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Notiziario Marketpress di Lunedì 28 Ottobre 2013
LA P.A. TRA TRASPARENZA E PRIVACY: SEMINARIO DEL GARANTE  
 
"La Pubblica Amministrazione tra domanda di trasparenza e protezione dei dati personali". E´ questo il tema del seminario organizzato dal Garante per la privacy nell´ambito della Xxx Assemblea dell´Anci, e intorno al quale l´Autorità ha chiamato a discutere e confrontarsi l´Anci, le Regioni, il Dipartimento della funzione pubblica, il mondo accademico. Obiettivo del seminario - svoltosi il 24 ottobre 2013 alle ore 10,00 alla Fortezza Da Basso a Firenze - è stato quello di richiamare l´attenzione delle amministrazioni pubbliche, in primo luogo di quelle locali, sulla necessità di un corretto bilanciamento tra esigenze di trasparenza sull´attività dei soggetti pubblici e diritto dei cittadini a veder tutelata la loro sfera privata. Ai lavori, introdotti da Vladimiro Boccali, Sindaco di Perugia, hanno partecipato Licia Califano, Componente dell´Autorità Garante per la privacy; Luciano Vandelli, Ordinario di diritto amministrativo all´Università di Bologna; Antonio Naddeo, Capo Dipartimento della Funzione Pubblica; Andrea Simi, Responsabile della struttura Trasparenza, contrasto alla corruzione e semplificazione del Segretariato Generale della Regione Lazio; Claudio Filippi, Dirigente del Dipartimento libertà pubbliche e sanità del Garante. Il workshop è stata anche l´occasione per fornire indicazioni operative utili per una corretta attuazione delle norme contenute nel recente Decreto legislativo n. 33 del 2013  
   
   
CONDOMINIO E PRIVACY: LA NUOVA GUIDA DEL GARANTE  
 
Le regole del Garante per conciliare trasparenza e riservatezza nel condominio. Il vicino di casa può installare una telecamera che riprende l´ingresso del proprio appartamento o il posto auto? Chi può accedere ai dati del conto corrente del condominio? Le informazioni sui morosi possono essere affisse nella bacheca o comunicate a soggetti esterni? Quali dati possono essere pubblicati sul sito web condominiale? Sono numerosi i quesiti che sorgono nella vita di ogni condominio. Spesso semplici dubbi o errate interpretazioni normative possono sfociare in spiacevoli discussioni o , addirittura, in cause civili e penali. Proprio per facilitare un dialogo equilibrato tra tutti gli "abitanti" del condominio - dai condomini agli inquilini in affitto, dal portiere ai fornitori esterni - il Garante privacy ha predisposto un sintetico manuale che affronta i temi più caldi in materia di trattamento di dati personali: "Il condominio e la privacy". Il vademecum prende in esame i casi che più frequentemente emergono nella vita condominiale, dall´assemblea all´accesso agli archivi, dalle comunicazioni agli interessati ai rapporti con l´amministratore. La guida tiene conto anche delle novità introdotte dalla recente riforma del condominio, entrata in vigore nello scorso mese di giugno 2013, e offre le prime risposte ad alcuni dei quesiti già pervenuti al Garante in merito alla corretta applicazione delle nuove norme, come quelle relative al cosiddetto "condominio digitale". "E´ davvero importante - sottolinea il Presidente dell´Autorità, Antonello Soro - garantire un giusto livello di riservatezza nei rapporti condominiali e tra vicini di casa nella vita di ogni giorno. Bisogna fare in modo, però, che la tutela della privacy non sia usata come pretesto per limitare la trasparenza nella gestione condominiale, omettendo dati che tutti i condomini devono poter conoscere". Il Vademecum "Il condominio e la privacy" è suddiviso in otto capitoletti: l´amministratore; l´assemblea; la bacheca condominiale; la gestione trasparente del condominio; la videosorveglianza; il condominio digitale; il diritto di accesso ai propri dati e altri diritti; ulteriori chiarimenti. Un breve glossario dei termini più usati in ambito condominiale e una sezione con i riferimenti ai principali provvedimenti in materia chiudono il manuale. L´opuscolo può essere richiesto in formato cartaceo al Garante privacy, Piazza di Monte Citorio n. 123, Roma o via mail all´indirizzo: ufficiostampa@garanteprivacy.It  oppure scaricato in formato digitale dal sito dell´Autorità www.Garanteprivacy.it  
   
   
MONETA VIRTUALE: LA NUOVA FRONTIERA DEL RICICLAGGIO DI DENARO - REPORT MCAFEE ANALIZZA LA RELAZIONE TRA CRIMINALITÀ, SERVIZI DI VALUTA ELETTRONICA E CYBERCRIME  
 
Mcafee ha reso disponibile il white paper intitolato Digital Laundry: An analysis of online currencies, and their use in cybercrime che rivela come le valute elettroniche siano divenute un servizio fondamentale per il riciclaggio di denaro. Prima che fosse chiuso, il servizio di moneta elettronica, Liberty Reserve, è stato utilizzato per riciclare 6 miliardi di dollari, cifra che ha portato alla più grande accusa di riciclaggio internazionale nella storia. Liberty Reserve consentiva l’anonimato, non richiedeva la provenienza del denaro, arrivando a 55 milioni di transazioni illecite a livello globale per un milione di utenti. Il caso di Liberty Reserve è solo un esempio di come i criminali siano in grado di sfruttare la valuta elettronica. All’interno del report Digital Laundry: An analysis of online currencies, and their use in cybercrime i ricercatori Mcafee hanno tracciato i vari passaggi di utilizzo da parte dei criminali da una piattaforma di valuta virtuale all’altra, prima che Liberty Reserve e il predecessore, e-gold venissero definitivamente chiusi. Liberty Reserve, infatti, non è l’unico servizio di valuta elettronica utilizzata dai criminali, e la proliferazione di questi servizi favorisce la crescita della criminalità informatica e di altre forme di sabotaggio digitale. Infatti, tali valute espongono, oltre che al riciclaggio di denaro, anche ad attacchi mirati su operazioni finanziarie e al malware sviluppato per i portafogli digitali. Alcune valute, come Bitcoin, permettono di creare nuove monete attraverso un processo noto come “mining”. Nel giugno 2011 un Javascript in grado di generare Bitcoin (miner), consentiva ai siti ad alto traffico di impiegare computer dei visitatori per produrre Bitcoin. In alcuni casi questo era evidente ai visitatori, ma la procedura poteva anche essere attuata lasciandoli all’oscuro creando quindi bot a tutti gli effetti. Un dipendente della E-sports Entertainment Association aveva installato uno di questi “miner” su circa 14.000 computer per generare Bitcoin segretamente. Anche se questi servizi non rientrano nella classica denominazione di "criminalità informatica", non c’è dubbio che molti crimini tradizionali ora vengono perpetrati con strumenti tecnologici. Recenti casi di cronaca ci hanno segnalato trafficanti di droga che assumevano hacker per entrare nei sistemi di logistica della case farmaceutiche per cambiare la destinazione e i tempi di consegna di alcuni farmaci – o di rapinatori di banche che hanno utilizzato uno switch Kvm per facilitare il furto di oltre 1 milione di sterline. Purtroppo i tentativi di chiudere i servizi di valuta elettronica, fino ad oggi, hanno portato i criminali semplicemente a spostare le proprie attività altrove, come abbiamo visto nel caso di Liberty Reserve. I servizi di valuta virtuale offrono grandi vantaggi anche agli utenti e sicuramente aumenteranno nei prossimi anni, nonostante le sfide poste da attacchi Dos, dall´uso di questi per il riciclaggio di denaro sporco. Se chiuderli significa perdere potenziali investimenti e vantaggi, sottovalutare i rischi potenziali potrebbe costare molto di più. Info: www.Mcafee.com/us/resources/white-papers/wp-digital-laundry.pdf   - http://blogs.Mcafee.com/mcafee-labs/cybercrime-more-than-ddos-and-malware  - Mcafee - www.Mcafee.com  
   
   
CHECK POINT SOFTWARE TECHNOLOGIES LTD.  
 
 Check Point Software Technologies Ltd., leader mondiale nella sicurezza Internet, ha annunciato i risultati finanziari per il terzo trimestre conclusosi il 30 settembre 2013. · Fatturato totale: 344,1 milioni di dollari, in crescita del 4% anno su anno · Margine operativo non-Gaap: 200,8 milioni di dollari, pari al 58% del fatturato · Utile per azione non-Gaap: 0,85 dollari, in aumento dell’8% anno su anno · Fatturato differito: 566,8 milioni di dollari, in crescita del 12% anno su anno “Siamo molto soddisfatti dei risultati di questo terzo trimestre. Il fatturato e gli utili per azione hanno sfiorato il limite superiore delle nostre previsioni, sottolineando la solidità del nostro business,” ha commentato Gil Shwed, fondatore, chairman e chief executive officer di Check Point Software Technologies. “Le linee di appliance destinate alle piccole aziende ed ai data center, lanciate di recente, sono state accolte con entusiasmo dal mercato ed hanno portato ad un altro trimestre di grande crescita.” Gli highlight finanziari del terzo trimestre 2013: · Fatturato totale: $344,1 milioni, in aumento del 4% rispetto ai $332,4 milioni del terzo trimestre 2012. · Margine operativo Gaap: $186,5 milioni, in aumento del 2% rispetto ai $182,6 milioni del terzo trimestre 2012. Il margine operativo Gaap è stato del 54%, rispetto al 55% del terzo trimestre 2012. · Margine operativo non-Gaap: $200,8 milioni, in aumento del 3% rispetto ai $195,6 milioni del terzo trimestre 2012. Il margine operativo non-Gaap è stato del 58%, rispetto al 59% del terzo trimestre 2012. · Utile netto e utili per azione Gaap: l’utile netto Gaap è stato di $159,7 milioni, in aumento del 5% rispetto ai $152,4 milioni del terzo trimestre 2012. L’utile Gaap per azione è stato di $0,80, un aumento del 10%, rispetto ai $0,73 del terzo trimestre 2012. · Utile netto e utili per azione non-Gaap: L’utile netto non-Gaap è stato di $168,9 milioni, in aumento del 3% rispetto ai $164,1 milioni del terzo trimestre 2012. L’utile non-Gaap per azione è stato di $0,85, in aumento dell’8% rispetto ai $0,79 del terzo trimestre 2012. · Fatturato differito: in data 30 settembre 2013, Check Point ha registrato un fatturato differito di $566,8 milioni, in aumento del 12% rispetto al fatturato differito di $505,9 milioni registrato il 30 settembre del 2012. · Cash flow: il cash flow derivante dalle operazioni è stato di $195,5 milioni, in aumento dell’8% rispetto ai $180,4 milioni del terzo trimestre 2012. · Programma di riacquisto delle azioni: nel terzo trimestre 2013, Check Point ha riacquistato circa 2,3 milioni di azioni, per un valore totale di $128,3 milioni. · Disponibilità di cassa tra contanti e investimenti: $3.664,3 milioni al 30 settembre 2013, in aumento di $417,5 milioni rispetto ai $3.246,8 milioni del 30 settembre 2012. Gli highlight del trimestre Nel corso del trimestre, Check Point ha rilasciato una nuova versione della sua Software Blade Architecture, aggiungendo alla piattaforma la funzione di Threat Emulation. Inoltre, è stata ulteriormente estesa la linea di appliance destinate al data center: Check Point Security Gateway R77 – Integra oltre 50 novità di prodotto, tra cui il nuovo Threatcloud Emulation Service, la tecnologia Check Point Hyperspect per migliorare le prestazioni e la software blade Check Point Compliance. La versione R77 permette ai clienti di sfruttare al meglio questa piattaforma completa di security per ottenere elevati livelli di sicurezza con una riduzione dei costi complessivi di gestione. Check Point Threat Emulation – Check Point Threat Emulation previene le infezioni causate da exploit non identificati (zero-day), nuove varianti malware, attacchi mirati e advanced persistent threat (Apt). Questa soluzione innovativa ispeziona velocemente i file sospetti, li lancia all’interno di una sandbox virtuale su differenti versioni di Os per scoprirne un eventuale comportamento maligno, ed evita che il malware identificato penetri nel network. Threat Emulation è disponibile sotto forma di software blade o come Private Cloud Emulation Appliance, sulla base del Thteatcloud Emulation Service. Appliance 13500 per il data center – L’appliance 13500 sfrutta Check Point Hyperspect, che massimizza l’utilizzo dell’hardware e permette di raggiungere un throughput reale di 23,6 Gbps per il firewall, un throughput reale di 5,7 Gbps per l’Ips ed una valutazione di 3.200 unità Securitypower (Spu). --- Premi e riconoscimenti Leader nel Magic Quadrant Gartner per lo Unified Threat Management – Check Point è posizionata come Leader nel Quadrante Magico Gartner dedicato allo Unified Threat Management (Utm). Si tratta del terzo anno consecutivo in cui l’azienda registra questa collocazione. Leader nel Magic Quadrant Gartner per la Mobile Data Protection – Check Point è posizionata come Leader nel Quadrante Magico Gartner dedicato alla Mobile Data Protection. Da ben sette anni l’azienda occupa questa posizione di leadership. Al vertice del mercato delle appliance che combinano Firewall e Utm – Check Point continua a posizionarsi al vertice nel mercato mondiale delle appliance che combinano Firewall e Utm in termini di fatturato per il secondo trimestre 2013, secondo lo Idc Worldwide Security Appliance Tracker per il Q2 2013 ”L’introduzione della Threat Emulation nella versione R77 permette alle organizzazioni di ogni dimensione di proteggere le proprie reti dai documenti malevoli utilizzati dai più sofisticati attacchi Apt. La capacità di innovazione ed il ruolo di leadership delle nostre soluzioni sono regolarmente riconosciute dagli analisti di mercato ed adottate dai nostri clienti,” ha concluso Shwed. Check Point Software Technologies Ltd. (www.Checkpoint.com) è leader mondiale della sicurezza su Internet e l’unico vendor in grado di offrire Sicurezza Totale a reti, dati ed endpoint, unificata in una singola infrastruttura di gestione. Check Point offre ai clienti protezione senza compromessi da ogni tipo di minacce, diminuisce la complessità e riduce i costi totali di possesso. Grazie a Firewall-1 e alla tecnologia Stateful Inspection, Check Point può essere definito il pioniere nel settore della sicurezza. Check Point continua ad innovare con lo sviluppo dell’architettura Software Blade grazie alla quale è in grado di offrire soluzioni sicure, semplici e flessibili che possono essere completamente personalizzate per rispondere alle specifiche esigenze di sicurezza di ogni organizzazione o ambiente. Tra i clienti Check Point vi sono tutte le aziende della lista Fortune 100 e decine di migliaia di organizzazioni di ogni dimensione. In aggiunta, la nota linea di soluzioni Zonealarm protegge milioni di utenti individuali da hacker, spyware e furti di identità  
   
   
CHECK POINT SECURITY TOUR 2013: PARTE IL CONTO ALLA ROVESCIA  
 
È in arrivo l’evento per eccellenza dedicato alla sicurezza: sarà il prossimo 13 novembre la tappa italiana del Security Tour, il Roadshow internazionale che Check Point Software Technologies Ltd, (Nasdaq: Chkp), leader mondiale nella sicurezza Internet, terrà presso l´Hotel Melià di Milano. Si tratta di un´occasione unica di informazione e di confronto per entrare in contatto con il top management di Check Point e discutere sulle ultime novità nel contesto sempre più evoluto del mercato della Security. Non solo, i partecipanti potranno confrontarsi tra loro per scambiare le proprie esperienze e verificare le rispettive necessità, oltre a verificare le possibili evoluzioni della propria infrastruttura di sicurezza, sempre più spesso da considerarsi un supporto al business più che uno strumento di difesa  
   
   
VMWARE: I RISULTATI FINANZIARI DEL TERZO TRIMESTRE 2013  
 
- Il fatturato per il terzo trimestre è stato di 1,29 miliardi di dollari, con una crescita del 14% del rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Se si esclude Pivotal e le dismissioni del 2013, il fatturato è cresciuto del 19% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. - Il reddito operativo per il terzo trimestre è stato di 287 milioni di dollari, con una crescita del 51% rispetto allo scorso anno. Il reddito operativo Non-gaap è stato di 436 milioni di dollari, +19% rispetto al terzo trimestre 2012. - L’utile netto ha raggiunto i 261 milioni di dollari o 0,60 dollari per azione diluita, registrando un +67% se comparato con il reddito di 157 milioni di dollari o 0,36 dollari per azione diluita del 2012. L’utile netto Non-gaap per il trimestre è stato di 363 milioni di dollari, o 0,84 dollari per azione diluita, +20% rispetto al terzo trimestre 2012. - Il flusso di cassa operativo è stato di 637 milioni di dollari, con un incremento del 46% rispetto al terzo trimestre 2012. Il Free Cash Flow è stato di 543 milioni di dollari, +50% rispetto allo stesso periodo del 2012. - Disponibilità liquide e mezzi equivalenti e investimenti a breve termine sono stati di 5,84 miliardi di dollari. I riscontri passivi al 30 settembre 2013 sono stati di 3,64 miliardi di dollari  
   
   
RAPPORTO IRPEF E IRAP, IL VENETO VIRTUOSO VERSA QUASI 16 MILIARDI DI EURO NELLE CASSE DELLO STATO. IL TEMPO È SCADUTO CHIEDIAMO CHE LE RISORSE DATE RITORNINO SUL TERRITORIO  
 
Venezia, 28 ottobre 2013 - “Il Veneto fa la sua parte versando nelle case dello Stato solo tra Irpef e Irap circa 16 miliardi di euro. Sono risorse che i veneti si guadagnano con il sudore della fronte e che non possono essere sprecate o dilapidate ridistribuendole a chi non amministra in modo virtuoso. Il tempo è scaduto, non possiamo più permettere che il 10% del nostro Pil vada sprecato: queste risorse devono rimanere sul territorio per investire in infrastrutture, innovazione, incentivi e welfare”. Così l’assessore regionale, Roberto Ciambetti, ha aperto la conferenza stampa sulla presentazione del rapporto sull’Irpef e l’Irap elaborato dalla Direzione Risorse e Tributi della Regione del Veneto. La presentazione dei dati è avvenuta il 24 ottobre a Palazzo Balbi alle ore 11 e l’assessore ha posto l’accento sul peso specifico del Veneto a livello nazionale: “la nostra regione resta la locomotiva del Paese per quel che riguarda le imposte versate a Roma, infatti il 72,3% della popolazione contribuisce a creare reddito insieme alle 443.340 imprese presenti sul territorio”. “Sono dati – continua l’assessore regionale al bilancio - che dovrebbero destituire di ogni fondamento lo stereotipo che dipinge i cittadini e gli imprenditori di questa regione come i grandi evasori italiani. Questo rapporto dimostra l’esatto il contrario, il Veneto fa i compiti per casa ed è, in realtà, il grande contribuente dell’Erario centrale”. “Queste cifre – spiega Ciambetti – sono il ritratto di una regione virtuosa, dove, nonostante la crisi le nostre imprese continuano a versare nelle case dello Stato oltre 2 miliardi di euro e solo il settore manifatturiero, cuore pulsante del nostro sistema produttivo, crea il 33,6% delle base imponibile. Sono risorse che la Regione vorrebbe poter impiegare proprio per incentivare e aiutare le nostre aziende a investire in innovazione e modernizzazione per vincere le sfide competitive”. L’assessore Ciambetti, dopo aver esposto in modo sintetico i principali dati del rapporto e ringraziato gli uffici per il lavoro realizzato, ha concluso il suo intervento soffermandosi sulla necessità: “di mettere in moto quel federalismo fiscale in grado di consentire al Veneto di avere a disposizione le risorse necessarie per agganciare la ripresa garantendo un effetto volano sul pil pro capite del 9,2%”. Irpef E Irap Nel Veneto - L’imposta sul reddito delle persone fisiche, l’Irpef, nel Veneto “vale” complessivamente 13 miliardi di euro, pari al 9,1% del Pil regionale. Nella nostra regione si segnala l’elevato livello di partecipazione della popolazione residente alla creazione del reddito (rapporto tra numero dei contribuenti e popolazione), che ammonta al 72,3%, rispetto ad una media nazionale del 68,4%. Inoltre, si conferma l’elevata quota delle donne, pari al 47,3% dei contribuenti persone fisiche che hanno presentato una dichiarazione dei redditi. I dati relativi all’Irap, invece, confermano il ruolo fondamentale della piccola e media impresa nel Veneto. Le attività economiche con valore della produzione inferiore a 500.000 euro costituiscono il 96,3%, e concorrono per ben un terzo alla creazione di base imponibile nella nostra regione. Tale indicatore assume ancora più rilevanza se si considera che il Veneto contribuisce alla formazione del valore della base imponibile Irap nazionale per il 9,3%. Inoltre, si rileva una sostanziale omogeneità nella distribuzione provinciale delle attività economiche, in linea con la dimensione demografica dei diversi territori. Questi dati emergono dai Rapporti Irpef e Irap, curati dalla Direzione Risorse finanziarie e Tributi della Segreteria per il Bilancio della Regione del Veneto, contenenti i dati sulle dichiarazioni fiscali 2011 (anno d’imposta 2010). “Questi Rapporti – spiega l’assessore al bilancio, Roberto Ciambetti – confermano l’impegno della Regione a investire nell’analisi finanziaria e fiscale. Il nostro sistema informativo Saper-fiscaldata, che elabora le dichiarazioni e consente il governo delle politiche fiscali regionali, è operativo da più di un decennio e, per la sua unicità nel panorama nazionale, costituisce un vero motivo d’orgoglio per la nostra Amministrazione. Inoltre, la diffusione dei dati fiscali consente, secondo quanto prevede lo Statuto del Veneto, di rendere l’Amministrazione sempre più trasparente, garantendo un’informazione tempestiva e completa nei confronti dei cittadini, delle imprese e delle altre istituzioni”. L’irpef - Dalle elaborazioni effettuate con riferimento alle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche residenti nel Veneto, il primo dato rilevante è costituito dal numero di dichiaranti censiti: sono stati 3.571.622 i soggetti che hanno presentato una dichiarazione dei redditi nel corso del 2011, con riferimento all’anno d’imposta 2010. Si tratta di un dato che testimonia, se comparato con la popolazione residente nella nostra regione (circa 4,9 milioni di persone in quello stesso anno), un elevato livello di partecipazione della popolazione residente alla creazione del reddito (pari al 72,3%). Facendo riferimento ai dati pubblicati dal Dipartimento delle finanze per l’Italia nel suo complesso, possiamo rilevare come il tasso di partecipazione del Veneto sia sensibilmente superiore a quello riscontrabile in Italia, dove il rapporto fra il numero delle dichiarazioni presentate dalle persone fisiche e i residenti si attesta al 68,4%. La ripartizione delle dichiarazioni per tipologia di modello rileva la prevalenza nell’utilizzo del modello 730. Le persone fisiche che hanno fatto uso di questo modello sono state infatti 1.670.853 (pari al 46,8% del totale), mentre la quota dei contribuenti che ha usato i modelli Unico Pf e 770 si è attestata rispettivamente sul 25,8% e 27,4%. Dal punto di vista economico appare elevato il numero dei contribuenti, ben 980.028, che hanno dichiarato i propri redditi esclusivamente per mezzo dei Cud (da noi censiti attraverso il modello 770). Questi contribuenti costituiscono infatti un insieme particolare poiché non possiedono altri redditi oltre a quelli da lavoro dipendente o redditi assimilati. Solo una parte dei dichiaranti totali, ed esattamente 3.504.343, hanno un reddito complessivo positivo. In altri termini, sono circa 67.000 i contribuenti (pari all’1,9% dei dichiaranti complessivi) che presentano un reddito complessivo ai fini Irpef pari a zero o negativo. Il reddito complessivo dichiarato dai contribuenti Irpef del Veneto è pari a 70,6 miliardi di euro, circa il 49% del prodotto interno lordo regionale. Il reddito complessivo mediamente dichiarato dai contribuenti veneti con un reddito positivo ammonta a 20.153 euro. Il reddito imponibile a fini Irpef dichiarato ammonta a 67,6 miliardi di euro. Il reddito imponibile mediamente dichiarato dai contribuenti veneti con un reddito positivo ammonta a 19.518 euro. La composizione del reddito imponibile per sesso del contribuente evidenzia l’elevato peso della componente femminile fra i contribuenti persone fisiche. Il numero complessivo delle donne dichiaranti è infatti pari a 1.688.002 e rappresenta il 47,3% del totale. La presenza delle donne nel sistema produttivo si conferma quindi più bassa di quella degli uomini, ma appare elevata rispetto alla diffusa opinione che ritiene marginale il ruolo della donna nel mercato del lavoro. Nonostante l’elevata partecipazione delle donne al sistema economico, il reddito che esse producono nel complesso, in termini di imponibile erariale dichiarato, è inferiore a quello prodotto dagli uomini. Circa i due terzi del reddito imponibile Irpef è infatti imputabile a contribuenti di sesso maschile (63,8%), mentre il restante 36,2% è imputabile a dichiarazioni effettuate da donne. I motivi di tale differenziale vanno ricercati nel diverso valore medio dell’imponibile dichiarato dai due sessi: per le donne l’imponibile medio è di 14.951 euro, mentre quello dei maschi arriva a 23.612 euro. Per quanto riguarda le classi d’età, le più importanti sono quelle dei dichiaranti fra i 35 e i 39 anni e tra i 40 e i 44 anni. Queste fasce d’età esprimono il maggior numero di contribuenti, rispettivamente 361.204 e 373.795, pari al 22% del totale, e una quota di reddito imponibile Irpef pari complessivamente al 21,9%. L’elevata presenza nella platea dei contribuenti dei 35-45enni dipende sia da fattori demografici, che dall’elevato grado di partecipazione al lavoro di questi soggetti. In effetti, il loro tasso di partecipazione, misurato come rapporto fra il numero dei dichiaranti e il numero di residenti nella stessa classe, si attesta su un valore prossimo al 90%, il più alto fra tutte le classi della popolazione in età lavorativa. La maggiore concentrazione di reddito imponibile si rileva, invece, nelle due fasce relative ai quarantenni, con il 23,4% del reddito imponibile Irpef regionale a fronte di una percentuale di dichiaranti del 20,4%. L’imponibile medio cresce costantemente con l’età fino a raggiungere il massimo in corrispondenza della classe compresa tra i 55 e i 59 anni, per poi diminuire progressivamente. Il reddito imponibile erariale medio dei giovani con un’età compresa tra 20 e 29 anni è pari a circa 12.700 euro, quello dei trentenni 19.100 euro, quello dei contribuenti appartenenti alla classe fra i 40 e i 49 anni raggiunge i 22.600 euro. I cinquantenni godono del reddito imponibile medio superiore in assoluto, pari a 25.400 euro. Per quanto riguarda la distribuzione del reddito per provincia di domicilio fiscale del contribuente, fatta eccezione per le province di Belluno e Rovigo, in cui complessivamente hanno domicilio fiscale il 10% dei dichiaranti veneti, nelle restanti cinque province la distribuzione risulta pressoché omogenea, con consistenza più elevata per Verona (18,7%). La distribuzione provinciale del reddito imponibile presenta una struttura pressoché analoga a quella dei dichiaranti. La provincia che detiene la maggiore quota di imponibile regionale è Padova (19,3%), seguita da Verona (18,6%) e Treviso (17,8%). L’analisi sul reddito imponibile medio delle province evidenzia una sostanziale omogeneità dei redditi medi percepiti nel territorio. Il differenziale di ricchezza tra la provincia più “ricca” (Padova, con un reddito imponibile medio di 20.551 euro) e la provincia più “povera” (Rovigo, con un reddito imponibile medio di 16.915 euro) è pari al 21%. La maggiore concentrazione di contribuenti veneti per classi di reddito complessivo si riscontra nella fascia di reddito che va dai 5.000 ai 20.000 euro (si tratta del 50% dei dichiaranti veneti). Il valore più elevato è raggiunto in corrispondenza della fascia di reddito fra i 17.501 e i 20.000 euro, dove si contano 341.817 dichiaranti. In totale, i redditi da lavoro dipendente e assimilati dichiarati da persone residenti nel Veneto ammontano a 56,4 miliardi di euro, con un’incidenza percentuale sul totale del reddito complessivo dichiarato ai fini Irpef pari a circa l’80%. Ancora più elevata è l’incidenza di questa categoria di contribuenti se misurata in termini numerici. Sono 3.081.958 i contribuenti veneti che hanno dichiarato di avere solo, o anche, redditi da lavoro dipendente o assimilati, una percentuale pari all’88% del totale. La tipologia di reddito che presenta la maggiore entità media è quella dei redditi derivanti da attività professionali e lavoro autonomo (43.533 euro). Alla creazione del reddito complessivo Irpef concorrono in modo non trascurabile i redditi da partecipazione (5,9%) e i redditi da fabbricati (4,6%). Tuttavia, l’importo medio dichiarato di quest’ultima tipologia di redditi è estremamente contenuto (1.784 euro). Dall’imposizione dei redditi delle persone fisiche in Veneto, l’Erario ritrae complessivamente 13 miliardi di euro. L’effetto delle numerose detrazioni d’imposta vigenti vale in termini di minor gettito più di 5 miliardi di euro con una “perdita” di contribuenti effettivi di 574.617 unità; i contribuenti con un’imposta netta positiva sono infatti 2.829.069, il 17% in meno rispetto ai 3.403.686 di contribuenti con un’imposta lorda. La maggiore quota di gettito Irpef deriva dai contribuenti che utilizzano il modello di dichiarazione 730 (48,9%) e il modello Unico Pf (39%), mentre appena il 12,2% del gettito è riconducibile a contribuenti 770. L’imposta netta per contribuente è mediamente pari a 4.628 euro, notevolmente differenziata in relazione ai diversi modelli di dichiarazione utilizzati; il valore medio maggiore è quello relativo all’Irpef netta dichiarata attraverso il modello Unico Pf (7.334 euro), a fronte di un’imposta netta mediamente dichiarata con il modello 730 di 4.322 euro e con il modello 770 di 2.439 euro. L’irap - Nel 2010 il gettito complessivo, desunto dalle dichiarazioni Irap, ammonta a 2.806 milioni di cui 2.181 milioni relativi alla componente privata e 626 milioni a quella pubblica. Sono stati 443.340 i contribuenti del settore privato che hanno presentato dichiarazione Irap con riferimento alla Regione Veneto. La base imponibile Irap è stata pari a 55.577 milioni, e l’imposta dovuta a 2.181 milioni. In media ogni contribuente ha dichiarato 125.359 euro di base imponibile e un’imposta di 4.919 euro. L’aliquota media effettiva risulta del 3,92%, valore di poco superiore all’aliquota ordinaria (3,90%). La tipologia di contribuente più numerosa è rappresentata dalle persone fisiche (52,8% del totale), che tuttavia producono solo l’11,2% della base imponibile. Le persone fisiche sono prevalentemente imprese di piccole dimensioni, con una base imponibile media di 26.590 euro e un’imposta media di 977 euro. Le società di persone dichiarano un ammontare di base imponibile simile a quella delle persone fisiche (12,1%), ma rispetto a queste sono meno numerose, rappresentando il 23,4% dei contribuenti, e hanno una dimensione media più elevata (base imponibile media pari a 64.765 euro ed imposta media di 2.439 euro). Per contro le società di capitali, che rappresentano il 21,1% dei contribuenti, dichiarano il 75,2% della base imponibile complessiva. Queste ultime sono quindi caratterizzate da una rilevante dimensione media: base imponibile e imposta medie sono rispettivamente pari a 446.740 euro e 17.722 euro. Per quanto riguarda i settori di attività, quello agricolo rappresenta il 10,8% dei contribuenti veneti, ma produce solo il 2,7% della base imponibile. Ciò deriva da una ridotta dimensione media delle imprese agricole (base imponibile media pari a 31.016 euro). L’imposta media dichiarata è di 661 euro. Il settore economico più rilevante dal punto di vista dell’apporto al valore della produzione del Veneto è l’industria manifatturiera, che crea il 33,6% della base imponibile Irap privata e rappresenta l’11,6% dei contribuenti. La base imponibile media è relativamente elevata (362.973 euro), mentre l’imposta media risulta di 14.095 euro. Al settore delle costruzioni concorrono il 13,2% dei contribuenti ed il 7,6% della base imponibile; l’imposta media è di 2.833 euro. Un altro settore economico importante ai fini Irap è quello delle attività commerciali, nel quale il 21,5% dei contribuenti totali produce il 16,2% della base imponibile. Il settore delle attività finanziarie e assicurative rappresenta invece l’1,7% dei contribuenti, ma produce il 9,2% della base imponibile, vista l’ampia dimensione media (base imponibile media pari a 679.790 euro). Tale settore fornisce inoltre il 10,9% dell’imposta, anche in conseguenza delle aliquote maggiorate dalla Regione nei confronti di banche, altri enti e società finanziari e imprese di assicurazione. L’imposta media è di 31.616 euro. Le piccole imprese costituiscono la categoria più numerosa del sistema produttivo Veneto. Le attività economiche con un valore della produzione netta inferiore a 500.000 euro rappresentano il 96,3% del totale dei contribuenti, mentre le imprese con un valore della produzione netta inferiore a 50.000 euro sono il 74,2% dei contribuenti. Tuttavia, se sul piano numerico le piccole imprese rappresentano la parte predominante, il loro contributo alla base imponibile regionale è nettamente inferiore: le imprese con valore della produzione inferiore a 500.000 euro dichiarano il 31,9% della base imponibile prodotta nel Veneto. Invece le imprese con un valore della produzione superiore a 500 mila euro, pur rappresentano solo il 3,7% del totale dei contribuenti, producono il 68,1% della base imponibile. Le province più rilevanti in termini di base imponibile Irap sono Verona (17,4%), Vicenza (16,7%), Padova (16,6%), Treviso (16,3%). La quota di base imponibile Irap che fa capo a soggetti con domicilio fiscale nella Provincia di Venezia è pari all’11,9%, mentre quote più ridotte, 3,2% e 2,5%, si riferiscono rispettivamente a Belluno e Rovigo. Per l’anno d’imposta 2010 la legislazione nazionale prevedeva, per i soggetti privati, accanto all’aliquota ordinaria del 3,90% un’aliquota ridotta dell’1,90% per le attività agricole. Inoltre la Regione Veneto applica dal 2003 alcune variazioni di aliquota per determinate categorie di soggetti passivi. La gran parte della base imponibile Irap del Veneto, 49.174 milioni, pari all’88,5% del totale, è assoggettata ad aliquota ordinaria del 3,90%, e rappresenta il 78,2% delle attività. L’aliquota ridotta dell’1,9% dalla legislazione statale interessa il 2,6% della base imponibile e il 7,6% delle attività. Per quanto riguarda invece le manovre fiscali regionali, rileviamo che 698 attività, ovvero lo 0,2%, dichiarano l’aliquota maggiorata del 4,82% per i soggetti finanziari. Esse producono il 7,8% della base imponibile Irap totale, in conseguenza delle loro elevata dimensione media (base imponibile media 6,2 milioni). Le agevolazioni regionali rappresentano invece quote ridotte sia in termini di numero di soggetti (0,2%) che di base imponibile (0,7%). Per maggiori informazoni consultate la pagina dedicata http://www.Regione.veneto.it/web/decentramento-e-federalismo/politiche-fiscali    
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA - DIRETTIVA DELL’UE SUL DIRITTO ALLA TRADUZIONE E ALL’INTERPRETAZIONE  
 
Bruxelles - Il 27 ottobre scade il termine per attuare negli ordinamenti nazionali la prima direttiva dell’Unione europea sui diritti degli indagati nei procedimenti penali. La nuova legge garantisce ai cittadini arrestati o imputati di un reato il diritto di ottenere l’interpretazione nella propria lingua dinanzi a tutti i giudici dell’Unione e in ogni fase del procedimento penale, anche nei contatti con il proprio legale. Proposta dalla Commissione europea nel 2010 (Ip/10/249), la direttiva è stata adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio dei Ministri nel tempo record di appena nove mesi (Ip/10/1305). “Questo può essere un momento storico per la giustizia in Europa: la prima legge mai adottata sui diritti dei cittadini a un processo equo diventerà una realtà concreta – purché gli Stati membri ottemperino ai loro obblighi giuridici”, ha dichiarato la Vicepresidente Viviane Reding, Commissaria europea per la Giustizia. “È la prima a entrare in applicazione di tre direttive proposte dalla Commissione per garantire il diritto a un processo equo ai cittadini, ovunque si trovino nell’Ue, in patria o all’estero. La Commissione mantiene così la sua promessa di rafforzare i diritti dei cittadini in tutta Europa, e si aspetta che anche gli Stati membri rispettino i loro impegni. Presto riferiremo su come ciascuno avrà fatto il suo dovere, senza vergognarci di fare nomi: dopotutto, questa legge va al cuore dei diritti dei cittadini”.  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: MERCATI DELL´ENERGIA ELETTRICA E GAS NATURALE - LEGITTIME LE RESTRIZIONI ALLA CIRCOLAZIONE DEI CAPITALI (SENTENZA C-105/123 E.A.)  
 
Restrizioni alla libera circolazione dei capitali che interessano imprese operanti sui mercati dell’energia elettrica e del gas naturale possono essere conformi al diritto europeo. Gli obiettivi di mantenere una concorrenza non falsata per tutelare i consumatori e di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti di energia costituiscono motivi imperativi di interesse generale. Ai sensi di talune direttive del 2003, il diritto dell’Unione relativo al mercato interno dell’energia elettrica e del gas naturale mira in particolare a garantire un mercato aperto e trasparente, un accesso non discriminatorio e trasparente alla rete del gestore del sistema di distribuzione nonché condizioni di concorrenza uniformi. Secondo una recente legislazione del Regno dei Paesi Bassi, un investitore privato non può acquisire o detenere azioni o partecipazioni nel capitale di un gestore di sistemi di distribuzione di energia elettrica e di gas attivo sul territorio olandese («divieto di privatizzazione»). Sono inoltre vietati legami di proprietà o di controllo tra, da un lato, le società appartenenti ad un gruppo cui appartiene un gestore siffatto e, dall’altro, le società appartenenti ad un gruppo cui appartiene un’impresa che produce, fornisce o commercializza energia elettrica o gas sul territorio olandese («divieto di gruppo»). Infine, la legge nazionale vieta altresì il compimento da parte di un gestore siffatto e del gruppo cui quest’ultimo appartiene di operazioni o attività che potrebbero pregiudicare l’interesse della gestione della rete interessata. All’atto dell’adozione di tale legislazione, la Essent, la Eneco e la Delta erano imprese integrate verticalmente, attive sia nella produzione, fornitura e/o commercializzazione di energia elettrica e/o gas sul territorio olandese sia nella gestione e utilizzo di sistemi di distribuzione di energia elettrica o di gas sullo stesso territorio. In seguito all’adozione della legislazione nazionale che introduce i divieti di privatizzazione, di gruppo e di attività che potrebbero pregiudicare l’interesse della gestione della rete, la Essent Nv è stata scissa, il 1° luglio 2009, in due società distinte: da un lato, la Enexis Holding Nv (il cui oggetto sociale consiste nella gestione di un sistema di distribuzione di gas e di energia elettrica sul territorio olandese ed il cui intero pacchetto azionario è detenuto da alcune autorità) e, dall’altro, la Essent Nv (il cui oggetto sociale consiste nella produzione, fornitura e commercializzazione dell’energia elettrica e del gas). Quest’ultima società è stata successivamente acquisita dalla controllata di un gruppo tedesco specializzato nel settore dell’energia, la Rwe Ag. La Eneco Holding Nv e la Delta Nv non sono state scisse, ma hanno designato le loro controllate Stedin Netbeheer Bv e Delta Netwerkbedrijf Bv quali gestori rispettivi dei loro sistemi di distribuzione. In tale contesto, la Essent, la Eneco e la Delta hanno adìto i giudici nazionali, sostenendo che la legislazione nazionale era incompatibile con la libera circolazione dei capitali. Lo Hoge Raad der Nederlanden (Corte di cassazione, Regno dei Paesi Bassi), investito in ultima istanza della controversia, ha deciso di interrogare la Corte di giustizia su tale questione. La Corte di giustizia, nella sua sentenza odierna, rileva, innanzitutto, che il divieto di privatizzazione – il quale implica in particolare che nessun investitore privato può acquisire azioni o partecipazioni nel capitale di un gestore del sistema di distribuzione di energia elettrica e di gas attivo sul territorio olandese – rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 345 Tfue, che sancisce il principio di neutralità dei Trattati rispetto al regime di proprietà esistente negli Stati membri e secondo il quale, segnatamente, gli Stati membri possono legittimamente perseguire l’obiettivo che consiste nell’istituire o mantenere un regime di proprietà pubblico per talune imprese. L’articolo 345 Tfue non produce tuttavia l’effetto di sottrarre i regimi di proprietà esistenti negli Stati membri alle norme fondamentali del Trattato Fue tra cui, in particolare quelle di non discriminazione, di libertà di stabilimento e di libertà di circolazione dei capitali. La Corte dichiara pertanto che, alla luce dei suoi effetti, il divieto di privatizzazione costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali. Ciò nonostante, le ragioni sottese alla scelta del sistema di proprietà operata dalla legislazione nazionale costituiscono fattori che possono essere presi in considerazione quali elementi idonei a giustificare restrizioni alla libera circolazione dei capitali. Spetta al giudice del rinvio procedere ad un esame siffatto. Per quanto riguarda i divieti di gruppo e di attività che potrebbero pregiudicare l’interesse della gestione della rete, la Corte dichiara che essi costituiscono del pari restrizioni alla libera circolazione dei capitali, che necessitano di giustificazione. Gli obiettivi che consistono nel contrastare le sovvenzioni incrociate in senso ampio, compreso lo scambio di informazioni strategiche, nel garantire la trasparenza sui mercati dell’energia elettrica e del gas e nel prevenire le distorsioni della concorrenza, richiamati nella domanda del giudice del rinvio, mirano a garantire una concorrenza non falsata sui mercati della produzione, della fornitura e della commercializzazione dell’energia elettrica e del gas. L’obiettivo che consiste nel contrastare le sovvenzioni incrociate intende inoltre garantire un investimento sufficiente nei sistemi di distribuzione di energia elettrica e di gas. Secondo la Corte, le misure nazionali di cui trattasi perseguono in tal modo obiettivi imperativi di interesse generale. Infatti, l’obiettivo di una concorrenza non falsata è perseguito anche dal Trattato Fue, e ciò, in definitiva, per tutelare i consumatori. Inoltre, secondo giurisprudenza costante della Corte, la tutela dei consumatori costituisce un motivo imperativo di interesse generale. La Corte rileva inoltre che l’obiettivo di garantire un investimento sufficiente nei sistemi di distribuzione di energia elettrica e di gas mira ad assicurare, in particolare, la sicurezza degli approvvigionamenti di energia, obiettivo che essa ha parimenti riconosciuto come motivo imperativo d’interesse generale. Infine, i divieti di gruppo e di attività che possono pregiudicare la gestione della rete sono stati introdotti dalla legge olandese che, a sua volta, ha in particolare modificato le disposizioni nazionali adottate per trasporre le direttive del 2003. Sebbene tali divieti non siano imposti da dette direttive, il Regno dei Paesi Bassi, attraverso l’introduzione di tali misure, ha perseguito obiettivi previsti da queste direttive. Pertanto, gli obiettivi invocati dal giudice del rinvio possono, in linea di principio, quali motivi imperativi di interesse generale, giustificare le constatate restrizioni alle libertà fondamentali. La Corte ricorda tuttavia che le restrizioni in parola devono essere idonee a garantire la realizzazione degli obiettivi perseguiti e non possono eccedere quanto necessario per raggiungerli, circostanza che il giudice del rinvio dovrà accertare. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 22 ottobre 2013, sentenza nelle cause riunite C‑105/12, C‑106/12 e C‑107/12, Staat der Nederlanden / Essent Nv, Essent Nederland Bv, Eneco Holding Nv, Delta Nv)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: VOLKSWAGEN: LA LEGGE TEDESCA È CONFORME AL DIRITTO UE (SENTENZA C-95/12)  
 
La Corte di giustizia respinge il ricorso con cui la Commissione ha chiesto di infliggere sanzioni pecuniarie alla Germania a causa della legge Volkswagen. La Germania si è pienamente conformata alla sentenza della Corte del 2007. Il produttore di automobili tedesco Volkswagen è stato trasformato in società per azioni nel 1960 con una legge federale, cd. «legge Volkswagen» . Al momento dell´adozione di detta legge, la Repubblica federale e il Land della Bassa Sassonia, detenendo ciascuno il 20% del capitale, erano i due principali azionisti della Volkswagen. Mentre la Repubblica federale non figura più, attualmente, tra gli azionisti, il Land della Bassa-sassonia conserva ancora una partecipazione del 20%. Inizialmente, la legge Volkswagen ha autorizzato la Repubblica federale e il Land della Bassa-sassonia a designare ciascuno due membri del consiglio di sorveglianza, purché la Repubblica federale e detto Land possedessero azioni della società . Inoltre, limitava i diritti di voto di ciascun azionista al numero di voti conferiti da una partecipazione pari al 20% del capitale sociale . Infine, prevedeva una minoranza di blocco ridotta che consentiva a una minoranza pari, soltanto, al 20% del capitale sociale di opporsi a rilevanti decisioni della società, mentre la legge tedesca sulle società per azioni esige il 25% . La Commissione, ritenendo che tali tre disposizioni della legge Volkswagen fossero incompatibili in particolare con la libera circolazione dei capitali, garantita dal diritto dell´Unione, ha presentato un ricorso per inadempimento contro la Germania dinanzi alla Corte di giustizia nel 2005. La Corte, con sentenza emanata nel 2007 , ha constatato che, mantenendo in vigore la disposizione della legge Volkswagen relativa alla designazione, da parte della Repubblica federale e del Land della Bassa-sassonia, di membri del consiglio di sorveglianza, e la disposizione sul limite massimo ai diritti di voto in combinato disposto con la disposizione sulla minoranza di blocco ridotta, la Germania ha violato la libera circolazione dei capitali. A seguito di tale sentenza, la Germania ha abrogato le prime due disposizioni, ma ha mantenuto quella relativa alla minoranza di blocco ridotta. La Commissione ha ritenuto che dalla sentenza del 2007 discendesse che ciascuna di tali tre disposizioni costituiva una violazione autonoma della libera circolazione dei capitali e che, di conseguenza, anche quella sulla minoranza di blocco ridotta avrebbe dovuto essere abrogata. Di conseguenza, essa ha nuovamente adito la Corte e ha chiesto l’irrogazione di sanzioni pecuniarie alla Germania a motivo dell´incompleta esecuzione della sentenza del 2007. La Commissione ha chiesto che fosse irrogata una penalità giornaliera di Eur 282 725,10, per il ritardo nell’esecuzione della sentenza del 2007, a decorrere dalla pronuncia della sentenza nella presente causa fino all’esecuzione della sentenza del 2007. Essa ha altresì chiesto l’imposizione di una somma forfettaria il cui importo risultasse dalla moltiplicazione di un importo giornaliero di Eur 31 114,72 per il numero di giorni durante i quali l’infrazione si è protratta, compresi tra la pronuncia della sentenza del 2007 e quella della sentenza adottata nella presente causa o la data in cui tale Stato membro ha posto fine all’infrazione. Con l´odierna sentenza, la Corte respinge tale ricorso. Secondo la Corte, emerge sia dal dispositivo della sentenza del 2007 che contiene la decisione della Corte sia dai motivi che la Corte non aveva rilevato un inadempimento nella disposizione relativa alla minoranza di blocco ridotta, considerata isolatamente, ma esclusivamente nel combinato disposto di tale disposizione con quella relativa al limite massimo dei diritti di voto. Pertanto, avendo abrogato, la disposizione della legge Volkswagen relativa alla designazione, da parte della Repubblica federale e del Land della Bassa-sassonia, di membri del consiglio di sorveglianza e la disposizione sul limite massimo ai diritti di voto, ponendo fine in tal modo al combinato disposto con quest´ultima disposizione della minoranza di blocco ridotta, la Germania si è conformata, nei termini prescritti, agli obblighi risultanti dalla sentenza del 2007. La Corte dichiara, inoltre, irricevibile la censura della Commissione secondo cui la Germania avrebbe dovuto modificare anche lo statuto della Volkswagen che conterrebbe ancora una clausola relativa alla minoranza di blocco ridotta, in sostanza, analoga a quella della legge Volkswagen. Infatti, la sentenza del 2007 verteva esclusivamente sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di talune disposizioni della legge Volkswagen e non già sullo statuto di detta società. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 22 ottobre 2013, Sentenza nella causa C-95/12, Commissione / Germania)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: IL CONSUMATORE EUROPEO PUÒ CITARE NEL SUO PAESE IL COMMERCIANTE ESTERO NELLA CONTROVERSIA INSORTA PER GLI ACQUISTI ONLINE SE DAL CONTRATTO PUÒ ESSERE DIMOSTRATO CHE IL VENDITORE RIVOLGE LA PROPRIA ATTIVITÀ VERSO LO STATO IN CUI RISIEDE L’ACQUIRENTE DEI PRODOTTI  
 
Giovanni D´agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” sottolinea l’importanza della sentenza della terza sezione della Corte di Giustizia europea - emessa in data di 17 ottobre nella causa 218/12 e da noi pubblicata in questa rubrica lunedì scorso: è un passo importante per la tutela dei consumatori nelle vendite transfrontaliere da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La corte ha stabilito il principio secondo cui un consumatore può citare in giudizio innanzi ai giudici nazionali il venditore straniero con il quale abbia concluso un contratto se si dimostra che il commerciante ha diretto le proprie attività verso lo Stato di residenza del consumatore, anche qualora il mezzo utilizzato per dirigere in tal senso le proprie attività non sia stato all’origine della conclusione del contratto. In tal senso, quindi, anche il compratore via web, può rivolgersi - a determinate condizioni - ai giudici nazionali. Rilevano i giudici comunitari che è il regolamento 44/2001 che determina la competenza dei giudici in materia civile e commerciale. Il principio fondamentale stabilito nella fonte europea è che i giudici competenti sono quelli dello Stato membro in cui il convenuto ha il domicilio. Ma tale assunto è limitato anche da alcune deroghe per le quali in alcune ipotesi il convenuto può essere citato dinanzi ai giudici di un altro Stato membro. Ed è il caso specifico dei contratti di consumo, per i quali l’acquirente della merce può decidere di agire in giudizio dinanzi al tribunale del luogo del suo domicilio, quando ricorrono due presupposti: da un lato, il commerciante deve esercitare le proprie attività commerciali o professionali nello Stato membro di residenza del consumatore oppure dirigere, con qualsiasi mezzo (ad esempio attraverso Internet), le proprie attività verso tale Stato membro; dall’altro, il contratto deve rientrare nella materia di queste attività. Nella fattispecie la vicenda ha riguardato un consumatore tedesco che aveva citato un’azienda francese vicina al confine che vende auto usate utilizzando anche la rete. I magistrati europei ricordano di aver già individuato un elenco non esaustivo di indizi che possono risultare d’aiuto per il giudice nazionale nella valutazione della sussistenza del requisito essenziale relativo all’attività commerciale diretta verso lo Stato membro di domicilio del consumatore. Sono ricompresi fra questo tipo d’indizi, fra tutti, «l’avvio di contatti a distanza» e «la conclusione a distanza di un contratto stipulato con un consumatore», che sono idonei a dimostrare la riconducibilità del contratto ad un’attività diretta verso lo Stato membro di domicilio del consumatore. Tocca, quindi, al giudice del rinvio effettuare una valutazione complessiva delle circostanze in cui il contratto con il consumatore oggetto del procedimento principale è stato stipulato, per determinare se, sulla base dell’esistenza o dell’assenza di elementi ricompresi, o meno, nell’elenco non esaustivo compilato dai giudici Ue sia applicabile la competenza speciale a favore del consumatore. Info: http://www.sportellodeidiritti.org/    
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA (TRIBUNALE): CORRETTO IL RIGETTO DELLA DENUNCIA CONTRO LE PRATICHE TARIFFARIE DI FRANCE TÉLÉCOM (SENTENZA T-432/10)  
 
Il Tribunale conferma la decisione della Commissione di rigetto di una denuncia relativa alle pratiche tariffarie della France Télécom per talune prestazioni all’ingrosso di telecomunicazioni Infatti, atteso che tali pratiche hanno prodotto unicamente effetti limitati sul funzionamento dei mercati al dettaglio, la Commissione non era tenuta a dar corso ad un’indagine approfondita La Vivendi, società francese, è detentrice della maggioranza del capitale sociale della Sfr, uno dei grandi operatori di telecomunicazioni mobili e fisse in Francia. La France Télécom, divenuta Orange, è l’operatore storico francese di telecomunicazioni, detentore della rete locale. Essa propone agli altri operatori di telecomunicazioni offerte all’ingrosso cui questi possono ricorrere per proporre ai propri clienti offerte al dettaglio utilizzando la rete locale. Nel 2009, la Vivendi e la Iliad, detentrice dell’intero capitale sociale della Free Sas, fornitrice di accesso ad Internet in Francia, hanno presentato una denuncia alla Commissione contestando una serie di violazioni del diritto della concorrenza dell’Unione da parte della France Télécom sul mercato dell’accesso a Internet a banda larga e su quello degli abbonamenti telefonici. A parere delle società denuncianti, la France Télécom richiederebbe un prezzo eccessivamente elevato per la fornitura dei propri servizi all’ingrosso di accesso alla rete locale. Esse affermano che, con tali pratiche, la France Télécom perseguirebbe l’obiettivo di aumentare i costi imposti ai concorrenti sui mercati al dettaglio e di estrometterli dal mercato medesimo. Nel luglio del 2012, la Commissione ha adottato una decisione con cui ha respinto la denuncia per assenza di interesse dell’Unione europea ad avviare un’indagine sulle pretese infrazioni. A parere della Commissione, lo svolgimento di un’indagine sarebbe risultato sproporzionato in termini di durata e di risorse richieste, tenuto conto, da un lato, della limitata incidenza che le pratiche potevano produrre sul funzionamento del mercato interno, nonché, dall’altro, della limitata possibilità di fornire la prova di una violazione alle norme in materia di concorrenza. Avverso la decisione della Commissione la Vivendi ha proposto ricorso di annullamento. Con la propria sentenza il Tribunale rileva, anzitutto, che l’integrazione della Wanadoo Interactive, ex controllata della France Télécom attiva per le attività al dettaglio, in seno alla società madre, era stata strettamente sorvegliata dalla Commissione e dalle autorità francesi. Orbene, queste non hanno rilevato alcun elemento di prova da cui emergesse che la France Télécom avrebbe posto in essere pratiche anticoncorrenziali a danno dei propri concorrenti. A tal riguardo, il Tribunale ricorda che, nell’esame del rispetto delle norme in materia di concorrenza, la Commissione può tener conto delle risultanze dei controlli e della vigilanza effettuati dalle autorità nazionali nonché delle attività di regolamentazione da queste esercitate. In tal senso, la Commissione ha potuto far propria la conclusione dell’Arcep secondo cui il metodo più adeguato ai fini del calcolo dei costi relativi all’utilizzazione della rete locale era quello dei «costi economici correnti». Tale metodo si fondava principalmente sulla considerazione degli investimenti storici reali effettuati dalla France Télécom sull’infrastruttura di telecomunicazioni a favore degli operatori alternativi, quali la Vivendi. Parimenti, la Commissione non ha violato i limiti del proprio potere discrezionale laddove ha ritenuto, in conclusione, che non esistessero prove che la comunicazione di informazioni erronee riguardanti tali investimenti della France Télécom avesse indotto l’Arcep in errore nella scelta del metodo di contabilizzazione dei costi della rete locale. Il Tribunale respinge parimenti l’affermazione della Vivendi secondo cui la Commissione non avrebbe sufficientemente esaminato gli effetti prodotti dalle pratiche contestate della France Télécom sui mercati al dettaglio. Inoltre, correttamente la Commissione ha affermato che il carattere abusivo delle pratiche tariffarie di un’impresa dominante, quale la France Télécom sul mercato all’ingrosso dei servizi di telecomunicazioni, dev’essere accertato con riferimento alla sua propria situazione e, pertanto, con riferimento alle sue tariffe e ai suoi costi, e non alla luce della situazione dei suoi concorrenti. Ciò premesso, il Tribunale afferma, in conclusione, che correttamente la Commissione ha potuto dichiarare, nell’ambito dell’esame della denuncia, che la possibilità di fornire prove di un’eventuale infrazione da parte della France Télécom risultava molto limitata. Orbene, tale rilievo è di per sé sufficiente per concludere che non sussiste un interesse dell’Unione all’avvio di un’indagine e giustifica il rigetto della denuncia. Conseguentemente, il Tribunale respinge il ricorso della Vivendi. Info: Tribunale dell’Unione europea, Lussemburgo 16 ottobre 2013, sentenza nella causa T-432/10, Vivendi/commissione  
   
   
SICUREZZA E PRIVACY. PER LA CORTE DI GIUSTIZIA UE GLI STATI EUROPEI POSSONO LEGITTIMAMENTE INSERIRE LE IMPRONTE DIGITALI NEL PASSAPORTO. MA NON È POSSIBILE LA SCHEDATURA E UNA DATABASE DEI DATI BIOMETRICI  
 
Lunedì scorso avevamo pubblicato la sentenza del 17 ottobre relativa alla causa C-291/12 con cui la quarta sezione della Corte di Giustizia Europea ha ritenuto legittimo che uno Stato membro possa inserire nel passaporto le impronte digitali del titolare. Il rilevamento e la conservazione nel passaporto delle impronte digitali lede i diritti al rispetto della vita privata e alla tutela dei dati personali, ma tali procedure sono giustificate dalla necessità di impedire qualsiasi uso fraudolento dei documenti. Sulla scorta del regolamento 2252/2004, i magistrati comunitari hanno ricordato che tale norma stabilisce che i passaporti presentino un supporto di memorizzazione altamente protetto che contiene, accanto all’immagine del volto, due impronte digitali, che possono essere utilizzate al solo scopo di verificare l’autenticità del passaporto e l’identità del suo titolare. Peraltro, per evitare qualsiasi forma di schedatura, i dati biometrici possono essere conservati soltanto all’interno del passaporto, il quale risulta rimanere nell’esclusivo possesso del suo titolare. In via definitiva, il regolamento non stabilisce nessun’altra forma né strumento per conservare le impronte e, dunque, la norma non può essere interpretato come idoneo a fornire, in quanto tale, il fondamento giuridico ad una eventuale centralizzazione dei dati raccolti in una unico database oppure all’impiego di questi ultimi a fini diversi da quello di impedire l’ingresso illegale di persone nel territorio Ue. Ora pubblichiamo un chiarimento importante di Giovanni D´agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, che chiarisce come gli stati membri non possano utilizzare la raccolta delle impronte al fine di schedare i propri cittadini o per altri usi non stabiliti dalla normativa  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: ASSICURAZIONE R.C. AUTO - RISARCIMENTO DANNO MORALE, NON INFERIORE ALLA COPERTURA MINIMA PREVISTA DAL DIRITTO UE (SENTENZA C-22/12 E A.)  
 
Se il diritto nazionale consente ai familiari della vittima di un incidente stradale di chiedere un risarcimento per il danno morale, questo dev’essere coperto dall’assicurazione obbligatoria r.C.a. In tal caso, la copertura minima prevista dal diritto dell’Unione per i danni alla persona si applica anche al danno morale. La prima direttiva dell’Unione in materia di assicurazione obbligatoria per gli autoveicoli impone agli Stati membri di provvedere affinché i veicoli che stazionano abitualmente nel loro territorio siano coperti da un’assicurazione. Anche se gli Stati membri sono liberi di determinare i danni coperti da tale assicurazione e le modalità della stessa, la seconda direttiva sull’argomento prevede che l’assicurazione copra obbligatoriamente i danni alle persone, per un importo minimo di copertura pari a Eur 1 000 000 per vittima o a Eur 5 000 000 per sinistro, indipendentemente dal numero delle vittime. Inoltre, essa deve coprire anche i danni alle cose per un importo minimo di 1 000 000 Eur per sinistro, indipendentemente dal numero delle vittime. --- Causa C-22/12 A causa di un incidente stradale provocato dal sig. Petrik, che guidava un’automobile da turismo appartenente alla sig.Ra Holingová, il passeggero, sig. Haas, è deceduto il 7 agosto 2008 in territorio ceco. L’automobile della sig.Ra Holingová, immatricolata nella Repubblica slovacca, si è scontrata con un automezzo pesante immatricolato nella Repubblica ceca. Il sig. Petrík, riconosciuto responsabile di tale incidente, è stato condannato a risarcire il danno subito dalla sig.Ra Haasová, moglie della vittima. Tuttavia, la sig.Ra Haasová e sua figlia rivendicano altresì, presso la compagnia assicuratrice della sig.Ra Holingová, il risarcimento del danno morale risultante dalla perdita del rispettivo coniuge e padre. Il giudice investito della controversia spiega che il diritto civile ceco, a suo parere applicabile alla fattispecie, consente alla persona fisica di chiedere un risarcimento per il danno morale risultante da una lesione dell’integrità personale. Tuttavia, poiché la copertura garantita dall’assicurazione obbligatoria per gli autoveicoli non si estende, secondo la normativa slovacca sull’assicurazione obbligatoria, al danno morale, la compagnia assicuratrice della sig.Ra Holingová rifiuta un risarcimento siffatto. Il Krajský súd v Prešove (giudice regionale di Prešov, Repubblica slovacca), chiede alla Corte di giustizia se l’assicurazione obbligatoria per gli autoveicoli debba garantire il risarcimento dei danni immateriali sofferti dai congiunti delle vittime, decedute, di un incidente stradale. Nella sua sentenza odierna la Corte ricorda, anzitutto, che l’obbligo di copertura, mediante assicurazione della responsabilità civile, dei danni causati dagli autoveicoli si distingue dalla questione dell’entità del risarcimento degli stessi a titolo di responsabilità civile dell’assicurato. Infatti, mentre il primo è definito e garantito dalla normativa dell’Unione, la seconda è sostanzialmente disciplinata dal diritto nazionale. Di conseguenza, gli Stati membri restano in linea di principio liberi di determinare, nell’ambito dei loro rispettivi regimi di responsabilità civile, quali danni causati dai veicoli devono essere risarciti, l’entità del risarcimento e le persone aventi diritto. Tuttavia, la Corte sottolinea che al fine di ridurre le disparità tra le legislazioni degli Stati membri circa la portata dell’obbligo di assicurazione, l’Unione ha imposto la copertura obbligatoria dei danni alle cose e dei danni alle persone, a concorrenza di importi stabiliti nella seconda direttiva. Gli Stati membri sono quindi tenuti a determinare i danni coperti e le modalità dell’assicurazione obbligatoria per gli autoveicoli tenendo conto delle norme del diritto dell’Unione. La Corte precisa, successivamente, che i danni alla persona, la cui copertura è obbligatoria in forza della seconda direttiva, comprendono ogni danno arrecato all’integrità della persona, incluse le sofferenze sia fisiche sia psicologiche. Di conseguenza, tra i danni che devono essere risarciti conformemente al diritto dell’Unione figurano i danni immateriali il cui risarcimento è previsto a titolo della responsabilità civile dell’assicurato dalla normativa nazionale applicabile alla controversia. La Corte rileva infine che la tutela garantita dalla prima direttiva è estesa a chiunque abbia diritto, in base alla normativa nazionale sulla responsabilità civile, al risarcimento del danno causato da autoveicoli. Poichè la normativa ceca, secondo le indicazioni fornite dal giudice slovacco, riconosce alla sig.Ra Haasová e a sua figlia il diritto al risarcimento del danno immateriale subito a causa del decesso del loro rispettivo coniuge e padre, esse dovrebbero poter beneficiare della tutela garantita da tale direttiva. --- Causa C-277/12 In Lettonia, la compagnia assicuratrice del responsabile dell’incidente stradale può essere chiamata a risarcire il danno morale per dolori e patimenti psicologici conseguenti al decesso di una persona da cui si dipende economicamente, di una persona a carico o del coniuge. Tuttavia, l’ammontare di tale risarcimento è limitato a Lvl 100 (circa Eur 142) per ciascun richiedente e per persona deceduta. Il 14 febbraio 2006 i genitori del sig. Drozdovs sono deceduti in un incidente stradale avvenuto a Riga (Lettonia). Il sig. Drozdovs, che aveva dieci anni di età, è stato posto sotto la tutela di sua nonna. Successivamente la tutrice ha invitato la compagnia assicuratrice del responsabile dell’incidente a corrispondere un indennizzo di importo pari a Lvl 200 000 (circa Eur 284 820) per il danno morale subito dal sig. Drozdovs a causa della perdita dei genitori. L’augstākās tiesas Senāts (Senato della Corte suprema, Lettonia), investito della controversia tra il sig. Drozdovs e la compagnia assicuratrice, ha, da un lato, sottoposto alla Corte la stessa questione sollevata dal giudice slovacco nella causa Haasová e, dall’altro, ha chiesto se la limitazione dell’importo massimo del risarcimento del danno morale subito a causa di un incidente stradale, stabilita dal diritto lettone, sia compatibile con il diritto dell’Unione. Come nell’odierna sentenza nella causa Haasová, la Corte rileva che se la normativa nazionale consente ai familiari della vittime di un incidente stradale di chiedere un indennizzo per il danno morale subito, quest’ultimo dev’essere coperto dall’assicurazione obbligatoria per gli autoveicoli. Orbene, poiché la normativa lettone, secondo le indicazioni del giudice del rinvio, riconosce al sig. Drozdovs il diritto al risarcimento del danno immateriale subito a causa del decesso dei suoi genitori, egli dovrebbe poter beneficiare della tutela accordata dalla prima direttiva. La Corte constata altresì che, se uno Stato membro riconosce il diritto a una compensazione per il danno morale subito, esso non può prevedere per questa specifica categoria di danni, rientranti tra i danni alla persona ai sensi della seconda direttiva, massimali di garanzia inferiori agli importi minimi di garanzia fissati in tale direttiva. Infatti, la direttiva non prevede né autorizza una distinzione, tra i danni coperti, oltre a quella stabilita tra danni alle persone e danni alle cose. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 24 ottobre 2013, sentenze nelle cause C-22/12 e C-277/12, Katarína Haasová / Rastislav Petrík e Blanka Holingová e Vitālijs Drozdovs / Baltikums Aas)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: INTESA ASCENSORI - CONFERMATE LE AMMENDE ALLE SOCIETÀ TEDESCA E FINLANDESE DEL GRUPPO KONE (SENTENZA C-510/11) LA CORTE MANTIENE LE AMMENDE INFLITTE AL GRUPPO KONE PER LA SUA PARTECIPAZIONE ALL’INTESA SUL MERCATO DEGLI ASCENSORI E DELLE SCALE MOBILI  
 
La Kone Oyj è un’impresa stabilita in Finlandia attiva nella produzione, vendita, installazione e ammodernamento di ascensori, scale mobili e porte automatiche. Tale impresa esercita le sue attività tramite controllate nazionali, quali la Kone Gmbh in Germania e la Kone Bv nei Paesi Bassi. Nel 2003, la Commissione europea ha ricevuto informazioni relative alla possibile esistenza di un’intesa tra i principali produttori europei di ascensori e scale mobili che esercitano attività commerciali nell’Unione europea. All’inizio del 2004, la Commissione ha effettuato accertamenti presso i locali di dette imprese in Belgio, in Germania, in Lussemburgo e nei Paesi Bassi. Il gruppo Kone ha proposto una domanda di immunità, in forza della comunicazione sul trattamento favorevole del 2002, in cambio di informazioni relative all’intesa in Belgio, che veniva successivamente integrata, con informazioni concernenti la Germania e i Paesi Bassi. Nel 2007, la Commissione ha adottato una decisione in cui ha dichiarato che le imprese interessate avevano preso parte a quattro violazioni delle regole in materia di concorrenza in quattro Stati membri, ripartendosi i mercati attraverso accordi o concertazioni per l’attribuzione di appalti e di contratti relativi alla vendita, all’installazione, alla manutenzione e all’ammodernamento di ascensori e scale mobili. Il gruppo Kone, grazie alla sua cooperazione, ha ottenuto un’immunità dalle ammende relativamente alle infrazioni commesse in Belgio e in Lussemburgo. Per contro, la società controllante finlandese Kone Oyj è stata condannata a pagare Eur 62,37 milioni in solido con la sua controllata tedesca Kone Gmbh e Eur 79,75 milioni con la sua controllata olandese Kone Bv per le infrazioni commesse rispettivamente in Germania e nei Paesi Bassi. Le imprese del gruppo Kone hanno proposto un ricorso dinanzi al Tribunale al fine di ottenere l’annullamento della decisione della Commissione o, in subordine, la riduzione delle loro ammende. Con sentenza del 2011, il Tribunale ha respinto tutti gli argomenti invocati dal gruppo Kone e, di conseguenza, ha mantenuto le ammende inflitte. Le società del gruppo Kone hanno allora adito la Corte di giustizia al fine di ottenere l’annullamento della sentenza del Tribunale. Con la sentenza odierna, la Corte respinge l’impugnazione proposta dalle società del gruppo Kone e mantiene le ammende. La Corte constata che il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto nell’interpretazione della comunicazione sul trattamento favorevole del 2002 e che il controllo giurisdizionale da esso esercitato risponde alle esigenze di un equo processo. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 24 ottobre 2013, sentenza nella causa C-510/11 P, Kone e a. / Commissione)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: RISANAMENT​O BANCHE - EFFETTI ANCHE RETROATTIV​I DELLA MORATORIA DECISA DALLO STATO DELLA BANCA SU SEQUESTRI CONSERVATI​VI IN ALTRI STATI MEMBRI (SENTENZA C-85/12)  
 
La moratoria sui pagamenti concessa alla banca Lbi dalle autorità islandesi produce in Francia gli effetti che le attribuisce la normativa islandese La direttiva in materia di risanamento e liquidazione degli enti creditizi non impedisce che gli effetti della moratoria si estendano retroattivamente a sequestri conservativi in Francia La direttiva in materia di risanamento e liquidazione degli enti creditizi dispone che, in caso di fallimento di un ente creditizio avente succursali in altri Stati membri, i provvedimenti di risanamento e la procedura di liquidazione confluiscano in un unico procedimento di insolvenza nello Stato membro in cui l’ente ha la propria sede sociale (denominato Stato d’origine). Pertanto, in linea di principio, provvedimenti del genere sono soggetti a un’unica normativa fallimentare e sono applicati secondo la legge dello Stato d’origine, producendo i loro effetti ai sensi di tale legge in tutta l’Unione, senza ulteriori formalità. A questo scopo, gli Stati aderenti all’accordo sullo Spazio economico europeo, come l’Islanda, sono assimilati agli Stati membri dell’Unione europea. Nell’ambito del crollo del sistema finanziario in Islanda a seguito della crisi finanziaria internazionale del 2008, il legislatore islandese ha adottato una serie di provvedimenti di risanamento di vari istituti finanziari stabiliti in tale paese. In particolare, una legge del 13 novembre 2008, da un lato, ha vietato le azioni giudiziarie contro gli istituti finanziari soggetti a moratoria sui pagamenti e, dall’altro, ha ordinato la sospensione delle azioni giudiziarie pendenti. Con legge del 15 aprile 2009, il legislatore islandese ha adottato, nei confronti degli istituti finanziari soggetti a moratoria, disposizioni transitorie volte ad applicare alla loro situazione un regime speciale di liquidazione, senza che detti istituti fossero effettivamente posti in liquidazione prima della scadenza della moratoria. La Lbi hf (già Landsbanki Islands hf) è un ente creditizio islandese al quale il Tribunale distrettuale di Reykjavik aveva concesso una moratoria sui pagamenti in data 5 dicembre 2008. Poco tempo prima, il 10 novembre 2008, la Lbi era stata oggetto di due sequestri conservativi compiuti in Francia su domanda di un creditore residente in tale Stato membro. La Lbi si è opposta a tali sequestri dinanzi ai tribunali francesi, sostenendo che la direttiva rendeva i provvedimenti di risanamento adottati in Islanda direttamente opponibili al suo creditore francese. Peraltro, il Tribunale distrettuale di Reykjavik ha disposto, il 22 novembre 2010, l’avvio di una procedura di liquidazione nei confronti della Lbi. In tale contesto, la Cour de cassation (Francia), giudice di ultima istanza di questa controversia, ha domandato alla Corte di giustizia se anche i provvedimenti di risanamento o di liquidazione risultanti dalle disposizioni transitorie della legge del 15 aprile 2009 siano coperti dalla direttiva, la quale mira al reciproco riconoscimento dei provvedimenti di risanamento e delle procedure di liquidazione adottati dalle autorità amministrative e giudiziarie. Inoltre, il giudice francese vuole sapere se la direttiva osti all’applicazione retroattiva degli effetti di una moratoria a provvedimenti conservativi adottati in un altro Stato membro prima dell’emanazione della moratoria medesima. Nella sua odierna sentenza, la Corte ricorda, anzitutto, che le autorità amministrative e giudiziarie dello Stato membro d’origine sono le sole competenti a decidere sull’applicazione di provvedimenti di risanamento ad un ente creditizio nonché sull’apertura di una procedura di liquidazione nei suoi confronti. Pertanto, solo i provvedimenti adottati da dette autorità sono oggetto, ai sensi della direttiva, di riconoscimento negli altri Stati membri, con gli effetti ad essi conferiti dalla legge dello Stato membro d’origine. Per contro, la normativa dello Stato membro d’origine in materia di risanamento e liquidazione degli enti creditizi può, in linea di principio, produrre effetti negli altri Stati membri solo attraverso provvedimenti concreti presi dalle autorità amministrative e giudiziarie del suddetto Stato membro nei confronti di un ente creditizio. Per quanto riguarda le disposizioni transitorie della legge del 15 aprile 2009, la Corte precisa che, adottando tali norme, il legislatore islandese non ha ordinato la liquidazione, in quanto tale, degli enti creditizi soggetti a moratoria, ma ha attribuito determinati effetti, connessi a una procedura di liquidazione, a moratorie vigenti ad una data precisa. Parimenti, risulta da tali disposizioni transitorie che, in mancanza di una decisione giudiziaria che abbia concesso o prorogato una moratoria in favore di un ente creditizio prima di tale data, esse non possono produrre effetti. Pertanto, tali disposizioni producono i loro effetti non direttamente, bensì per il tramite di un provvedimento di risanamento emesso da un’autorità giudiziaria nei confronti di un determinato ente creditizio. Ne consegue che la moratoria concessa alla Lbi è idonea a produrre negli Stati membri dell’Unione, ai sensi della direttiva, gli effetti che le attribuisce la normativa islandese. Quanto alla necessità, o meno, che le disposizioni transitorie possano essere oggetto di ricorso per poter produrre i loro effetti negli Stati membri dell’Unione, la Corte rammenta che la direttiva predispone un sistema di reciproco riconoscimento dei provvedimenti nazionali di risanamento e di liquidazione, senza puntare ad armonizzare le normative nazionali in materia. Essa sottolinea che la direttiva non subordina il riconoscimento dei provvedimenti di risanamento e di liquidazione alla condizione di una possibilità di ricorso contro i medesimi. Allo stesso modo, il diritto di uno Stato membro non può subordinare tale riconoscimento ad una condizione siffatta, eventualmente prevista dalla sua normativa nazionale. In merito all’applicazione retroattiva degli effetti di una moratoria a provvedimenti conservativi adottati in un altro Stato membro, la Corte rileva che gli effetti dei provvedimenti di risanamento e delle procedure di liquidazione sono, in linea di principio, disciplinati dalla legge dello Stato membro d’origine. Questa regola generale, tuttavia, non si applica alle «cause pendenti», che sono soggette al diritto dello Stato membro nel quale la causa è pendente. Con riferimento alla portata di tale eccezione, la Corte rileva che i termini «cause pendenti» si riferiscono ai soli procedimenti di merito e che le misure di esecuzione forzata individuali derivanti da tali cause restano soggette alla legge dello Stato membro d’origine. A tale riguardo, la Corte rileva che i provvedimenti conservativi adottati in Francia costituiscono misure di esecuzione forzata individuali e, pertanto, gli effetti su detti provvedimenti conservativi della moratoria concessa alla Lbi in Islanda sono disciplinati dal diritto islandese. La circostanza che i suddetti provvedimenti siano stati adottati prima che la moratoria in questione fosse concessa alla Lbi non può inficiare tale conclusione, poiché il diritto islandese disciplina anche, ai sensi della direttiva, i suoi effetti temporali. Orbene, la direttiva non osta a che un provvedimento di risanamento, quale la moratoria, sia corredato di effetti retroattivi. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 24 ottobre 2013, sentenza nella causa C-85/12, Lbi hf, già Landsbanki Islands hf / Kepler Capital Markets Sa e Frédéric Giraux)