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LUNEDI

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Notiziario Marketpress di Lunedì 23 Luglio 2012
ASSINFORM RINNOVA CONSIGLIO DIRETTIVO E GIUNTA  
 
Assinform, l´associazione aderente al sistema Confindustria che raggruppa le principali imprese di Information Technology (It) operanti in Italia, ha comunicato i nuovi ingressi in Consiglio Direttivo e Giunta. Nel Consiglio Direttivo (l”esecutivo” dell’Associazione), guidato dallo stesso Presidente di Assinform Paolo Angelucci - sono entrati:· Valerio Zappalà, Direttore Generale di Infocamere · Giancarlo Di Bernardo, Head of Sales Segment It di Pride Spa· Antonio Bontempi, Amministratore Delegato di Vitrociset Spain Giunta (il “parlamento” dell’Associazione) sono entrati: · Enrico Botte, Vicepresidente Gruppo Giovani con delega alla Università e Ricerca e consigliere della Sezione Informatica di Confindustria Genova · Clara Covini, Chief Operating Officer di Sap Italia Spa· Roberto Lorini, Direttore Generale Mercati Privati di Exprivia Spa· Luigi Malavisi, Amministratore Delegato di Urmet Sistemi Spa· Mirco Poggi, Country General Manager di Lenovo Italy Srl. Le nomine conseguono all’assemblea, tenutasi in questi giorni, che ha deliberato sul rinnovo degli Organi Sociali per i biennio 2012-2014  
   
   
INTERCETTATO MADI: ATTACCA COMPAGNIE PETROLIFERE, CONSOLATI E AGENZIE GOVERNATIVE  
 
Il team di Symantec Security Response ha pubblicato un report relativo a Madi una minaccia Trojan utilizzata per campagne mirate attiva già da dicembre 2011. Di seguito alcuni elementi emersi dal report: Trojan.madi è in grado di rubare informazioni ed è dotato di funzionalità di keylogging. Symantec Security Response ha rilevato che il Trojan comunica con server di command-and-control situati in Iran e più di recente in Azerbaijan. Il target della campagna d’attacco di Madi sembra coprire un ampio spettro che include compagnie petrolifere, Think Tank Us-based, un consolato straniero e varie agenzie governative tra cui alcune appartenenti al settore energetico. Nonostante Madi stia colpendo soprattutto Paesi nel Medio Oriente, sono stati individuati attacchi anche in altre parti del mondo dagli Stati Uniti alla nuova Zelanda. L’attacco Madi sfrutta tecniche di social engineering per raggiungere il computer obbiettivo dell’attacco. Il fatto che siano stati colpiti Paesi come Iran, Israele e Arabia Saudita potrebbe suggerire un coinvolgimento di uno stato-nazione, ad ogni modo i ricercatori non hanno trovato prove a supporto di questa teoria  
   
   
BSA: MERCATI EMERGENTI PRONTI AD ADOTTARE IL CLOUD, MA ANCHE A “CONDIVIDERLO TROPPO”  
 
Le economie emergenti sono mercati già maturi per i servizi di cloud computing – anche i servizi prepagati – ma troppo spesso gli utenti di quei mercati sono pronti a condividere le credenziali d’accesso, il che apre la strada a potenziali rischi di abuso nelle licenze software, come riporta Business Software Alliance (Bsa) sul proprio blog, www.Bsa.org/techpost . Bsa, in collaborazione con Ipsos Public Affairs, ha infatti realizzato una ricerca per sondare competenze e impieghi che circa 15.000 utenti di 33 nazioni fanno del cloud computing. Ne risulta che, a livello complessivo, il 45% di essi afferma di utilizzare “servizi online che consentono di creare, gestire, archiviare documenti, fogli di calcolo, foto o altri contenuti digitali cui poi accedere da qualsiasi computer tramite login via web”. Tale dato medio, però, in economie emergenti quali Tailandia, Malesia, Argentina e Perù, sale fino al 50%, mentre in economie mature come Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Francia si riduce al 33%. “Stiamo assistendo a un vero balzo in avanti nell’adozione del cloud da parte dei più recenti utilizzatori di computer e tecnologie informatiche in genere”, commenta Robert Holleyman, Presidente e Ceo di Bsa. “Chi vive in un’economia in via di sviluppo e utilizza il computer, probabilmente utilizza anche servizi cloud almeno temporaneamente, per scrivere testi, inviare email, archiviare foto e documenti e così via, anche se talvolta nemmeno sapendo che quei servizi gli sono disponibili in modalità cloud”. Globalmente, l’88% di coloro che si riconoscono come utenti cloud affermano di avvalersi di tali servizi a scopo privato, mentre sono il 33% se ne serve per impieghi professionali. In ambo i casi, le cifre sono leggermente più elevate nelle economie emergenti rispetto a quelle mature. I servizi gratuiti dominano nel campo degli impieghi privati in tutto il mondo, ma il 33% degli utilizzatori del cloud affermano – in percentuali omogenee tra economie emergenti e sviluppate – di pagare per almeno la metà dei servizi di cui si avvale in ambito professionale. “Le economie emergenti sono mercati più ridotti di quelle mature, almeno per ora”, continua Holleyman. “Ma esse appaiono pronte ad adottare il cloud computing, un segnale assai promettente per le prospettive del mercato globale dei servizi cloud”. Tuttavia, la ricerca Bsa svela anche alcuni spunti potenzialmente preoccupanti: infatti, il 42% degli utenti nel mondo che affermano di pagare per i servizi cloud business, ammettono anche di condividere le proprie credenziali di login all’interno dell’organizzazione per cui lavorano. E su questo punto si crea una netta divisione: nei mercati emergenti lo fa il 45% degli utenti, in quelli maturi solo il 30%. “Questo è un dato che deve farci aprire gli occhi”, dice ancora Holleyman. “Certo, non significa necessariamente che il 42% degli utenti business stia piratando i servizi cloud, anche perché esistono licenze che consentono la condivisione degli account e molti servizi non fanno pagare tanto il numero di accessi quanto l’utilizzo di potenzialità di memoria, indipendentemente da come l’utente ha avuto accesso a tali risorse. Eppure vale la pena notare che il 56% di chi paga servizi cloud per il business ritiene che sia sbagliato condividere le credenziali fra colleghi. Dipende dai tipi di contratto, ma in linea di principio è vero che ciò potrebbe effettivamente costituire un abuso delle condizioni di licenza”. “Il fatto che così tante persone condividano le credenziali d’accesso al cloud pur sapendo che è scorretto mette in luce l’eterna natura della pirateria software”, conclude il Presidente di Bsa. “Per questo i governi dovrebbero provvedere chiari sistemi di protezioni ed energici strumenti di enforcement a tutela della proprietà intellettuale anche in ambiente cloud”. Holleyman pubblicherà due post sul blog di Bsa: il primo contiene analisi dei modelli di utilizzo del cloud, delle differenze fra meracti emergenti e maturi, impieghi privati e professionali e sulla popolarità relativa di diverse tipologie di servizi. Il successivo approfondirà il significato della diffusione della condivisione delle credenziali fra utenti business, sottolineando quattro differenti modi attraverso cui la pirateria può verificarsi in un contesto cloud, sia attraverso servizi pubblici che privati. Ulteriori dettagli nei post completi, scaricabili, con i risultati della ricerca, da www.Bsa.org/techpost . Info: Business Software Alliance - www.Bsa.org  - www.Bsa.org/italia  
   
   
ESET NOD32: VADEMECUM PER SCEGLIERE LA PASSWORD A PROVA DI HACKER  
 

La settimana scorsa Yahoo! ha annunciato di essere stato oggetto di un attacco informatico con il furto e la pubblicazione di migliaia di password e username. Contro attacchi di questo tipo l’utente finale non ha la possibilità di difendersi efficacemente, anche se si possono limitare significativamente le intrusioni. Per questo nasce il Vademecum ESET NOD32, che fornisce un elenco puntuale delle 20 cattive e delle 10 buone regole da adottare quando si sceglie una password, per accedere a siti e servizi on-line. L’analisi dei dati sottratti ha infatti dimostrato come gran parte degli account trafugati avessero spesso password facili da indovinare o di uso molto comune (es. “password” o “123456”).  I 20 errori che un utente non deve mai commettere quando sceglie una password 1. Una parte qualsiasi del proprio nome 2. Il nome del proprio account, ovvero il cosiddetto UserID (identificativo utente). Di norma, per creare un account sono necessari due elementi: lo UserID, che molto spesso è rappresentato da un semplice indirizzo di posta elettronica, e una password. Mai usare come password il proprio UserID, devono sempre essere diversi l’uno dall’altra. 3. Qualcosa di meno lungo di 7 caratteri 4. Una parte qualsiasi del nome di un membro della propria famiglia (animali domestici inclusi) o, peggio, quello di un collega 5. Nomi di sistemi operativi 6. Numeri con significati particolari (ad esempio, numeri di telefono e targhe automobilistiche) 7. Nomi di luoghi 8. Cose preferite o più detestate 9. Facili associazioni con cose preferite o detestate: per esempio, “Aragorn” è una password pessima per un fan de “Il Signore degli Anelli” 10. Una qualsiasi parola dalla corretta grammatica, in inglese come nella propria lingua madre, specialmente quelle che con ogni probabilità sono incluse in dizionari di parole d’uso comune. Ad esempio, “il mio nome” è una password non idonea per chi parla italiano 11. Titoli di canzoni, persone famose, personaggi dei cartoni animati. In particolare evitare nomi quali “CharlieBrown”, “Snoopy”, “Kirk”, “Spock”, “McCoy”, “Pippo”, “Topolino” e così via. 12. Nulla di così difficile da ricordare tanto da richiedere di essere scritto da qualche parte 13. Nulla che sia scritto tutto in maiuscole o minuscole 14. Nulla con il primo o ultimo carattere in maiuscolo e con il resto in minuscolo 15. Nulla che sia stato usato come esempio per un testo. Ad esempio, il celebre “Lorem ipsum” 16. Nulla che contenga solo lettere dell’alfabeto 17. Stringhe di caratteri o numeri che abbiano un significato particolare: numeri di telefono, date di nascita e così via 18. Parole di uso comune e popolari come “wizard”, “password”, “oggi”, “AAAAAAA”, “QWERTYUIOP” e così via 19. Anagrammi di un qualsiasi esempio fatto sopra, specialmente se basati su una semplice inversione di caratteri 20. Variazione ovvie come il premettere o il far seguire un numero a uno degli esempi già fatti. Le 10 strategie migliori da seguire per scegliere una password sicura  1. Intervallare due parole. Ad esempio: Professor Putricide = PpRuOtFrEiScSiOdRe 2. Intervallare una parola con numeri. Esempio: Frodo 465 =  F4r6o5do 3. Concatenare due parole, possibilmente usando un simbolo come delimitatore. Esempio: Bilbo Baggins = biLbO^bAGGinS 4. Se consentito, inserire dei caratteri di controllo o simboli che non siano alfanumerici (!@#$%) 5. Usare appositamente degli errori ortografici. Esempio: Luna = lUhnNA 6  Maiuscole e minuscole usate in modo non ortodosso. Esempio: caPitaLiSation 7. Acronimi che hanno un significato personale. Esempio: ICRMPW (I Can’t Remember My Password) 8. Sostituire le lettere con numeri o caratteri equivalenti e le parole intere con abbreviazioni (esempio: “I love you too” = 1LuVu2) 9. Non usare la stessa password in posti diversi 10. Usare una combinazione di tutte le tecniche mostrate sopra

 
   
   
UNIVERSITA.IT: È POSSIBILE TESTARE IL PROPRIO INGLESE  
 
On line Su www.Universita.it , il sito dedicato agli universitari, è on line un test valutativo del proprio inglese, nato con la collaborazione di Kaplan, uno dei player più importanti per quanto riguarda l´insegnamento della lingua inglese all´estero. Trentacinque le domande in totale a risposta multipla con 6 livelli di possibile risultato finale: elementary (elementare), lower intermediate (pre-intermedio), intermediate (intermedio), higher intermediate (alto intermedio), advanced (avanzato) e proficent (esperto). E´ già on line la prima sezione di inglese sul sito dedicato agli studenti di tutta Italia (www.Universita.it ). È semplice, pratico e gratuito il test che verifica il proprio livello di conoscenza ed è composto da due parti: una di Grammar and Vocabulary (grammatica e vocabolario) con 30 domande, l´altra di Reading and comprehension (lettura e comprensione) con 5 domande. Trentacinque i quiz in totale a risposta multipla: in base al numero di risposte corrette che ciascun utente totalizzerà, 6 sono i livelli di conoscenza dell´inglese: elementary (elementare), lower intermediate (pre-intermedio), intermediate (intermedio), higher intermediate (alto intermedio), advanced (avanzato) e proficent (esperto). Ma www.Universita.it, dalla sua alta professionalità e autorevolezza nell´offrire servizi agli universitari, non poteva non creare la sezione del test di inglese con la collaborazione di Kaplan, uno dei player più importanti per quanto riguarda l´insegnamento della lingua inglese all´estero. Kaplan International Colleges infatti è leader di mercato nell´organizzazione di corsi d´inglese all´estero da oltre 40 anni. Offre oltre 40 destinazioni di studio, corsi d´inglese per tutti i livelli, scuole d´inglese accreditate in 8 paesi : Usa, Uk, Irlanda, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Scozia e Malta. La sezione è coerente con la mission di Universita.it sempre attenta alle esigenze degli studenti universitari con una nuova opportunità che si va ad aggiungere a molte altre e con contenuti utili che agevolano e accompagnano lo studente durante tutto il percorso universitario. Si sta arricchendo il portale rivolto ai giovani universitari (www.Universita.it ) e la nuova sezione con il Test di Inglese si va ad aggiungere a molte altre sezioni, come quella dei Master, capace di offrire una visione completa dei master attivati o in via di attivazione in Italia o quella del Test di Ammissione, un´area dove lo studente può esercitarsi gratuitamente alle prove di accesso per i corsi di laurea a numero chiuso e non. Universita.it attualmente registra in media 100mila/150mila visite al mese con un totale di quasi 1milione e mezzo all´anno. Per provare il test di inglese: www.Universita.it/category/test-di-inglese/    
   
   
SOPPRESSO L’ISTITUTO CENTRALE PER I BENI SONORI E AUDIOVISIVI, GIÀ DISCOTECA DI STATO - LE PROTESTE DELL´AIB  
 
Il Decreto legge n. 95/12 (la cosiddetta “spending review”) prevede, fra l’altro, anche la soppressione dell’Istituto centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi. L’istituto, già Discoteca di Stato, sin dal 1928 raccoglie e conserva la documentazione sonora e audiovisiva nazionale che costituisce la memoria storica orale del nostro Paese. Il provvedimento compromette gravemente la tutela della memoria culturale della Nazione. L’associazione Italiana Biblioteche (Aib) esprime totale dissenso, nel merito e nel metodo, e viva preoccupazione per tale provvedimento. L’aib da diversi anni sostiene la necessità di una razionalizzazione del comparto delle biblioteche statali. Abolire un ente come l’Istituto centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi – spiega Stefano Parise, presidente nazionale Aib – non migliora l’efficienza della macchina statale e non contribuisce al risanamento del bilancio dello stato. Serve piuttosto una razionalizzazione vera e la riqualificazione dell’intervento statale per concentrare le risorse sui servizi autenticamente nazionali, individuati sulla base delle competenze fondamentali dello Stato e della rispondenza ai bisogni dell’intera organizzazione bibliotecaria italiana. L’aib chiede al Ministro Ornaghi un incontro urgente per illustrare il progetto per la Biblioteca Nazionale d’Italia, che includa le attuali biblioteche nazionali centrali di Roma e Firenze, l’Istituto Centrale per il Catalogo Unico, l’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi e l’Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario. Alla Biblioteca Nazionale d’Italia dovrebbe essere garantita autonomia, sotto il profilo scientifico e sotto quello finanziario-amministrativo. Un paese senza biblioteche efficienti è un paese senza memoria e senza futuro  
   
   
DIRITTI D´AUTORE: LA COMMISSIONE PUNTA A SNELLIRE LA CONCESSIONE DI LICENZE PER LE OPERE MUSICALI NEL MERCATO UNICO  
 
La Commissione europea ha presentato una serie di proposte per ammodernare le società di gestione collettiva dei diritti d´autore musicali e incentivarne la trasparenza e l´efficienza. Le nuove tecnologie digitali offrono grandi opportunità a autori, consumatori e imprese. Siamo di fronte a un vero e proprio boom della domanda di contenuti culturali accessibili online (canzoni, film, libri, ecc….) e di servizi online. Questa domanda non conosce frontiere né restrizioni nazionali. Le società di gestione collettiva entrano in gioco proprio a tale proposito, specialmente nel settore della musica. Tali società gestiscono collettivamente, per conto di compositori e parolieri, la concessione di licenze per l´utilizzo online dei brani musicali protetti dal diritto d´autore, riscuotono le royalty e le distribuiscono ai compositori e ai parolieri. Tuttavia, alcune società di gestione collettiva faticano ad adattarsi alle esigenze imposte dalla gestione dei diritti per l´utilizzo online delle opere musicali, in particolare in un contesto transfrontaliero. La proposta della Commissione impone il rispetto di standard comuni europei a tutte le società di gestione collettiva che intendano concedere licenze multiterritoriali per il proprio repertorio. In tal modo, per i fornitori di servizi sarà più agevole ottenere le licenze necessarie per la diffusione di opere musicali online in tutta l´Ue e per garantire che i compensi siano riscossi correttamente e distribuiti in modo equo a compositori e parolieri. Più in generale, le società di gestione collettiva, indipendentemente dal settore in cui operano, dovranno rispettare gli standard europei che stabiliscono un miglioramento della gestione e una maggiore trasparenza nello svolgimento delle loro attività. Il cambiamento di alcune pratiche adottate dalle società di gestione collettiva è orami impellente, come dimostrano i recenti casi in cui le royalty incassate per conto dei titolari di diritti sono andate perdute a causa di errate politiche di investimento o di lungaggini nel versamento delle royalty ai titolari di diritti. Michel Barnier, commissario per il Mercato interno e i servizi, ha dichiarato: "È necessario dare vita a un mercato unico digitale europeo che sia al servizio di autori, consumatori e fornitori di servizi. Il miglioramento delle società di gestione collettiva permetterebbe ai fornitori di servizi di proporre nuovi servizi a livello internazionale, a beneficio sia dei consumatori europei che della diversità culturale. Più in generale, le società di gestione collettiva dovrebbero operare in piena trasparenza e garantire che la remunerazione degli autori per il loro lavoro avvenga in tempi più rapidi. Ciò è fondamentale per sostenere gli investimenti nelle attività creative e nell´innovazione, che a loro volta porteranno ad un aumento di crescita e competitività.". --- La proposta ha due obiettivi complementari: promuovere una maggiore trasparenza e migliorare la governance delle società di gestione collettiva, introducendo obblighi di informazione più rigorosi e rafforzando il controllo delle loro attività da parte dei titolari di diritti, in modo da incentivare l´offerta di servizi migliori e più innovativi. Partendo da questa base, incoraggiare e agevolare le concessioni di licenze di diritti d´autore multiterritoriali e multirepertorio per l´impiego di opere musicali online nei paesi Ue/see. I titolari dei diritti potrebbero intervenire direttamente nella gestione dei loro diritti ed essere remunerati più rapidamente. Inoltre, verrebbe sancita dalla legge la loro possibilità di scegliere la società di gestione collettiva più adatta ai loro fini. In questo modo gli interessi dei titolari di diritti sarebbero più tutelati e i consumatori avrebbero accesso a contenuti culturali più ricchi. Le nuove regole cambierebbero il funzionamento delle società di gestione collettiva in Europa: i nuovi requisiti prevedono, ad esempio, una migliore gestione del repertorio e impongono di versare i compensi ai membri più rapidamente, di garantire chiarezza riguardo alle fonti di entrate provenienti dalla gestione dei diritti, di elaborare annualmente una relazione di trasparenza e comunicare informazioni supplementari direttamente ai titolari dei diritti e ai partner commerciali (ad esempio, altre società di gestione collettiva). Gli Stati membri dovrebbero dotarsi di meccanismi per la risoluzione di controversie fra le società di gestione collettiva e i titolari dei diritti. Il miglioramento delle norme e dei processi dovrebbe tradursi in un migliore funzionamento delle società di gestione collettiva e a una maggiore fiducia rispetto alle loro attività. Sarebbe facilitata la concessione di licenze di diritti d´autore multiterritoriali per l´utilizzo su internet (e pertanto internazionale) delle opere musicali, a patto però di dimostrare di avere le capacità tecniche necessarie per svolgere tali attività in modo efficace. Ne deriverebbero vantaggi per gli autori, per i fornitori di servizi e anche per i cittadini. Contesto Le società di gestione collettiva svolgono un ruolo di intermediazione tra i titolari dei diritti e i fornitori di servizi che intendano utilizzare le loro opere, musicali o di altro genere (libri, film). Tali società concedono diritti, incassano le royalty e ridistribuiscono i compensi ai titolari dei diritti - negoziare individualmente le licenze con i singoli autori sarebbe poco pratico e comporterebbe costi di transazione elevati. Nell´ue vi sono oltre 250 società di questo tipo, che gestiscono entrate pari a circa 6 miliardi di euro l´anno. L´uso dei diritti nel settore musicale rappresenta circa l´80% delle entrate riscosse complessivamente dalle società di gestione collettiva. La gestione collettiva dei diritti è importante anche per la concessione di licenze per i fornitori di servizi di musica online (scaricamento, streaming), in particolare per i diritti di compositori o parolieri. In genere, i fornitori di servizi online vogliono coprire molti territori e proporre un vasto repertorio musicale. Spesso sperimentano nuovi modelli commerciali, rendendo molto impegnativo il rilascio di licenze online. Molte società di gestione collettiva non sono preparate ad affrontare queste problematiche, di conseguenza i fornitori di servizi incontrano gravi difficoltà per ottenere delle licenze necessarie a lanciare servizi di musica online in tutta l´Ue. Questa situazione limita il numero di servizi musicali online a disposizione dei consumatori in tutta l´Ue e rallenta la diffusione di servizi innovativi. La direttiva proposta concorre al completamento di un mercato unico per la proprietà intellettuale e rientra nella strategia della Commissione del 2011 sulla proprietà intellettuale: http://ec.Europa.eu/internal_market/copyright/management/index_en.htm  Nel 2011 la Commissione ha inoltre definito quest´azione un importante contributo alla crescita del mercato unico europeo: http://ec.Europa.eu/internal_market/smact/index_it.htm  Per ulteriori informazioni http://ec.Europa.eu/internal_market/copyright/management/index_en.htm    
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: UNA PERSONA AUTORIZZATA UNICAMENTE A REGISTRARE UN NOME DI DOMINIO .EU PER IL TITOLARE DI UN MARCHIO NON È UN «LICENZIATARIO DI DIRITTI PREESISTENTI» INFATTI, TRA I LICENZIATARI CHE POSSONO PROPORRE LA REGISTRAZIONE DI UN MARCHIO COME NOME DI DOMINIO .EU DURANTE IL PERIODO «SUNRISE» NON RIENTRANO LE PERSONE NON AUTORIZZATE A USARE COMMERCIALMENTE TALE MARCHIO IN CONFORMITÀ ALLE SUE FUNZIONI PROPRIE  
 
La registrazione dei nomi di dominio di primo livello .Eu è cominciata il 7 dicembre 2005. Essa viene effettuata secondo il principio «primo arrivato, primo servito» vale a dire che il primo richiedente ha un diritto di precedenza. Tuttavia, per un periodo di quattro mesi, che è stato denominato il periodo «sunrise», solo i titolari di diritti preesistenti e gli organismi ufficiali avevano il diritto di chiedere una registrazione. Peraltro, veniva effettuata un´ulteriore distinzione tra i titolari di diritti preesistenti. Così, i primi due mesi erano riservati ai titolari di marchi nazionali e comunitari nonché di indicazioni geografiche. Anche il loro licenziatari potevano avvalersi di tale trattamento privilegiato. Secondo la normativa applicabile, l´autorità incaricata Eurid effettua la registrazione dei nomi di dominio richiesti da imprese stabilite in uno Stato dell´Unione. La società americana Walsh Optical propone sul suo sito Internet lenti a contatto e altri articoli di occhialeria. Qualche settimana prima dell’inizio del periodo «sunrise» essa ha fatto registrare il marchio Benelux «Lensworld». Essa ha concluso un «contratto di licenza» con la Bureau Gevers, una società belga che effettua consulenze in materia di proprietà intellettuale. In base a tale contratto, la Bureau Gevers doveva effettuare la registrazione di un nome di dominio .Eu a proprio nome ma per conto della Walsh Optical. Il 7 dicembre 2005, il primo giorno del periodo «sunrise», la Bureau Gevers ha quindi depositato il nome di dominio «lensworld.Eu» presso l´Eurid. Il 10 luglio 2006, tale nome di dominio è stato registrato a favore della Bureau Gevers. La società belga Pie Optiek, attiva nel settore della vendita via Internet di lenti a contatto, di occhiali e di altri prodotti per l´ottica, ha parimenti depositato, il 17 gennaio 2006, il nome di dominio «lensworld.Eu» presso l´Eurid. Poco tempo prima, essa aveva anche chiesto la registrazione del marchio Benelux figurativo contenente il segno denominativo «Lensworld». Tuttavia, l´Eurid ha respinto tale domanda, a causa dell´anteriorità della domanda presentata dalla Bureau Gevers. La Pie Optiek sostiene ora che la Bureau Gevers ha agito in maniera speculativa e abusiva. In tale contesto, la Cour d´appel (Corte d´appello) di Bruxelles (Belgio), investita in appello della controversia, chiede alla Corte di giustizia di precisare la nozione di «licenziatario» che ha il diritto di chiedere la registrazione durante la prima parte del periodo «sunrise». Innanzitutto, la Corte constata che il termine «licenziatario» non è definito dal diritto dell´Unione. Essa ricorda che il dominio di primo livello .Eu è stato creato allo scopo di accrescere la visibilità del mercato interno sul mercato virtuale basato su Internet, offrendo un nesso chiaramente identificabile con l´Unione, nonché consentendo alle imprese, alle organizzazioni e alle persone fisiche all’interno dell´Unione di registrarsi in un dominio specifico che renda evidente tale nesso. È in considerazione di tale scopo che devono essere registrati nel dominio di primo livello .Eu i nomi di dominio richiesti da qualsiasi impresa che abbia la propria sede legale, amministrazione centrale o sede di affari principale nel territorio dell’Unione, da qualsiasi organizzazione stabilita nel territorio della medesima (fatta salva la normativa nazionale applicabile), nonché da qualsiasi persona fisica residente nel territorio dell’Unione. Tali imprese, organizzazioni e persone fisiche rappresentano i soggetti legittimati a registrare uno o più nomi di dominio nel dominio .Eu. Quanto ai titolari di diritti preesistenti, solo quelli che abbiano la propria sede legale, amministrazione centrale o sede di affari principale o la loro residenza nel territorio dell’Unione sono legittimati a registrare durante il periodo «sunrise» uno o più nomi di dominio nel dominio .Eu. Parimenti, i licenziatari di diritti preesistenti sono legittimati solo se soddisfano il criterio di presenza nel territorio dell´Unione e dispongono al posto del titolare, perlomeno parzialmente e/o temporaneamente, del diritto preesistente interessato. Contrasterebbe, infatti, con gli obiettivi della normativa interessata consentire ad un titolare di un diritto preesistente che non soddisfa il criterio di presenza nel territorio dell´Unione di ottenere un nome di dominio .Eu, per il tramite di una persona che soddisfa tale criterio di presenza ma non dispone, anche solo parzialmente o temporaneamente, di detto diritto. Inoltre, la Corte considera che un contratto con cui la controparte, denominata «licenziatario», si impegna, dietro corrispettivo, a intraprendere sforzi ragionevoli per depositare una domanda e ottenere una registrazione per un nome di dominio .Eu si avvicina più ad un contratto di servizi che ad un contratto di licenza. Ciò si verifica a maggior ragione se un tale contratto non accorda al licenziatario alcun diritto di usare commercialmente detto marchio. Ne consegue che un contratto del genere non può essere considerato come un contratto di licenza in diritto dei marchi. Pertanto, una controparte che abbia il compito di registrare un nome di dominio .Eu per il titolare del marchio non può essere qualificata come «licenziatario di diritti preesistenti» ai sensi della normativa applicabile. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 19 luglio 2012, Sentenza nella causa C-376/11, Pie Optiek Sprl / Bureau Gevers Sa, European Registry for Internet Domains Asbl)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: INDENNIZZO DELLE VITTIME DI REATO  
 
Nel luglio 2010 il pubblico ministero presso il Tribunale di Firenze ha chiesto il rinvio a giudizio del sig. Giovanardi e a., accusati di aver concorso colposamente a causare il decesso di una persona e lesioni gravissime ad altre. I fatti sono avvenuti nel 2008, nel corso di lavori che gli imputati stavano compiendo, quali dipendenti della Rete Ferroviaria Italiana s.P.a., per la rimozione di alcuni dispositivi di sicurezza degli scambi su di un nodo ferroviario. Sono state anche rinviate a giudizio due persone giuridiche, la Elettri Fer s.R.l. E la Rete Ferroviaria Italiana s.P.a., chiamate a rispondere di un «illecito amministrativo da reato» (articolo 25 septies, commi 2 e 3, d.Lgs. N. 231/2001) per responsabilità «amministrativa» da reato delle persone giuridiche (per conto delle quali agivano, nell’adempimento dei loro compiti funzionali, gli imputati). Ad esse si imputa di non aver adottato modelli di organizzazione più dettagliati. Le vittime hanno chiesto di essere autorizzate a costituirsi parte civile, non solo nei confronti delle persone fisiche, ma anche nei confronti delle due persone giuridiche. Il decreto legislativo n. 231/2001 non detta espresse disposizioni riguardo alla possibilità di effettuare la costituzione di parte civile nei confronti di persone giuridiche chiamate a rispondere della responsabilità «amministrativa» da reato. La giurisprudenza della Corte suprema di cassazione e di merito tende a negarne l’ammissibilità. Il diritto italiano limita in tal modo la possibilità per la vittima di ottenere un pieno risarcimento del danno subito e la costringe a proporre una nuova azione per chiedere il risarcimento al di fuori dell’ambito del processo penale, la quale si svolge in tempi successivi. Il G.i.p. Presso il Tribunale ha chiesto alla Corte di giustizia Ue se il decreto legislativo n. 231/2001, laddove non prevede la possibilità che le persone giuridiche siano chiamate a rispondere, nell’ambito del processo penale, dei danni da esse cagionati alle vittime di un reato, siano compatibili con la direttiva 2004/80 (relativa all’indennizzo delle vittime di reato) e con la decisione quadro 2001/220/Gai (relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale). Il giudice del rinvio si domanda se la vittima deve avere la possibilità di chiedere, nell’ambito del medesimo procedimento penale, il risarcimento dei danni alle persone giuridiche imputate in base all’articolo 25 septies del decreto legislativo n. 231/2001. La Corte di giustizia dichiara innanzitutto irrilevante la direttiva 2004/80: essa è diretta a rendere più agevole per le vittime della criminalità intenzionale violenta l’accesso al risarcimento nelle situazioni transfrontaliere, mentre, nel procedimento principale, le imputazioni riguardano reati commessi colposamente, e in un contesto puramente nazionale. La decisione quadro 2001/220/Gai dispone che ciascuno Stato membro garantisce alla vittima di un reato il diritto di ottenere, entro un ragionevole lasso di tempo, una decisione relativa al risarcimento da parte dell’autore del reato nell’ambito del procedimento penale, eccetto i casi in cui il diritto nazionale preveda altre modalità di risarcimento. La Corte rispetta tale interpretazione. Innanzitutto, la decisione quadro è unicamente volta all’elaborazione, nell’ambito del procedimento penale, di norme minime sulla tutela delle vittime della criminalità. Inoltre, essa non contiene alcuna indicazione in base alla quale il legislatore dell’Unione avrebbe inteso obbligare gli Stati membri a prevedere la responsabilità penale delle persone giuridiche. Infine, dalla formulazione letterale, risulta che la decisione quadro garantisce alla vittima il diritto al risarcimento nell’ambito del procedimento penale per «atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro» e che sono «direttamente» all’origine dei pregiudizi. Orbene, un illecito «amministrativo» da reato è un reato distinto che non presenta un nesso causale diretto con i pregiudizi cagionati dal reato, commesso da una persona fisica, e di cui si chiede il risarcimento. La responsabilità della persona giuridica è qualificata come «amministrativa», «indiretta» e «sussidiaria», e si distingue dalla responsabilità penale della persona fisica, autrice del reato che ha causato direttamente i danni e a cui può essere chiesto il risarcimento nell’ambito del processo penale. Pertanto, le persone offese in conseguenza di un illecito amministrativo da reato commesso da una persona giuridica, non possono essere considerate come le vittime di un reato che hanno il diritto di ottenere che si decida, nell’ambito del processo penale, sul risarcimento da parte di tale persona giuridica. Per questi motivi, la Corte dichiara: L’articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro 2001/220/Gai del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, deve essere interpretato nel senso che non osta a che, nel contesto di un regime di responsabilità delle persone giuridiche come quello in discussione nel procedimento principale, la vittima di un reato non possa chiedere il risarcimento dei danni direttamente causati da tale reato, nell’ambito del processo penale, alla persona giuridica autrice di un illecito amministrativo da reato. (Sentenza nella causa C-79/11, Maurizio Giovanardi )  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: LA CORTE CONFERMA LA VIOLAZIONE DA PARTE DI ALCUNI AGGLOMERATI ITALIANI DELLE NORME COMUNITARIE SULLA RACCOLTA, TRATTAMENTO, SCARICO DELLE ACQUE REFLUE URBANE  
 
La direttiva 91/271 concerne la raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue urbane, nonché il trattamento e lo scarico delle acque reflue originate da alcuni settori industriali. La direttiva ha lo scopo di proteggere l´ambiente dalle ripercussioni negative provocate dagli scarichi di acque reflue. Gli Stati membri dovevano provvedere entro il 31 dicembre 2000 affinché tutti gli agglomerati con un numero di abitanti equivalenti o superiore a 15 000 (aree in cui la popolazione o le attività economiche sono sufficientemente concentrate da rendere possibile la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane verso un impianto di trattamento) fossero provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane. Inoltre gli Stati membri dovevano anche provvedere entro il 31 dicembre 2000 affinché, per tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 15 000 abitanti, le acque reflue urbane fossero sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario (che avviene mediante un processo che in genere comporta un trattamento biologico con sedimentazioni secondarie). La direttiva prevede che la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane devono essere condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali. La progettazione degli impianti deve tenere conto inoltre delle variazioni stagionali di carico e deve lasciare la possibilità di prelevare campioni rappresentativi sia delle acque reflue in arrivo sia dei liquami trattati, prima del loro scarico nelle acque recipienti (12 è il numero minimo annuo dei campioni da raccogliere nel corso dell´anno). La Commissione ha avviato una procedura di infrazione contro l´Italia nel 2009 in quanto vari agglomerati non si erano ancora adeguati agli obblighi sulla raccolta, trattamento e scarico delle acque reflue urbane. La Corte di giustizia si è pronunciata in data odierna e ha dichiarato che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi discendenti dalla direttiva in quanto ha omesso di prendere le disposizioni necessarie: · per garantire che siano provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane i seguenti agglomerati : Acri, Siderno, Bagnara Calabra, Bianco, Castrovillari, Crotone, Santa Maria del Cedro, Lamezia Terme, Mesoraca, Montebello Ionico, Motta San Giovanni, Reggio Calabria, Rende, Rossano, Scalea, Sellia Marina, Soverato, Strongoli (Calabria), Cervignano del Friuli (Friuli-venezia Giulia), Frascati (Lazio), Porto Cesareo, Supersano, Taviano (Puglia), Misterbianco e altri, Aci Catena, Adrano, Catania e altri, Giarre-mascali-riposto e altri, Caltagirone, Aci Castello, Acireale e altri, Belpasso, Gravina di Catania, Tremestieri Etneo, San Giovanni La Punta, Agrigento e periferia, Porto Empedocle, Sciacca, Cefalù, Carini e Asi Palermo, Palermo e frazioni limitrofe, Santa Flavia, Augusta, Priolo Gargallo, Carlentini, Scoglitti, Marsala, Messina 1, Messina e Messina 6 (Sicilia). · per garantire che nei seguenti agglomerati le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte al trattamento: Lanciano-castel Frentano (Abruzzo), Acri, Siderno, Bagnara Calabra, Castrovillari, Crotone, Montebello Ionico, Motta San Giovanni, Reggio Calabria, Rossano (Calabria), Battipaglia, Benevento, Capaccio, Capri, Ischia, Casamicciola Terme, Forio, Massa Lubrense, Napoli Est, Vico Equense (Campania), Trieste-muggia-san Dorligo (Friuli-venezia Giulia), Albenga, Borghetto Santo Spirito, Finale Ligure, Imperia, Santa Margherita Ligure, Quinto, Rapallo, Recco, Riva Ligure (Liguria), Casamassima, Casarano, Porto Cesareo, San Vito dei Normanni, Supersano (Puglia), Misterbianco e altri, Scordia-militello Val di Catania, Palagonia, Aci Catena, Giarre-mascali-riposto e altri, Caltagirone, Aci Castello, Acireale e altri, Belpasso, Gravina di Catania, Tremestieri Etneo, San Giovanni La Punta, Macchitella, Niscemi, Riesi, Agrigento e periferia, Favara, Palma di Montechiaro, Menfi, Porto Empedocle, Ribera, Sciacca, Bagheria, Cefalù, Carini e Asi Palermo, Misilmeri, Monreale, Santa Flavia, Termini Imerese, Trabia, Augusta, Avola, Carlentini, Ragusa, Scicli, Scoglitti, Campobello di Mazara, Castelvetrano 1, Triscina Marinella, Marsala, Mazara del Vallo, Barcellona Pozzo di Gotto, Capo d’Orlando, Furnari, Giardini Naxos, Consortile Letojanni, Pace del Mela, Piraino, Roccalumera, Consortile Sant’agata Militello, Consortile Torregrotta, Gioiosa Marea, Messina 1, Messina 6, Milazzo, Patti e Rometta (Sicilia). · affinché la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane siano condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e affinché la progettazione degli impianti tenga conto delle variazioni stagionali di carico negli agglomerati di: Lanciano-castel Frentano (Abruzzo), Acri, Siderno, Bagnara Calabra, Castrovillari, Crotone, Montebello Ionico, Motta San Giovanni, Reggio Calabria, Rossano (Calabria), Battipaglia, Benevento, Capaccio, Capri, Ischia, Casamicciola Terme, Forio, Massa Lubrense, Napoli Est, Vico Equense (Campania), Trieste-muggia-san Dorligo (Friuli-venezia Giulia), Albenga, Borghetto Santo Spirito, Finale Ligure, Imperia, Santa Margherita Ligure, Quinto, Rapallo, Recco, Riva Ligure (Liguria), Casamassima, Casarano, Porto Cesareo, San Vito dei Normanni, Supersano (Puglia), Misterbianco e altri, Scordia-militello Val di Catania, Palagonia, Aci Catena, Giarre-mascali-riposto e altri, Caltagirone, Aci Castello, Acireale e altri, Belpasso, Gravina di Catania, Tremestieri Etneo, San Giovanni La Punta, Macchitella, Niscemi, Riesi, Agrigento e periferia, Favara, Palma di Montechiaro, Menfi, Porto Empedocle, Ribera, Sciacca, Bagheria, Cefalù, Carini e Asi Palermo, Misilmeri, Monreale, Santa Flavia, Termini Imerese, Trabia, Augusta, Avola, Carlentini, Ragusa, Scicli, Scoglitti, Campobello di Mazara, Castelvetrano 1, Triscina Marinella, Marsala, Mazara del Vallo, Barcellona Pozzo di Gotto, Capo d’Orlando, Furnari, Giardini Naxos, Consortile Letojanni, Pace del Mela, Piraino, Roccalumera, Consortile Sant’agata Militello, Consortile Torregrotta, Gioiosa Marea, Messina 1, Messina 6, Milazzo, Patti e Rometta (Sicilia). (Sentenza nella causa C- 565/10, Commissione contro Repubblica italiana)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: LA PUBBLICITÀ DELLE CASE DA GIOCO STRANIERE PUÒ ESSERE VIETATA A TALUNE CONDIZIONI  
 
Uno Stato membro può vietare la pubblicità delle case da gioco situate in un altro Stato membro se la tutela dei giocatori in tale Stato non è equivalente a quella del primo. In Austria, la pubblicità delle case da gioco situate all’estero richiede una previa autorizzazione. Per ottenerla, il gestore di una casa da gioco situata in un altro Stato membro deve dimostrare che la tutela legale dei giocatori prevista in tale Stato «corrisponde almeno» alla tutela legale austriaca, in forza della quale l’accesso alle case da gioco è riservato esclusivamente ai maggiorenni, la direzione della casa da gioco deve osservare il comportamento dei giocatori al fine di determinare se la frequenza e l’intensità della loro partecipazione al gioco mettano in pericolo il loro minimo vitale e i clienti possono intentare un’azione diretta in materia civile nei confronti della direzione per inadempimento di tali obblighi. Le società slovene Hit e Hit Larix gestiscono case da gioco in Slovenia. Esse hanno chiesto al Bundesminister für Finanzen (Ministro federale delle finanze, Austria) di essere autorizzate a pubblicizzare in Austria le loro case da gioco situate in Slovenia. Il Ministero ha respinto la loro richiesta in quanto Hit e Hit Larix non avevano dimostrato che le norme slovene in materia di giochi d’azzardo garantissero un livello di tutela dei giocatori analogo a quello previsto in Austria. Il Verwaltungsgerichtshof (Corte suprema amministrativa, Austria), dinanzi al quale Hit e Hit Larix hanno proposto ricorso contro tali decisioni di rigetto, chiede alla Corte di giustizia se una normativa come quella austriaca sia compatibile con la libera prestazione dei servizi garantita dal diritto dell’Unione. Con la sentenza odierna, la Corte ricorda anzitutto che la disciplina dei giochi d’azzardo rientra nei settori in cui sussistono tra gli Stati membri divergenze considerevoli di ordine morale, religioso e culturale. Pertanto, in assenza di armonizzazione in materia, gli Stati membri sono liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d’azzardo e di definire con precisione il livello di tutela perseguito. Di conseguenza, il solo fatto che uno Stato membro abbia scelto un sistema di tutela differente da quello adottato da un altro Stato membro non può rilevare ai fini della valutazione della proporzionalità delle disposizioni prese in materia. Queste vanno valutate soltanto alla stregua degli obiettivi perseguiti dalle competenti autorità dello Stato membro interessato e del livello di tutela che intendono assicurare. È alla luce di tali elementi che la Corte risponde che il diritto dell’Unione non osta alla normativa austriaca, laddove, ai fini della concessione dell’autorizzazione a fare pubblicità, si limiti a richiedere che sia dimostrato che, nell’altro Stato membro, la normativa applicabile assicura una tutela contro i rischi del gioco di livello sostanzialmente equivalente a quello che essa stessa garantisce. Una normativa siffatta, che limita la libera prestazione dei servizi, è giustificata dall’obiettivo di tutela della popolazione contro i rischi inerenti ai giochi d’azzardo. Tenuto conto di tale obiettivo, essa non sembra costituire un onere eccessivo per i gestori delle case da gioco straniere e pertanto rispetta il principio di proporzionalità. La situazione sarebbe tuttavia diversa, e tale normativa andrebbe allora considerata sproporzionata, se richiedesse che, nell’altro Stato membro, le norme siano identiche, o se imponesse norme senza alcun nesso diretto con la tutela contro i rischi del gioco. In ogni caso, spetta al giudice nazionale verificare che le disposizioni di legge controverse si limitino a subordinare l’autorizzazione a pubblicizzare esercizi di gioco situati in un altro Stato membro alla condizione che la normativa di quest’ultimo fornisca garanzie sostanzialmente equivalenti a quelle della normativa nazionale, alla luce dell’obiettivo legittimo di tutelare i privati contro i rischi connessi ai giochi d’azzardo. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 12 luglio 2012, Sentenza nella causa C-176/11 Hit e Hit Larix / Bundesminister für Finanzen)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: UNO STATO ESTERO NON PUÒ OPPORRE LA PROPRIA IMMUNITÀ PER CONTESTARE UN RICORSO IN MATERIA DI DIRITTO DEL LAVORO, PROPOSTO DA UN IMPIEGATO DELLA PROPRIA AMBASCIATA, QUANDO QUEST´ULTIMO SVOLGE FUNZIONI CHE NON RIENTRANO NELL´ESERCIZIO DI PUBBLICI POTERI. DI CONSEGUENZA, DETTO IMPIEGATO PUÒ ADIRE I GIUDICI DELLO STATO MEMBRO IN CUI SI TROVA L´AMBASCIATA IN QUESTIONE  
 
Il sig. Mahamdia, cittadino algerino e tedesco, ha lavorato per lo Stato algerino in qualità di autista presso la sua ambasciata a Berlino (Germania). Egli impugna il suo licenziamento dinanzi ai giudici tedeschi e chiede dei risarcimenti. L´algeria sostiene tuttavia di godere, quale Stato estero, dell´immunità giurisdizionale in Germania, riconosciuta dal diritto internazionale, in base alla quale uno Stato non può essere soggetto alla giurisdizione di un altro Stato. Inoltre l´Algeria invoca la clausola, contenuta nel contratto di lavoro stipulato con il sig. Mahamdia, secondo la quale, in caso di controversia, sono esclusivamente competenti i tribunali algerini. In tale contesto, il Landesarbeitsgericht Berlin-brandenburg (Tribunale superiore del lavoro del Land Berlino-brandeburgo) chiede alla Corte di giustizia di interpretare il regolamento n. 44/2001, il quale contiene alcune norme relativamente alla competenza giurisdizionale in materia di contratti individuali di lavoro. Queste norme mirano a garantire una tutela adeguata del lavoratore in quanto parte contraente più debole. Pertanto, quando il datore di lavoro è domiciliato fuori del territorio dell´Unione europea, il lavoratore può citarlo in giudizio dinanzi ai giudici dello Stato membro in cui si trova «la sede d´attività» del datore di lavoro, presso cui il dipendente svolge il suo lavoro. Con la sua sentenza odierna, la Corte di giustizia risponde che l´ambasciata di uno Stato terzo situata nel territorio di uno Stato membro costituisce una «sede d´attività» ai sensi del regolamento in una controversia relativa al contratto di lavoro concluso da detta ambasciata in nome dello Stato accreditante, qualora le funzioni svolte dal lavoratore non rientrino nell´esercizio di pubblici poteri. Infatti, al pari di qualsiasi altro ente pubblico, l´ambasciata può diventare titolare di diritti e obblighi di carattere civile. Ciò avviene, quando conclude contratti di lavoro con persone che non svolgono funzioni rientranti nell´esercizio di pubblici poteri. Inoltre, un´ambasciata può essere assimilata a un centro operativo che si manifesta in modo duraturo verso l´esterno. Peraltro, una contestazione nell´ambito dei rapporti di lavoro, quale quella di cui al caso di specie, presenta in collegamento sufficiente con il funzionamento dell´ambasciata rispetto alla gestione del suo personale. In merito all´immunità invocata dall´Algeria, la Corte precisa non ha valore assoluto. Essa è generalmente riconosciuta quando la controversia riguarda atti rientranti nel potere di sovranità. Viceversa, può essere esclusa qualora l´azione in giudizio verta su atti che non rientrano nei pubblici poteri. Pertanto, il principio di diritto internazionale dell´immunità giurisdizionale degli Stati non osta all´applicazione del regolamento n. 44/2001, quando si tratta di una controversia sorta dall´impugnazione, promossa dal lavoratore, della risoluzione del suo contratto di lavoro, concluso con uno Stato nei confronti del quale il giudice adito constati che le funzioni svolte da detto lavoratore non rientrano nell´esercizio di pubblici poteri. Quanto alla clausola inserita nel contratto di lavoro del sig. Mahamdia, secondo la quale, in caso di controversia, sono esclusivamente competenti i tribunali algerini, la Corte ricorda che il regolamento n. 44/2001 limita la possibilità di derogare alle regole di competenza che esso stabilisce. Essa precisa che un accordo attributivo di competenza, concluso anteriormente al sorgere di una controversia, non può impedire al lavoratore di adire i tribunali competenti in base alle norme speciali di detto regolamento in materia di contratti individuali di lavoro. Infatti, in caso contrario, lo scopo di tutelare il lavoratore, parte contraente più debole, non sarebbe raggiunto. Di conseguenza, un accordo attributivo di competenza, concluso anteriormente alla nascita di una controversia, può offrire solo la facoltà al lavoratore di adire, oltre i giudici normalmente competenti in applicazione del regolamento n. 44/2001, altri giudici, ivi compresi, eventualmente, quelli situati fuori dell´Unione. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 19 luglio 2012, Sentenza nella causa C-154/11, Ahmed Mahamdia / Algeria)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: SOLO I PROPRIETARI DELLE INFRASTRUTTURE PER SERVIZI DI TELEFONIA MOBILE POSSONO ESSERE ASSOGGETTATI AD UN CONTRIBUTO PER LE LORO INSTALLAZIONI SU UN DEMANIO PUBBLICO  
 
Di conseguenza, gli operatori che semplicemente utilizzano tali infrastrutture non sono assoggettati a detto contributo. La direttiva in materia di autorizzazioni di reti e servizi di comunicazione elettronica (la direttiva “autorizzazioni”, consente agli Stati membri di prelevare un contributo, segnatamente, sui diritti di installare le infrastrutture necessarie alla prestazione dei servizi di telecomunicazione su proprietà pubbliche o private ovvero al di sopra o al di sotto di esse. Diversi comuni spagnoli hanno imposto alle imprese di telefonia mobile contributi per l´installazione, sul demanio pubblico municipale, di infrastrutture necessarie alla prestazione di servizi di telecomunicazione. Tali contributi sono stati imposti alle imprese a prescindere dal fatto che esse fossero oppure no le proprietarie di tali installazioni. La Vodafone España e la France Telecom España, prestatrici di servizi di telefonia mobile in Spagna, contestano dinanzi ai giudici spagnoli la conformità con la direttiva “autorizzazioni” dell´imposizione di contributi agli operatori, semplici utilizzatori e non proprietari, della rete di telecomunicazione elettronica. Il Tribunal Supremo (Corte suprema, Spagna) chiede alla Corte di giustizia se la direttiva "autorizzazioni" consenta agli Stati membri di imporre i contributi agli utilizzatori della rete di telecomunicazione. Nella sua sentenza, la Corte constata, innanzitutto, che, nell´ambito della direttiva “autorizzazioni”, gli Stati membri non possono riscuotere tasse o contributi sulla fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica diversi da quelli previsti dalla direttiva stessa. Gli Stati membri possono segnatamente imporre contributi sui diritti di installare strutture su proprietà pubbliche o private ovvero al di sopra o al di sotto di esse. La Corte precisa che la direttiva “autorizzazioni” non definisce né la nozione di installazione di strutture su proprietà pubbliche o private ovvero al di sopra o al di sotto di esse, né il debitore del contributo relativo ai diritti afferenti a tale installazione. Tuttavia, la Corte rileva che, secondo la direttiva “quadro”, i diritti per consentire l´installazione di strutture su una proprietà pubblica o privata - vale a dire infrastrutture materiali - sono concessi all´impresa che sia stata autorizzata a fornire reti di comunicazioni pubbliche e abilitata, a tale titolo, a installare le strutture necessarie. Di conseguenza, il contributo per i diritti di installare strutture può essere imposto solo al titolare di tali diritti, vale a dire al proprietario delle infrastrutture installate sulle proprietà pubbliche o private ovvero al di sopra o al di sotto di esse. Ciò premesso, la Corte risponde che il diritto dell´Unione non consente agli Stati membri di imporre detto contributo agli operatori che, senza essere proprietari delle infrastrutture, le utilizzino per la prestazione di servizi di telefonia mobile. La Corte constata inoltre che, poiché la disposizione della direttiva “autorizzazioni”sull´imposizione del contributo è formulata in termini incondizionati e precisi, essa può essere invocata direttamente dai singoli dinanzi ai giudici nazionali per contestare l´applicazione di una decisione dell´autorità pubblica incompatibile con la disposizione stessa. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 12 luglio 2012, Sentenza nelle cause riunite C-55/11, C-57/11 e C-58/11 Vodafone España Sa/ Ayuntamiento de Santa Amalia e Ayuntamiento de Tudela - France Telecom España Sa/ayuntamiento de Torremayor)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: IL VENDITORE DI VIAGGI AEREI NON PUÒ INCLUDERE AUTOMATICAMENTE UN´ASSICURAZIONE SULL’ANNULLAMENTO DEL VIAGGIO AEREO AL MOMENTO DELLA VENDITA DI BIGLIETTI AEREI SU INTERNET IN QUANTO “SUPPLEMENTO OPZIONALE”, L’ASSICURAZIONE SULL’ANNULLAMENTO DEL VIAGGIO AEREO PUÒ ESSERE PROPOSTA SOLTANTO ATTRAVERSO UN’OPERAZIONE ESPLICITA DI ACCETTAZIONE (”OPT-IN”)  
 
Il regolamento n. 1008/2008 è diretto, in particolare, a garantire una maggiore trasparenza delle tariffe dei voli in partenza dall’Unione europea. I venditori di biglietti aerei hanno l’obbligo di indicare in qualsiasi momento il “prezzo definitivo”, cioè la tariffa del volo, nonché il complesso delle tasse, dei diritti e dei supplementi indispensabili ai fini di detto volo. I “supplementi di prezzo opzionali” relativi a servizi complementari non obbligatori devono, per parte loro, essere comunicati in modo chiaro all’inizio di qualsiasi procedura di prenotazione e la loro accettazione da parte del cliente deve risultare da un’operazione esplicita ("opt-in"). La società ebookers.Com Deutschland gestisce un portale Internet mediante il quale commercializza viaggi aerei. Nel corso della procedura di prenotazione, quando il cliente sceglie un volo determinato, appare, in alto a destra della pagina Internet, sotto il titolo “le vostre effettive spese di viaggio”, l´indicazione dell’importo delle spese. Oltre alla tariffa del volo, tale indicazione include anche l´importo di “tasse e diritti”, nonché le spese relative ad una “assicurazione sull’annullamento”, automaticamente contabilizzate. Il totale di tali spese rappresenta il “prezzo complessivo del viaggio”. In fondo alla pagina Internet, il cliente viene informato della procedura da seguire per rifiutare l’assicurazione sull’annullamento che è stata automaticamente inclusa. Tale procedura consiste in un’operazione esplicita di rifiuto (“opt-out”). Quando il cliente paga dopo aver finalizzato la sua prenotazione, la ebookers.Com versa il prezzo del volo alla compagnia aerea, le tasse e i diritti alle autorità competenti, il premio assicurativo alla compagnia d’assicurazione, che è giuridicamente ed economicamente indipendente dalla compagnia aerea. Un’associazione tedesca a tutela dei consumatori ha convenuto la ebookers.Com dinanzi ai tribunali tedeschi allo scopo di ottenere la cessazione di detta pratica, che consiste nell’includere automaticamente l’assicurazione sull’annullamento nella tariffa del volo. È in tal contesto che l’Oberlandesgericht Köln (Corte d’appello di Colonia) ha chiesto alla Corte di giustizia di stabilire se i prezzi di tali servizi forniti da terzi, fatturati al cliente dalla società che propone il volo unitamente alla tariffa del volo, sotto forma di un prezzo complessivo, costituiscano “supplementi di prezzo opzionali”, in modo che tali servizi devono essere proposti sulla base di un’operazione esplicita di accettazione. La Corte ricorda, anzitutto, che il diritto dell’Unione mira a garantire l’informazione e la trasparenza dei prezzi dei servizi aerei e contribuisce quindi ad assicurare la tutela del cliente. Essa osserva che i “supplementi di prezzo opzionali” sono relativi ai servizi che completano il servizio aereo stesso. Essi non sono né obbligatori né indispensabili ai fini del volo e il cliente può scegliere se accettarli o rifiutarli. È proprio perché il cliente può esercitare tale scelta che il diritto dell’Unione richiede che siffatti supplementi di prezzo debbano essere comunicati in modo chiaro, trasparente e non ambiguo all’inizio di ogni procedura di prenotazione e che essi devono essere oggetto di un’operazione esplicita di accettazione. Tale requisito è diretto ad impedire che il cliente sia indotto ad acquistare servizi complementari non indispensabili al volo stesso, a meno che non scelga espressamente di acquistarli e di pagarne il supplemento di prezzo. La Corte considera, poi, che sarebbe in contrasto con l’obiettivo di tutela del cliente subordinare detta tutela alla circostanza che il servizio opzionale sia fornito da una compagnia aerea oppure, invece, da un’altra società giuridicamente distinta. Per contro, ciò che importa è che il servizio complementare opzionale e il suo prezzo siano in rapporto con il volo stesso nel contesto della procedura di prenotazione di detto volo. La Corte risponde che la nozione di “supplementi di prezzo opzionali” include i prezzi, in rapporto con il viaggio aereo, di prestazioni – come un’assicurazione sull’annullamento del viaggio – fornite da una parte diversa dal vettore aereo e fatturate al cliente dal venditore di tale viaggio unitamente alla tariffa del volo, sotto forma di un prezzo complessivo. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 19 luglio 2012, Sentenza nella causa C-112/11, ebookers.Com Deutschland Gmbh)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: LA CORTE PRECISA LA PORTATA DELLA TUTELA DEI CONSUMATORI RICONOSCIUTA NEL CONTESTO DEI CONTRATTI DI CREDITO  
 
Uno Stato membro può limitare le commissioni bancarie percepite dal creditore La direttiva sui contratti di credito ai consumatori prevede che, nei settori che essa armonizza, gli Stati membri non possono mantenere o introdurre nel proprio ordinamento nazionale disposizioni diverse da quelle della direttiva stessa. Tuttavia, tale direttiva non vieta agli Stati membri di applicare, conformemente al diritto dell’Unione, le sue disposizioni a settori non riconducibili alla sua sfera d´applicazione. Peraltro, gli Stati membri devono provvedere affinché siano predisposte procedure adeguate ed efficaci per la risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di consumo relative a contratti di credito, eventualmente mediante il ricorso a organismi esistenti. La direttiva non si applica ai contratti di credito in corso alla data di entrata in vigore delle misure nazionali di attuazione. In Romania la direttiva è stata trasposta nell´ordinamento nazionale con un decreto entrato in vigore il 22 giugno 2010. Esso dispone, tra l´altro, che quando viene concesso un credito, il creditore può percepire unicamente la commissione per l´analisi del fascicolo, la commissione per l´amministrazione del credito o la commissione per la gestione del conto corrente, la compensazione in caso di rimborso anticipato, i costi relativi alle assicurazioni, eventualmente le penalità, nonché una commissione unica per servizi prestati su richiesta dei consumatori. Nella fattispecie, in forza di una delle condizioni generali dei contratti di credito stipulati tra la banca Volksbank România e i suoi clienti prima dell´entrata in vigore del decreto, a fronte della messa a disposizione del credito, il mutuatario può essere tenuto a versare alla banca una “commissione di rischio” pari allo 0,2% del saldo del credito, pagabile mensilmente per tutto il periodo di svolgimento del contratto. L’autoritatea Naţională pentru Protecţia Consumatorilor − Comisariatul Județean pentru Protecția Consumatorilor Călărași («Cjpc», Autorità nazionale per la tutela dei consumatori – Commissariato distrettuale per la tutela dei consumatori di Călărași), che ha ritenuto che il percepimento di tale commissione non fosse previsto dal decreto, ha inflitto alla Volksbank un´ammenda nonché sanzioni complementari. Dinanzi alla Judecătoria Călăraşi (Tribunale di primo grado di Călăraşi, Romania) la Volksbank ha eccepito che talune disposizioni del decreto erano in contrasto con la direttiva. Pertanto, tale giudice chiede alla Corte di giustizia di precisare la portata di questa direttiva. La Corte si pronuncia in primo luogo sull´inclusione, da parte degli Stati membri, dei contratti di credito garantiti da un bene immobile nella sfera d´applicazione ratione materiae di una misura nazionale di trasposizione della direttiva, sebbene quest´ultima li escluda dal suo ambito di applicazione. La Corte sottolinea che gli Stati membri possono, conformemente al diritto dell’Unione, applicare le disposizioni di tale direttiva a settori che esulano dall’ambito di applicazione della stessa. Essi possono quindi mantenere o introdurre misure nazionali conformi alla direttiva o ad alcune delle sue disposizioni in materia di contratti di credito non rientranti nell’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva come, nella fattispecie, i contratti di credito garantiti da un bene immobile. In secondo luogo, la Corte esamina l´inclusione di siffatti contratti di credito, in corso alla data di entrata in vigore della normativa nazionale, nell´ambito di applicazione ratione temporis di tale normativa. La Corte rileva che in linea di principio spetta agli Stati membri determinare le condizioni alle quali intendono estendere il loro regime nazionale che traspone tale direttiva ai contratti di credito che, come quelli oggetto della fattispecie, non rientrano in uno dei settori per cui il legislatore dell’Unione ha voluto fissare disposizioni armonizzate. Di conseguenza, gli Stati membri possono stabilire una misura transitoria per cui detta normativa si applichi altresì ai contratti in corso alla data della sua entrata in vigore. In terzo luogo, la Corte ritiene che la direttiva non osti a che uno Stato membro istituisca obblighi non previsti da tale direttiva a carico degli istituti di credito per quanto riguarda i tipi di commissione che questi possono percepire nel contesto di contratti di credito al consumo. La regola prevista dal decreto rumeno, infatti, comportando un elenco esaustivo di commissioni bancarie che il creditore può percepire dal consumatore, costituisce una norma di tutela dei consumatori in un settore non armonizzato dalla direttiva. In quarto luogo, la Corte replica all´argomento della Volksbank secondo il quale, dato che la normativa rumena vieta agli istituti di credito di percepire alcune commissioni bancarie, essa rende meno accessibile ai clienti residenti in Romania i crediti al consumo proposti da società stabilite in altri Stati membri e, pertanto, viola le norme del Trattato in materia di libera prestazione dei servizi. A questo proposito, la Corte precisa che una normativa di uno Stato membro non costituisce una restrizione ai sensi del Trattato per il solo fatto che altri Stati membri applicano regole meno severe o economicamente più vantaggiose ai prestatori di servizi simili stabiliti nel loro territorio. La Corte considera inoltre che una disposizione nazionale come quella istituita dal diritto rumeno non rende meno interessante l´accesso al mercato e non riduce veramente la capacità delle imprese interessate di svolgere una concorrenza efficace nei confronti delle imprese tradizionalmente operanti in Romania. La Corte dichiara infine che la direttiva non osta alla normativa rumena che, in materia di crediti al consumo, permette ai consumatori di rivolgersi direttamente ad un’autorità di tutela dei consumatori, che può successivamente infliggere sanzioni agli istituti di credito per violazioni della normativa nazionale, senza doversi preventivamente avvalere delle procedure di risoluzione stragiudiziale previste dal diritto nazionale per siffatte controversie. La Corte rileva infatti che la direttiva esige che le procedure in materia di risoluzione stragiudiziale delle controversie siano adeguate ed efficaci. Pertanto, spetta agli Stati membri disciplinare le modalità di dette procedure, compreso il loro eventuale carattere obbligatorio, nel rispetto dell’effetto utile di tale direttiva. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 12 luglio 2012, Sentenza nella causa C-602/10 Sc Volksbank România Sa / Autoritatea Naţională pentru Protecţia Consumatorilor – Comisariatul Judeţean pentru Protecţia Consumatorilor Călăraşi (Cjpc)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: LE DIRETTIVE SULLA COMMERCIALIZZAZIONE DELLE SEMENTI DI ORTAGGI SONO VALIDE  
 
Infatti, tali direttive prendono in considerazione gli interessi economici dei venditori delle «varietà antiche» in quanto consentono, a determinate condizioni, la commercializzazione di queste ultime La direttiva relativa alla commercializzazione delle sementi di ortaggi assoggetta la commercializzazione di tali sementi alla previa ammissione delle loro varietà in almeno uno Stato membro. Inoltre, una varietà è ammessa nei cataloghi ufficiali degli Stati membri solo ove sia distinta, stabile e sufficientemente omogenea. Tuttavia, un’altra direttiva prevede talune deroghe a tale regime di ammissione nei cataloghi nazionali per le «varietà da conservazione» e le «varietà sviluppate per la coltivazione in condizioni particolari». Infatti, tali «varietà antiche» possono essere coltivate e commercializzate, a determinate condizioni, anche se non soddisfano i requisiti generali per essere ammesse nei cataloghi ufficiali. Con sentenza del 14 gennaio 2008, il tribunal de grande instance de Nancy (Tribunale di Nancy, Francia) ha condannato l’associazione senza scopo di lucro Kokopelli a risarcire all’impresa di sementi Graines Baumaux i danni per concorrenza sleale. Tale giudice ha constatato che la Kokopelli e la Baumaux operavano nel settore dei semi antichi o da collezione, che esse commercializzavano, tra gli altri, 233 prodotti identici o analoghi e che si rivolgevano alla medesima clientela di coltivatori dilettanti ed erano dunque in una situazione di concorrenza. Esso ha, pertanto, considerato che la Kokopelli agiva in concorrenza sleale, mettendo in vendite sementi orticole non figuranti né nel catalogo francese né nel catalogo comune delle varietà delle specie di ortaggi. La Kokopelli ha impugnato tale sentenza dinanzi alla cour d’appel de Nancy (Corte di appello di Nancy), la quale chiede alla Corte di pronunciarsi sulla validità della direttiva relativa alla commercializzazione delle sementi di ortaggi e di quella che prevede talune deroghe per le «varietà da conservazione» e le «varietà sviluppate per la coltivazione in condizioni particolari». Con la sentenza odierna la Corte constata che sulla validità delle due direttive non incidono né taluni principi del diritto dell’Unione, né gli impegni assunti dall’Unione in forza del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura (Tirfaa) . La Corte rammenta, anzitutto, che il principio di proporzionalità impone che gli strumenti istituiti da una disposizione di diritto dell’Unione siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa e non eccedano quanto è necessario per raggiungerli. A tale proposito, la Corte constata che l’obiettivo primario delle norme relative all’ammissione delle sementi di ortaggi consiste nell’ottenere una maggiore produttività delle colture di ortaggi nell’Unione. Orbene, l’introduzione di un catalogo comune delle varietà delle specie di ortaggi sulla base di cataloghi nazionali appare atta a garantire tale obiettivo di maggiore produttività delle colture. Infatti, un regime di ammissione di tal tipo, il quale impone che le sementi delle varietà di ortaggi siano distinte, stabili e omogenee, consente l’utilizzo di sementi appropriate e, di conseguenza, una maggiore produttività dell’agricoltura, basata sull’affidabilità delle caratteristiche di tali sementi. Inoltre, tale regime di ammissione è atto a contribuire alla realizzazione del secondo obiettivo, che mira a instaurare un mercato interno delle sementi di ortaggi assicurandone la libera circolazione nell’Unione. Infatti, un siffatto regime garantisce che le sementi commercializzate nei diversi Stati membri soddisfino i medesimi requisiti. Per giunta, il regime di ammissione derogatorio messo in atto per le «varietà da conservazione» e per le «varietà sviluppate per la coltivazione in condizioni particolari» è idoneo a garantire la conservazione delle risorse fitogenetiche - terzo obiettivo stabilito dal diritto dell’Unione. La Corte statuisce quindi che il regime di ammissione delle sementi di ortaggi non eccede quanto è necessario per raggiungere tali obiettivi. L’obbligo di registrazione nei cataloghi ufficiali nonché i relativi criteri di ammissione consentono di garantire che le sementi di una varietà possiedono le qualità necessarie per assicurare una produzione agricola elevata, di qualità, affidabile e costante nel tempo. Pertanto il legislatore dell’Unione, in considerazione, segnatamente, dell’ampio potere discrezionale di cui dispone nel settore della politica agricola comune, poteva legittimamente ritenere che altre misure, come l’etichettatura, non avrebbero consentito di giungere allo stesso risultato. Infatti, una misura meno restrittiva, come l’etichettatura, non costituirebbe un mezzo altrettanto efficace in quanto consentirebbe la vendita e, di conseguenza, la coltivazione di sementi potenzialmente nocive o che non consentono una produzione agricola ottimale. Pertanto, non vi è violazione del principio di proporzionalità. La Corte rammenta inoltre che le direttive controverse prendono in considerazione gli interessi economici degli operatori, quali la Kokopelli, che offrono in vendita «varietà antiche» non conformi ai requisiti per la registrazione nei cataloghi ufficiali, in quanto esse non escludono la commercializzazione di tali varietà. Vero è che sono previste restrizioni geografiche, quantitative e di confezionamento per le sementi delle varietà da conservazione e per quelle sviluppate per la coltivazione in condizioni particolari; tuttavia tali restrizioni si inquadrano nel contesto della conservazione delle risorse fitogenetiche. A tale proposito, la Corte ricorda che il legislatore dell’Unione non perseguiva la liberalizzazione del mercato delle sementi delle «varietà antiche», bensì intendeva rendere meno restrittive le norme di ammissione, evitando allo stesso tempo l’apparire di un mercato parallelo di tali sementi, che rischia di ostacolare il mercato interno delle sementi delle varietà di ortaggi. Peraltro, la Corte constata che le direttive controverse non violano né i principi di parità di trattamento, del libero esercizio di un’attività economica e della libera circolazione delle merci, né gli impegni presi dall’Unione in forza del Tirfaa. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 12 luglio 2012, Sentenza nella causa C-59/11 Association Kokopelli / Graines Baumaux Sas)