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LUNEDI

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Notiziario Marketpress di Lunedì 28 Ottobre 2013
UE: DICHIARAZIONE DEL 25 OTTOBRE DI TONIO BORG, COMMISSARIO PER LA SALUTE, IN MERITO ALL´ENTRATA IN VIGORE DELLA DIRETTIVA SUI DIRITTI DEI PAZIENTI RELATIVI ALL´ASSISTENZA SANITARIA TRANSFRONTALIERA  
 
Bruxelles, 28 ottobre 2013 - "Oggi è un giorno importante per i pazienti dell´Unione europea. A partire da oggi, la normativa Ue in vigore sancisce il diritto dei cittadini di recarsi in un altro paese Ue per sottoporsi a trattamenti sanitari e di ottenere un rimborso. Entro oggi tutti i paesi dell´Ue devono aver recepito nella normativa nazionale la direttiva sui diritti dei pazienti relativi all´assistenza sanitaria transfrontaliera, adottata 30 mesi fa. Per i pazienti, questa direttiva significa empowerment: scelta tra molteplici servizi di assistenza sanitaria, accesso a maggiori informazioni e riconoscimento delle prescrizioni su scala transfrontaliera facilitato. La direttiva è una buona notizia anche per i sistemi sanitari europei, migliorando la cooperazione tra gli Stati membri per quanto riguarda gli strumenti interoperabili di assistenza sanitaria elettronica, l´uso della valutazione delle tecnologie sanitarie e la condivisione di competenze rare. Perché i pazienti possano esercitare i diritti sanciti dalla normativa Ue, la direttiva deve essere adeguatamente recepita e fatta rispettare. La Commissione ha fornito un notevole sostegno agli Stati membri nel corso del periodo di recepimento. Oggi invito tutti gli Stati membri a ottemperare ai loro obblighi e recepire pienamente la presente direttiva. La Commissione monitorerà con attenzione il recepimento, fornirà assistenza e adotterà, se necessario, misure idonee." Per ulteriori informazioni sull´assistenza sanitaria transfrontaliera: Memo/13/918  
   
   
SALUTE FVG: NUOVE REGOLE SULLE PRESTAZIONI TRANSFRONTALIERE  
 
Trieste, 28 ottobre 2013 - A partire dal 26 ottobre, in base ad una nuova direttiva europea sulla libera scelta del luogo di cura, non è proibito ai cittadini fruire dell´assistenza sanitaria transfrontaliera, anche se il Governo italiano sta ancora completando l´iter di recepimento, che si concluderà all´inizio di dicembre con l´emanazione di un decreto legislativo. Per questo l´assessore regionale alla Salute Maria Sandra Telesca ha presentato il 25 ottobre in Giunta le indicazioni in materia che saranno trasmesse alle Aziende per i Servizi Sanitari e agli Irccs-istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico. Si ricorda che lo Stato membro di residenza garantisce che i costi sostenuti da una persona assicurata che ha fruito dell´assistenza sanitaria transfrontaliera siano rimborsati, sempre che la medesima assistenza sia compresa tra le prestazioni alle quali si ha diritto nel proprio Stato, e agli stessi costi. Il resto è a carico del cittadino. Dal 26 ottobre potranno dunque continuare ad avere luogo i trasferimenti all´estero presso Centri di altissima specializzazione con le usuali procedure adottate sinora. Gli altri interventi sanitari richiesti, che comunque non rientrino nell´ambito di applicazione della Team-tessera Europea di Assicurazione Malattia, non saranno sottoposti alla preventiva autorizzazione al cittadino, fatta salva la possibilità che venga introdotta tale autorizzazione per alcuni interventi, qualora previsto dal successivo decreto legislativo di recepimento. Sarà considerato a rimborso il costo sostenuto dal cittadino all´estero in misura non superiore alla tariffa che si applica a livello regionale per la prestazione sanitaria analoga; nel caso il costo sostenuto per la prestazione sia inferiore a quello della tariffa regionale il rimborso non potrà comunque eccedere il costo sostenuto. Per quanto riguarda i farmaci, si provvederà al rimborso secondo i prezzi definiti per il territorio nazionale. Nel caso di prezzo estero superiore a quello italiano, il rimborso non potrà superare il prezzo applicato in Italia e, in caso di prezzo inferiore a quello italiano, il rimborso potrà essere pari al prezzo corrisposto, ma non superiore.  
   
   
DECRETO BALUDZZI/CLINI E VDS. VENDOLA: "IMPUGNEREMO DECRETO"  
 
Torino, 28 ottobre 2013 - Il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola ha incontrato il 25 ottobre il direttore generale di Arpa Puglia Giorgio Assennato. Insieme, e dopo un importante lavoro realizzato al tavolo tecnico congiunto svoltosi nei giorni scorsi, hanno deciso di impugnare, davanti al Tribunale Amministrativo del Lazio, il decreto Balduzzi/clini, relativamente alla parte riguardante la valutazione del Danno sanitario. “Alla Regione Puglia non piace quello che sta avvenendo – ha detto il Presidente Vendola - abbiamo dunque deciso di impugnare le linee guida interministeriali perché l’applicazione delle stesse ritarderebbe di anni l’intervento a tutela della salute e soprattutto neutralizzerebbe quella importante prescrizione che la Puglia è riuscita ad inserire nell’Aia2 (rilasciata a fine 2012), e che impone ad Ilva, ma non solo, di adeguarsi alle norme pugliesi in materia di Valutazione del danno sanitario (legge regionale 21 del 2012 ndr)”. Per Vendola “si è reso assolutamente necessario impugnare il decreto perché le linee guida statali prevedono metodologie, che pur se compatibili con quelle regionali (e ciò è dovuto al confronto svoltosi tra Ministeri e Istituzioni regionali in sede preparatoria), spostano di fatto molto in avanti nel tempo la soglia di intervento”. “Per esempio – ha spiegato Vendola - volendo considerare la vicenda Ilva, mentre è già pronto lo studio regionale, e quindi è già possibile prevedere diminuzioni delle emissioni nocive per la salute, non si potrà effettuare quello statale prima di 3-4 anni, con considerevole ritardo nell’intervento a tutela della salute”. “La Regione ritiene imprescindibile tale iniziativa - ha aggiunto Vendola - anche perché l’intera normativa regionale in materia di Vds è sotto attacco da parte delle grandi industrie energetiche, ed in particolare di Eni ed Enel, che hanno presentato ricorsi tuttora pendenti e che vorrebbero evitare di sottoporsi all’immediato controllo degli impatti sanitari prescritto dalla Regione Puglia”. Vendola ha infine ricordato come “la legge regionale pugliese che ha introdotto la Valutazione del Danno sanitario sia stata poi recepita anche dal legislatore statale, a riprova della sua validità, con un decreto legge che fissava le condizioni per la riapertura dell’Ilva e degli altri stabilimenti strategici nazionali in caso di emersione di criticità ambientali”.  
   
   
PUBBLICIT¨¤ INGANNEVOLE NEL DIABETE N¨¦ I TEST GENETICI N¨¦ LA TERAPIA CON STAMINALI SONO ANCORA A PORTATA DI PAZIENTE. MEGLIO, PER ORA, LASCIARLI AI RICERCATORI  
 
Riccione, 28 ottobre 2013 - Molti i progressi della ricerca, tutti di estremo interesse per studiare le strade che portano alla malattia. Ma tutte queste scoperte non sono ancora di alcuna utilit¨¤ nella pratica clinica, non aiutano cio¨¨ a prevedere con certezza chi ¨¨ a rischio di sviluppare una malattia multifattoriale come il diabete, l¡¯ipertensione, l¡¯osteoporosi o le malattie cardiovascolari Stesso discorso per la terapia cellulare a base di staminali; gli studi sono ancora tutti in corso e non ¨¨ il caso di diventare cavie di se stessi, perch¨¦ lo scotto da pagare potrebbe esser molto alto E¡¯ bene continuare a tenersi informati, ma per il momento ¨¨ meglio aspettare perch¨¦ non ci sono certezze n¨¦ dei benefici, n¨¦ tantomeno dei rischi. Nonostante le promesse dei tanti venditori di fumo, in carne ed ossa o sul web ¡°Inganno 1¡± Supplementi e ¡®integratori¡¯ per prevenzione e terapia. La Nutraceutica ¨¨ una scienza abbastanza recente che si occupa dello studio di molecole bioattive contenute negli alimenti, che hanno una funzione benefica sulla salute umana. Il termine ¨¨ un neologismo derivante dalla fusione di "nutrizione" e "farmaceutica". Negli ultimi anni il ricorso ai nutraceutici per migliorare lo stato di benessere e curare malattie quali diabete e malattie cardiovascolari ¨¨ cresciuto in maniera esponenziale, probabilmente per il desiderio di terapie naturali meno invasive e/o di trattamenti innovativi in linea con il sempre pi¨´ diffuso modello di vita naturalistico e salutistico. ¡°Con la promessa di risultati miracolosi sul peso corporeo e sul controllo glicemico ¨C dice la dottoressa Rosalba Giacco, primo ricercatore dell¡¯Istituto di Scienze dell¡¯Alimentazione del Cnr di Avellino e membro del Consiglio Direttivo della Sid ¨C sempre pi¨´ pazienti affetti da diabete e malattie cardiovascolari si sono avvicinati all¡¯utilizzo di prodotti come nutraceutici, fitofarmaci e altri integratori, la cui commercializzazione fino al 2006 non era adeguatamente regolamentata. Tutto ci¨° ha fatto crescere il bisogno di avere risposte di comprovata certezza scientifica sull¡¯efficacia biologica e sicurezza di questi composti. Forti e consolidate sono attualmente le evidenze scientifiche relative all¡¯utilizzo di nutraceutici quali pectine, ¦Â-glucani e amido resistente di indurre un pi¨´ basso incremento della glicemia postprandiale o dei fitosteroli e degli acidi grassi polinsaturi della serie omega-3 di controllare i livelli ematici di colesterolo e trigliceridi, rispettivamente. Incerte o assenti sono, invece, le evidenze scientifiche relative agli effetti benefici dei polifenoli e di erbe medicinali quali ginseng, cipolle, aglio, cannella che contengono principi attivi in grado di migliorare il metabolismo del glucosio, quello dei lipidi, lo stato antiossidante e la funzionalit¨¤ vascolare. Devono essere soddisfatti criteri specifici per poter dichiarare un nutraceutico biologicamente efficace, per definire quale sia il suo target e per quali tra i nutraceutici oggi in commercio esista una dichiarazione che sostenga la capacit¨¤ di migliorare una funzione biologica o di prevenire una malattia¡±. ¡°Inganno 2¡± Curare il diabete con le cellule staminali. Quando si parla di un rimedio per una qualche malattia e quindi di un trattamento farmacologico ci sono delle norme stabilite per legge a livello europeo e nazionale che definiscono un percorso ¡®certo¡¯ perch¨¦ la qualit¨¤ di produzione di un farmaco e quindi la sua eventuale finale messa in commercio avvenga in un contesto di efficacia ma soprattutto di sicurezza per la persona che ricever¨¤ questo farmaco. ¡°E questo ¨¨ quello che attiene alla medicina basata sull¡¯evidenza normale ¨C sottolinea Piero Marchetti, professore associato di endocrinologia all¡¯Universit¨¤ di Pisa ¨C e naturalmente anche le terapie cellulari devono seguire alcune regole precise che sono diverse a seconda che la cellula in questione (come ad esempio le staminali), sia manipolata pi¨´ o meno pesantemente. Il mondo del diabete ¨¨ ancora un po¡¯ ai margini di questa problematica, anche se da pi¨´ parti si sta cercando di far passare il concetto che la terapia con cellule staminali sia un po¡¯ la panacea per tutta una serie di malattie croniche, tra cui appunto il diabete di tipo 1 ma non solo. Di qui il caso di un centro tedesco verso il quale si stava creando una migrazione di ¡®viaggiatori della speranza¡¯ che pensavano di trovare la soluzione ai loro mali. Finch¨¦ ci sono scappati dei morti e tutto ¨¨ stato fermato. Va detto chiaramente che nessuna di queste terapie a base di cellule staminali, per quanto riguarda il diabete, ha per il momento a disposizione elementi scientifici per poter dire ¡®se non altro ¨¨ sicura¡¯ e ¡®forse pu¨° pure funzionare¡¯. Ma va pur detto che in tutto il mondo sono in corso vari approcci, anche con cellule mesenchimali, per valutare in una serie di situazioni cliniche inerenti al diabete questo possa essere di aiuto. Da un lato si sta cercando di capire quanto le cellule staminali mesenchimali possano modulare i processi immunologici che portano alla morte delle beta cellule nelle persone con diabete di tipo 1 o nelle persone che ricevono un trapianto di isole pancreatiche; altri studi cercano di capire se l¡¯uso di cellule staminali mesenchimali pu¨° essere utile per il trattamento delle complicanze croniche del diabete, come le ulcere diabetiche. Gli studi ci sono ma sono ancora in corso e non ci sono risposte certe al momento. I danni con questo tipo di terapia dipendono soprattutto dal fatto che se il sistema non ¨¨ controllato e quindi la produzione non ¨¨ stata caratterizzata, ci pu¨° essere la possibilit¨¤ che si generino crescite incontrollate di queste cellule staminali che possono dar luogo a tumori di varia natura. Questo non vuol dire le persone non debbano informarsi e anche andare a parlare con i centri che propongono queste terapie, purch¨¦ poi quello che riportano da questo colloquio sia un qualcosa di documentato e ridiscusso con il proprio medico di fiducia¡±. ¡°Inganno 3¡± Predire il diabete con i marcatori genetici. Nel settore della genetica, ma pi¨´ in generale in quello della medicina molecolare, uno degli obiettivi di chi fa ricerca ¨¨ individuare delle componenti molecolari, in questo caso genetiche, che siano marcatori della malattia. E ce ne sono tanti di questi marcatori che rivestono un grande interesse soprattutto quando aiutano a scoprire nuovi pathways, nuove vie di malattia: quali quelle su cui poi, a loro volta, altri ricercatori svilupperanno le loro ricerche. ¡°E molto pi¨´ vendibile ad un pubblico laico ¨¨ la capacit¨¤ di questi marcatori di predire la malattia ¨C spiega Vincenzo Trischitta, Ordinario di Endocrinologia all¡¯Universit¨¤ ¡®La Sapienza¡¯ di Roma ¨C perch¨¦ la predizione ¨¨ l¡¯elemento indispensabile per andare a fare prevenzione. Ancor meglio se un marcatore che pu¨° predire la malattia ¨¨ di tipo genetico ¨C col quale, cio¨¨, nasco ¨C perch¨¦ invece di svilupparsi nel corso degli anni (ad esempio, se sviluppo il colesterolo a 30-40 anni e mi predice un infarto del miocardio dopo i 50 anni) se ho una componente genetica che mi predice l¡¯infarto del miocardio o il diabete mellito, pi¨´ di ogni altra medicina molecolare mi permette una predizione precocissima. E ovviamente tutti saremmo felicissimi se questo fosse fattibile, ma qui finisce la parte bella, e comincia quella brutta: non tutti i marcatori genetici che sono stati fino ad oggi identificati per il diabete o per le malattie cardiovascolari, pur ¡®veri¡¯, sono poi utilizzabili nella pratica clinica, in quanto capaci di predire con buona approssimazione chi svilupper¨¤ la malattia e soprattutto, aggiunti ai modelli di predizione che gi¨¤ esistono, che costano poco e sono ben collaudati, non migliorano il modello. Se io ho un marcatore che di suo non mi predice granch¨¦ la malattia e che, se lo aggiungo a dei modelli per il calcolo del rischio che gi¨¤ di per s¨¦ funzionano benissimo e non me li migliora, per quale motivo io dovrei spendere dei soldi per utilizzare questo marcatore? L¡¯unico motivo ¨¨ che se io spendo dei soldi, c¡¯¨¨ qualcuno¡­ che li guadagna: e questa ¨¨ pubblicit¨¤ ingannevole. N¨¦ per l¡¯obesit¨¤, n¨¦ per il diabete, n¨¦ per le malattie cardiovascolari in questo momento i marker genetici sono d¡¯aiuto nella pratica clinica. Il gene oggi pi¨´ associato al diabete, riscontrato da tutti gli studi ¨¨ il Tcf7l2 (qualunque genetista lo conosce) ed ¨¨ un attore protagonista di tutti gli studi sul diabete; ma quando lo si prova ad utilizzare il Tcf7l2 o anche gli altri 64 geni ormai associati in maniera indiscutibile, al di l¨¤ di ogni ragionevole dubbio col diabete, i modelli di predizione genetica non funzionano bene. E se aggiunti ai modelli classici (es. Il modello di predizione del Framingham, sia per il diabete che per il cardiovascolare, che si basa sulle caratteristiche cliniche del paziente: es. Obesit¨¤, et¨¤, familiari col diabet e cos¨¬ via, arriva ¨C anche se non con molti anni di anticipo ¨C e con una buona approssimazione la possibilit¨¤ di ammalarsi o meno). E c¡¯¨¨ qualche cialtrone che addirittura vorrebbe utilizzare i marcatori genetici per predire la risposta alla dieta. Il pubblico non deve cadere in queste trappole: man mano che ci si avvicina ai quartieri ¡®bene¡¯, aumentano le pubblicit¨¤ dei laboratori privati che offrono un ¡®pannello genetico¡¯ per l¡¯osteoporosi a 800 euro. La genetica oggi non deve essere utilizzata per la predizione delle malattie multifattoriali, perch¨¦ oggi esistono modelli di predizione abbastanza ben performanti, ai quali la genetica non ha molto da aggiungere. Una verit¨¤ che non far¨¤ audience, n¨¦ scoop, ma che ¨¨ l¡¯unica verit¨¤. ¡°Inganno 4¡± Predire le malattie cardiovascolari con marcatori genetici. La morbilit¨¤ e la mortalit¨¤ per malattie cardiovascolari rappresentano un importante problema per la salute pubblica in tutto il mondo. L¡¯avanzamento delle conoscenze sulle complesse basi patogenetiche delle malattie cardiovascolari costituisce un importante passo per ridurre l¡¯impatto sulla salute pubblica. ¡°Diverse evidenze indicano che fattori genetici abbiano un ruolo importante nella patogenesi delle malattie cardiovascolari ¨C sottolinea Giorgio Sesti, ordinario di medicina interna all¡¯Universit¨¤ della ¡®Magna Graecia¡¯ ¨C con stime di ereditabilit¨¤ fino al 60% per la malattia coronarica. Il completamento del ¡®Progetto Genoma Umano¡¯ ha provocato grandi attese per la comprensione dell¡¯architettura poligenica di malattie complesse quali le malattie cardiovascolari. Tuttavia, nonostante la crescente identificazione di varianti genetiche per le malattie cardiovascolari e dei suoi fattori di rischio, i risultati degli studi di genetica non si sono tradotti in applicazioni alla clinica pratica per l¡¯identificazione dei soggetti ad elevato rischio cardio-vascolare. A differenza delle malattie genetiche mendeliane, non ¨¨ possibile identificare una singola variante genetica come responsabile delle malattie cardiovascolari. Piuttosto, i fenotipi delle malattie cardiovascolari al pari delle altre malattie complesse, quali in diabete mellito tipo 2, sono dovuti alla somma di polimorfismi multipli, ciascuno con effetti relativamente piccoli sulla espressione genica e/o la funzione di una proteina e quindi sul rischio malattia. Gli studi di Genome Wide Association (Gwas) hanno consentito di identificare oltre 20 loci genici associati all¡¯infarto del miocardico e ad altri fenotipi cardiovascolari. Malgrado questi promettenti successi ottenuti con gli studi di Gwas, molti aspetti delle cause genetiche delle malattie cardiovascolari rimangono insoluti.  
   
   
DIABETE 1, IN ARRIVO UNA CURA DEFINITIVA? DAI FARMACI ‘PROTEGGI-STOMACO’ E DAGLI IMMUNOSOPPRESSORI LA SPERANZA PER UNA VITA LIBERA DALLE PUNTURE DI INSULINA  
 
Riccione, 28 ottobre 2013 - Curare il diabete di tipo 1 in maniera definitiva? È il sogno che guida le ricerche degli scienziati di tutto il mondo e che sembra sempre più a portata di mano. Frenare l’attacco del sistema immunitario che distrugge le delicate cellule produttrici di insulina e allo stesso tempo trovare il modo di fare rigenerare quelle ancora esistenti sono i due filoni sui quali si stanno orientando le ricerche per la cura ‘definitiva’. “Il diabete di tipo 1 – ricorda la dottoressa Chiara Guglielmi, endocrinologa dell’Università Campus Biomedico di Roma – è una malattia autoimmune che deriva dalla distruzione selettiva delle beta cellule pancreatiche. Al momento della diagnosi, gran parte del corredo di beta cellule del paziente è ormai distrutto, con appena il 15-20% di cellule produttrici di insulina ancora funzionanti. In molti pazienti ‘tipo 1’, a distanza di qualche mese dalla diagnosi, si verifica il fenomeno della ‘luna di miele’: il loro fabbisogno di terapia insulinica si riduce drasticamente per qualche settimana, al punto da permettere di interrompere la somministrazione del farmaco. Questo è dovuto al fatto che le cellule beta pancreatiche residue cominciano a produrre più insulina, per sopperire quelle mancanti; il tutto però ha vita breve perché l’attacco autoimmune finisce di distruggere nell’arco di poco tempo anche le cellule superstiti”. “Da tempo si sta cercando una strada per preservare la funzione delle beta cellule residue – commenta il Prof. Stefano Del Prato, Presidente della Società Italiana di Diabetologia - perché questo permetterebbe di prevenire le complicanze croniche del diabete e di liberare il paziente dalla necessità di ricorrere a diverse punture di insulina ogni giorno”. Una delle strade più battute vista la natura autoimmune del diabete di tipo 1, è– illustra la dr.Ssa Guglielmi - quella dell’immunoterapia. L’idea è quella di utilizzare farmaci in grado di bloccare l’assalto del sistema immunitario del paziente contro le cellule beta pancreatiche; il loro impiego deve avvenire il più vicino possibile al momento della diagnosi e solo se ci sono cellule produttrici di insulina da proteggere (cosa che si appura dosando il ‘peptide C’ nel sangue del paziente). Di farmaci ne sono stati testati molti in questi ultimi anni, ma i risultati sono stati in genere molto deludenti, con qualche risultato incoraggiante ottenuto con l’impiego di un anticorpo monoclonale anti-Cd3 (teplizumab), di un anticorpo monoclonale anti-Cd20 (rituximab) e dell’abatacept. Ma al momento l’attenzione si sta focalizzando sul Diapep277, un peptide sintetico di 24 aminoacidi, derivato dalla Heat Shock Protein 60 umana (Hsp60), capace di modulare il sistema immunitario e quindi di proteggere dalla distruzione le cellule pancreatiche produttrici di insulina. E’ attesa a giorni la pubblicazione su Diabetes Care dei risultati del Dia-aid1, uno studio di fase Iii multicentrico, condotto su oltre 400 pazienti affetti da diabete mellito 1 (primo autore dello studio è il professor Paolo Pozzilli, ordinario di Endocrinologia presso l’Università Campus Biomedico di Roma). Tutti i pazienti arruolati in questo studio avevano età compresa tra i 16 e i 45 anni, un C-peptide basale superiore a 0,2 nmol/L e sono stati arruolati entro 4 mesi dalla diagnosi di diabete. I pazienti sono stati randomizzati in due gruppi di trattamento: un gruppo di controllo, trattato con placebo e quello di trattamento attivo sottoposto a 9 somministrazioni per via sottocutanea di Diapep277. A distanza di 2 anni, i pazienti trattati con il Diapep277, mantenevano una capacità di produrre insulina, statisticamente superiore al gruppo di controllo e anche il numero di pazienti che manteneva un ottimo compenso glicemico alla fine dello studio (definito come emoglobina glicata inferiore o uguale al 7%) era significativamente più alto tra i pazienti trattati con il peptide, rispetto al gruppo placebo. Attualmente è in corso uno studio (Dia-aid2) di conferma con Diapep277, che ha già randomizzato 475 pazienti (età 20-45 anni con diagnosi di diabete inferiore ai 6 mesi precedenti e concentrazione di C peptide basale superiore a 0,2 nmol/L); i risultati saranno disponibili alla fine del 2014. “Questi risultati – commenta il Prof. Del Prato – sono il presupposto per proseguire sulla strada dell’immunomodulazione come una potenziale strategia per preservare le beta-cellule residue presenti al momento della diagnosi del diabete tipo 1. Il problema è se queste residue beta cellule siano sufficienti a mantenere una indipendenza dalla terapia insulinica” Gli inibitori di pompa. Il Diapep277 quindi forse funziona. Ma il diabete di tipo 1 non è caratterizzato solo dal fatto che le beta cellule vengono distrutte per un attacco autoimmune, ma anche dal fatto che le ‘superstiti’ non sono in grado di rigenerarsi. “Quindi – afferma Chiara Guglielmi – l’unica soluzione è quella di pensare ad una ‘terapia di associazione’, che preveda sia uno scudo di protezione per le beta cellule dall’attacco immunitario, sia un farmaco che aiuti la beta cellula a rigenerarsi. E possibili candidati alla terapia rigenerativa sembrano essere gli inibitori di pompa protonica (Ppi), farmaci normalmente utilizzati in chi soffre di gastrite o di ulcera peptica. Dei Ppi viene sfruttato il loro effetto di far aumentare i livelli di gastrina, un ormone prodotto dallo stomaco, che oltre a regolare la secrezione gastrica, stimola anche la proliferazione delle cellule pancreatiche (quelle dei dotti), sia nell’animale che nell’uomo. E gli inibitori di pompa saranno dunque protagonisti di un nuovo studio su pazienti con diabete di tipo 1 neodiagnosticato nel quale, come terapia immunosoppressiva, è stato ‘ripescato’ un vecchio farmaco (la ciclosporina) comunemente utilizzato in un ampio spettro di malattie autoimmuni (dal morbo di Crohn, all’artrite reumatoide). In passato la ciclosporina era stata già utilizzata nel diabete di tipo 1, ma poi accantonata per paura di possibili effetti indesiderati a livello renale. Paura, successivamente fugata da altri studi che hanno dimostrato una sostanziale sicurezza della ciclosporina per la salute dei reni. “Da tutte queste considerazioni – spiega la dottoressa Guglielmi – è nata l’idea per un nuovo studio clinico, l’Insulin Independent Trial, che si rivolgerà a pazienti con diabete di tipo 1 di nuova diagnosi. L’obiettivo è dimostrare che i pazienti di tipo 1 trattati con ciclosporina e lansoprazolo, dopo 6 mesi di trattamento riusciranno ad ottenere un periodo libero da terapia insulinica. Il coordinatore dello studio a livello europeo sarà il professor Paolo Pozzilli e i pazienti verranno reclutati a partire da gennaio 2014. “In conclusione – commenta Stefano Del Prato, presidente della Società Italiana di Diabetologia (Sid) - il momento della diagnosi di diabete di tipo 1 è quello ideale per andare ad agire e a proteggere le beta cellule che sono ancora presenti e funzionanti. Il fallimento degli studi di immuno-intervento, per quanto concettualmente logici in una malattia autoimmune quale il diabete di tipo 1, potrebbe forse dipendere dai farmaci che sono stati impiegati, o dalla grande eterogeneità dei pazienti arruolati negli studi. Il peptide Diapep277 offre nuovi spunti e nuove opportunità di studio. Nel frattempo aspettiamo i risultati degli studi che si concluderanno il prossimo anno per poterne ancor meglio valutare gli effetti. Ma sembra abbastanza chiaro che una terapia di associazione che miri non solo a contrastare l’attacco autoimmune alle cellule beta pancreatiche ma anche a favorirne la rigenerazione offra migliori possibilità di successo. Il tutto per il sogno di rendere i giovani con diabete di tipo 1 liberi per sempre dall’insulina”.  
   
   
LA COMPLICANZA-TABU’ DELLA DONNA CON DIABETE  
 
Riccione, 28 ottobre 2013 - Un nuovo questionario a 6 punti messo a punto da ricercatori di Napoli e Roma consente di rivelare la presenza della disfunzione sessuale femminile. Non esiste ancora l’equivalente del ‘viagra’ per la donna: la correzione per ora affidata a controllo del diabete e dieta mediterranea La disfunzione sessuale femminile nella donna con diabete è una nuova patologia i cui contorni si stanno definendo in questi ultimi anni. Molto più articolata di quella maschile, la disfunzione sessuale femminile può coinvolgere tutta una serie di ‘domìni’ della sessualità femminile: dal desiderio, all’eccitazione, fino all’orgasmo. Per questo è molto più complesso indagarla da parte del medico che non nella sua versione maschile. E paradossalmente sono molte più le donne degli uomini, in percentuale, a soffrire di disfunzioni sessuali. La disfunzione sessuale femminile è associata a una serie di problematiche metaboliche – come il diabete – per cui è necessario ‘slatentizzarla’, chiedendo proprio alla paziente come funziona la sua sessualità. Proprio quest’anno, la Consensus Conference di Princeton Iii, che da sempre si è occupata di disfunzione erettile, si è parlato di disfunzioni sessuali femminili, finalmente al centro dell’attenzione, come vera e propria patologia. Il dato più recente, relativo alla prevalenza della disfunzione sessuale femminile, risale a qualche anno fa e indica nel 43% le donne interessate da questa condizione. “In Italia stiamo iniziando a quantificare il fenomeno solo da poco– dice Katherine Esposito, professore di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo alla Ii Università di Napoli – perché i medici raramente hanno posto attenzione a questo problema. Oggi questa valutazione diventa più facile grazie a un questionario ad hoc, più ‘semplice’ dei precedenti - elaborato dalla nostra scuola di Napoli e da quella di Roma del professor Emmanuele Iannini – che presto ci permetterà di disporre del dato epidemiologico. Il questionario si basa su uno già esistente di 19 domande, che indagava tutti i domìni della sessualità femminile, ma che era troppo complesso e dettagliato per un suo impiego a livello ambulatoriale. Noi abbiamo provveduto a ‘snellirlo’, riducendolo a 6 domande pur conservandone l’efficacia. La terapia. Una volta fatta la diagnosi, è importante cercare di correggere la disfunzione sessuale nella donna con diabete. In primo luogo migliorando il controllo metabolico della malattia, con un’adeguata aderenza alla terapia ma soprattutto migliorando l’adesione alle regole di uno stile di vita sano. Molto importante è l’alimentazione. La dieta mediterranea, ad esempio, è in grado di migliorare la sessualità della donna con sindrome metabolica. La stessa Consensus di Princeton ha confermato che per combattere la disfunzione sessuale nella donna con diabete può essere di grande aiuto proprio questo ‘tesoro italiano: la dieta mediterranea, un cocktail di antiossidanti che migliora anche la disfunzione erettile. Insomma, una piacevole terapia di coppia! “Anche in questo caso – commenta il professor Stefano Del Prato, Presidente della Società Italiana di Diabetologia - il ruolo del diabetologo diventa cruciale. A lui spetta il ruolo di indagare a 360 gradi tutte le complicanze collegate al diabete, inclusa la disfunzione sessuale della donna diabetica e a lui spetta il ruolo di gettare le basi della prevenzione e cura anche di questa complicanza. Come per l’uomo, anche nella donna, tra l’altro, la disfunzione erettile potrebbe essere il campanello di allarme di una patologia cardiovascolare. La disfunzione sessuale femminile va, quindi, ricercata attivamente, perché meno appariscente di quella maschile, ma altrettanto pesante nelle ricadute fisiche e psicologiche della persona con diabete”. Purtroppo, una terapia farmacologica ad hoc per la disfunzione sessuale femminile ancora non esiste; a differenza della variante maschile, infatti, ad oggi non si è riusciti a trovare un bersaglio farmacologico. In passato è stato utilizzato il testosterone, ma questa terapia ha senso se è coinvolto il calo del desiderio e, come tale, indicata solo per una parte delle disfunzioni sessuali femminili”. Al momento, la prevenzione e la cura continuano a basarsi su accurata verifica, consapevolezza e corretto stile di vita.  
   
   
36° CONGRESSO NAZIONALE SOCIETÀ ITALIANA DI FARMACOLOGIATORINO, LINGOTTO CENTRO CONGRESSI - 23-26 OTTOBRE 2013 LE MILLE FACCE DELLA NUOVA VISIONE DEL FARMACO  
 
Torino, 28 ottobre 2013 - La farmacologia moderna non può più essere considerata solamente la “scienza che scopre nuovi farmaci”, ma una disciplina che si sta arricchendo rapidamente di declinazioni che vanno dall’individuazione di nuove indicazioni per farmaci già esistenti, all’identificazione sempre più precisa di pazienti che possono trarre il massimo beneficio da una determinata terapia, anche attraverso le più moderne acquisizioni nel campo della ricerca scientifica come la farmacogenetica, alla scoperta di nuovi bersagli dei meccanismi di una determinata patologia su cui concentrare la ricerca, alla valutazione economica dell’impatto di un nuovo farmaco sul mercato e, quindi, all’interesse per l’ottimizzazione delle risorse, all’attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio, cercando di limitare al massimo il peso degli eventi avversi di un farmaco, alle strategie per aumentare la compliance del paziente. Tutti questi elementi sono emersi con molta chiarezza attraverso i lavori presentati nel corso della 36° Edizione del Congresso Nazionale della Società Italiana di Farmacologia, in programma a Torino dal 23 al 26 ottobre 2013 presso il Centro Congressi del Lingotto, presieduto dal Professor Pier Luigi Canonico, Presidente Sif e Professore ordinario di Farmacologia presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale, la cui apertura ufficiale è stata anticipata da una Tavola Rotonda, svoltasi oggi, dal titolo: “Il Ruolo del Farmaco per la Salute e la Crescita in Italia” cui hanno partecipato i principali stakeholder del settore. “La scienza medica ha determinato molte aspettative per quanto riguarda lo stato di salute della popolazione – ha dichiarato il Professor Pier Luigi Canonico – Aspettative che trovano un ruolo cruciale nella ricerca farmacologica. Questo è testimoniato dai dati che evidenziano come, negli ultimi decenni, la vita media degli individui - soprattutto nel mondo occidentale - sia aumentata in modo esponenziale, ma non solo da un punto di vista ‘quantitativo’, bensì anche ‘qualitativo’. La scoperta di nuovi farmaci, infatti, - continua Canonico - ha consentito da un lato di aumentare la durata media della vita, ma soprattutto di far sì che la vita stessa sia vissuta meglio. C’è un rapporto diretto, tra ricerca in ambito biomedico, ricerca farmacologica e salute dell’individuo”. “La ricerca farmacologica, poi, - aggiunge Canonico - ha ricadute positive sulla crescita del Sistema Paese, del sistema produttivo sia a livello locale, che nazionale. Non determina, quindi, soltanto un miglioramento della salute individuale ma anche di quella sociale, perchè lo sviluppo economico di una nazione ha riflessi benefici anche sulla “salute sociale”. Tutto questo ha, tuttavia, necessità di un sostegno concreto e coordinato, per questo, continua Canonico: “E’ importante da un lato che i diversi Ministeri (della Ricerca e dell’Università, della Salute, del Welfare e dello Sviluppo Economico) lavorino insieme, per raggiungere risultati positivi e decisioni condivise, dall’altro poter contare su un potenziamento degli investimenti in ricerca farmacologica, come anche la valutazione di sistemi di defiscalizzazione per gli investimenti in ricerca, per rendere più facile gli investimenti stessi.” Altro elemento fondamentale è la creazione di sbocchi occupazionali “basati sulla meritocrazia e sulla ‘qualità’ – afferma Canonico - che permettano anche al nostro Sistema Paese di avere a disposizione ricercatori giovani (o meno giovani) più validi. Per quanto ci riguarda, la Sif contribuisce allo sviluppo scientifico con una parte rilevante del proprio bilancio (oltre il 27%), aiutando i giovani ricercatori con borse di studio, a trascorrere periodi all’estero, istituendo premi sia per attività di ricerca, valutati sempre in base a criteri meritocratici. La Società organizza, poi, incontri e congressi monotematici dedicati ai giovani, con un supporto concreto alla loro partecipazione”. E a proposito di risorse umane, per quanto riguarda “le caratteristiche e le competenze che dovrebbero avere gli operatori del mondo Life Science nel momento attuale, come in prospettiva - commenta la dottoressa Consuelo Pizzo, partner di Transearch – esulando dal puro knowledge tecnico, rileviamo tre aree comuni: la visione di insieme, ossia la capacità di andare oltre il proprio ruolo specifico, la condivisione, cioè la capacità di creare sinergie e sviluppare idee in modo integrato, e la resilienza, ovvero la capacità di non essere solo determinati, ma di esserlo in modo nuovo, per sapere reagire alle difficoltà e alle pressioni con un’attitudine rinnovata”. Altro elemento emerso dalla Tavola Rotonda è quello della necessità di sviluppare sempre più la collaborazione tra pubblico e privato in un’ottica di massima trasparenza. “Dalla firma del protocollo d’intesa - avvenuta il 14 febbraio 2000 - ad oggi, la Società Italiana di Farmacologia e Farmindustria – afferma il Dottor Pierluigi Antonelli, del Comitato di Presidenza di Farmindustria – insieme sostengono ricerca, sviluppo e innovazione farmaceutica, per cure sempre più sicure ed efficaci. Obiettivi perseguibili in presenza di risorse adeguate, contesto normativo stabile, competitivo e non penalizzante per le imprese del farmaco e di strumenti di incentivo quali il credito d’imposta. Occorre, inoltre, garantire rapido accesso per i nuovi prodotti – oggi a disposizione solo dopo due anni - superando il gap rispetto ad altri Paesi”. Non si può, infine, parlare di farmacologia senza richiamare il ruolo di Istituti e Agenzie pubbliche, come l’Istituto Superiore di Sanità, nel controllo e nella promozione dello sviluppo di nuovi farmaci. “La sfida più importante che le Agenzie come quella Italiana del Farmaco (Aifa) si trovano a dover affrontare e regolamentare al giorno d’oggi – afferma il Dottor Luca Pani, Direttore Generale Aifa - è rappresentata dalla globalizzazione. Pensiamo alle materie prime per la produzione dei farmaci o alle sperimentazioni cliniche, settori in cui la competizione tra paesi ed aree geografiche anche molto lontane dall’Europa è sempre più esasperata. Perdere quote di mercato in questo ambito significa rinunciare a conoscenze mediche che rappresentano un impoverimento non ripianabile, se non nel lungo periodo. Lo sguardo di Aifa è rivolto al futuro, poiché il modello “blockbuster” è definitivamente tramontato e si va verso molecole “personalizzate”, disegnate sull´individuo, per procedere verso la cosiddetta medicina di precisione. E’ necessario, dunque, saper valorizzare in modo obiettivo l’innovazione per offrire ai cittadini farmaci sempre più efficaci e promuovere il corretto impiego degli stessi. Su questo fronte l’Aifa ha già dato risposte concrete sviluppando nuovi modelli di valutazione dell’innovatività terapeutica che vengono attualmente discussi dall’Eu Innovation Network dell’Agenzia Europea per i Medicinali (Ema) e promuovendo l’appropriatezza prescrittiva attraverso l’Osservatorio sull’uso dei Medicinali (Osmed) e i Registri di Monitoraggio. Proprio questi ultimi – conclude Pani - con modalità all’avanguardia grazie ai nuovi sistemi informativi dell’Aifa, ci consentono di valutare in un contesto “real life” l’efficacia terapeutica e il rapporto rischio/beneficio e beneficio/costo dei farmaci”. “In quanto Ente di riferimento della Sanità Pubblica, l’Iss è spesso considerato un Istituto deputato prevalentemente ad attività di controllo – dichiara la Dottoressa Patrizia Popoli, Dirigente di Ricerca – Dipartimento del Farmaco Istituto Superiore di Sanità - In effetti, nel settore del farmaco, la nostra principale mission è (letteralmente) quella di “garantire la sicurezza e l’efficacia dei farmaci al fine di proteggere la salute pubblica. Allo stesso tempo, in quanto principale organo tecnico-scientifico del Servizio Sanitario Nazionale, l’Iss ha certamente il compito di promuovere la salute pubblica, anche favorendo lo sviluppo di nuovi trattamenti per i pazienti che ne hanno bisogno”. “Per fare ciò – continua la Dottoressa Popoli - l’Istituto svolge diverse attività, ricoprendo differenti ruoli, da quello tecnico-scientifico per l’autorizzazione degli studi clinici di Fase I dove, in collaborazione con l’Aifa, (che è attualmente l’autorità competente per tutte le sperimentazioni cliniche), fornisce un servizio gratuito di consulenza per supportare e guidare gli sponsor a pianificare gli studi e a predisporre il dossier di applicazione. Oltre a una funzione nelle infrastrutture europee per la ricerca nel settore biomedico, in quanto incaricato dal Ministero della Salute, in accordo con il Miur, di coordinare le attività dei nodi italiani dell’European Advanced Translational Research Infrastructure in Medicine (Eatris) e dell’European Clinical Research Infrastructures Network (Ecrin), realtà preposte alla ricerca nel settore dello sviluppo di nuove strategie terapeutiche”.  
   
   
POTENZIARE CON I FARMACI LA CAPACITÀ DI AUTORIPARAZIONE DEL CERVELLO LE RICERCHE CONDOTTE DA UN GRUPPO DI RICERCATORI DELL’UNIVERSITÀ DEL PIEMONTE ORIENTALE  
 
Torino, 27 ottobre 2013 – La relazione tra neurogenesi e malattie neuropsichiatriche costituisce un nuovo ed affascinante campo di indagine neurobiologica, in cui la cellula staminale neurale adulta costituisce un potenziale bersaglio, sia per interventi terapeutici di nuova concezione, sia per l’interpretazione dell’attività di farmaci da tempo utilizzati in ambito clinico. Nel corso dei lavori della 36° Edizione del Congresso Nazionale della Società Italiana di Farmacologia, in programma a Torino dal 23 al 26 ottobre 2013 presso il Centro Congressi del Lingotto, presieduto dal Professor Pier Luigi Canonico, Presidente Sif e Professore ordinario di Farmacologia presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale, una intera sessione di interventi sarà dedicata alla discussione di dati recenti ottenuti in questo ambito. Ce ne parla la Professoressa Mariagrazia Grilli, che coordina il Laboratorio di Neuroplasticità, con sede a Novara, presso il Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale. In questo laboratorio da alcuni anni un gruppo di ricercatori concentra la propria attenzione proprio su queste cellule. “Innanzi tutto – afferma la Professoressa Grilli – vorrei mettere in evidenza le motivazioni per cui i farmacologi sono così interessati allo studio delle cellule staminali neurali adulte. C’è voluto oltre un secolo per confutare il ‘dogma’ della neurobiologia che vedeva il cervello adulto impossibilitato a rigenerare i neuroni, ma solo destinato a perderne con l’invecchiamento. Una decina d’anni fa si è confermato che anche nel cervello, come in qualunque altro organo, ci sono cellule staminali adulte, e che noi tutti abbiamo la possibilità, in alcune zone specifiche del nostro cervello, di formare, a partire da queste cellule, nuovi neuroni per tutta la durata della nostra esistenza. E’ anche in parte grazie a questi neuroni nati in età adulta, che il nostro cervello può adattarsi alle nuove e continue esperienze e stimoli cui siamo esposti, ed essere ‘plastico’, continuare ad imparare ed immagazzinare nuove informazioni. Inoltre, le staminali neurali adulte sembrano attivarsi in risposta a danno, nel tentativo di ripararlo. Come farmacologi – continua la Professoressa Grilli – pensiamo alle numerose malattie neuropsichiatriche ancora in attesa di risposte terapeutiche adeguate e vediamo nelle cellule staminali neurali adulte un target per lo sviluppo di nuovi farmaci, che possano potenziare la capacità di autoriparazione e di plasticità del nostro cervello.” “E’ stato ipotizzato che la maggior parte delle malattie neuropsichiatriche si associa ad alterazioni del processo con cui si formano questi nuovi neuroni. Uno degli obiettivi di noi ricercatori – aggiunge la Professoressa Grilli – è quello di capire cosa si altera in questo processo e comprendere se queste alterazioni contribuiscono, e in che misura, a malattie quali, ad esempio, ictus, disturbi di tipo cognitivo associati alla malattia di Alzheimer e all’invecchiamento, ma anche la depressione maggiore, disturbo bipolare, ecc.”. Nell’ictus ed in altre malattie neurodegenerative, ad esempio, è noto che le cellule staminali si attivano, a seguito del danno, nel tentativo di generare nuovi neuroni. Purtroppo il microambiente in cui si vengono a trovare non permette che queste cellule o i neuroni cui esse danno origine sopravvivano o completino la loro maturazione, con la conseguenza che questo tentativo di autoriparazione fallisce o si esaurisce. Per questo, la farmacologia si prefigge lo scopo di studiare i meccanismi che regolano la neurogenesi adulta con l’ambizione, in futuro, di individuare farmaci che potenzino la produzione delle cellule staminali oppure facilitino la sopravvivenza dei nuovi neuroni, anche in un contesto che altrimenti non renderebbe possibile la loro integrazione nei circuiti. E’ questo, un modo innovativo di guardare alla potenzialità delle cellule staminali neurali adulte endogene, viste non più solo come possibile ‘oggetto’ di trapianto dall’esterno, ma come bersaglio di farmaci, nel loro contesto naturale, il cervello, per patologie neurologiche e psichiatriche che, ad oggi, non hanno ancora terapie disponibili o soddisfacenti. “Siamo stati tra i primi in Italia, presso il Laboratorio di Neuroplasticità del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università del Piemonte Orientale da me diretto – conclude la Professoressa Grilli – ad interessarci al rapporto tra farmaci bioregolatori e neurogenesi adulta. Si tratta di un campo molto competitivo, che avanza molto rapidamente. Tra gli altri, studiamo il meccanismo con cui alcuni farmaci, già in uso clinico, come gli antidepressivi, stimolano la neurogenesi adulta che è drasticamente ridotta nelle depressioni più gravi. Siamo anche interessati a capire se e come, all’opposto, alcuni farmaci di abuso possono causare effetti negativi sulle cellule staminali del cervello e quindi sulla plasticità del cervello stesso, con conseguenze importanti sulla cognitività e sul tono dell’umore”. Assai interessante, poi, lo studio nell’invecchiamento della complementarietà tra trattamenti farmacologici mirati a potenziare la neurogenesi e stili di vita. Infatti esistono recenti lavori in grado di dimostrare come anche alcuni stimoli fisiologici (arricchimento ambientale, esercizio fisico, ecc.) siano in grado di potenziare la capacità del cervello di formare nuovi neuroni.  
   
   
LA NUOVA SFIDA DELLA FARMACOLOGIA ATTRAVERSO LA FARMACOGENETICA: PER LE PATOLOGIE CHE HANNO GIÀ TRATTAMENTI TERAPEUTICI EFFICACI, MEGLIO SVILUPPARE NUOVI FARMACI PER I ‘NON-RESPONDER’  
 
Torino, 28 ottobre 2013 – La variabilità nella risposta a un trattamento farmacologico tra paziente e paziente costituisce uno dei problemi più rilevanti nella pratica clinica: si possono, infatti, osservare in alcuni soggetti, rispetto ad altri, effetti terapeutici ridotti, se non assenti, reazioni avverse variabili, nonostante sia stato somministrato lo stesso farmaco, con la stessa posologia. Per questo motivo, da diversi anni, l’obiettivo della farmacologia moderna è, attraverso la farmacogenetica, quello di indirizzare le terapie esistenti verso quei pazienti che sono in grado di rispondere ad esse e sviluppare nuovi farmaci efficaci per i non responder, evidenziando la componente genetica di quelle persone che hanno necessità assistenziali insoddisfatte. Questo tema di grande attualità, è stato presentato dal Professor Armando Genazzani, del Dipartimento di Scienze del Farmaco presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale, nel corso dei lavori della 36° Edizione del Congresso Nazionale della Società Italiana di Farmacologia, in programma a Torino dal 23 al 26 ottobre 2013 presso il Centro Congressi del Lingotto, presieduto dal Professor Pier Luigi Canonico. Presidente Sif e Professore ordinario di Farmacologia presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale. “Il fallimento di una terapia nei confronti di un paziente, riscontrato frequentemente nella pratica clinica – dichiara Genazzani - ha portato la comunità medico scientifica ad interrogarsi da un lato sulle cause di questo fenomeno, dall’altro sulle implicazioni di quest’ultimo sia per la necessità di riuscire a dare, comunque, una risposta ai bisogni disattesi dei pazienti, sia per gli aspetti farmaco-economici derivanti dal costo di trattamenti che non funzionano”. “Queste considerazioni, grazie alla nostra capacità di leggere il genoma in modo sempre più veloce ed economico – continua Genazzani – hanno portato alla conclusione che, parte delle differenze nella risposta ai trattamenti, fossero dovute al Dna: sia quello del paziente che assume la terapia sia, se prendiamo come esempio le patologie oncologiche, quello delle cellule tumorali, estremamente instabile e soggetto a continue modifiche. La consapevolezza di avere come bersaglio le proteine mutate del Dna e di fare un’ulteriore sottoclassificazione dei tipi di tumore, a seconda delle proprie mutazioni genetiche, ha portato la ricerca a comprendere che, se si riescono a individuare quali sono le mutazioni di un determinato tumore, possono essere somministrati farmaci indirizzati selettivamente per quelle stesse mutazioni a quei pazienti che sono maggiormente in grado di rispondere”. In questo momento, sempre per quanto riguarda l’oncologia, le applicazioni più efficaci della medicina personalizzata, che riescono a colpire in modo selettivo la parte modificata di un dato tumore, riguardano vari tumori, quali quello renale, polmonare e il melanoma. Ma oltre ai nuovi farmaci, ci sono altre categorie farmacologiche in uso da molti anni per patologie assai comuni come l’ipertensione, l’asma, i disturbi dell’umore, le cefalee, ecc., che sono efficaci per una gran parte dei pazienti, ma che, al contrario non lo sono per altri. “Noi sappiamo – aggiunge Genazzani – che ci sono differenti risposte da parte degli individui a seconda delle loro differenze genetiche, ma tutto questo non è ancora stato codificato nella pratica clinica. Attualmente, infatti, la scelta del farmaco giusto avviene attraverso una procedura per tentativi ed errori, nel senso che si incomincia con un farmaco e se questo non funziona si cambia prescrizione, fino a trovare il trattamento adatto per quella persona.” Il ricorso all’esecuzione di opportuni test genetici metterebbe il medico nella condizione di stabilire subito quale farmaco funzionerà in quel particolare paziente e prescrivere tempestivamente terapie più efficaci. “La Società Italiana di Farmacologia – afferma Genazzani - segue molto da vicino queste tematiche, ha un proprio Gruppo di Lavoro coordinato oltre che dal sottoscritto, dal Professor Emilio Clementi e dal Professor Diego Fornasari e si occupa in modo specifico di diverse aree terapeutiche che vanno dalla terapia del dolore, alla neurologia, all’oncologia e alla terapia anti-virale”. “Per quanto mi riguarda – dichiara Genazzani – ora mi sto occupando di un filone di ricerca che riguarda l’emicrania, patologia molto diffusa con una prevalenza di circa il 20% della popolazione. Le classi terapeutiche in assoluto più utilizzate per questa malattia sono i triptani, ma oltre il 50% dei pazienti (soprattutto donne) non ottengono dal loro utilizzo il beneficio sperato. Noi abbiamo evidenziato dei polimorfismi che possono contribuire al fallimento terapeutico, ma stiamo ancora cercando di definire geneticamente la popolazione non responder.” In questo caso come dovrebbe muoversi la ricerca farmacologica? Secondo il Professor Genazzani “in questo come in altre situazioni, una volta evidenziate le caratteristiche dei pazienti che, ad esempio, non rispondono ai triptani, i ricercatori, come ‘sarti’ dovrebbero impostare nuovi trial clinici per dare vita a nuovi farmaci ‘su misura’, solo per i non responder. I pazienti a cui i triptani fanno effetto, hanno già la propria cura.” “Non bisogna, tuttavia, scordare che ‘personalizzare’ una terapia – conclude Genazzani – si può estrinsecare nel singolo genoma, ma anche in categorie più vaste: come ad esempio le donne e gli uomini. Noi sappiamo che i due generi rispondono differentemente alle terapie, anche se qui il gap è metodologico, perché la maggior parte degli studi clinici vengono eseguiti sugli uomini, nonostante i farmaci siano consumati in percentuale maggiore dalle donne. Per questo motivo, nella produzione di un farmaco, ci dovrebbe essere una maggior corrispondenza tra ricerca e pratica clinica”.  
   
   
NUOVE PROSPETTIVE NELLA LOTTA CONTRO L’ALZHEIMER: SCOPERTO L’ENZIMA CHE PROTEGGE I NEURONI LA SCOPERTA DA PARTE DI UN GRUPPO DI RICERCATORI MILANESI  
 
Torino, 28 ottobre 2013 - Un filone di ricerca tutto italiano apre la via alla comprensione della malattia di Alzheimer e alla possibilità di trovare, in futuro, nuove possibilità di cura, attraverso la scoperta della funzione di un enzima, chiamato Adam 10, in grado di prevenire la produzione di Beta amiloide, da anni considerato uno dei principali “indagati” nella morte neuronale. Nel corso dei lavori della 36° Edizione del Congresso Nazionale della Società Italiana di Farmacologia, in programma a Torino dal 23 al 26 ottobre 2013 presso il Centro Congressi del Lingotto, presieduto dal Professor Pier Luigi Canonico, Presidente Sif e Professore ordinario di Farmacologia presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale, l’intervento della Professoressa Monica Di Luca, del Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari dell’Università di Milano punta i riflettori sui risultati, ad oggi, ottenuti dal Gruppo di ricercatori da lei guidato. “Innanzi tutto – afferma la Professoressa Di Luca – vorrei mettere a fuoco le motivazioni della nostra ricerca: nonostante i grandi progressi nella conoscenza delle basi biologiche della malattia di Alzheimer, queste non sono ancora completamente chiarite. Occorre identificare nuovi bersagli e nuove vie biochimiche. Quello che è certo – continua Di Luca – è che l’amiloide, in questa patologia, è il target giusto, e se i farmaci in cui si sperava tanto non si sono rivelati completamente efficaci, è perché noi abbiamo sempre ragionato in termini di fase molto avanzata della malattia, quando l’accumulo di questa proteina produce effetti devastanti. Quello che stiamo, invece, cercando di capire è che cosa fanno le forme di aggregazione iniziali di questo piccolo peptide (l’amiloide), quando la formazione di aggregati è ancora agli inizi”. “C’è una chiave di lettura molto importante nella malattia di Alzheimer – prosegue Di Luca - che sta alla base della nostra ricerca: le prime fasi della malattia non vedono la degenerazione delle cellule nervose. Quello che notiamo all’inizio è un “malfunzionamento” delle sinapsi. Se riusciamo a bloccare questo “difetto” si evita la degenerazione cellulare. Per questo, nel nostro laboratorio abbiamo cercato di studiare il collegamento tra la produzione di amiloide e la perdita di connettività delle sinapsi, in particolar modo quelle eccitatorie, che sono la base morfologica della nostra fase di apprendimento e di memorizzazione”. “Innanzi tutto – aggiunge Di Luca - abbiamo scoperto che uno degli enzimi importanti nella formazione del Betapeptide amiloide è localizzato in queste sinapsi, con un ruolo definito nella fisiologia delle connessioni neuronali. Abbiamo, però, anche scoperto la funzione determinante di un enzima chiamato Adam 10 che previene la formazione di amiloide. E infine abbiamo identificato il ruolo cruciale della proteina Ap2 che mette fuori gioco l’attività protettiva di Adam 10, estromettendo l’enzima dalla sinapsi. Per concludere, se scopriamo come stabilizzare questo enzima nel contatto sinaptico, riusciamo a prevenire la produzione di Beta amiloide”. Lo Studio della Professoressa Di Luca, pubblicato recentemente sul Journal of Clinical Investigation, è il primo a contestualizzare la malattia di Alzheimer nel contesto sinaptico, in modo molto preciso, scoprendo i meccanismi che regolano una delle vie principali della malattia stessa. I prossimi passi sono quelli di trovare il metodo farmacologico per bloccare l’enzima Adam 10 sulla membrana cellulare, prolungandone l’attività. E’ una scommessa, questa, molto importante, se consideriamo che la malattia di Alzheimer è tra le dodici patologie cerebrali a più alto costo sociale ed economico per la società europea. Studi recenti, riportano che in Europa il costo totale delle patologie del cervello – considerando costi diretti e indiretti – ammonta a 789 miliardi l’anno, dove le “demenze” esprimono un costo annuo complessivo di 105,163 miliardi per 6,3 milioni di pazienti. In Italia il costo e il carico della demenza è di 8,6 miliardi di euro l’anno, con circa 700.000 casi stimati. Costi che continueranno a crescere nel quadro di un’aspettativa di vita della popolazione europea in continuo aumento. “A questo proposito – conclude Di Luca – è bene ricordare che una diagnosi precoce e una terapia tempestiva possono contribuire a rallentare la progressione della malattia e l’istituzionalizzazione dei pazienti, oltre che ridurre la prevalenza di malattia nella popolazione del 30%. Tutto questo è stato stimato per i pazienti in 6 anni in più di vita serena, senza aumentare le aspettative di vita”.  
   
   
GRAZIE A UN TEST FARMACOGENETICO MESSO A PUNTO ALL’UNIVERSITÀ DI PISA CHEMIOTERAPIA PERSONALIZZATA, CON RISCHIO DI TOSSICITÀ RIDOTTO  
 
Torino, 28 ottobre 2013 - La farmacologia moderna non ha di fronte soltanto la sfida di individuare nuove entità terapeutiche, ma anche quella di rendere più maneggevole e sicuro l’impiego di farmaci di uso già consolidato, efficaci ma in alcuni casi gravati da effetti collaterali importanti che, in diversa misura, ne limitano l’impiego. E’ un indirizzo di ricerca che ha subito un notevole impulso grazie alla farmacogenetica, cioè lo studio delle determinanti genetiche che regolano la risposta individuale a un farmaco, sia in termini di efficacia sia in termini di tossicità. E’ il caso dello studio presentato dal Professor Romano Danesi, Ordinario presso il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa nel corso dei lavori della 36° Edizione del Congresso Nazionale della Società Italiana di Farmacologia, in programma a Torino dal 23 al 26 ottobre 2013 presso il Centro Congressi del Lingotto, presieduto dal Professor Pier Luigi Canonico, Presidente Sif e Professore ordinario di Farmacologia presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale. “Le fluoropirimidine (5-fluorouracile, capecitabina) - spiega il Professor Danesi - sono farmaci citotossici, in uso da molto tempo, ampiamente impiegati per il trattamento del carcinoma del colon, della mammella e della regione testa-collo. La somministrazione di questi farmaci può, tuttavia, provocare tossicità gastrointestinali ed ematologiche molto gravi, la cui prevenzione rappresenta un impegno di primaria importanza per evitare al paziente di incorrere in serie complicanze che rendono la qualità della vita ancora più compromessa”. Grazie ad uno studio durato molti anni, che ha permesso la caratterizzazione di oltre 500 pazienti con tossicità da chemioterapia antitumorale, sono state identificate alcune cause genetiche di carenza della diidropirimidina deidrogenasi, enzima necessario all’organismo per inattivare ed eliminare i farmaci citotossici appartenenti alla classe delle fluoropirimidine (una volta esercitato il loro effetto terapeutico), che espongono il paziente a tossicità molto gravi e, in rari casi, mortali. “L’impegno dei farmacologi clinici appartenenti alla Società Italiana di Farmacologia (Sif) - prosegue Danesi - è quello di promuovere l’applicazione di questo tipo di diagnosi preventiva ai pazienti ed escludere dal trattamento (oppure consigliare una riduzione di dose) i portatori di tale carenza enzimatica, rendendo possibile la personalizzazione del trattamento”. Grazie a questi risultati, la stessa Associazione Italiana di Oncologia Medica, d’intesa con la Sif, si appresta a introdurre queste analisi farmacogenetiche nelle raccomandazioni di monitoraggio del paziente oncologico candidato alla terapia con specifiche classi di farmaci antitumorali. L’associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (Airc), l’Istituto Toscano Tumori (Itt) e l’American Society of Clinical Oncology (Asco) hanno riconosciuto l’importanza dei test farmacogenetici predittivi del rischio di tossicità che sono stati sviluppati dal gruppo di studio della Farmacologia Clinica dell’Università di Pisa e che hanno permesso ad una giovane ricercatrice, la Dottoressa Marzia Del Re, di ricevere per due volte, nel 2011 e 2013, il Merit Award for Young Scientists della Conquer Cancer Foundation of Asco.  
   
   
IL COLERA SI DIFFONDE DAI CARAIBI ALLE AMERICHE. ALCUNI ITALIANI SONO STATI INFETTATI A CUBA E POI HANNO ESPORTATO IL VIRUS IN ITALIA. MESSICO HA CONFERMATO 171 CASI DELLO STESSO CEPPO CHE DAL 2010 HA UCCISO PIÙ DI 8.800 PERSONE DI HAITI, REPUBBLICA DOMINICANA E CUBA.  
 
Lecce, 28 ottobre 2013 - Dopo i casi in Messico e il messaggio d´attenzione rivolto ai turisti da parte dello "Sportello dei Diritti" nelle scorse settimane, associazione che per prima in Italia aveva segnalato una serie di focolai negli stati del paese centroamericano, arrivano le conferme che l´epidemia di colera scoppiata tre anni fa ad Haiti e diffusasi anche in Repubblica Dominicana e Cuba ha iniziato a diffondersi in America continentale. Durante l´ultimo mese sono stati,infatti, confermati i 171 casi in Messico di un ceppo per il 95% simile a quello che sta circolando attualmente nei Caraibi e, che a sua volta proviene dal Sud dell´Asia. Nel mese di agosto anche una mezza dozzina di casi sono stati rilevati in Venezuela e Cile. La Pan American Health Organization teme che la malattia si possa diffondere in tutto il continente e diventare, in ultima analisi, una minaccia globale. Il batterio del colera si può trovare in alimenti e acqua contaminati. Le persone più povere che vivono in pessime condizioni igienico - sanitarie in genere sono ovviamente più a rischio di infezione. Una volta che i batteri si sono insinuati negli intestini umani si manifesta diarrea, vomito e febbre. La malattia può diventare acuta e portare alla morte se non tempestivamente ed adeguatamente curata. Solo per ricordare quanto già segnalato dall´associazione, rileva Giovanni D´agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, tra il 9 settembre e il 18 ottobre scorso, le autorità sanitarie del Messico hanno registrato un totale di 171 casi di colera diffusosi in alcuni stati, in particolare Hidalgo, Veracruz e San Luis Potosi. Un paziente è morto e per 39 di loro é stata necessaria l´ ospedalizzazione, per quanto confermato dal National Focal Point per il Regolamento sanitario internazionale del Messico. Nello stato di Hidalgo è stato possibile stabilire che l´acqua di un fiume era la principale fonte di contaminazione. Era dall´epidemia scoppiata in Messico nel decennio 1991-2001 che non si erano registrati nuovi focolai di colera. Questa volta, però, il ceppo è diverso: il loro profilo genetico "ha una somiglianza elevata (95%) con il ceppo attualmente in circolazione in tre paesi dei Caraibi (Haiti, Repubblica Dominicana e Cuba)", ha stabilito l´ultimo aggiornamento epidemiologico pubblicato il 19 ottobre dalla Pan American Health Organization. Jon Andrus, vice direttore della Pan American Health Organization per gli Stati Uniti Public Radio (Npr, per il suo acronimo in inglese) ha detto che "É un punto di svolta per noi. (La diffusione del colera) è in realtà una minaccia regionale e ora una minaccia globale per la salute ". Ha inoltre, aggiunto che "Abbiamo condotto una campagna in tutti i paesi della regione affinché restino in guardia". L´epidemia che colpisce da tre anni nelle isole dei Caraibi e da allora ha ucciso 8874 persone ha cominciato a diffondersi in Haiti nel mese di ottobre 2010. Il primo caso è stato segnalato il 16 nella città di San Marco, che si trova nella provincia di Artibonite, un paio d´ore di macchina da Port-au- Prince, la capitale. In pochi giorni, i batteri si erano sparsi sulle rive del Artibonite, dove attingono l´acqua tutti i villaggi vicini.Gli haitiani hanno rivendicato la responsabilità di un gruppo di soldati delle Nazioni Unite di stanza nella regione , che avrebbero contaminato con le loro feci il fiume. Un totale di 8.413 persone sonomorte ad Haiti dall´inizio della malattia fino al 12 Ottobre 2013, secondo l´ultimo rapporto del Ministero della Salute e della popolazione di Haiti. E in tutti i dipartimenti del paese vengono segnalati nuovi casi ogni settimana. Dal 2010, un numero impressionante di haitiani, nel silenzio pressoché generale della comunità internazionale, ben 685 509 è stato infettato e il 55,6% ha richiesto l´ospedalizzazione. In Repubblica Dominicana, che condivide con Haiti l´isola di Ispagnola, l´epidemia é iniziata un mese dopo, nel novembre 2010. Da allora, 31.070 pazienti sono stati diagnosticati e 458 sono morti. Il numero di morti è aumentato considerevolmente nel 2013 rispetto ai due anni precedenti: a fine 2012, il tasso di mortalità era del 0,8%, mentre nel mese di ottobre di questo anno è salito al 2,1%, quasi il doppio del numero medio di decessi registrati finora ad Haiti, che è ancora 1.2%. I batteri si sono diffusi anche a Cuba, ma le autorità locali non hanno ufficialmente informato circa il verificarsi di nuovi casi dallo scorso agosto. Finora, 678 persone erano state diagnosticate nelle province di Camagüey, Granma, Guantanamo, L´avana e Santiago de Cuba, e tre di loro erano morti. Secondo le informazioni fornite da Ops, almeno cinque stranieri- provenienti da Venezuela, Cile e Italia, sono stati infettati a Cuba e poi hanno esportato il virus nei loro paesi. Alla luce di questi preoccupanti dati, confermati da autorità sanitarie internazionali oltre che da quelle nazionali, Giovanni D´agata ribadisce l´invito a turisti e viaggiatori che si recano nei paesi evidenziati, ad osservare tutte le misure di prevenzione e profilassi per evitare il contagio. Basti ricordare che l’acqua costituisce uno dei principali vettori della malattia. È quindi, assolutamente raccomandabile bere solo acqua in bottiglia.  
   
   
SANITA’: ZAIA ,“PRESTO I COSTI STANDARD? MUSICA PER LE NOSTRE ORECCHIE. BASTA CHE COTTARELLI LI TIRI FUORI DAL CASSETTO”  
 
Venezia, 28 ottobre 2013 - “Musica per le orecchie della sanità veneta che li chiede da anni e già li applica in casa sua. Tanto di cappello al Ministro Lorenzin se riuscirà nell’impresa di dare il via all’unica vera riforma antisprechi della sanità”. Lo sottolinea il presidente della Regione del Veneto Luca Zaia commentando l’annuncio del Ministro della Salute, secondo la quale i costi standard in sanità verranno presto approvati in Conferenza Stato-regioni. “Proprio in questi giorni - fa notare Zaia - inizia la sua attività Carlo Cottarelli, il nuovo Commissario alla Spending Review. Mi auguro non ritenga di partire da zero e, per cominciare, riapra subito quel cassetto dove giace da circa 2 anni la manovra sui costi standard. Sarebbe davvero una bella partenza. E troverebbe subito 30 miliardi disponibili, un terzo di quanto il Governo gli ha chiesto di recuperare”. “Si tratta - sottolinea Zaia - dell’ultima spiaggia per riportare davvero in equilibrio la spesa sanitaria nazionale senza intaccare il principio universalistico delle cure sancito dalla Costituzione con tagli trasversali che, se non si chiude la falla, hanno lo stesso effetto che buttare fuori l’acqua con un cucchiaio”. “E’ anche l’ultima spiaggia - prosegue il presidente - perché finisca la mala pratica di far ricadere sulle Regioni con i conti in ordine, come l Veneto, gli sprechi altrui. Con i costi standard una siringa dovrà costare lo stesso in Veneto come in tutta Italia (oggi non è così) e chi non riuscirà a rispettare il costo standard e spenderà di più dovrà fare ricorso alla fiscalità locale, rispondendone quindi ai cittadini elettori. E allora ne vedremo delle belle”.  
   
   
MARONI: IL FARMACEUTICO È UN SETTORE STRATEGICO  
 
 Monza, 28 ottobre 2013 - "Il settore farmaceutico è quello maggiormente caratterizzato per investimenti in ricerca e sviluppo. La Regione Lombardia ha stanziato in questi mesi risorse ingenti per investimenti sulla ricerca e sull´innovazione tecnologica, per salvaguardare un settore come questo che vede la Lombardia essere la prima regione d´Italia per la presenza di società, enti di ricerca ed occupazione". Lo ha spiegato il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, arrivando a Monza, nella sede dello stabilimento Roche, per partecipare - insieme all´assessore regionale alle Attività produttive, Ricerca e Innovazione Mario Melazzini - al convegno organizzato da Farmindustria intitolato ´L´industria del farmaco: un patrimonio che l´Italia non può perdere´. "Il nostro impegno - ha aggiunto il presidente Maroni - è quello di favorire l´attrattività di investimenti esteri qui in Lombardia e la nostra capacità attrattiva deriva dalla capacità di investire in ricerca e sviluppo".  
   
   
MARONI: STANZIATI 650 MILIONI PER LA SALUTE  
 
Milano, 28 ottobre 2013 - "Con questa delibera, ´La Lombardia per la salute´, abbiamo stanziato 650 milioni di euro per il 2013 per investimenti nel settore sanitario. Voglio sottolineare che si è trattato di uno sforzo straordinario, fatto dalla Regione Lombardia, in un contesto in cui le risorse per le Regioni vengono tagliate. Con questo stanziamento di 650 milioni abbiamo compiuto un grande sforzo per ottenere un grande risultato e per garantire l´eccellenza nella sanità per i cittadini lombardi". Lo ha spiegato il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, in una conferenza stampa tenutasi a Palazzo Lombardia per presentare - insieme al vice presidente e assessore alla Salute Mario Mantovani - la delibera ´La Lombardia per la salute´, con cui la Giunta regionale lombarda ha stanziato 650 milioni di euro per il 2013 per investimenti nel settore sanitario. Investimenti Nonostante Tagli Per 350 Mln Previsti Da Legge Stabilità - "La Legge di Stabilità in corso di esame al Senato ha tolto alla Regione Lombardia 350 milioni di euro - ha fatto notare il presidente Maroni -, per cui c´è una contrazione significativa di risorse cui dovremo far fronte, cercando di evitare una riduzione dei servizi offerti. Si tratta di una penalizzazione grave per la nostra Regione. Eppure, nonostante questo contesto sfavorevole, siamo riusciti ugualmente a dare risorse importanti al comparto sanitario lombardo, perché riteniamo che la sanità sia un settore in cui dobbiamo investire e perché vogliamo ulteriormente migliorare il nostro sistema sanitario. Vogliamo che i servizi offerti ai cittadini lombardi in tutti i settori di attività della Regione, non solo quello sanitario, abbiano lo standard più alto che ci sia, questa è l´ambizione che ci prefiggiamo e oggi, con questa delibera che stanzia questi 650 milioni per investimenti sanitari, abbiamo dato la dimostrazione concreta che questo obiettivo si può raggiungere". La Soluzione Offerta Dai Costi Standard - Rispondendo poi a una domanda dei giornalisti sull´auspicio espresso dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin di una rapida applicazione dei costi standard previsti da una legge già vigente, il presidente Maroni ha commentato: "Il ministro Lorenzin auspica l´applicazione dei costi standard? Non possiamo che essere d´accordo. Non vediamo l´ora che si applichino, perché ne usciremmo avvantaggiati: mercoledì prossimo ci sarà una riunione straordinaria delle Regioni, per definire il Piano nazionale della Sanità e, in quell´occasione, ribadiremo la nostra richiesta di applicare i costi standard previsti da una legge già in vigore. E´ stato calcolato che, se tutte le Regioni italiane adottassero nella sanità gli standard che nella spesa pubblica applica la Regione Lombardia, ci sarebbe un risparmio complessivo di 30 miliardi di euro l´anno, ovvero un terzo degli interessi che paghiamo per il debito pubblico". "Si risparmierebbero 30 miliardi - ha continuato Roberto Maroni - solo facendo quello che la Regione Lombardia fa e, se lo facciamo noi, lo possono fare anche gli altri. Pertanto siamo lieti che il ministro Lorenzin sia della partita, noi la sosterremo e spero che la sua tesi prevalga nel Governo e in Parlamento e, se in sede di conversione della Legge di Stabilità venisse trovato il modo di inserire l´applicazione dei costi standard, sarebbe davvero una grande operazione di rinnovamento".  
   
   
SALUTE, LOMBARDIA: NON È STATO TOLTO UN EURO  
 
Milano, 28 ottobre 2013 - "Lo sforzo che sta facendo Regione Lombardia in un momento di grande difficoltà di ordine nazionale è davvero sovraumano. Devo dire che con molta fatica e determinazione siamo riusciti a non togliere un euro alla salute, ma addirittura a incentivare gli investimenti". Così si è espresso il vice presidente e assessore alla Salute di Regione Lombardia Mario Mantovani nel corso del suo intervento alla conferenza stampa che, aperta con l´introduzione del presidente della Giunta regionale, Roberto Maroni, si è tenuta a Palazzo Lombardia subito dopo la seduta di Giunta. "La Lombardia per la Salute: 650 milioni di euro per investimenti sanitari nel 2013" è stato il tema dell´incontro con i giornalisti. Parlando delle risorse destinate all´edilizia e alle attività sanitarie, l´assessore alla Salute ha detto: "Nonostante i vincoli normativi e nonostante la riduzione del Fondo sanitario regionale dello scorso anno, nella seduta di Giunta abbiamo approvato 440 milioni di investimenti che, se sommati alle recenti deliberazioni assunte, fanno arrivare, appunto, a 650 milioni di euro per l´edilizia ospedaliera".  
   
   
CALABRIA: IL PRESIDENTE SCOPELLITI HA PRESENTATO IL PROGETTO DELLE “CASE DELLA SALUTE”  
 
Catanzaro, 28 ottobre 2013 - Il Presidente della Regione Giuseppe Scopelliti ha presentato, nel corso di una conferenza stampa che si è svolta a Palazzo Alemanni, l’avvio del progetto che riguarda le Case della Salute. All’incontro con i giornalisti erano presenti il Consigliere regionale Mario Magno, delegato dal Presidente a seguire l’iter burocratico relativo alle “Case della Salute”, e il Responsabile dell’unità di progetto “Case della Salute” Salvatore Lo Presti. La Regione ha coinvolto le Aziende Sanitarie Provinciali nella formulazione di specifici progetti di fattibilità per la realizzazione delle Case della Salute, ricadenti nei distretti territoriali di propria competenza, che sono presidi altamente tecnologici in grado di gestire la presa in carico globale del cittadino e soddisfare i bisogni di salute con costi anche di dieci volte inferiori ad analoghi modelli di cura ospedalieri. Le Case della Salute saranno localizzate presso strutture ospedaliere e territoriali già esistenti attraverso il recupero e la riqualificazione. Con un investimento più complessivo di 67.4 milioni di euro, a valere sul Programma Ordinario Convergenza (Poc), saranno convertite su tutto il territorio calabrese 8 strutture in totale. Oltre ai 3 modelli sperimentali (Chiaravalle Centrale, Siderno e S. Marco Argentano), infatti, è prevista la realizzazione delle Case della Salute a Scilla, Mesocara, Cariati, Praia a Mare e Trebisacce. La prima convenzione sarà sottoscritta con l’Asp di Catanzaro per la “Casa della Salute di Chiaravalle”, a seguire l’accordo con l’Asp di Reggio Calabria per la “Casa della Salute di Siderno”, la prossima settimana sarà la volta del protocollo con l’Asp di Cosenza per S. Marco Argentano. I fondi stanziati per i primi tre modelli di Case della Salute corrispondono a circa 8,1 milioni di euro per Chiaravalle, 9.7 milioni di euro per Siderno e 8,1 milioni di euro per S. Marco Argentano. Le Case della Salute saranno strutture all’avanguardia rispetto anche all’innovazione tecnologica, con servizi avanzati di telemedicina, tra cui teleradiologia e teleconsulto, e di controllo a distanza delle attività di assistenza domiciliare integrata (Adi). Gli investimenti in tecnologia previsti corrispondono a 1,5 mln di euro circa per Chiaravalle, 1,3 mln per Siderno e 1,2 mln di euro per San Marco Argentano. “Questo progetto era stato annunciato già da qualche mese – ha dichiarato il Presidente Scopelliti - e corrisponde all’avvio della seconda fase del percorso di razionalizzazione e riorganizzazione della sanità in Calabria che prevede sempre maggiori investimenti e risposte più puntuali ai bisogni della collettività. Oggi con circa 24 milioni di euro, sui 67 disponibili messi in campo, daremo uno strumento importante ai territori coinvolti. Utilizzeremo le strutture ospedaliere che sono state riconvertite in Case della Salute, e che rientrano nel progetto più ampio che riguarda i Punti di Primo Intervento (Ppi), in grado di dare risposte immediate ai pazienti sul territorio di riferimento con posti letto per lungodegenze e residenzialità. Si tratta di un servizio che avrà un costo molto più contenuto rispetto ai posti letto ospedalieri.Delle risorse che mettiamo a disposizione per il recupero e la riqualificazione delle strutture, circa un 20% è destinato all’innovazione tecnologica, per offrire ai pazienti un servizio utile e di qualità. Si tratta di uno strumento strategico che ci consente di approdare ad un modello di sanità vincente”. “Con la realizzazione delle Case della Salute – ha affermato il Consigliere Magno - realizziamo un passaggio fondamentale per l’integrazione socio-sanitaria territoriale. Le Case della Salute saranno un filtro tra territorio ed ospedali hub e spoke e sono funzionali per primi interventi e diagnosi. Potranno, inoltre, avvantaggiarsi della collaborazione tra strutture e professionisti, nonché del contributo dei medici di base che vogliono associarsi. Si tratta di una rivoluzione culturale, sulla scorta di quanto già fatto in Toscana Lombardia e Piemonte, che scongiurerà l’intasamento degli ospedali, con un sempre minore ricorso per gli acuti, e consentirà un’azione più incisiva e risposte più concrete ai cittadini”.  
   
   
ESENZIONE TICKET PER REDDITO IN SCADENZA IL 31 OTTOBRE. CHIARIMENTI E CONSIGLI DELLA REGIONE TOSCANA AI CITTADINI INTERESSATI DAL RINNOVO  
 
 Firenze, 28 ottobre 2013 - Per accompagnare i cittadini interessati dal rinnovo delle esenzioni che erano state prorogate al 31 ottobre 2013 la Regione propone alcuni chiarimenti e consigli per meglio orientarsi sui tempi e le modalità di verifica della propria situazione. I cittadini interessati dal rinnovo sono coloro che hanno una esenzione per reddito, con codice di esenzione: - E01 (cittadini di età inferiore a sei anni e superiore a sessantacinque anni, appartenenti ad un nucleo familiare con reddito complessivo non superiore a 36.151,98 euro), - E03 (titolari di pensioni sociali e loro familiari a carico), - E04 (titolari di pensioni al minimo di età superiore a sessant´anni e loro familiari a carico, appartenenti ad un nucleo familiare con un reddito complessivo inferiore a 8.263,31 euro, incrementato fino a 11.362,05 euro in presenza del coniuge ed in ragione di ulteriori 516,46 euro per ogni figlio a carico) e che hanno beneficiato della proroga al 31 ottobre. Non sono coinvolti i cittadini con altro tipo di esenzioni come, per esempio, per patologia o invalidità o disoccupazione. La scadenza della validità degli attestati prorogati è confermata al 31 ottobre, ma è possibile effettuare il rinnovo, se necessario, anche dopo tale data. Pertanto il cittadino potrà regolarizzare il rinnovo oltre il 31 ottobre, l´importante è che lo faccia prima di ricorrere alle prestazioni del Servizio Sanitario. La prima cosa da fare è comunque controllare il proprio attestato cartaceo: se riporta la scadenza del 31 marzo 2014, non va fatto niente fino a tale data, altrimenti, va verificata la propria posizione rispetto all´esenzione con una delle modalità di seguito indicate: - agli sportelli dedicati delle Aziende sanitarie se non si è ancora attivato la Carta Sanitaria Elettronica; - accedendo al sito www.Regione.toscana.it/servizi-online/servizi-sicuri/servizi-attivati con la Carta Sanitaria Elettronica attivata, inserendo la carta nel lettore di smart card; - ai Totem "Punto Sì" delle Asl , il cui elenco è disponibile all´indirizzo www.Regione.toscana.it/cartasanitaria; - agli sportelli "Ecco fatto!" presenti in alcuni Comuni (www.Uncemtoscana.it/eccofatto). Prima di autocertificare è sempre opportuno verificare il possesso del requisito del reddito familiare fiscale. Tutte le prestazioni già prescritte e prenotate per una data successiva al 31 ottobre, su ricette che riportino il codice di esenzione, sono erogate a titolo gratuito. Quindi, per esempio, se un cittadino esente ha una ricetta prescritta entro il 31 ottobre e la prestazione è prenotata per il 10 novembre, ma non è riuscito a rinnovare il certificato, non dovrà corrispondere alcun ticket. Per tutte le informazioni sui requisiti e modalità di verifica e autocertificazione è possibile consultare le pagine dedicate al ticket e all´esenzione sul sito www.Regione.toscana.it/salute , inviare una mail all´ indirizzo ticket.Sanita@regione.toscana.it  , contattare dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 15 il numero verde regionale 800 556060 o ancora, contattare i numeri dedicati delle Aziende sanitarie.  
   
   
ARRIVA A ROMA PEPPA PIG, IN TOUR NEI REPARTI PEDIATRICI DEGLI OSPEDALI  
 
Roma, 28 ottobre 2013 - Peppa Pig è un personaggio amato da tante bambine e tanti bambini che seguono le sue avventure televisive. Ora diventa protagonista di un tour nei reparti pediatrici di dieci ospedali italiani. Tra questi, anche il S. Andrea di Roma, dove la mattina del 5 novembre raccoglierà i disegni che i piccoli realizzeranno per lei. Si chiama ‘Allegria Tour’, la campagna di solidarietà realizzata dall´Agenzia Kimbe insieme a Salvamamme, Rai Ragazzi e Croce Rossa con il patrocinio della Regione Lazio, che porterà Peppa Pig ad abbracciare i piccoli pazienti e le loro famiglie nell’ospedale. Perché la cura non passa solo attraverso gli interventi dei medici ma anche tramite il sostegno psicologico ai piccoli pazienti e alle loro famiglie nel cammino verso la guarigione. “C´è un mondo meraviglioso di associazionismo e di volontariato – ha spiegato il presidente Nicola Zingaretti - che entra meglio nella quotidianità del territorio. Questa esperienza è un modello, dove lo Stato non scappa, ma sostiene chi vuole fare qualcosa per migliorare la vita di tutti”.