, tra i quali valutazioni e apprezzamenti sulla sua persona, nonché informazioni sulle attività prestate negli ultimi quaranta anni, lesivi della propria dignità umana e professionale. A seguito dell´intervento dell´Autorità - che ha respinto le motivazioni a sostegno della pubblicazione integrale della delibera non trovando fondamento in alcuna norma di legge o di regolamento - il Consiglio ha modificato le forme di pubblicità degli atti di rettifica dei punteggi delle graduatorie dei concorsi. L´organo di autogoverno dei giudici tributari ha infatti previsto l´affissione della sola parte dispositiva ed ha dichiarato inoltre di voler estendere tale procedura anche a delibere analoghe. Con un separato procedimento l´Autorità sta verificando l´esistenza dei presupposti per la contestazione di una sanzione amministrativa nei confronti del Consiglio per la diffusione dei dati personali del candidato  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: AIUTO CONCESSO DALLE AUTORITÀ ITALIANE ALLE SOCIETÀ RECENTEMENTE QUOTATE IN BORSA – NORMATIVA CHE PREVEDE AGEVOLAZIONI FISCALI  
 
Il decreto legge n. 269/2003, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici, prevedeva che per le società le cui azioni sono ammesse alla quotazione in un mercato regolamentato di uno Stato membro Ue successivamente alla data di entrata in vigore del d.L. Stesso e fino al 31 dicembre 2004, l’aliquota dell’imposta sul reddito è ridotta al 20 per cento per il periodo d’imposta nel corso del quale è stata disposta l’ammissione alla quotazione e per i due periodi d’imposta successivi. Il reddito complessivo netto dichiarato è assoggettabile ad aliquota ridotta per un importo complessivo fino a 30 milioni di euro. Le autorità italiane avevano previsto, per il solo 2004, un minor gettito fiscale di 56 milioni di euro. Tale regime di aiuti è entrato in vigore il 2 ottobre 2003 senza essere stato notificato alla Commissione. Dopo aver inviato alle autorità italiane vari solleciti infruttuosi aventi ad oggetto gli obblighi ad esse incombenti in forza dell’art. 88, n. 3, Ce, la Commissione, il 16 marzo 2005, ha adottato la decisione 2006/261/Cee, dichiarando che tale regime di aiuti offre evidenti vantaggi selettivi, in quanto deroga al normale funzionamento del sistema tributario e favorisce un numero limitato di società. Le agevolazioni concesse proverrebbero dallo Stato sotto forma di rinuncia a gettiti d’imposta di norma percepiti dall’erario italiano. Le misure controverse potrebbero colpire gli scambi tra Stati membri e falsare la concorrenza tra imprese. Il 26 maggio 2005, l´Italia ha proposto ricorso dinanzi alla Corte di giustizia per ottenere l’annullamento della decisione. Il Tribunale di primo grado ha respinto integralmente il ricorso. Corte di giustizia Ue, sentenza nella causa C-458/09 P, Italia/commissione Ricordiamo che con la sentenza C-304/09 del 22 dicembre 2010, la Corte ha già dichiarato l´inadempimento dell´Italia che non ha adottato, entro i termini stabiliti, tutti i provvedimenti necessari al fine di sopprimere il regime di aiuti dichiarato illegittimo ed incompatibile con il mercato comune dalla decisione della Commissione 2006/261/Ce. Detta sentenza - insieme alle altre relative alle esenzioni fiscali alle imprese pubbliche (C-207/05 del 5 giugno 2006 ), agli aiuti all´occupazione per le imprese in amministrazione starordinaria con più di 1000 dipendenti (C-280/05, del 6 dicembre 2007), agli incentivi fiscali alle società che partecipano ad esposizioni all´estero (C-305/09 del 5 maggio 2011) - è stata menzionata nella recente sentenza sulle sazioni pecuniarie per il mancato recupero dei vantaggi fiscali ottenuti attraverso il Contratto di formazione lavoro (C-496/09 del 17 novembre 2011) come una delle numerose sentenze d´inadempimento pronunciate sulla base dell´art. 88, n. 2, Ce, per non avere l´Italia recuperato immediatamente ed effettivamente aiuti versati in forza di regimi dichiarati illegittimi e incompatibili con il mercato comune. La Corte ha lasciato intendere (punti 89 a 91) che in ragione di detti inadempimenti si imponeva l´adozione della misura dissuasiva (sanzione pecuniaria)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: È CONTRARIA AL DIRITTO DELL’UNIONE LA LEGGE ITALIANA SULLA RESPONSABILITÀ CIVILE DEI MAGISTRATI PER I DANNI ARRECATI AI SINGOLI A SEGUITO DI VIOLAZIONE DEL DIRITTO MEDESIMO  
 
L’esclusione ovvero la limitazione della responsabilità dello Stato ai casi di dolo o di colpa grave è contraria al principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado. Il diritto dell’Unione impone agli Stati membri di risarcire i danni arrecati ai singoli a seguito di violazioni del diritto dell’Unione ad essi imputabili, a prescindere dall’organo da cui tale danno sia scaturito – principio che trova parimenti applicazione nel caso in cui la violazione sia commessa dal potere giudiziario. La necessità di garantire ai singoli una protezione giurisdizionale effettiva dei diritti che il diritto dell’Unione conferisce loro implica che la responsabilità dello Stato possa sorgere per violazione del diritto dell’Unione risultante dall’interpretazione di norme di diritto da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado. Nella specie, la Commissione sostiene che la legge italiana sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati è incompatibile con la giurisprudenza della Corte di giustizia relativa alla responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado. L’istituzione contesta all’Italia, da un lato, di avere escluso qualsiasi responsabilità dello Stato per i danni causati a singoli qualora la violazione del diritto dell’Unione derivi da un’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove effettuata da un siffatto organo e, dall’altro, di aver limitato, in casi diversi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove, la possibilità di invocare tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave. La Corte rileva anzitutto che la legge italiana esclude in via generale la responsabilità dello Stato nei settori dell’interpretazione del diritto e della valutazione di fatti e di prove. Orbene, come la Corte ha già avuto modo di affermare, il diritto dell’Unione osta ad una siffatta esclusione generale della responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado qualora tale violazione risulti dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove operata dall’organo medesimo. Inoltre e in particolare, la Corte rileva che l’Italia non ha dimostrato che la normativa italiana venga interpretata dai giudici nazionali nel senso di porre un semplice limite alla responsabilità dello Stato e non nel senso di escluderla. La Corte rammenta che uno Stato membro è tenuto al risarcimento dei danni arrecati ai singoli per violazione del diritto dell’Unione da parte dei propri organi in presenza di tre condizioni: la norma giuridica violata dev’essere preordinata a conferire diritti ai singoli, la violazione dev’essere sufficientemente caratterizzata e tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subìto dal soggetto leso deve sussistere un nesso causale diretto. La responsabilità dello Stato per i danni causati dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado è disciplinata dalle stesse condizioni. In tal senso, una «violazione sufficientemente caratterizzata della norma di diritto» si realizza quando il giudice nazionale ha violato il diritto vigente in maniera manifesta. Il diritto nazionale può precisare la natura o il grado di una violazione che implichi la responsabilità dello Stato ma non può, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi. Orbene, la Corte di giustizia rileva che la Commissione ha fornito sufficienti elementi volti a provare che la condizione della «colpa grave», prevista dalla legge italiana, come interpretata dalla Corte di Cassazione italiana, si risolve nell’imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di «violazione manifesta del diritto vigente». Per contro, l’Italia non è stata in grado di provare che l’interpretazione di tale legge ad opera dei giudici italiani sia conforme alla giurisprudenza della Corte di giustizia. In conclusione, la Corte rileva che la normativa italiana, laddove esclude qualsiasi responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado, qualora tale violazione derivi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e laddove limita tale responsabilità ai casi di dolo o di colpa grave, è in contrasto con il principio generale di responsabilità degli Stati membri per la violazione del diritto dell’Unione. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 24 novembre 2011, Sentenza nella causa C-379/10, Commissione / Italia)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: IL DIRITTO DELL´UNIONE VIETA UN’INGIUNZIONE DI UN GIUDICE NAZIONALE DIRETTA AD IMPORRE AD UN FORNITORE DI ACCESSO AD INTERNET DI PREDISPORRE UN SISTEMA DI FILTRAGGIO PER PREVENIRE GLI SCARICAMENTI ILLEGALI DI FILE  
 
Un´ingiunzione di tale genere non rispetta il divieto di imporre a siffatto prestatore un obbligo generale di sorveglianza né l´esigenza di garantire un giusto equilibrio tra il diritto di proprietà intellettuale, da un lato, e la libertà d´impresa, il diritto alla tutela dei dati personali e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni, dall´altro. Questa causa è scaturita da una controversia tra la Scarlet Extended Sa, un fornitore di accesso a Internet, e la Sabam, una società di gestione belga incaricata di autorizzare l’utilizzo da parte di terzi delle opere musicali degli autori, dei compositori e degli editori. Nel 2004 la Sabam ha scoperto che alcuni utenti di Internet che si avvalevano dei servizi della Scarlet scaricavano da Internet, senza autorizzazione e senza pagarne i diritti, opere contenute nel suo catalogo, utilizzando reti «peer-to-peer» (uno strumento aperto per la condivisione di contenuti, indipendente, decentralizzato e dotato di avanzate funzioni di ricerca e di scaricamento di file). Su istanza della Sabam, il presidente del Tribunal de première instance de Bruxelles (Belgio) ha ordinato, a pena di ammenda, alla Scarlet, in qualità di fornitore di accesso ad Internet, di far cessare tali violazioni del diritto d’autore, rendendo impossibile ai suoi clienti qualsiasi forma di invio o di ricezione mediante un programma «peer to peer» di file che contenessero un’opera musicale appartenente al repertorio della Sabam. La Scarlet ha interposto appello dinanzi alla Cour d´appel de Bruxelles, asserendo che l’ingiunzione non era conforme al diritto dell´Unione in quanto le imponeva, de facto, un obbligo generale di sorveglianza sulle comunicazioni che transitano sulla sua rete, circostanza a suo avviso incompatibile con la direttiva sul commercio elettronico e con i diritti fondamentali. In questo contesto, la Cour d´appel chiede alla Corte di giustizia se il diritto dell´Unione consenta agli Stati membri di autorizzare un giudice nazionale ad ingiungere ad un fornitore di accesso a Internet di predisporre, in modo generalizzato, a titolo preventivo, esclusivamente a spese di quest´ultimo e senza limiti nel tempo, un sistema di filtraggio delle comunicazioni elettroniche avente la finalità di identificare gli scaricamenti illegali di file. Nella sua odierna sentenza, la Corte ricorda anzitutto che i titolari di diritti di proprietà intellettuale possono chiedere che sia emanata un´ordinanza nei confronti degli intermediari, come i fornitori di accesso a Internet, i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare i loro diritti. Le modalità delle ingiunzioni sono stabilite dal diritto nazionale. Tuttavia, dette norme nazionali devono rispettare le limitazioni derivanti dal diritto dell´Unione − in particolare, il divieto imposto dalla direttiva sul commercio elettronico alle autorità nazionali di adottare misure che obblighino un fornitore di accesso ad Internet a procedere ad una sorveglianza generalizzata sulle informazioni che esso trasmette sulla propria rete. A questo proposito, la Corte dichiara che l’ingiunzione in oggetto obbligherebbe la Scarlet a procedere ad una sorveglianza attiva su tutti i dati di ciascuno dei suoi clienti per prevenire qualsiasi futura violazione di diritti di proprietà intellettuale. L’ingiunzione imporrebbe dunque une sorveglianza generalizzata, incompatibile con la direttiva sul commercio elettronico. Inoltre, siffatta ingiunzione non rispetterebbe neppure i diritti fondamentali applicabili. Sebbene la tutela del diritto di proprietà intellettuale sia sancita dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non può desumersi né da tale Carta né dalla giurisprudenza della Corte che tale diritto sia intangibile e che la sua tutela debba essere garantita in modo assoluto. Orbene, nella presente fattispecie, l’ingiunzione di predisporre un sistema di filtraggio implica una sorveglianza, nell’interesse dei titolari di diritti d’autore, su tutte le comunicazioni elettroniche realizzate sulla rete del fornitore di accesso ad Internet coinvolto. Tale sorveglianza sarebbe peraltro illimitata nel tempo. Pertanto, un’ingiunzione di questo genere causerebbe una grave violazione della libertà di impresa della Scarlet, poiché l’obbligherebbe a predisporre un sistema informatico complesso, costoso, permanente e interamente a sue spese. Per di più, gli effetti dell’ingiunzione non si limiterebbero alla Scarlet, poiché il sistema di filtraggio controverso è idoneo a ledere anche i diritti fondamentali dei suoi clienti, ossia i loro diritti alla tutela dei dati personali e la loro libertà di ricevere o di comunicare informazioni, diritti, questi ultimi, tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali dell´Unione europea. Da un lato, infatti, è pacifico che tale ingiunzione implicherebbe un’analisi sistematica di tutti i contenuti, nonché la raccolta e l’identificazione degli indirizzi Ip degli utenti che effettuano l’invio dei contenuti illeciti sulla rete, indirizzi che costituiscono dati personali. Dall’altro, detta ingiunzione rischierebbe di ledere la libertà di informazione, poiché tale sistema potrebbe non essere in grado di distinguere adeguatamente tra un contenuto illecito ed un contenuto lecito, sicché il suo impiego potrebbe produrre il risultato di bloccare comunicazioni aventi un contenuto lecito. Pertanto, la Corte dichiara che, emettendo un’ingiunzione che costringa la Scarlet a predisporre un siffatto sistema di filtraggio, il giudice nazionale non rispetterebbe l’obbligo di garantire un giusto equilibrio tra il diritto di proprietà intellettuale, da un lato, e la libertà di impresa, il diritto alla tutela dei dati personali e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni, dall’altro. La Corte risolve quindi la questione pregiudiziale dichiarando che il diritto dell´Unione vieta che sia rivolta ad un fornitore di accesso ad Internet un’ingiunzione di predisporre un sistema di filtraggio di tutte le comunicazioni elettroniche che transitano per i suoi servizi, applicabile indistintamente a tutta la sua clientela, a titolo preventivo, a sue spese esclusive e senza limiti nel tempo. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 24 novembre 2011, Sentenza nella causa C-70/10, Scarlet Extended Sa / Société belge des auteurs, compositeurs et éditeurs Scrl (Sabam)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: IL TRIBUNALE RESPINGE LA DOMANDA DI RISARCIMENTO DANNI PROPOSTA DA JOSE MARIA SISON A SEGUITO DELL´ILLEGITTIMO CONGELAMENTO DEI SUOI CAPITALI DA PARTE DEL CONSIGLIO  
 
La violazione del diritto dell’Unione si spiega con i vincoli e le responsabilità particolari che gravavano sul Consiglio e costituisce un’irregolarità che un’amministrazione normalmente prudente e diligente avrebbe potuto commettere in una situazione analoga Il 30 settembre 2009 il Tribunale ha annullato per la seconda volta taluni atti del Consiglio che avevano disposto il congelamento dei capitali del sig. Jose Maria Sison, cittadino filippino residente nei Paesi Bassi («sentenza Sison Ii»). Il Tribunale ha stabilito che le decisioni nazionali sulle quali si era basato il Consiglio per congelare i capitali del sig. Sison non vertevano né sull´apertura di indagini o di azioni penali, né su una condanna per attività terroristica, contrariamente ai requisiti previsti dalla legislazione dell´Unione. Le decisioni nazionali in questione erano state assunte dai giudici olandesi nel contesto di una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato. Tale domanda era stata respinta in più occasioni dal Segretario di Stato per la Giustizia, in quanto il sig. Sison era a capo del partito comunista filippino e aveva diretto la New People’s Army («Npa»), ramo militare del partito comunista filippino, implicato in un gran numero di atti terroristici nelle Filippine. In occasione della sentenza 30 settembre 2009 il Tribunale non si era pronunciato sulla domanda per risarcimento danni contestualmente proposta dal sig. Sison, essendo questa stata sospesa sino alla pronuncia della sentenza sulla domanda d´annullamento delle misure. Nella sua odierna sentenza il Tribunale si pronuncia in merito a tale domanda di risarcimento danni, respingendola. Il Tribunale afferma che la violazione, benché chiaramente accertata nella sua sentenza Sison Ii, non è sufficientemente grave da far sorgere la responsabilità della Comunità nei confronti del sig. Sison. A tal proposito, il Tribunale rammenta che il ricorso per risarcimento danni non è diretto a garantire il risarcimento di un danno causato da qualsiasi comportamento illecito. Solo una violazione sufficientemente grave di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli può far sorgere la responsabilità della Comunità. Il criterio decisivo per considerare tale condizione soddisfatta è quello della violazione manifesta e grave, commessa dall’istituzione in questione, dei limiti posti al suo potere discrezionale. In tal senso, il Tribunale afferma che l´interpretazione e l´applicazione del diritto comunitario in questione presentavano difficoltà. Esso rileva anzitutto che lo stesso tenore letterale delle disposizioni in questione risulta particolarmente confuso, come attestato dall’abbondante giurisprudenza del Tribunale in materia. Solamente attraverso l’esame di una decina di cause, ripartito in vari anni, il Tribunale ha progressivamente elaborato un quadro razionale e coerente di interpretazione delle disposizioni. Infatti, solamente con la sua sentenza Sison Ii il Tribunale ha stabilito che una decisione nazionale, per poter essere validamente invocata dal Consiglio, deve iscriversi nell’ambito di un procedimento nazionale avente ad oggetto direttamente e principalmente l’applicazione nei confronti dell’interessato di una misura di tipo preventivo o repressivo a titolo della lotta al terrorismo. Il Tribunale sottolinea peraltro che, contrariamente a quanto sostenuto dal sig. Sison, il rifiuto del Segretario di Stato olandese per la Giustizia di riconoscergli lo status di rifugiato, motivato essenzialmente dal fatto che egli aveva diretto la Npa, responsabile di un gran numero di atti terroristici nelle Filippine, era stato sostanzialmente approvato dai giudici olandesi. Il Consiglio non ha pertanto commesso alcun errore di valutazione riferendosi a tali circostanze fattuali e il Tribunale, nella sua sentenza Sison Ii, ha respinto gli argomenti del sig. Sison a tal proposito. Di conseguenza, considerata altresì la fondamentale importanza della lotta al terrorismo internazionale, la violazione commessa dal Consiglio si spiega con i vincoli e le responsabilità particolari che gravavano su tale istituzione e costituisce un’irregolarità che un’amministrazione normalmente prudente e diligente avrebbe potuto commettere in una situazione analoga. (Tribunale dell’Unione europea, Lussemburgo, 23 novembre 2011, Sentenza nella causa T-341/07, Jose Maria Sison / Consiglio)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: UNA NORMATIVA NAZIONALE PUÒ FISSARE UN LIMITE TEMPORALE AL CUMULO DEI DIRITTI ALLE FERIE ANNUALI RETRIBUITE, NON GODUTE, ACQUISITI DURANTE UN PERIODO DI INCAPACITÀ LAVORATIVA  
 
Tuttavia, tale limite deve superare in modo significativo la durata del periodo di riferimento al quale si riferisce. Il sig. Schulte, dipendente dell’impresa tedesca Khs Ag dal 1964, era soggetto ad un contratto collettivo in forza del quale il diritto alle ferie annuali retribuite è di 30 giorni l’anno. Tale contratto collettivo consente l’indennità sostitutiva delle ferie annuali retribuite non godute solo in caso di cessazione del rapporto di lavoro e prevede l’estinzione del diritto alle ferie annuali retribuite non godute a causa di malattia alla scadenza di un periodo di riporto di quindici mesi dopo il periodo di riferimento (anno civile). Nel 2002, il sig. Schulte veniva colpito da un infarto, in seguito al quale è rimasto gravemente disabile ed è stato dichiarato inabile al lavoro. Ha iniziato a percepire una pensione in conseguenza della sua invalidità totale sino al 31 agosto 2008, data della cessazione del rapporto di lavoro con l’impresa Khs. Nel 2009, il sig. Schulte adiva i giudici tedeschi richiedendo l’indennità sostitutiva delle ferie annuali retribuite non godute negli anni 2006, 2007 e 2008. Essendo stato in congedo per malattia per tutti i periodi di riferimento, egli è stato privato della possibilità di esercitare il suo diritto alle ferie annuali retribuite. Il Landesarbeitsgericht Hamm (Tribunale regionale del lavoro di Hamm, Germania) adito della controversia in appello, rileva che, ai sensi della normativa tedesca e del contratto collettivo, il diritto alle ferie per il 2006 si era estinto a causa della scadenza del periodo di riporto. Ciò premesso, detto giudice si interroga in ordine alla compatibilità con la direttiva sull’organizzazione dell’orario di lavoro di norme o prassi nazionali che prevedono che, in caso di inabilità al lavoro, il riporto dei diritti alle ferie annuali retribuite è limitato nel tempo. Nella sentenza pronunciata in data odierna, la Corte ricorda la sua giurisprudenza secondo la quale il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite deve essere considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dal diritto dell’Unione. La Corte sottolinea di aver già affermato che il diritto dell’Unione non osta, tuttavia, ad una normativa nazionale che preveda la perdita del diritto alle ferie annuali allo scadere di un periodo di riferimento o di un periodo di riporto, a condizione che il lavoratore abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare il suo diritto alle ferie. La Corte aggiunge che, in circostanze specifiche, come quelle in oggetto, un lavoratore inabile al lavoro per diversi periodi di riferimento consecutivi avrebbe il diritto di accumulare, senza limiti, tutti i diritti alle ferie annuali retribuite maturati durante la sua assenza dal lavoro. Orbene, il diritto a un siffatto cumulo illimitato di diritti alle ferie annuali retribuite, maturati durante detto periodo di inabilità al lavoro, non risponderebbe più alla finalità stessa del diritto alle ferie annuali retribuite. Tale finalità possiede due componenti, consentendo al lavoratore sia di riposarsi dal proprio lavoro sia di beneficiare di un periodo di distensione e di ricreazione. Pur se l’effetto positivo delle ferie annuali retribuite sulla sicurezza e sulla salute del lavoratore si esplica pienamente se le ferie vengono prese nell’anno all’uopo previsto, cioè l’anno in corso, detto periodo di riposo permane interessante anche qualora se ne fruisca in un momento successivo. Tuttavia, ove il riporto superi un certo limite temporale, le ferie annuali sono prive del loro effetto positivo per il lavoratore quanto alla loro finalità di costituire un momento di riposo, mantenendo solo la loro finalità di periodo di distensione e di ricreazione. Conseguentemente, in considerazione della finalità stessa del diritto alle ferie annuali retribuite, un lavoratore inabile al lavoro per diversi anni consecutivi non può avere il diritto di cumulare senza limiti i diritti alle ferie annuali retribuite acquisiti durante tale periodo. In tale contesto, al fine di rispettare il diritto alle ferie annuali retribuite, il cui obiettivo consiste nella tutela del lavoratore, la Corte afferma che ogni periodo di riporto deve tener conto delle circostanze specifiche in cui si trova il lavoratore inabile al lavoro durante diversi periodi di riferimento consecutivi. In tal senso, detto periodo deve garantire al lavoratore, in particolare, di poter disporre, se necessario, di periodi di riposo che possano essere scaglionati, pianificati e disponibili a più lungo termine. Ogni periodo di riporto, inoltre, deve superare in modo significativo la durata del periodo di riferimento per il quale è concesso. Peraltro, tale periodo deve anche tutelare il datore di lavoro dal rischio di un cumulo troppo rilevante di periodi di assenza del lavoratore e dalle difficoltà che dette assenze potrebbero comportare per l’organizzazione del lavoro. Pertanto, dato che nel caso di specie il periodo di riporto è determinato in quindici mesi, la Corte afferma che si può ragionevolmente concepire un periodo di riporto siffatto, in quanto esso non disconosce la finalità del diritto alle ferie annuali retribuite, dato che garantisce il mantenimento del loro effetto positivo per il lavoratore in quanto periodo di riposo. Conseguentemente, la Corte risolve la questione nel senso che, nell’ipotesi di un lavoratore inabile al lavoro per più periodi di riferimento consecutivi, il diritto dell’Unione non osta a norme o a prassi nazionali, quali i contratti collettivi, che, prevedendo un periodo di riporto di quindici mesi allo scadere del quale il diritto si estingue, limitano il cumulo dei diritti alle ferie annuali retribuite. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 22 novembre 2011, Sentenza nella causa C-214/10, Khs Ag / Winfried Schulte)