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LUNEDI

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Notiziario Marketpress di Lunedì 11 Maggio 2009
DIRITTO D´AUTORE: "NO A LEGGE EURPEA SU PIRATI DEL WEB"  
 
Il Parlamento europeo, dopo aver discusso un emendamento presentato da un fronte trasversale con Liberaldemocratici, Verdi ed euroscettici, ha deciso che non si può togliere l´accesso alla rete telematica a chi scarica illegalmente una canzone, un film o un programma se non lo avrà stabilito un tribunale. Un mese fa anche il parlamento francese aveva bocciato un progetto di legge del presidente Nicolas Sarkozy contro i pirati del web. L´emendamento ha fatto leva su un principio che il Parlamento ha riaffermato: senza una decisione preliminare dell´autorità giudiziaria "non possono essere imposte limitazioni ai diritti e alle libertà fondamentali degli utenti finali di internet", a meno che "vi sia una minaccia per la sicurezza pubblica". Dopo la bocciatura toccherà al prossimo Europarlamento, che uscirà dalle elezioni di giugno, occuparsi della questione .  
   
   
BANCHE: ABI, COL CBI SERVIZI PER LE PMI ANCORA PIÙ VELOCI, CONVENIENTI E SICURI  
 
Servizi per le imprese, e in particolare per le piccole e medie, ancora più veloci, efficienti e sicuri, con meno carta e più internet. Grazie al Corporate banking interbancario, infatti, 690 banche che aderiscono al Cbi possono garantire a oltre 770 mila aziende - l’80% delle quali sono Pmi – ancora più automazione, velocità di esecuzione, sicurezza e strumenti evoluti come la fattura elettronica e la firma digitale. In particolare, proprio la fattura elettronica, resa obbligatoria dalla Finanziaria 2008 per gli operatori che lavorano con Amministrazioni ed enti pubblici, comporta un risparmio per il Paese di circa 10 miliardi di euro l’anno. «Dematerializzare i documenti e riconciliare il ciclo aziendale ordine-consegna-fatturazionepagamento – ha detto il direttore generale dell’Abi, Giuseppe Zadra – per le imprese vuol dire semplificare i processi, risparmiando fino all’80% rispetto ai costi di gestione della tradizionale fattura cartacea. Per questo – ha aggiunto Zadra - è importante, con l’emanazione del secondo regolamento, completare nel minor tempo possibile l’iter legislativo avviato nel 2008, per contribuire all’opera di ammodernamento e informatizzazione del Paese». «In questo contesto di crisi» sostiene Lorenzo Tagliavanti, Direttore della Cna di Roma «le Pmi non devono rinchiudersi nell’angolo ma scegliere di andare avanti: la strada per superare la crisi ed uscirne con un nuovo slancio competitivo passa anche attraverso la riorganizzazione gestionale ed amministrativa finalizzata alla riduzione dei costi interni. Fondamentale è in questo senso il ruolo che la Cna di Roma svolge nell’informare i propri associati e nell’indirizzare le loro scelte di investimento». In pratica, l’architettura telematica del Cbi2 – completata dal Consorzio Customer to Business Interaction (già Cbi) nel 2007 - mette a disposizione delle imprese un network interbancario ancora più sicuro ed efficiente che supporta, tra l’altro, servizi integrati sviluppati in linea con gli standard e le best practice internazionali, come le disposizioni di incasso e pagamento, la firma digitale, la trasmissione in tempo reale di messaggi e documenti e il trasporto della fattura elettronica. Di questi ed altri servizi di ultima generazione e, soprattutto, del loro contributo d’efficienza nel dialogo tra banche e imprese e in particolare per la crescita delle Pmi, si è parlato al convegno organizzato dall’Abi con il Consorzio Cbi e la Cna Roma, che si è svolto a Roma. All’evento, realizzato nell’ambito della “Settimana europea delle Pmi” coordinata dalla Direzione Generale Imprese e Industria della Commissione europea per promuovere le iniziative a sostegno dei piccoli imprenditori, hanno preso parte, tra gli altri, il Direttore Generale Abi e Presidente Consorzio Cbi, Giuseppe Zadra, il Direttore Cna Roma, Lorenzo Tagliavanti, il capo della Divisione “Enterprise and Industry “della Commissione Europea, Costas Andropoulos e Annalisa Cazzato della Direzione Centrale Normativa e Contenzioso Agenzia delle Entrate .  
   
   
PRIVACY: NIENTE PIÙ NOMI DEI MEDICINALI SULLO SCONTRINO FISCALE RILASCIATO DALLE FARMACIE  
 
Lo scontrino fiscale, rilasciato dalle farmacie per poter dedurre e detrarre la spesa sanitaria nella dichiarazione dei redditi, non riporterà più in dettaglio lo specifico nome del farmaco acquistato. A partire dal prossimo anno basterà l´indicazione del codice alfanumerico posto sulla confezione di ogni medicinale. I cittadini italiani potranno continuare a dedurre o detrarre i medicinali acquistati, ma saranno più tutelati. Quello che è conosciuto come lo "scontrino parlante" non "parlerà" dunque più. Lo "scontrino parlante" che riporta in chiaro, oltre al codice fiscale dell´interessato, la denominazione del farmaco acquistato è in grado di rivelare informazioni sullo stato di salute e sulle patologie dei cittadini. Numerosi sono stati in questi mesi coloro che si sono rivolti al Garante per segnalare la lesione della loro riservatezza e dignità al momento di presentare la documentazione fiscale per la denuncia dei redditi presso Caf o il proprio commercialista. L´attività istruttoria svolta dal Garante con l´Agenzia delle entrate e con i rappresentanti di Federfarma, la federazione più rappresentativa che raggruppa i farmacisti italiani, ha permesso di stabilire che il controllo sul farmaco venduto può essere effettuato attraverso l´utilizzo del "numero di autorizzazione all´immissione in commercio" (Aic) presente sulla confezione del farmaco. Il codice alfanumerico, rilevabile anche mediante lettura ottica, consente infatti di identificare in modo univoco ogni singola confezione farmaceutica venduta (dosaggio, somministrazione, presentazione etc. ), al pari della specificazione in chiaro del nome del farmaco. È stata in questo modo individuata una soluzione in grado di bilanciare il rispetto della dignità delle persone e l´interesse pubblico alla riduzione del rischio di indebite detrazioni e deduzioni fiscali. Sulla base del provvedimento del Garante, entro tre mesi l´Agenzia delle entrate dovrà dunque fornire indicazioni per la modifica dello scontrino fiscale rilasciato per l´acquisto di farmaci, indicazioni alle quali le farmacie dovranno adeguarsi al massimo entro il 1° gennaio 2010 .  
   
   
GIUSTIZIA ITALIANA: ABI E PROCESSO ONLINE  
 
Le banche italiane, in prima linea nel sostegno per il varo del processo civile telematico, hanno messo a disposizione 3,4 milioni di euro negli anni tra il 2007 e il 2008. La “svolta telematica” della giustizia è stata a lungo sostenuta dall’impegno e dal lavoro fatto dal Ministero della Giustizia con la collaborazione dell’Abi. Il progetto volto a consentire l’invio telematico degli atti processuali e la gestione integrata di tutte le informazioni relative ai procedimenti, è stato, infatti, realizzato nell’ambito dell’intesa siglata dal Ministero con l’Associazione bancaria nel novembre del 2006 per il consolidamento e la diffusione del processo civile telematico. Dunque, procedure più semplici e veloci. Tempi certi e più rapidi per atti e procedimenti giudiziari. Maggiore efficienza, trasparenza e qualità del servizio per i singoli cittadini e per le imprese. La “giustizia elettronica” come strumento per garantire efficienza e trasparenza e come fattore di crescita economica e stimolo della competitività del Paese, questi i temi di cui si è discusso il 30 aprile 2009 al convegno Abi “La giustizia elettronica: efficienza del servizio e sviluppo economico del Paese” che ha visto la partecipazione, tra gli altri, del Procuratore Nazionale Antimafia, Pietro Grasso e del Primo Presidente della Corte di Cassazione, Vincenzo Carbone. “Lo sviluppo della giustizia elettronica è un elemento essenziale di modernizzazione e competitività per il nostro Paese poiché realizza un contesto operativo positivo per cittadini e imprese”. Ha così commentato il Presidente dell’Abi, Corrado Faissola, aprendo i lavori del convegno. “Le nuove tecnologie applicate alla giustizia – ha aggiunto Faissola - costituiscono un fondamentale vettore di cambiamento non solo organizzativo, ma soprattutto culturale. ” Documentazione e informazioni saranno disponibili online e, quindi, facilmente accessibili, le procedure saranno semplificate e i costi dei servizi ridotti a beneficio degli utenti. Per gli avvocati e i cancellieri sarà più veloce e sicuro consultare on line una pratica servendosi della rete di accesso Polisweb, 130 sono i punti già attivi sul territorio nazionale per gli uffici e 60 sono quelli in funzione presso le sezioni giudiziarie, per un totale di circa 160. 000 utenti abilitati. Il Progetto sul processo civile telematico, che si inserisce nel Piano di e-government della giustizia italiana, riguarda il consolidamento e la diffusione del processo “online” con particolare riferimento alle attività esecutive individuali e concorsuali. Le nuove funzionalità del Processo civile telematico sono già operative dalla metà di marzo presso il Tribunale ‘pilota’ di Verona e saranno estese nei prossimi mesi, secondo quanto emerge dagli ultimi incontri del Comitato di coordinamento del progetto composto da rappresentanti del inistero della Giustizia e dell’Abi, presso i tribunali di Genova, Padova, Catania, Brescia, Milano, Torino e Roma.  
   
   
GIUSTIZIA ITALIANA: IL GIUDICE DI BERGAMO CONDANNA TIM-TELECOM ITALIA  
 
E´ la classica storia: sottoscrivi un piano tariffario telefonico denominato "Unlimited" e poi arrivano bollette di migliaia di euro. In questo caso la storia ha avuto un felice epilogo per l´utente, un´azienda bergamasca che aveva un contratto ´tutto incluso´ con Tim-telecom Italia: il giudice di pace di Bergamo ha annullato la richiesta di circa 2. 500 euro che il gestore imputava a traffico wap, addebitandogli le spese legali di circa 1. 500 euro. La storia. Una piccola azienda di Grumello del Monte (Bg) attiva il contratto Unlimited con Tim-telecom Italia che prevede, in cambio di un pagamento mensile di 150 euro, una serie di servizi: voce, sms e traffico dati (per collegamenti a Internet) per un massimo di 6 Gb al mese. Nulla nel contratto e´ previsto sul traffico wap (un protocollo per collegarsi alla rete, ma di vecchia generazione). Invece, navigando inconsapevolmente l´utente incappa in un sito wap, generando addebiti pari a 2. 500 euro, nelle fatture dell´aprile e giugno 2008. Non risolvendosi bonariamente la questione, nel settembre 2008 l´azienda, assistita dall´avvocato Pierantonio Paissoni, presenta un atto di citazione al giudice di pace di Bergamo, che emana la sentenza di condanna per il gestore telefonico, perché non ha rispettato il principio di buona fede contrattuale .  
   
   
VIDEOSORVEGLIANZA E PRIVACY: 8 REGOLE PER NON INCORRERE IN SANZIONI  
 
Il prossimo 21 maggio al Centro Congressi Milanofiori ad Assago (Milano) si terrà “Tvcc Conference&expo 2009”, l’evento di caratura internazionale sulla videosorveglianza. Videosorveglianza e privacy. Come gestire gli aspetti legali delle nuove tecnologie di sicurezza? L’adozione di sistemi di videosorveglianza è oggi in forte crescita, assume quindi un valore strategico il rispetto delle normative legate alla privacy. Valentina Frediani, avvocato e consulente legale in diritto informatico, contrattualistica informatica e privacy, tra i relatori del convegno “Tvcc Conference&expo 2009”, traccia in otto punti le linee chiave che chiariscono i principali dubbi in materia di videosorveglianza e tutela della privacy. Cartellonistica. In caso di sistema Tvcc è sempre obbligatorio affiggere specifica cartellonistica che segnali le telecamere, salvo precisa dispensa ottenuta a seguito di un intervento dell´Autorità a fini di indagine o prevenzione. Posizionamento. Non è possibile modificare, in qualsiasi momento ed a totale discrezionalità, il posizionamento di una singola telecamera. Occorre verificare la destinazione della ripresa (ad esempio nel caso dei lavoratori occorre seguire le procedure di cui all´art. 4 L. 300/70) e le prescrizioni normative in relazione al luogo di posizionamento e tutta una serie di elementi che comportano necessariamente di ponderare preventivamente il riposizionamento. Enti locali. In seguito al Decreto di urgenza antistupri gli enti locali che le gestiscono potranno installare con più facilità le telecamere, ampliandone quindi il posizionamento, e conservare le registrazioni per molto più tempo. Tempi conservazione immagini. Normalmente le immagini registrate si possono conservare per 24 ore. In caso di registrazione da parte di enti, in particolare la polizia municipale, e a seguito del Decreto di urgenza antistupri è possibile conservare le immagini registrate per un periodo di 7 giorni. Procedura in presenza di un reato. Per verificare tramite le telecamere la commissione di un reato occorre estrapolare le immagini di interesse, ovvero l´arco temporale di ripresa, e consegnarle direttamente alle Autorità conservandone comunque una copia, a titolo defensionale. Chi può accedere alle immagini. Sussiste l’obbligo di individuare specificatamente chi può accedere alle immagini registrate. Occorre indicare non tanto il nominativo quanto il ruolo che il soggetto ha rispetto al titolare del trattamento. Se la telecamera non registra. Gli obblighi in materia di privacy sussistono sempre. In caso di mancata registrazione si modificano gli adempimenti cui far fronte. Responsabilità giuridica per chi installa un sistema Tvcc. Sussistono responsabilità giuridiche in base a quanto commissionato. Nel caso di progettazione con consulenza finalizzata anche al posizionamento ed alla registrazione, ci può essere un coinvolgimento di responsabilità. Nel caso in cui, invece, l´installatore sia chiamato ad eseguire meramente l´installazione non si può avere alcun responsabilità dell´installatore, salvo i casi di evidente violazione: ad esempio il posizionamento di una telecamere in un bagno. Questi argomenti di grande attualità saranno approfonditi dall’avvocato Frediani il 21 maggio 2009 durante la manifestazione “ Tvcc Conference&expo 2009” in un intervento che si focalizzerà sul tema dell’adozione di un sistema di Tvcc e gestione del rischio sicurezza: deroghe alla normativa privacy tra evoluzioni normative 2008-2009 e misure d´urgenza. “La normativa che disciplina l´utilizzo di queste risorse, impone al momento della realizzazione dell´impianto, una serie di obblighi non solo di tipo documentale, ma anche relativamente al posizionamento, alla risoluzione e conservazione di dati. L’analisi che faremo durante “Tvcc Conference&expo 2009” consentirà a chi opera nel settore di far luce sull´ottimizzazione dell´utilizzo dei sistemi Tvcc rispetto a quella che è la vigente legislazione italiana”, spiega Valentina Frediani .  
   
   
PROFILING: ISITUZIONE DI UN QUADRO GIURIDICO CHIARO  
 
Il Parlamento europeo ha raccomandato al Consiglio di istituire un quadro giuridico che chiarisca in cosa consistono le pratiche di definizione di profili, limitandone il ricorso e introducendo salvaguardie per evitare discriminazioni. Chiede di vietare la raccolta di dati su individui solo in ragione della loro origine razziale o etnica, convinzione religiosa, orientamento sessuale o opinioni politiche, e di garantire mezzi di ricorso efficaci e accessibili contro eventuali violazioni. Sempre più spesso gli Stati membri ricorrono alle nuove tecnologie utilizzando programmi e sistemi che comportano la raccolta, l´uso, la conservazione e lo scambio di informazioni relative ai singoli, per contrastare il terrorismo o affrontare altre minacce nella lotta alla criminalità. La pratica di definire profili è una tecnica investigativa, spesso utilizzata nel settore commerciale, ma sfruttata con sempre maggior frequenza per l´individuazione e la prevenzione dei reati e nel controllo delle frontiere. Tale prassi, raccoglie informazioni sulle persone come base per cercare di identificare, e possibilmente applicare misure restrittive nei confronti di chi potrebbe essere un criminale o un sospetto terrorista. Approvando con 372 voti favorevoli, 12 contrari e 7 astensioni la relazione di Sarah Ludford (Alde/adle, Uk), il Parlamento nota che «la definizione di profili può costituire uno strumento d´indagine legittimo, laddove essi siano basati su informazioni specifiche, affidabili e puntuali piuttosto che su generalizzazioni non comprovate basate su stereotipi». Aggiunge tuttavia che in assenza di adeguate restrizioni giuridiche e garanzie sull´uso dei dati relativi a origine etnica, razza, religione, nazionalità e appartenenza politica, vi è il rischio che tale prassi dia luogo a pratiche discriminatorie. Merita inoltre un esame approfondito, dal momento che si discosta in modo controverso dalla regola generale per cui le decisioni relative all´applicazione della legge vanno adottate sulla base della condotta di una persona. Formula quindi una serie di raccomandazioni al Consiglio. I deputati rilevano poi, che «a fronte della diffusione della pratica di definizione dei profili, viene rivolta un´attenzione insufficiente alla valutazione della sua efficacia e allo sviluppo e all´applicazione di tutele giuridiche, che assicurino il rispetto della vita privata ed evitino discriminazioni». Raccomandano quindi al Consiglio di istituire un quadro giuridico che stabilisca chiaramente in che cosa consistono le pratiche di definizione di profili, allo scopo di fissare norme sulla legittimità dell´utilizzo e su limitazioni dello stesso, nonché di introdurre salvaguardie per tutelare i diritti dei singoli e meccanismi di responsabilizzazione. A tale proposito, sostengono che qualunque elaborazione di dati personali per finalità di applicazione della legge e di lotta al terrorismo «debba essere basata su norme giuridiche pubblicate e chiare, specifiche e vincolanti, nonché soggette a una vigilanza rigorosa ed efficace da parte di autorità indipendenti, oltre che a severe sanzioni in caso di violazione». In particolare, affermano che «la raccolta e la conservazione di tali dati e l´utilizzo di tecniche per la definizione di profili in merito a persone non sospettate di un reato o di una minaccia specifici, dovrebbero essere sottoposti a test di "necessità" e "proporzionalità" particolarmente rigorosi». La prassi in causa e l´estrapolazione dei dati, «rendono infatti più labile il confine tra le legittime attività di sorveglianza mirata e i problematici controlli di massa» dando così luogo a una potenziale violazione della privacy. Il Parlamento suggerisce al Consiglio di vietare la raccolta di dati su individui esclusivamente sulla base del fatto che abbiano una particolare origine razziale o etnica, convinzione religiosa, orientamento sessuale, opinioni politiche o che siano membri di particolari movimenti o organizzazioni non proibite dalla legge. L´uso dell´etnia, dell´origine nazionale o della religione quali fattori nelle indagini di contrasto, notano infatti i deputati, «non è vietato finché tale ricorso è conforme agli standard in materia di non discriminazione», ma deve superare le verifiche di efficacia, necessità e proporzionalità, se si vuole realizzare una differenza di trattamento legittimo che non costituisca discriminazione. D´altro canto, pur ritenendo le statistiche basate sull´etnia uno strumento essenziale per identificare le azioni di contrasto, notano che «esiste il rischio di sottoporre persone innocenti a provvedimenti arbitrari quali fermi, interrogatori, restrizioni della libertà di movimento » a causa dell´aggiunta di determinate informazioni ai loro profili da parte dei funzionari di uno Stato. Secondo i deputati, vi dovrebbero essere solide salvaguardie stabilite dalla legge, che assicurino un controllo giurisdizionale e parlamentare adeguato delle attività della polizia e dei servizi segreti, comprese le attività di controterrorismo. Inoltre, l´accesso ai fascicoli della polizia e dei servizi segreti andrebbe consentito soltanto caso per caso, per finalità specifiche, e dovrebbe essere soggetto a controllo giurisdizionale negli Stati membri. Allo stesso modo, il ricorso a computer, da parte di enti pubblici o privati, per prendere decisioni sui singoli senza una valutazione umana, andrebbe consentito soltanto in via eccezionale e associato a rigorose salvaguardie. Giudicando inoltre che la conservazione di massa di dati per motivi precauzionali rappresenti «una misura sproporzionata» rispetto quanto strettamente necessario per un´efficace azione di contrasto del terrorismo, suggeriscono di fissare un limite di tempo per la conservazione delle informazioni personali. I deputati affermano poi la necessità di garantire forme di tutela e possibilità di ricorso contro l´utilizzo discriminatorio di strumenti di applicazione della legge, sostenendo che, «in considerazione delle possibili conseguenze per i singoli, i mezzi di ricorso dovrebbero essere efficaci e accessibili, con informazioni chiare circa le procedure applicabili». Il Parlamento suggerisce poi di stabilire una serie di criteri che consentano di verificare l´efficacia, la legittimità e la coerenza con i valori dell´Unione europea di tutte le pratiche di definizione di profili. Afferma che le disposizioni di legge sull´uso della definizione dei profili, andrebbero riviste onde accertare che soddisfino i requisiti giuridici fissati dal diritto comunitario e dai trattati internazionali e nel caso sia necessario, procedere ad una riforma legislativa a livello comunitario, per introdurre norme vincolanti volte a evitare violazioni dei diritti fondamentali. Esorta infine il Consiglio a commissionare uno studio, basato sul quadro normativo pertinente e sulle pratiche in vigore, da condursi sotto la responsabilità della Commissione, in collaborazione con l´Agenzia per i diritti fondamentali e, se del caso, con il Garante europeo della protezione dei dati, sull´applicazione reale e potenziale delle tecniche di definizione di profili, sulla loro efficacia nell´identificazione dei sospetti e sulla compatibilità di tali pratiche con le libertà civili, i diritti umani e le norme sulla privacy .  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: TRASMISSIONE A GIUDICI NAZIONALI DI INFORMAZIONI OTTENUTE IN INDAGINI OLAF  
 
La sentenza del Tribunale della funzione pubblica nelle cause riunite F-5/05 e F-7/05 - Violetti e a. / Commissione e Schmit / Commissione – afferma che la decisione dell’Olaf di trasmettere alle autorità giudiziarie nazionali le informazioni ottenute nel corso di un’indagine interna alla commissione europea costituisce un atto che arreca pregiudizio. Il Tribunale annulla la decisione dell’Olaf e condanna la Commissione a risarcire ciascuno dei funzionari interessati. L’ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf) ha il compito, tra l’altro, di svolgere indagini amministrative interne alle Comunità europee dirette a ricercare i fatti gravi, connessi con l’esercizio di attività professionali, che possano costituire un inadempimento degli obblighi dei funzionari ed agenti delle Comunità perseguibile in sede disciplinare o penale. Nel corso del 2002 il servizio di revisione contabile interno del Centro comune di ricerca (Ccr) redigeva una relazione riguardante le dichiarazioni di infortunio provenienti dal personale del Ccr in servizio presso la sede di Ispra. La relazione di revisione contabile interna del Ccr, sottolineando che le condizioni di lavoro nella sede di Ispra non potevano giustificare l’elevato numero di infortuni dichiarato e che sussistevano sospetti circa la veridicità delle dichiarazioni d’infortunio, concludeva che era necessario informare l’Olaf di tali fatti. Essa suggeriva inoltre di comparare la frequenza delle dichiarazioni d’infortunio provenienti dal personale del Ccr della sede di Ispra con la frequenza delle dichiarazioni provenienti dal resto del personale della Commissione. Nel corso dell’indagine interna riguardante l’applicazione nella sede di Ispra del regime di assicurazione contro gli infortuni, l’Olaf trasmetteva al Procuratore della Repubblica di Varese informazioni riguardanti fatti, secondo l’Ufficio, perseguibili in sede penale. Tra queste informazioni figuravano quelle relative a 42 funzionari del Ccr, che avevano dichiarato, ciascuno, almeno nove infortuni nel periodo gennaio 1986 – luglio 2003. I funzionari interessati venivano informati dopo circa un anno della trasmissione al Procuratore da parte dell’Olaf di detta nota informativa. La perizia medico-legale ordinata dal Procuratore della Repubblica concludeva che gli elementi di carattere medico non erano sufficienti a dimostrare l’esistenza di dichiarazioni d’infortunio fraudolente. Di conseguenza, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Varese decideva di archiviare il procedimento. A seguito di rigetto dei reclami presentati avverso la decisione dell’Olaf di trasmettere informazioni alle autorità giudiziarie italiane, alcuni dei funzionari interessati proponevano ricorso dinanzi al Tribunale di primo grado, che rimetteva le cause dinanzi al Tribunale della funzione pubblica, competente per materia. La prima questione che il Tribunale ha dovuto risolvere è stata se la decisione dell’Olaf di trasmettere le informazioni alle autorità giudiziarie italiane costituisse un atto che arreca pregiudizio ai sensi dello Statuto dei funzionari delle Comunità europee, impugnabile mediante reclamo e successivo ricorso. A tale questione, ancora inedita, il Tribunale ha dato una risposta affermativa. Il Tribunale ha anzitutto constatato che le disposizioni dello Statuto, che consentono ad un funzionario di sottoporre al direttore dell’Olaf un reclamo avverso un atto dell’Olaf che gli arreca pregiudizio in connessione con un’indagine dell’Ufficio, erano state adottate dal legislatore comunitario nel 2004 al fine di garantire la tutela giurisdizionale delle persone destinatarie dello Statuto e che tali disposizioni costituivano il corollario delle nuove attribuzioni conferite dal legislatore all’Olaf in occasione dell’adozione della riforma dello Statuto. Successivamente il Tribunale ha osservato sostanzialmente che, tenuto conto dei requisiti risultanti dal principio di una tutela giurisdizionale effettiva e delle conseguenze che una decisione di trasmettere informazioni alle autorità giudiziarie nazionali può comportare, era difficilmente concepibile negare a tale decisione la qualifica di atto che arreca pregiudizio ai sensi dello Statuto, laddove lo stesso legislatore comunitario ha previsto di vincolare le indagini interne dell’Olaf al rispetto di rigide garanzie procedurali, per assicurare, in particolare, il rispetto del principio fondamentale dei diritti della difesa. La seconda questione posta al Tribunale era se, nel caso di specie, la decisione di trasmettere informazioni alle autorità giudiziarie italiane fosse stata legittimamente adottata. Al riguardo il Tribunale ha ricordato che, quando il direttore dell’Olaf intende trasmettere informazioni ad autorità giudiziarie nazionali, è obbligato, nel caso in cui le informazioni contengano conclusioni riguardanti personalmente un membro, un funzionario o un agente della Commissione, a dare modo a quest’ultimo di esprimersi su tutti i fatti che lo riguardano prima di procedere alla trasmissione delle informazioni. Pertanto, nel caso di specie, i ricorrenti avrebbero dovuto, in linea di principio, essere informati e sentiti circa i fatti che li riguardavano prima che la nota fosse trasmessa alle autorità giurisdizionali italiane. L’olaf avrebbe potuto essere dispensato dall’osservare tale formalità qualora esigenze d’indagine l’avessero giustificato, ma a condizione di ottenere l’autorizzazione del segretario generale della Commissione. A seguito della constatazione che nessuna di tali garanzie procedurali era stata rispettata, il Tribunale ha annullato la decisione impugnata e condannato la Commissione a versare a ciascuno dei ricorrenti l’importo di Eur 3. 000 a titolo di risarcimento del danno da essi subito .  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: ASSICURAZIONE RESPONSABILITÀ CIVILE AUTO  
 
Lo scorso 28 aprile la Corte di giustizia delle Comunità europee in merito alla causa C-518/06, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana sostenuta da Repubblica di Finlandia ha pronunciato la sua sentenza. Con il presente ricorso la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che l’Italia: istituendo e mantenendo in essere una normativa per effetto della quale i premi relativi all’«assicurazione responsabilità civile auto» devono essere calcolati in base a parametri determinati e assoggettando i premi medesimi ad un controllo a posteriori, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva 92/49/Cee (terza direttiva «assicurazione non vita»); esercitando un controllo sulle modalità con cui le imprese di assicurazione, con sede centrale in un altro Stato membro, ma operanti in Italia calcolano i propri premi assicurativi e imponendo sanzioni in caso di violazione delle norme nazionali e mantenendo l’obbligo di contrarre l’assicurazione responsabilità civile auto per tutte le imprese di assicurazioni, comprese quelle con sede centrale in un altro Stato membro, ma operanti in Italia la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 43 Ce e 49 Ce. A – La restrizione alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi (obbligo di contrarre) È pacifico che l’obbligo di contrarre si applica indistintamente a tutte le imprese che offrono l’assicurazione responsabilità civile auto sul territorio italiano. La Commissione ritiene, tuttavia, che tale obbligo, considerato che riduce la possibilità per le imprese di assicurazioni di attuare in modo autonomo le loro scelte strategiche di mercato, incida sullo stabilimento e sulla prestazione di servizi in Italia per le imprese con sede in un altro Stato membro. Secondo costante giurisprudenza, la nozione di «restrizione» comprende tutte le misure che vietano, ostacolano o rendono meno attraente l’esercizio della libertà di stabilimento o della libera prestazione dei servizi. Nella specie, è pacifico che l’obbligo di contrarre non produce ripercussioni sull’accettazione, da parte delle autorità italiane, dell’autorizzazione amministrativa, che le imprese di assicurazione con sede in uno Stato membro diverso dalla Repubblica italiana ottengono nello Stato membro in cui hanno sede. Tale obbligo lascia quindi impregiudicato il diritto di accesso al mercato italiano dell’assicurazione responsabilità civile auto conseguente a tale autorizzazione. Tuttavia, l’obbligo di contrarre costituisce un’ingerenza sostanziale nella libertà di contrarre di cui godono, in linea di principio, gli operatori economici. Nel settore delle assicurazioni, una siffatta misura incide sull’accesso al mercato degli operatori interessati, in particolare laddove assoggetta le imprese di assicurazione non solo all’obbligo di assumersi tutti i rischi che vengono loro proposti, bensì parimenti ad esigenze di moderazione tariffaria. L’obbligo di contrarre, implicando adeguamenti e costi di tale rilevanza per le imprese straniere, rende meno attraente l’accesso al mercato italiano e restringe la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi. Una restrizione alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi può peraltro essere ammissibile ove risulti che essa risponde a ragioni imperative di interesse pubblico, è idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non va oltre quanto necessario per il suo raggiungimento. La Repubblica italiana ha invocato la protezione sociale delle vittime di incidenti stradali. Tale obiettivo di protezione sociale, da intendersi essenzialmente quale garanzia di adeguato risarcimento delle suddette vittime, può essere considerato quale ragione imperativa di interesse generale. Infatti, lo scopo stesso dell’assicurazione obbligatoria responsabilità civile auto risiede nel garantire il risarcimento alle vittime di incidenti stradali. Tale risarcimento viene principalmente finanziato mediante contratti conclusi con imprese di assicurazione. L’obbligo di contrarre di cui è causa nella specie è idoneo a contribuire all’attuazione della normativa comunitaria riguardante l’obbligo, per ogni proprietario di un autoveicolo, di concludere un’assicurazione responsabilità civile auto ed è, pertanto, idoneo al conseguimento dell’obiettivo di tale normativa, consistente nel garantire un adeguato risarcimento delle vittime di incidenti stradali. In merito all’argomento della Commissione secondo cui sarebbe sproporzionato imporre alle imprese assicurative un obbligo di contrarre nei confronti di tutti i potenziali clienti, e ciò sull’intero territorio italiano, la Repubblica italiana ha sostenuto che nell’area meridionale sussistono circostanze difficili che esigono misure correttrici, affinché l’assicurazione responsabilità civile auto possa essere offerta a condizioni accettabili tanto per i contraenti, quanto per le imprese di assicurazioni. Ciò premesso, correttamente la Repubblica italiana ha ritenuto opportuno imporre a tutte le imprese operanti sul proprio territorio un obbligo di contrarre nei confronti di tutti i proprietari di autoveicoli residenti in Italia, al fine di evitare che tali imprese si ritirino dalla parte meridionale del territorio italiano e privino in tal modo i proprietari di autoveicoli ivi residenti della possibilità di concludere l’assicurazione, peraltro obbligatoria, di responsabilità civile auto. L’italia non ha peraltro vietato alle imprese di assicurazione di applicare tariffe differenziate in funzione di statistiche storiche del costo medio del rischio nell’ambito di categorie di assicurati definite in maniera sufficientemente ampia. La Corte ritiene quindi che l’obbligo di contrarre è idoneo a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non va al di là di quanto è necessario per il suo conseguimento. B - Sulla libertà tariffaria. A parere della Commissione l’obbligo per le imprese di assicurazione di fissare i premi conformemente alle proprie «basi tecniche, sufficientemente ampie ed estese ad almeno cinque esercizi» e di conformarli ad una determinata media di mercato, al pari dell’assoggettamento dei premi ad un controllo retroattivo e della possibilità per l’Isvap di applicare sanzioni di notevole entità, costituirebbe una violazione del principio di libertà tariffaria. La Repubblica italiana osserva che i principi tariffari enunciati nella legge n. 990/69 perseguono il solo obiettivo di contenere il fenomeno consistente nel fatto che talune imprese di assicurazioni, calcolando una tariffa esorbitante, scoraggiano gli utenti dal sottoscrivere una polizza assicurativa presso di esse. La Corte ricorda che la direttiva 92/49 vieta ad uno Stato membro di istituire un regime di previa approvazione o di comunicazione sistematica delle tariffe. Il legislatore comunitario ha in tal modo inteso garantire il principio della libertà tariffaria nel settore dell’assicurazione non vita. La legge n. 990/69 e il codice delle assicurazioni private obbligano le imprese che forniscono l’assicurazione responsabilità civile auto a calcolare in modo distinto i premi puri e i ricarichi; essi non hanno peraltro istituito un sistema di previa autorizzazione o di comunicazione sistematica delle tariffe e non impongono alle imprese di assicurazioni di orientare le loro tariffe in base alla media del mercato. C – Il controllo sulle modalità di calcolo dei premi e l’applicazione di sanzioni. A parere della Commissione, il controllo esercitato dall’Isvap sulle modalità con cui le imprese di assicurazioni operanti in Italia calcolano i loro premi assicurativi nonché l’imposizione di sanzioni costituiscono una violazione della ripartizione di competenze tra lo Stato membro di origine e lo Stato membro ospitante. La Repubblica italiana osserva che gli interventi in materia tariffaria aventi ad oggetto la tutela dei consumatori non rientrano nell’ambito della vigilanza finanziaria delle imprese di assicurazioni. Infatti, gli strumenti di protezione della stabilità finanziaria, il cui utilizzo è di competenza esclusiva delle autorità dello Stato membro di origine, sono costituiti dai margini di solvibilità e dalla copertura delle riserve tecniche. Per la Corte la direttiva 92/49 non esclude la possibilità di controlli come quelli esercitati dall’Isvap. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) ha respinto il ricorso.  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: RICONOSCIMENTO DI SENTENZE DI GIUDICI CIPRIOTI SU TERRENI DELLE ZONE OCCUPATE  
 
Il 28 aprile 2009 la sentenza della Corte di giustizia nella causa C-420/07 Meletis Apostolides / David Charles Orams & Linda Elizabeth Orams ha stabilito che una sentenza di un tribunale della repubblica di Cipro deve essere riconosciuta ed eseguita dagli altri stati membri anche ove riguardi un terreno ubicato nella zona nord dell’isola. La sospensione dell’applicazione dell’«acquis communautaire» nelle zone sulle quali il governo della Repubblica di Cipro non esercita un controllo effettivo ed il fatto che la sentenza non possa, in pratica, essere eseguita nel luogo in cui il bene immobile controverso si trova non ostano al suo riconoscimento e alla sua esecuzione in un altro Stato membro. In seguito all’intervento delle milizie turche nel 1974, Cipro è stata suddivisa in due zone. La Repubblica di Cipro, che ha aderito all’Unione nel 2004, di fatto controlla solamente la zona sud dell’isola, mentre nella zona nord si è costituita la Repubblica turca di Cipro del Nord, non riconosciuta dalla Comunità internazionale, se non dalla Turchia. In tale contesto, l’applicazione del diritto comunitario nella zona nord della Repubblica di Cipro è stata sospesa da un protocollo allegato all’atto di adesione. Il sig. Apostolides, cittadino cipriota, ha adito la Corte d’appello inglese in merito ad una controversia che lo vede contrapposto alla coppia di cittadini britannici Orams, diretta ad ottenere il riconoscimento e l’esecuzione di due sentenze del Tribunale di Nicosia. Tale tribunale, con sede nella zona sud di Cipro, ha condannato i coniugi Orams a rilasciare un bene immobile ubicato nella zona nord dell’isola e a versare all’Apostolides diverse somme a titolo di risarcimento. I coniugi Orams avevano acquistato l’immobile da un terzo per edificarvi un’abitazione di vacanza. Secondo quando rilevato dal tribunale cipriota, il sig. Apostolides, la cui famiglia è stata espulsa dal nord dell’isola all’atto della sua suddivisione, è il legittimo proprietario del bene immobile. La prima sentenza, pronunciata in contumacia, è stata confermata da un’altra sentenza che statuisce sull’appello interposto dai coniugi Orams. Il giudice nazionale ha sottoposto alla Corte svariate questioni relative all’interpretazione e all’applicazione del regolamento Bruxelles I del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, chiedendo se la sospensione del diritto comunitario nella zona nord di Cipro ed il fatto che il bene immobile di cui trattasi si trovi in una zona sulla quale il governo di Cipro non esercita un controllo effettivo abbiano un’incidenza sul riconoscimento e l’esecuzione della sentenza, rispetto alla competenza del tribunale d’origine, all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto e al carattere esecutivo della decisione. Il giudice chiede inoltre se possa essere negato il riconoscimento o l’esecuzione di una decisione pronunciata in contumacia, per il fatto che l’atto introduttivo del giudizio non è stato notificato o comunicato al convenuto in tempo utile ed in modo tale da consentirgli difendersi, qualora quest’ultimo abbia comunque potuto presentare ricorso avverso tale decisione. Innanzi tutto la Corte rileva che la sospensione dell’«acquis communautaire», prevista dall’atto di adesione di Cipro, è circoscritta all’applicazione del diritto comunitario nella zona nord. Le sentenze di cui trattasi e rispetto alle quali il sig. Apostolides ha presentato istanza di riconoscimento sono invece state pronunciate da un giudice avente sede nella zona controllata dal governo. La circostanza che tali sentenze riguardino un bene immobile posto nella zona nord non osta a tale interpretazione, atteso che, da un lato, essa non annulla l’obbligo di applicare il regolamento nella zona soggetta al controllo del governo e, dall’altro, essa non implica neppure che il regolamento venga per tale motivo applicato nella predetta zona nord. La Corte conclude pertanto che la sospensione del diritto comunitario nella zona nord, prevista dal protocollo allegato all’atto di adesione, non osta all’applicazione del regolamento Bruxelles I ad una decisione pronunciata da un giudice cipriota avente sede nella zona controllata dal governo, ma relativa ad un bene immobile situato nella zona non controllata. La Corte rileva inoltre che, da un lato, la controversia rientra nell’ambito di applicazione del regolamento Bruxelles I e, dall’altro, il fatto che il bene immobile in questione sia situato in una zona sulla quale il governo non esercita un controllo effettivo e, quindi, che le decisioni in causa non possano in pratica essere eseguite nel luogo in cui si trova il bene immobile non osta al riconoscimento e all’esecuzione delle suddette decisioni in un altro Stato membro. Al riguardo è pacifico che il bene immobile sia sito sul territorio della Repubblica di Cipro e, pertanto, il tribunale cipriota era competente per dirimere la causa, posto che la disposizione interessata del regolamento Bruxelles I riguarda la competenza giurisdizionale internazionale degli Stati membri e non la competenza giurisdizionale interna di questi ultimi. La Corte rammenta altresì che, per quanto concerne l’ordine pubblico dello Stato membro richiesto, il giudice di uno Stato membro non può, a pena di rimettere in discussione la finalità del regolamento Bruxelles I, negare il riconoscimento di una decisione promanante da un altro Stato membro, per il solo motivo che esso ritiene che il diritto nazionale o il diritto comunitario sia stato male applicato. Il giudice nazionale può negare il riconoscimento soltanto nel caso in cui l’errore di diritto implichi che il riconoscimento o l’esecuzione della decisione sia ritenuta una violazione manifesta di una regola di diritto fondamentale nell’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato. Nella causa principale, la Corte d’appello non ha menzionato alcun principio fondamentale dell’ordinamento giuridico del Regno Unito che possa essere leso dal riconoscimento o dall’esecuzione delle sentenze di cui trattasi. Inoltre, rispetto al carattere esecutivo delle sentenze cipriote controverse, la Corte rileva che il mero fatto che il sig. Apostolides possa incontrare difficoltà nell’ottenere l’esecuzione delle suddette sentenze non priva le stesse del loro carattere esecutivo. Tale circostanza non preclude quindi ai giudici di un altro Stato membro di dichiarare l’exequatur di dette sentenze. Infine, la Corte constata che il riconoscimento o l’esecuzione di una decisione pronunciata in contumacia non possono essere negati qualora il convenuto abbia potuto proporre un ricorso avverso la decisione pronunciata in contumacia e tale ricorso gli abbia consentito di far valere che la domanda giudiziale o l’atto equivalente non gli era stato notificato o comunicato in tempo utile e in modo tale da consentirgli di presentare le proprie difese. Nella causa principale è pacifico che i coniugi Orams abbiano presentato un siffatto ricorso. Non possono essere pertanto negati, per tale motivo, il riconoscimento e l’esecuzione nel Regno Unito delle sentenze del tribunale cipriota.  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: ILLEGITTIMO IL PREZZO IMPOSTO DEL LIBRO  
 
Il 30 aprile 2009 la sentenza della Corte di giustizia nella causa C-531/07 - Fachverband der Buch- und Medienwirtschaft / Libro Handelsgesellschaft mbH – ha affermato che il diritto comunitario osta ad una normativa quale quella austriaca sul prezzo imposto del libro. Il divieto agli importatori di libri in lingua tedesca di fissare un prezzo inferiore al prezzo di vendita al pubblico fissato o consigliato dall’editore nello Stato di pubblicazione costituisce un ostacolo alla libera circolazione delle merci che non può essere giustificato. La normativa austriaca sul prezzo imposto del libro in lingua tedesca prevede che l’editore o l’importatore è tenuto a fissare e rendere noto un prezzo di vendita al pubblico e che l’importatore non può fissare un prezzo inferiore, al netto dell’imposta sul valore aggiunto, al prezzo di vendita al pubblico fissato o consigliato dall’editore per lo Stato di pubblicazione. Questa normativa attribuisce al Fachverband der Buch- und Medienwirtschaft (associazione professionale della Camera di commercio per l’industria del libro e dei media) la competenza a pubblicare i prezzi di vendita al pubblico che sono imposti alle librerie nella vendita in Austria di libri in lingua tedesca. La Libro Handelsgesellschaft mbH gestisce 219 succursali in Austria. L’80% dei libri che essa commercializza provengono dall’estero. A decorrere dall’agosto 2006, la Libro ha iniziato a fare pubblicità per la vendita, nel territorio austriaco, di libri pubblicati in Germania a prezzi inferiori ai prezzi minimi fissati per il territorio austriaco, sulla base dei prezzi praticati in Germania. La Fachverband ha presentato dinanzi al giudice austriaco competente una domanda di provvedimenti urgenti intesa ad ottenere l’ingiunzione alla Libro di astenersi dal praticare una tale pubblicità. Il giudice dei primo grado ha accolto tale domanda ritenendo che il regime austriaco del prezzo imposto, anche se costituisce una restrizione alla libera circolazione delle merci, fosse «giustificato da ragioni culturali e dalla necessità di salvaguardare la diversità dei media». Questa decisione è stata confermata dal giudice di appello. La Libro ha impugnato la sentenza del giudice di appello dinanzi all’Oberster Gerichtshof, che interroga la Corte sulla compatibilità con il diritto comunitario delle norme austriache sul prezzo dei libri importati. A tal riguardo, la Corte ricorda innanzi tutto che, secondo una costante giurisprudenza, qualsiasi disciplina commerciale degli Stati membri che possa ostacolare il commercio intracomunitario costituisce una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative. Tuttavia, disposizioni nazionali che limitano o vietano talune modalità di vendita dei prodotti provenienti da altri Stati membri non possono costituire un ostacolo a tale commercio, sempreché esse valgano nei confronti di tutti gli operatori interessati che svolgano la propria attività sul territorio nazionale e incidano in egual misura sulla commercializzazione dei prodotti sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri. Nella fattispecie, la Corte constata che, anche se la normativa austriaca riguarda modalità di vendita dei libri, la stessa, imponendo agli importatori di non fissare un prezzo inferiore a quello praticato nello Stato di pubblicazione, non incide allo stesso modo sulla commercializzazione dei libri nazionali e su quella dei libri provenienti da altri Stati membri. Infatti, la normativa di cui trattasi prevede un trattamento meno favorevole per i libri in lingua tedesca provenienti da altri Stati membri rispetto ai libri nazionali, dato che impedisce agli importatori austriaci nonché agli editori stranieri di fissare i prezzi minimi al dettaglio secondo le caratteristiche del mercato di importazione, mentre gli editori austriaci sono liberi di fissare essi stessi, per i loro prodotti, tali prezzi base per la vendita al dettaglio nel mercato nazionale. Una siffatta normativa costituisce quindi una restrizione alla libera circolazione delle merci. La Corte afferma inoltre che tale restrizione non è giustificata. Essa sottolinea in particolare che la tutela del libro, in quanto bene culturale, può essere considerata come un’esigenza imperativa di interesse pubblico che può giustificare misure di restrizione alla libera circolazione delle merci, a condizione che tali misure siano idonee a raggiungere l’obiettivo perseguito e non vadano oltre quanto necessario affinché esso sia conseguito. Ora, nella fattispecie, l’obiettivo della tutela del libro in quanto bene culturale può essere raggiunto mediante misure meno restrittive per l’importatore, ad esempio consentendo, a quest’ultimo o all’editore straniero, di fissare un prezzo di vendita per il mercato austriaco che tenga conto delle caratteristiche di tale mercato. Di conseguenza, la Corte dichiara che la normativa austriaca che vieta agli importatori di libri in lingua tedesca di fissare un prezzo inferiore al prezzo di vendita fissato o consigliato dall’editore nello Stato di pubblicazione costituisce un ostacolo alla libera circolazione delle merci che non può essere giustificato in forza del diritto comunitario .  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: RIDOTTE AMMENDE A NINTENDO  
 
Il 30 aprile 2009 con le sentenze pronunciate nelle cause T–12/03, T–13/03 e T–18/03 - Itochu Corp. , Nintendo e Nintendo of Europe, Cd-contact Data / Commissione - il Tribunale di primo grado riduce le ammende inflitte al gruppo nintendo e a cd-contact data portandole, rispettivamente, a eur 119, 24 milioni e a eur 500 000, mentre conferma l’ammenda a carico di itochu. Le imprese sono state condannate per comportamento anticoncorrenziale sul mercato delle console per videogiochi e delle cartucce giochi Nintendo. Con decisione 30 ottobre 2002 la Commissione ha inflitto ammende a Nintendo e a taluni dei suoi distributori per aver partecipato ad una serie di accordi e di pratiche concordate sul mercato delle console e delle cartucce giochi Nintendo. La decisione concerne l’impresa Nintendo e sette distributori in esclusiva di suoi prodotti, vale a dire: John Menzies plc (Regno Unito), Concentra – Productos para crianças S. A. (Portogallo), Linea Gig S. P. A. (Italia), Bergsala Ab (Svezia), Itochu Hellas, la controllata greca detenuta interamente dall’impresa giapponese Itochu Corporation, Nortec A. E. (Grecia) e Cd-contact Data Gmbh (Belgio e Lussemburgo). Conformemente agli accordi conclusi, ciascun distributore era tenuto ad impedire il commercio parallelo a partire dal proprio territorio. Le imprese hanno collaborato strettamente per identificare l’origine di qualsivoglia transazione parallela. Gli operatori che autorizzavano le esportazioni parallele sono stati sanzionati con la riduzione delle forniture oppure con il totale boicottaggio da parte di Nintendo. La Commissione ha concluso che i comportamenti di dette imprese nel periodo compreso tra il 1991 e il 1997, avendo come oggetto e come effetto di restringere le esportazioni parallele dei prodotti, erano contrari al diritto comunitario. La Commissione ha irrogato un’ammenda del valore complessivo di 167, 843 milioni di euro. Nintendo, leader e istigatrice dell’infrazione, si è vista infliggere un’ammenda di 149, 128 milioni di euro. Itochu e Cd-contact Data sono state sanzionate con un’ammenda di, rispettivamente, 4, 5 milioni e 1 milione di euro. Con i rispettivi ricorsi dinanzi al Tribunale le tre imprese suddette hanno chiesto l’annullamento della decisione della Commissione ovvero la riduzione dell’ammenda a loro carico. Il Tribunale ricorda che l’importo di base dell’ammenda può essere diminuito se l’impresa ha prestato collaborazione effettiva alla procedura. Nella decisione impugnata la Commissione ha tenuto conto della collaborazione di John Menzies, per la qual cosa ha ridotto del 40% l’ammenda a carico di tale impresa. Il Tribunale decide che, in applicazione del principio della parità di trattamento, Nintendo, che ha fornito documenti pertinenti nel medesimo stadio della procedura e ha offerto una collaborazione da considerarsi analoga, deve beneficiare a tal titolo dello stesso livello di riduzione dell’ammenda. Di conseguenza il Tribunale riduce l’ammenda inflitta a Nintendo a 119, 2425 milioni di euro. Quanto all’impresa Cd-contact Data, distributore esclusivo per il Belgio e il Lussemburgo, il Tribunale ritiene che essa abbia avuto un ruolo passivo nell’infrazione controversa, non diversamente da Concentra, il distributore per il Portogallo. Poiché la Commissione ha ridotto della metà la sanzione pecuniaria a carico di tale ultima impresa, il Tribunale, in applicazione del principio della parità di trattamento, decide di ridurre l’ammenda inflitta a Cd-contact Data a 500 000 euro. Nei confronti di Itochu Corp. , con sede in Giappone, il Tribunale conferma la decisione della Commissione di infliggerle un’ammenda di 4,5 milioni di euro per aver partecipato agli accordi controversi e tenuto un comportamento anticoncorrenziale. A giudizio del Tribunale tale impresa non ha apportato elementi sufficienti per confutare la presunzione secondo la quale essa esercitava de facto un’influenza decisiva sul comportamento della propria controllata greca Itochu Hellas.  
   
   
REGIONE LAZIO: BANDI PER IL BILANCIO SOCIALE  
 
Al fine di rendere conto ai cittadini, in modo trasparente, delle risorse impiegate nel Bilancio regionale nel 2007 la Regione Lazio ha stilato, per la prima volta, il Bilancio Sociale 2007, che è stato presentato presso la facoltà di Economia “Federico Caffè” dell´Università Roma Tre. Il bilancio, per un totale di spesa di 4 miliardi e 92 milioni di euro, è suddiviso in quattro aree strategiche: Territorio, ambiente e infrastrutture (2 miliardi e 114 milioni di euro); Cittadino (821 milioni di euro); Sviluppo economico (600 milioni di euro) Istituzione/sistema regionale (577 milioni di euro). "Il Bilancio Sociale - ha detto il Presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo - è un ponte tra l´istituzione e i cittadini, il gemello del bilancio partecipato. Ho quindi deciso - ha aggiunto - che nei prossimi mesi i cittadini e le imprese avranno le risorse impegnate a cominciare dai Fondi europei, i cui bandi dovranno uscire tutti entro il 30 giugno. C´è ancora troppa differenza - ha concluso Marrazzo - tra ciò che viene impegnato e ciò che viene speso". All´interno del Bilancio Sociale, il 51% delle risorse è impegnato per la sostenibilità ambientale e le infrastrutture, mentre il 35% è rivolto a cittadini imprese e associazioni. "Questo bilancio - ha sottolineato Marrazzo - è anche lo specchio dell´istituzione, e in questo caso dice che c´è un ´promosso´: la politica, perché le risorse sono state impegnate per i bisogni dei cittadini". Secondo Marrazzo, sarà decisivo per il territorio regionale il sostegno dato alle infrastrutture: "In questo momento - ha detto - siamo una delle regioni con più possibilità di uscire dalla crisi, attraverso lo sviluppo del nostro sistema infrastrutturale". Ma per il Presidente della Regione, dopo l´assegnazione delle risorse, è arrivato il momento di un´accelerazione nella distribuzione delle stesse sul territorio. "Controllando gli indicatori ho visto che c´è stato un rallentamento nella distribuzione delle risorse. Anche l´assessore regionale al Bilancio, Luigi Nieri, ha evidenziato l´importanza del Bilancio Sociale nella strada verso la trasparenza intrapresa dall´amministrazione regionale. "E´ un intervento - ha dichiarato - che si somma ad altri strumenti come il bilancio di previsione, il bilancio di genere e il bilancio di partecipazione, che abbiamo attivato per operare in massima trasparenza con i cittadini". L´assessore Nieri ha quindi rimarcato "l´investimento straordinario previsto dal Bilancio per le questioni ambientali, pari a un terzo dei due miliardi totali" e "il 35% dedicato al sociale, nell´ottica della ricostruzione di un Welfare sociale nella nostra regione" . .